venerdì 21 settembre 2018

Nasce la nuova Procura UE. Potrebbe decidere su Italia e immigrazione

Un altro pezzo di sovranità nazionale se ne va. La giustizia finisce in mano ai tecnocrati?
di Antonio Amorosi

Salvini è nel mirino della magistratura? Se lo sono chiesti in tanti dopo che è finito sotto indagine per il blocco della nave Diciotti che trasportava migranti.
Ma potrebbe andare peggio e forse andrà molto peggio. Pochi sanno che nel silenzio generale l’Italia rischia di perdere la sua sovranità anche in campo penale. E’ da diversi giorni che si stanno tenendo le riunioni preparative per il prossimo Gai, sigla poco nota al grande pubblico e che indica il Consiglio europeo di giustizia e Affari interni. Obiettivo è il lancio della nuova Procura europea (EPPO, che sta per European Public Prosecutor Office). “Un vero ufficio di procura addetto a condurre indagini penali”, su scala europea, ha spiegato sul sito di Magistratura indipendente Andrea Venegoni, giurista addetto all’ufficio del Massimario e del ruolo della Corte di Cassazione, “non un ufficio di coordinamento, quindi, come Eurojust; non un ufficio per indagini amministrative, come l’OLAF, ma, appunto, un ufficio di indagini penali.”
E qui viene il punto. Completamente operativa entro la fine del 2020, la Procura europea dirigerà le indagini a livello centrale, indipendentemente dal luogo europeo in cui è stato commesso il reato. Una procura indipendente europea composta da magistrati aventi la competenza di individuare, perseguire e rinviare a giudizio gli autori di reati a danno del bilancio dell’UE, inizialmente come la frode, la corruzione o le gravi frodi transfrontaliere in materia di IVA. La Procura europea sarà responsabile delle indagini e dirigerà le autorità dei diversi Stati membri. In queste ore si sta discutendo di ampliarne le competenze facendola intervenire nel campo della lotta al terrorismo. E si è passati a parlare anche di immigrazione come una delle materie su cui la Procura dovrà intervenire. Il tema è caldo e abbiamo già visto quanto le scelte del governo italiano siano invise ai partner europei, dedicati a perseguire i proprio interessi economici e geopolitici.
Se un domani un magistrato europeo individuasse nelle scelte politiche italiane un qualche reato a danno dei migranti, o di chi per loro, potrebbe indagare Salvini o chiunque altro bloccando l’azione legittima di un governo democraticamente eletto, con conflitti giuridici e blocchi di ogni decisione nazionale. Avete capito bene.
E chi ha deciso tutto questo? 22 gli Stati membri dell’UE che hanno delegato la propria sovranità alla Procura europea: Italia, Austria, Belgio, Bulgaria, Croazia, Cipro, Repubblica ceca, Estonia, Germania, Grecia, Spagna, Finlandia, Francia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Portogallo, Romania, Slovenia e Slovacchia.
Un secco no è invece arrivato da Danimarca, Irlanda, Polonia, Svezia e Ungheria che hanno deciso di non volere la Procura europea sui propri territori. Delle limitazioni ai nuovi magistrati sono stati inseriti anche dai Paesi Bassi che è uno dei Paese fondatori dell’UE. Quindi si poteva evitare questa ennesima ingerenza, unendosi agli Stati che si sono opposti, come la democraticissima Svezia.
Il 12 settembre 2018, in occasione del discorso sullo stato dell’Unione, il presidente Jean-Claude Juncker ha dichiarato: “Gli europei si aspettano che l’Unione europea li protegga”. A lui si è aggiunto con dichiarazioni simili il Commissario per il Bilancio Günther H. Oettinger, quello che qualche mese fa disse: “I mercati spingeranno gli italiani a non votare per i populisti”.
L’introduzione della procura europea è regolata dall’articolo 86, paragrafo 4, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) che prevede la possibilità di estendere le competenze della Procura mediante la modifica dell’articolo 86 del trattato stesso, allo scopo includere tra le sue le attribuzioni i reati gravi che colpiscono più di uno Stato membro. Questa decisione deve essere presa all’unanimità da tutti gli Stati membri partecipanti alla Procura europea e dagli altri, previa approvazione del Parlamento europeo e previa consultazione della Commissione.
Ma secondo il numero 10 del 2017 della rivista di giuristi italianiDiritto penale contemporaneoper le modifiche si può ricorrere ad “una speciale procedura di cooperazione rafforzata con la partecipazione di ‘almeno’ 9 Stati membri, derogando anche alla oramai generalizzata procedura di codecisione in favore della semplice ‘approvazione’ da parte del Parlamento europeo”. Cioè bastano 9 Stati per ampliare le materie di intervento della Procura europea. L’EPPO avrà sede in Lussemburgo.
L’avvocato Massimo Melica esperto di e-government, e-crime ed e-security ha commentato così il caso ad Affaritaliani: “Una norma aperta, come quella alla base del Procuratore federale europeo, può generare pericolose interferenze sia nella giurisdizione sia nella gestione politica di ciascun stato membro. Ci troviamo davanti a scelte di governance in cui occorre avere una visione e applicazione futura della norma affinché non incrini i principi e i valori giurisdizionali della nostra Costituzione”.
“Il rischio di intromissione è altissimo”, ha dichiarato il deputato della Lega Gianluca Vinci, “ci può essere davvero una deriva giustizialista. Chi comanda nell’Ue attualmente non persegue certo gli interessi italiani. E poi abbiamo visto quanto è opinabile l’intervento della magistratura italiana contro Salvini. Ora sommarci quella europea diventa un problema per la legalità nel nostro Paese. Bisogna trovare misure urgenti per bloccare o ridimensionare questa attività che rischia di trasformare una legittima azione repressiva contro il terrorismo in una lotta politica contro l’Italia.

La Cina risponde “a muso duro” alle sanzioni di Washington: ‘Rimediate all’errore o sopporterete le conseguenze’

La Cina risponde irritata agli USA per le sanzioni sugli acquisti militari dalla Russia: ‘Rimediate all’errore o ne sopporterte le conseguenze”.
Pechino ha minacciato che Washington dovrà affrontare “le conseguenze” se non ritirerà la recente serie di sanzioni contro la Cina sulla cooperazione militare stabilita con la Russia.
Le autorità della Repubblica della Cina si sono mostrate indignate per il provvedimento preso dall’Amministrazione di Washington e il ministero degli Esteri cinese non ha usato mezzi termini, dicendo che Washington dovrebbe correggere immediatamente i suoi “errori” prima che sia troppo tardi o affrontare le conseguenze della decisione.

” Invitiamo fermamente gli Stati Uniti a rimediare all’errore e a cancellare le sanzioni. Altrimenti, gli Stati Uniti dovranno sopportarne le conseguenze “, ha detto il portavoce Geng Shuang, citato dai media cinesi.
La Cina e la Russia sono soci strategici (…) continueremo implementando gli accordi presi fra i leaders dei nostri paesi, ha dichairato il portavoce della Cancelleria cinese, Geng Shuang, nel corso di una conferenza stampa.

L’amministrazione Trump ha sanzionato il Dipartimento per lo sviluppo delle attrezzature in Cina – il principale organismo di acquisizione di armi del paese – lo scorso giovedì. Questo per la recente decisione di Pechino di acquistare i caccia russi Su-35 e il sistema missilistico terra-aria S-400 che aveva attirato l’ira di Washington. Gli Stati Uniti hanno sottolineato che Mosca è in effetti il “bersaglio finale” delle restrizioni.
Le misure degli Stati Uniti, tuttavia, non influenzeranno la cooperazione strategica sino-russa, che non farà che crescere ulteriormente, ha dichiarato Geng. Le sanzioni decretate da Washington costituiscono una grossolana violazione delle norme di base delle relazioni internazionali, ha proseguito il portvoce del Ministero degli Esteri cinese.
Le ultime misure punitive sembrano essere nient’altro che uno strumento per proteggere gli interessi finanziari degli Stati Uniti.
“Le sanzioni sono usate come un’arma di concorrenza sleale – tutto questo ci fa ricordare perfettamente la situazione creata con il Nord Stream 2” , ha affermato il senatore Konstantin Kosachev, capo del Comitato per le relazioni internazionali della Camera alta in Russia.
Le misure punitive fanno parte dell’isteria anti-cinese, legata alla crescente economia di Pechino, che attualmente sta impazzando a Washington, secondo l’autore e lo storico Gerald Horne. Parlando con RT, l’analista ha detto che gli Stati Uniti sono ben consigliati di fermare l’approccio aggressivo per evitare conseguenze imprevedibili.
“Se questa particolare escalation da parte di Washington continua, non si può dire quale sarà il risultato finale”, ha detto Horne a RT, aggiungendo che sia Washington che Pechino sarebbero state colpite dalle conseguenze.
Portavoce del Ministero Esteri cinese
Nota: Il Pericolo di una reazione della Cina alle sanzioni viene sottovalutato dall’Amministrazione di Washington
Bisogna considerare che Pechino detiene titoli di Stato USA per un valore di circa 1,2 bilioni di dollari, quindi più di qualsiasi altro Paese. Quando la Repubblica Popolare Cinese acquista titoli del Tesoro USA, presta denaro agli Stati Uniti. Secondo molti analisti, l’immensa quantità di debiti nelle mani della Cina potrebbe essre una minaccia per gli Stati Uniti. Come anche questa potrebbe essere un asso nella manica da usare nelle controversie commerciali con Washington. Tale fattore spiega il timore di molti analisti che la Cina passi a “vie di fatto”, liberandosi di buona parte dei titoli del Tesoro USA e scatenando una serie di reazioni sui mercati fra cui un brusco rialzo dei tassi di interesse negli USA e una svalutazione del biglietto verde.
I debiti degli Stati Uniti con la Banca popolare cinese ammontavano a circa 1,18 bilioni di dollari a fine febbraio. In altre parole, il Regno di Mezzo possiede quasi un quinto di tutti i titoli di Stato USA detenuti da banche centrali estere (quasi 6,3 bilioni di dollari). Per questo motivo, le minacce del presidente degli Stati Uniti Donald Trump di imporre dazi punitivi sui prodotti cinesi scatenano sempre il timore che Pechino possa sfruttare i titoli di Stato USA per mettere in atto misure di ritorsione.
È opinione diffusa che, detenendo debiti americani, la Cina rafforzi il proprio potere contrattuale nei confronti degli Stati Uniti. Queste preoccupazioni erano apparse fino ad oggi eccessive, visto l’interesse di Pechino a mantenere la stabilità dei mercati ma, alla luce della nuova politica aggressiva dell’Amministrazione Trump, tutto potrebbe cambiare.
Non è chiaro se Washington abbia calcolato le conseguenze delle sue azioni aggressive contro la Cina.

Fonti:    RT News   Hispantv
Traduzione e nota: Luciano Lago

ALIMENTI TRATTATI CON LE RADIAZIONI CONTRO I PARASSITI. E SE I “PARASSITI” FOSSIMO NOI?


  
Ormai le radiazioni nucleari sono entrate prepotentemente, ma in sordina, nel mercato alimentare. Questa pratica è nata negli USA sin dagli anni ’20 in ambito militare per sterilizzare i cibi destinati ai soldati. Sapere se la banana che compriamo, e la banana è oggi uno degli alimenti più colpiti dalla “pastorizzazione a freddo”, è bollita o no è indubbiamente una questione importante ma, se si trattasse di un problema di semplice cottura in acqua, sappiamo anche che non esistono rischi visto che, come abbiamo detto, quello che cambia in un alimento cotto, rispetto allo stesso alimento crudo, sono le caratteristiche nutrizionali, senza altri possibili effetti dannosi. Nel caso della “pastorizzazione a freddo”, gli alimenti sono trattati con radiazioni elettromagnetiche ionizzanti, provenienti dagli isotopi radioattivi Cobalto 60 (radiazione gamma con un’energia di 1,3 MeV), di gran lunga il più usato, e Cesio 137 (radiazione gamma con un’energia di 0,66 MeV). Oppure con radiazione X di alta energia (10 MeV). Gli alimenti sono portati presso una stazione di trattamento, posti su un nastro trasportatore, che passa all’interno di una camera opportunamente schermata, nella quale vengono irradiati ricevendo una dose di radiazione che dipende dal tipo di alimento, secondo quanto stabilito da minuziose norme, emesse dalla Codex Alimentarius Commission. Le motivazioni, apertamente espresse per giustificare tale orribile procedimento, sono diverse per i diversi prodotti e riguardano la eliminazione di batteri per le carni, di uova d’insetto e larve per i prodotti secchi, come spezie, erbe aromatiche, cereali, legumi e frutta secca, e l’inibizione del germogliamento nei bulbi, nei tuberi e nei frutti freschi. Anche se l’eliminazione di pericolosi parassiti e patogeni viene indicata come un grande beneficio per il consumatore, lo scopo centrale, apertamente dichiarato, per produttori e distributori è quello di prolungare la vita commercialmente utile del prodotto (indicata in inglese come shelf life). Poi ci sono naturalmente gli interessi della opulenta industria nucleare che con questi trattamenti può invadere un altro appetitoso settore civile, oltre a quello delle centrali a fissione, delle attrezzature mediche per radioterapia e degli impianti di “sicurezza” negli aeroporti. E il business degli alimenti sembra essere grande, perché negli ultimi 10 anni sono nati nel mondo migliaia di nuovi impianti. Nell’ambito della normativa europea, che consente l’irraggiamento di 60 prodotti alimentari, ci risulta che l’Italia abbia autorizzato soltanto il trattamento anti-germogliamento per agli, cipolle e patate, oltre alla sterilizzazione per erbe aromatiche, spezie e condimenti vegetali essiccati. Non ci aspetteremmo quindi di trovare nei negozi e nei supermercati frutta o fagioli secchi irradiati. E invece, non solo ne troviamo in grande quantità, perfino nei negozi che vendono esclusivamente alimenti biologici, ma essi sono sistematicamente venduti senza la etichettatura prescritta per legge, e quindi senza che chi compra possa liberamente scegliere fra un prodotto vivo e uno irradiato. Ma non dobbiamo meravigliarci di trovare tanti alimenti irradiati dato che, anche ammettendo che i produttori italiani rispettino i limiti imposti sui prodotti nazionali, l’Italia importa ormai un’altissima percentuale di prodotti alimentari. E la cosa più allarmante è che questo fenomeno è andato crescendo fortemente negli ultimi anni, in maniera nettamente visibile nel caso della frutta importata, e in maniera meno visibile, ma facilmente riscontrabile, nel caso di legumi secchi importati. È importante a questo punto cercare di capire quali sono le possibili trasformazioni che l’irraggiamento può apportare agli alimenti, in particolare a quelli vivi. L’approccio “scientifico” alla questione è decisamente empirico e riduzionista e, guarda caso, attento agli interessi delle corporazioni del Big Food: si limita a controllare la dose di radiazione assorbita e i danni totali causati ai “nemici” che si vogliono distruggere, quali batteri, insetti ed embrioni vegetali, sui quali si è usata la stessa precisione e delicatezza che un bombardiere avrebbe su un obiettivo militare. È probabile che chi legge possa trovarsi d’accordo sul fatto che i “cattivi” batteri vadano comunque eliminati, e che si preoccupi principalmente degli effetti collaterali di questo bombardamento. A questo punto, ci corre l’obbligo di spezzare una lancia a favore dei tanto vituperati e perseguitati batteri, per la lotta ai quali è stata addirittura creata la categoria farmacologica degli antibiotici. L’organismo di una persona adulta sana è costituito da circa 30 mila miliardi di cellule, e contiene circa 40 mila miliardi di batteri. Questi ultimi, costituiscono il microbiota umano, indispensabile alla vita dell’organismo, ogni squilibrio del quale arriva a causare gravi patologie. Siamo ancora sicuri che i batteri siano così cattivi? L’idea, che il pensiero dominante ha installato nelle nostre menti, è che si debba dare la caccia al batterio, come il responsabile di quasi tutte le patologie, così come si deve combattere il terrorista islamico, responsabile dei mali del pianeta. Il benessere non si raggiunge con la distruzione dei batteri, ma con il raggiungimento di una convivenza equilibrata fra le specie, e a questo equilibrio provvedono la corretta alimentazione e lo stesso organismo. Nel caso poi dell’irraggiamento finalizzato a ritardare il processo di maturazione nella frutta e di germogliamento nei bulbi, il fatto che le radiazioni rompano in modo innaturale e imprevedibile le macromolecole di un sistema biologico, interrompendo i processi biochimici in corso, è presentato come un fatto privo di conseguenze. Ma la domanda è: si conoscono le conseguenze per la persona che si ciberà di quegli alimenti le cui molecole sono state macellate dalle radiazioni, producendo mostruosi cataboliti che, ammesso che esistano in natura, sono di certo molto rari, che probabilmente il sistema immunitario del malcapitato organismo non riconoscerà, e che sarà quindi costretto ad attaccare come corpi estranei? Dove diavolo è finito il principio di precauzione? A questo punto, ci si chiede su quale normativa internazionale si basi tutta questa scellerata operazione. La Codex Alimentarius Commission (CAC), creata nel 1963 da FAO e OMS allo scopo dichiarato “di proteggere la salute dei consumatori e assicurare la correttezza degli scambi internazionali di alimenti” ha oltre 20 comitati di esperti ed emette periodicamente rapporti in cui sono fissate e aggiornate le normative. Ma tutto lascia intendere che la CAC si preoccupi molto più del business commerciale che della salute dei consumatori. Invece, quando si tratta di applicare l’ovvio principio di precauzione su questioni cruciali, quale ad esempio la presenza di diserbanti e dei loro metaboliti negli alimenti, la CAC è sistematicamente ancorata alla visione mainstream, a sua volta ampiamente controllata dalle multinazionali degli alimenti. Questa poca attenzione da parte della CAC è tanto più sospetta, a fronte di una dilagante pandemia di disbiosi umana e animale, testimoniata da un aumento vertiginoso di malattie come Candidosi, Celiachia, Sindrome dell’Intestino Irritabile (IBS), Morbo di Crohn, Morbo di Alzheimer, Autismo. Inoltre, tutti questi dati epidemiologici risultano in perfetta correlazione con un mercato dei probiotici in crescita del 10% l’anno.
In quali paesi si praticano le irradiazioni nucleari sul cibo?
Belgio
IBA Mediris SA – irradiante per gamberi, cosce di rana, erbe, verdure surgelate, formaggi, uova, pollame / selvaggina, carne, pesce, frutta secca, amido, plasma, piatti pronti.

Repubblica Ceca
Nessun dato disponibile sugli impianti esistenti. Alimenti trattati: erbe aromatiche essiccate, spezie e condimenti vegetali, albume d’uovo. Irradiati 460 tonnellate di alimenti.

Germania
Quattro impianti di irradiazione autorizzati: – Gamma Service Produktbestrahlung GmbH, Radeberg irradia legumi secchi, erbe e spezie, altri prodotti alimentari (semi di guaranà), totale di 342 tonnellate. – Beta-Gama Service GmbH & Co.KG, Whiel, irradia granulato di funghi, materie prime vegetali (prezzemolo, aneto, coriandolo), polvere di sedano spinaci in polvere, rafano, prezzemolo. Totale di 24 tonnellate. – Isotron Deutschland GmbH, Allershausen irradia condimenti, erbe, in totale: 429 tonnellate. – Gama-Service GmbH & Co KG, Bruchsal.

Spagna
Due impianti autorizzati per l’irradiazione degli alimenti.

Francia
Ci sono sette impianti autorizzati all’irradiazione di prodotti alimentari: Erbe aromatiche, spezie e condimenti vegetali, erbe surgelati, legumi secchi e frutta, gomma arabica, caseina, caseinati, carni separate meccanicamente di pollame, frattaglie di pollame, cosce di rana congelate, gamberi, per un totale di 1.800 tonn.

Ungheria
Nel 2004 non c’era nessun impianto. Nessuna informazione è stata fornita.

Italia
Nessuna informazione è stata data.

Paesi Bassi
Sono presenti due strutture autorizzate. Uno in Ede e uno a Etten-Leur. Alimenti irradiati nel 2004: Spezie ed erbe aromatiche, verdure disidratate, carne di pollame (congelata) parti rana, albume d’uovo (raffreddato), alimenti destinati all’esportazione verso i paesi terzi. Totale irradiato nel 2004: 768 tonnellate di cibo.

Polonia
Due impianti autorizzati: Istituto di Chimica e tecnologia nucleare di Varsavia, irradiati: spezie, erbe, verdure disidratate e funghi secchi, per un totale nel 2004 di 680 tonnellate. Istituto di radiazioni e Chimica Applicata dell’Università Tecnica di Lodz. Spezie irradiate nel 2004: totale di 47,8 tonnellate.

Il Regno Unito
Dispone di un solo impianto autorizzato. E’ stata approvata la pastorizzazione a freddo o irradiazione anche nei paesi come il Pakistan, la Costa Rica, l’Uruguay, per cui la maggior parte della frutta esotica subisce l’irradiazione prima di raggiungere i nostri supermercati.
Effetti collaterali dell’irradiazione degli alimenti
L’irresponsabile promozione di questo processo, oltre alla distruzione di gran parte del contenuto vitaminico, che nelle verdure e nella frutta è reso già scarso dalla mancata maturazione per esposizione solare e dallo sfruttamento dei terreni agricoli, produce anche una serie di sottoprodotti tossici negli alimenti trattati:
– formaldeide,
benzene,
acido formico e prodotti radiolitici come il 2-alklycyclobutanone, sostanze che hanno dimostrato di essere citotossiche (ovvero danneggiano le cellule), genotossiche (che danneggiano il DNA), e cancerogene (provocano il cancro) in provetta e sugli animali.
Inoltre, le radiazioni gamma aumentano l’allergenicità delle proteine alimentari e questo effetto collaterale è stato riscontrato anche con radiazioni a basso dosaggio.
Quindi siamo di fronte simultaneamente a:
(1) patologie gravi imputabili ad alterazioni del microbiota intestinale;
(2) presenza sempre più massiccia nell’ambiente e in agricoltura di sostanze tossiche che inducono la disbiosi intestinale;
(3) forte crescita del mercato dei probiotici, come risposta - solo di una parte di consumatori e medici attenti e consapevoli – alle patologie di cui al punto (2). Ci si aspetterebbe, da una commissione mondiale di esperti che dice di perseguire la salute dei consumatori, che si cominciassero a studiare queste correlazioni e a mettere in discussione l’uso di certe tecniche agricole e di trattamento degli alimenti. Invece, su questi punti, dalla CAC vengono solo rassicurazioni. Ma, oltre a tutti i rischi citati e ampiamente sottovalutati dalla CAC, dobbiamo citarne un altro, forse remoto, ma ancora più grave e terrificante, sul quale la società civile dovrebbe chiedere alle autorità competenti che venga immediatamente aperta un’indagine e siano fatte tutte le necessarie verifiche. Parliamo di possibili reazioni di fissione nucleare negli alimenti trattati, impossibili da verificarsi come effetto degli irraggiamenti gamma, ma che potrebbero essere indotte dalla eventuale presenza, nella sorgente, di scorie radioattive che emettano neutroni ad alta energia. In questo caso, non si avrebbero solamente i danni, pur gravissimi e ancora tutti da studiare, a livello biochimico, ma si arriverebbe alla possibile trasmutazione o rottura di nuclei, con la formazione di radionuclidi, che noi ingeriremmo con gli alimenti. Anche se il fenomeno fosse di piccolissima entità, vanno tenuti presenti gli effetti letali derivanti dall’ingestione di quantità, anche infime, di isotopi radioattivi. Sappiamo che il Cobalto 60 è un radioisotopo artificiale, volutamente prodotto in speciali reattori dalla trasmutazione del Cobalto 59, ma sappiamo anche che piccole quantità di Co-60 si trovano nelle scorie dei reattori nucleari, come sottoprodotto non voluto dell’attivazione di isotopi del ferro. E non possiamo escludere che, con l’aumento del business delle sorgenti di Co-60, si possa tendere ad introdurre intenzionalmente del Co-59 in un grande reattore per la produzione di energia, al fine di avere una produzione a basso costo di questo radioisotopo. A questo punto, come essere sicuri a priori che un Co-60 così prodotto sia esente da scorie contenenti radionuclidi che emettono neutroni in grado di indurre una fissione nei nuclei dell’alimento? Anche se questa ipotesi può apparire eccessiva, non è affatto campata in aria, visto che a gestire questo traffico di impianti mortiferi sono delle multinazionali che, notoriamente, per aumentare il fatturato, praticano tutto il possibile, e spesso anche l’impossibile. Quali speranze abbiamo? Giunti a questo punto, a chi ci abbia pazientemente seguito fin qui sorge spontanea una domanda, peraltro ormai sistematicamente ricorrente: di fronte a questo ennesimo scenario disperante, che fare? Se l’ambizione è quella di risolvere il problema alla fonte, allora forse non c’è molto da dire e da sperare. Si deve, anche per questo nuovo attacco contro la società civile, cominciare con tenacia una lotta dura e difficile ma sacrosanta, così come hanno fatto molti gruppi di cittadini coraggiosi per la TAV, il MUOS, gli OGM, i vaccini, i diserbanti. Ma in questo caso, potremmo perseguire un primo obiettivo, efficace e molto meno ambizioso, usando quei residui di democrazia formale che ancora ci restano a disposizione - e che l’eventuale entrata di un TTIP domani ci toglierebbe – per chiedere che la normativa italiana di etichettare i prodotti irradiati sia rigorosamente rispettata. A quel punto, se riuscissimo a vedere soddisfatte le nostre richieste, certo non avremo fermato lo scempio sugli alimenti, ma potremmo almeno scegliere cosa mangiare e non mangiare (o ci resterebbero da mangiare solo gli insetti?).  E se, usando i media a nostra disposizione, saremo stati così bravi da dare il giusto risalto a questa azione, diffondendola viralmente, in modo da rendere consapevole la società civile su un problema così cruciale, allora potremo anche sperare che molti consumatori ci seguano e che il mercato degli alimenti radioattivi abbia una sostanziale caduta, che scoraggi gli artefici di questi orrori dal continuare il loro business. Sarebbe una vittoria della democrazia diretta e della ragione sulla barbarie che le multinazionali ci infliggono con l’appoggio dei nostri governanti compiacenti. E sarebbe, una volta tanto, una vittoria della mano invisibile del mercato buono, quello inusuale dei consumatori consapevoli, sul Washington Consensus. Ma i nostri governanti che ci considerano dei parassiti e degli “inutili mangiatori” come direbbe l’élite globale, e che autorizzano l’avvelenamento dei cibi che finiscono anche sulle loro tavole, di che mai si nutriranno? Di insetti? La domanda sorge spontanea, diceva qualcuno.

CINZIA PALMACCI




L’AGENDA INFERNALE



Forse nell'ultimo ventennio vi sarà capitato di sentire parlare dell'Agenda 21 dell'ONU, o forse no, ma a prescindere dal fatto che conosciate più o meno a fondo l'argomento, l'Agenda 21 ha già iniziato in questi anni ad occuparsi di voi ed intende farlo in maniera se possibile ancora più invasiva nei decenni a venire, senza che nessuno glielo abbia chiesto espressamente. A grandi linee il progetto Agenda 21 è una sorta di "programma di azione" attraverso il quale l'ONU si impegna a ridisegnare radicalmente tanto il rapporto dell'uomo con l'ambiente in cui vive, quanto il rapporto dell'uomo con la sua propria esistenza, attraverso una complessa operazione d'ingegneria sociale ad ampio respiro che trovi la propria realizzazione nel corso del nuovo secolo. Il tutto declinato nel segno dello sviluppo (sostenibile) e della globalizzazione, rivisitata per l'occasione attraverso i contorni di una comunità globale tesa verso l'uguaglianza sociale e la prosperità economica. Si chiama così, perché si riferisce ad un'Agenda per il 21° secolo ma fa pensare ad un sistema planetario di stampo dittatoriale. Il programma Agenda 21 nasce ufficialmente durante la conferenza delle Nazioni Unite su ambiente e sviluppo (UNCED) tenutasi a Rio de Janeiro nel giugno 1992, coagulandosi intorno al dogma dello "sviluppo sostenibile" e facendosi portatore dell'intenzione di coniugare insieme nel ventunesimo secolo le pratiche del modello sviluppista con la necessità di preservare la biosfera dai danni derivanti dall'applicazione del modello stesso. Agenda 21 si manifesta sostanzialmente come un piano d'azione finalizzato alla pianificazione di un "nuovo" modello di sviluppo, necessario per affrontare le emergenze climatiche, ambientali, sociali ed economiche del terzo millennio e pertanto si basa giocoforza sull'assurto che tali emergenze siano reali e si manifestino tali esattamente nei termini in cui il programma le prende in considerazione. Proprio per questa ragione a fare da corollario ad Agenda 21 si pongono tutta una serie di studi, trattati e rapporti, di carattere scientifico, economico e sociologico che costituiscono l'humus necessario per giustificare l'intera operazione. I documenti più importanti (e anche più controversi) sono costituiti dai rapporti dell'Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) all'interno dei quali si preconizza il riscaldamento globale del pianeta (incremento fra 1,4 e 5,8 gradi nel XXI secolo) e se ne attribuiscono le cause all'attività antropica ed in particolar modo alle emissioni di anidride carbonica nell'atmosfera. Tali rapporti hanno posto le basi per la creazione del Protocollo di Kyoto nel 1997, al quale aderirono 180 nazioni, con l'eccezione degli Stati Uniti e del Pacchetto Clima 20-20-20 approvato dal Parlamento Europeo ed entrato in vigore nel 2009. In sinergia con il piano d'azione Agenda 21, durante il vertice di Rio de Janeiro del 1992 venne creata anche la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici che iniziò a riunirsi annualmente a partire dal 1995 a Berlino, nella sessione del 1997 fu la sede in cui venne stipulato il Protocollo di Kyoto, mentre l'ultimo vertice (denominato COP 21) si è tenuto nel 2015 a Parigi. A supervisionare e controllare l'esecuzione del programma Agenda 21 è stata istituita la Commissione ONU per lo sviluppo sostenibile che è composta da 53 stati membri e si riunisce ogni anno a New York con la presenza dei 53 ministri di turno ed i rappresentanti delle ONG accreditate in qualità di osservatori. A sostituirla nel 2012 è stato istituito il Foro Politico di Alto Livello, ma sostanzialmente l'ambizione di Agenda 21 è quella di coniugare la governance  globale con l'azione locale, per mezzo di una contaminazione capillare sul territorio, ottenuta attraverso la cooptazione di tutti quei soggetti che localmente hanno un determinato peso specifico, classificati nell'occasione come "Stakeholders", cioè portatori d'interesse. Si tratta naturalmente degli amministratori locali di ogni livello, ma anche delle onlus ed associazioni che operano in una determinata realtà, del tessuto industriale ed imprenditoriale locale, di tutti coloro che localmente possiedono una qualche autorevolezza. Costoro, a cascata, dovrebbero influenzare ed orientare il pensiero dei cittadini "comuni", coinvolgendoli nella "crociata" per lo sviluppo sostenibile. Per ottenere questo scopo è stato creato il Consiglio internazionale per le iniziative ambientali locali, meglio conosciuto come ICLEI, una sorta di ONG legata a doppio filo all'ONU, il cui compito è quello di portare avanti un'attività di lobby capillare che riesca a cambiare le politiche governative locali concernenti tutti gli aspetti della vita umana. Scorrendo l'elenco degli obiettivi dell'Agenda per lo sviluppo sostenibile dell'Onu si ha apparentemente l'impressione di trovarsi di fronte ad una lista di "buone" intenzioni, dispensata per il nostro "bene" e necessaria per lenire le nostre sofferenze.
1. Porre fine alla povertà in tutte le sue forme.
2. Azzerare la fame, realizzare la sicurezza alimentare, migliorare la nutrizione e promuovere l’agricoltura sostenibile. 
3. Garantire le condizioni di salute e il benessere per tutti a tutte le età.
4. Offrire un’educazione di qualità, inclusiva e paritaria e promuovere le opportunità di apprendimento durante la vita per tutti.
5. Realizzare l’uguaglianza di genere e migliorare le condizioni di vita delle donne.
6. Garantire la disponibilità e la gestione sostenibile di acqua e condizioni igieniche per tutti.
7. Assicurare l’accesso all’energia pulita, a buon mercato e sostenibile per tutti.
8. Promuovere una crescita economica duratura, inclusiva e sostenibile, la piena e produttiva occupazione e un lavoro decoroso per tutti.
9. Costruire infrastrutture resistenti, promuovere l’industrializzazione sostenibile e inclusiva e favorire l’innovazione.
10. Riduzione delle disuguaglianze tra i Paesi
11. Rendere le città e le comunità sicure, inclusive, resistenti e sostenibili.
12. Garantire modelli di consumo e produzione sostenibili.
13. Fare un’azione urgente per combattere il cambiamento climatico e il suo impatto.
14. Salvaguardare gli oceani, i mari e le risorse marine per un loro sviluppo sostenibile.
15. Proteggere, ristabilire e promuovere l’uso sostenibile degli ecosistemi terrestri, la gestione sostenibile delle foreste, combattere la desertificazione, fermare e rovesciare la degradazione del territorio e arrestare la perdita della biodiversità.
16. Promuovere società pacifiche e inclusive per lo sviluppo sostenibile, garantire a tutti l’accesso alla giustizia, realizzare istituzioni effettive, responsabili e inclusive a tutti i livelli.
17. Rinforzare i significati dell’attuazione e rivitalizzare le collaborazioni globali per lo sviluppo sostenibile 
Invece, ecco una sintesi di quello che l’Agenda 21 cerca di imporre segretamente al mondo circa lo Sviluppo Sostenibile e la Biodiversità. Alcuni di questi obiettivi sono stati già ampiamente realizzati:
• La fine della sovranità nazionale (realizzata).
• La pianificazione e la gestione nazionalizzata dei territori comprese tutte le risorse, gli ecosistemi, i deserti, le foreste, le montagne, gli oceani e l'acqua dolce; l'agricoltura; lo sviluppo rurale; le biotecnologie e la garanzia di una «equità» (una schiavitù «giusta»).
• Lo Stato «definisce il ruolo» delle imprese e delle risorse finanziarie.
• Abolizione della proprietà privata (non è «sostenibile»).
• «Ristrutturazione» dell'unità familiare (in fase di completamento).
• Bambini allevati dallo Stato (in fase di completamento).
• Si dirà alle persone quale sarà il loro lavoro.
• Maggiori restrizioni sugli spostamenti.
• Creazione di «zone per l'insediamento umano».
• Ripopolamento di massa perché le genti saranno costrette a lasciare vacanti le terre dove da sempre hanno vissuto (in fase di completamento).
• L'abbrutimento nell'istruzione (realizzata).
• Depopolazione mondiale massiccia (genocidio) in aggiunta agli elementi suddetti (in fase di completamento).
Se consideriamo il fatto che in buona parte d'Europa (Italia e Grecia in primis) l'austerità imposta dalla BCE e dalla UE (parti integranti della governance mondiale) sta progressivamente smantellando l'accesso del cittadino alla sanità pubblica, in antitesi con gli obiettivi proclamati dall'agenda stessa, non è difficile credere all’ennesimo inganno delle masse ordito dall’élite dominante per creare un mondo di schiavi malnutriti, sottopagati, malati e disperati. In una parola, il loro inferno. In tale inferno rischiamo di finire tutti se non avremo un moto di ribellione e di rivalsa contro questa imperante dittatura globale chiamata “Nuovo Ordine Mondiale” che l’Agenda 21 preconizza e agevola.

CINZIA PALMACCI




COMUNISMO E ANTISEMITISMO



Il “Giorno della memoria” fu istituito dall’Assemblea Generale dell’ONU, che nel novembre del 2005 (Risoluzione 60/7), rifiutando qualsiasi negazione dell’Olocausto e condannando senza riserve tutte le manifestazioni (su base etnica o religiosa) di intolleranza, incitamento, molestia o violenza contro persone o comunità, designò il 27 gennaio, anniversario della liberazione del campo di sterminio di Auschwitz, come Giornata internazionale di commemorazione in memoria delle vittime dell’Olocausto. Certamente è una celebrazione che riguarda innanzitutto il popolo ebraico, così tragicamente colpito dalla Shoah, ma proprio per questo suo carattere tocca ogni uomo, cosciente della propria umanità. Il “Giorno della memoria” ha dunque una portata universale. La memoria della Shoah, pur conservando la sua irriducibile singolarità, lo sterminio di un intero popolo, pensato, pianificato, realizzato con un misto di burocratica freddezza e di efferata crudeltà, per sua natura non può che rendere più acutamente attenti nei confronti di ogni sistematica violazione e cancellazione della dignità umana ovunque avvenga. Far memoria della Shoah significa dunque anche lottare per la verità storica circa violenze e genocidi del passato e impegno affinché non si ripetano nel presente. Un presente purtroppo così carico di terribili violenze. L’Olocausto ha certamente una sua unicità. E il dolore e la sofferenza del popolo appartengono alle fibre più intime del popolo ebraico. La “soluzione finale”, maturata come punto d’arrivo della persecuzione nazista, è un disegno di inaudita radicalità, nello scopo e nei metodi utilizzati. I “campi di sterminio”, espressione di questo orribile progetto, sono una tragica peculiarità del nazismo. I nazisti sterminando il popolo ebraico miravano anche a cancellare quell’esperienza della persona umana portatrice di un valore assoluto, persona libera e responsabile, di cui il popolo ebraico era da sempre testimone. Quell’esperienza che aveva generato tutta la tradizione umanistica della civiltà giudeo-cristiana. E per questa ragione, almeno per i nazisti più radicali, lo stesso cristianesimo, proprio per il suo inscindibile legame con l’ebraismo, era destinato all’estinzione (lo scopo che sia i protestanti che i massoni perseguono oggi). Quel che era in gioco era l’idea stessa che ogni uomo ha una coscienza libera, che lo chiama a giudicare ciò che è bene e ciò che è male, giusto e ingiusto e lo chiama alla responsabilità personale. Una coscienza che si interroga sul significato del vivere e dell’agire. Proprio quello che i nazisti non potevano accettare: l’uomo nuovo nazionalsocialista doveva essere liberato dal fardello della coscienza, dal compito di “pensare” nel senso più profondo del termine. Tutta la cultura ebraica, non per nulla definita dai nazisti “dissolutrice”, testimoniava proprio il contrario. Ciò detto, questa “unicità” non va messa in concorrenza rispetto ad altre tragiche forme di violenza di cui è segnata la storia passata e presente. Pensiamo solo ai milioni di vittime del terrore staliniano. Poi non dimentichiamo che ogni vittima ha lo stesso valore. E questa consapevolezza è parte viva dell’ethos ebraico. Terezin, non distante da Praga, era un campo di transito verso i campi di sterminio (circa 140000 ebrei, di cui 15000 bambini, vi vennero deportati, un quarto di essi morì nel campo e 88000 vennero deportati vero i campi di sterminio). Era un campo in cui furono deportati anche molti artisti ed intellettuali.
Stalin, Marx e le persecuzioni “rosse” contro gli Ebrei
Secondo il censimento del 1897, l'ultimo disponibile prima della rivoluzione, gli appartenenti alla religione ebraica che vivevano nell'Impero Russo erano 5.500.000; di questi solo per l'1 % il russo era la propria lingua madre, per il 97 % l'yiddish. Questa popolazione era quasi tutta confinata nella cosiddetta "Zona di Residenza", ai confini occidentali dell'Impero Russo, dove spesso gli ebrei costituivano la maggioranza della popolazione. La maggior parte era impiegata in lavori manuali, soprattutto artigianato e commercio, ed erano anche molto poveri, tanto che in quegli anni ne emigrò all'incirca un milione. Le tendenze politiche più diffuse fra gli ebrei erano il sionismo ed il socialismo. Gli aderenti ai vari movimenti sionisti erano circa 300.000 al momento dello scoppio della rivoluzione (Schechtmann). Vi era anche un partito socialista solamente ebraico: il Bund. All'interno del Partito Social Democratico Russo gli ebrei erano soprattutto fra i menscevichi; tanto che Stalin, parlando del VII Congresso del Partito Social Democratico Russo, disse che i bolscevichi, in quanto gli unici veri russi, avrebbero potuto fare un pogrom. Infatti, durante la Prima Guerra Mondiale gli ebrei vennero visti dal governo come dei nemici interni e subirono dure persecuzioni. In questa situazione la rivoluzione di Febbraio e la fine dello zarismo furono accolti con sollievo immenso. Il Governo Provvisorio abolì subito ogni forma di restrizione per gli ebrei (20 Marzo 1917). Cominciò così un periodo di circa due anni di rinascita culturale per gli ebrei in cui sembrò che nel nuovo stato vi sarebbe stata l'uguaglianza e l'autonomia di tutte le nazionalità. L'unico trattato specifico prerivoluzionario è dello stesso Marx. É un trattato del 1943, premarxista, e antisemita. Marx identifica l'ebraismo con il potere del denaro, per questo lo ritiene una forma di alienazione, così come l'antisemitismo. Marx comunque tratta l'argomento come il problema di una minoranza religiosa risolvibile con l'assimilazione, i bolscevichi invece lo avvertiranno come un problema etnico. Infatti l'unico altro saggio prerivoluzionario che parli in qualche modo dell'argomento è quello di Stalin del 1913: "Il marxismo e la questione nazionale". Fu scritto sotto la guida di Lenin. La definizione di nazione è la seguente: "Una nazione è una comunità storicamente evoluta e stabile, con un linguaggio, territorio, vita economica e formazione comuni, che si esprime in una comunanza di cultura". Data questa definizione, gli ebrei ne vengono esclusi in quanto privi di territorio. Stalin inoltre dice chiaramente che gli ebrei non possono essere una nazione in quanto non hanno una classe contadina, che la tendenza per loro è verso l'assimilazione e che l'abolizione della Zona di Residenza accellererà le cose. Sembra quindi che la posizione dei bolscevichi nei confronti degli ebrei fosse quella di negare che essi fossero una nazionalità, eppure dissero che avevano un "carattere nazionale" (Lenin). Nel 1914 Lenin presentò alla Duma una carta per l'uguaglianza delle nazionalità, e tra esse menzionava gli ebrei. Il fatto è che i bolscevichi non riconosco valore al concetto di nazione, ma solo a quello di classe. Per loro l'argomento è sempre secondario. Quindi, una volta tolte le leggi discriminatorie, non avevano un interesse particolare nelle questioni inerenti le minoranze etniche, linguistiche etc… né a definirle perfettamente. Tutto questo almeno fino a prima della rivoluzione. Sono convinti che il socialismo avrebbe risolto tutti questi mali. Anche la rivoluzione di Ottobre fu bene accolta e molti ebrei si unirono solo allora ai bolscevichi. Infatti fino ad allora il partito bolscevico era stato probabilmente il partito socialista con il minor numero di ebrei, quelli che c'erano erano però in posti di comando. Ciò incrementò l'antisemitismo dei Bianchi che si dettero a pogrom nelle zone da loro occupate, pogrom che causarono la morte di un numero di persone fra le 180.000 e le 200.000 secondo stime ufficiali sovietiche. Quando andarono al potere i bolscevichi, nonostante le loro teorie che negavano il carattere nazionale degli ebrei, si trovarono di fronte ad un vero e proprio popolo, con una propria lingua, cultura etc… Scegliendo come categoria quella etnica, invece che quella religiosa, il problema rientrava in schemi più comprensibili e razionali. Un riconoscimento politico del carattere nazionale degli ebrei era già avvenuto nel Gennaio del 1918 con la creazione di un Commissariato per gli Affari Nazionali Ebraici, sezione speciale del Commissariato delle Nazionalità, sotto la guida di Stalin. Il compito del Commissariato ebraico (YevCom), oltre alla diffusione delle idee bolsceviche tra gli ebrei, era quello di abolire tutte le istituzioni comunitarie ed autonome ebraiche e di trasferire i loro fondi e proprietà al Commissariato stesso. Lo scioglimento delle organizzazioni autonome ebraiche fu formalizzato con un decreto il 5 Agosto del 1919. Sempre nel 1918 il Partito Comunista creò delle Sezioni Ebraiche (Yevsktsii) all'interno della sua struttura. Il loro compito era quello di fare propaganda fra i lavoratori ebrei in yiddish. Queste furono assai più importanti del Commissariato e presto ne assunsero le funzioni. In esse confluirono molti ex-bundisti. Infatti la soluzione etnica si avvicinava molto a quella proposta dal Bund di autogoverno. In genere fu dato uno spazio molto ampio a tutta la parte della cultura ebraica che era laica ed in yiddish, proprio per trasformare completamente gli ebrei da religione a gruppo etnico. Ad esempio vennero create scuole in yiddish o venne dato impulso a quelle già esistenti. La parte religiosa e sionista della cultura ebraica, che si esprimevano in lingua ebraica vennero invece perseguitate. L'ebraico, unica fra le lingue, venne dichiarato "linguaggio reazionario" e di fatto vietato. La prima a farsi sentire fu la persecuzione contro la religione, ebraica e non. Il 23 Gennaio 1918 il Consiglio dei Commissari del Popolo emanò un decreto, intitolato "sulla separazione della chiesa dallo stato e della chiesa dalla scuola". Ciò che colpiva di più la comunità ebraica era il divieto di insegnamento religioso. Le Comunità ebraiche furono sciolte (Ottobre 1918) con l'aiuto della Yevsektsja. Ciò creò problemi per la sostituzione della loro attività variegata, soprattutto nel campo dell'educazione. Contro tutti i membri del clero furono prese misure quali privazione dei diritti civili, discriminazione verso l'intera famiglia nella concessione di tessere annonarie, discriminazione nell'assistenza medica etc… diffamazione pubblica e, come ultima ratio, accusa di attività controrivoluzionaria. Tutta la persecuzione avvenne nel segno dell'uguaglianza: uguaglianza di persecuzione per tutte le religioni. La misura era uno per uno: per ogni prete deportato un rabbino, per ogni chiesa chiusa una sinagoga. Poiché il numero di preti e di chiese era enormemente superiore, la religione ebraica finì con l'essere la maggiormente perseguitata. La persecuzione contro il sionismo avvenne più lentamente. Le autorità non avversavano in modo particolare il sionismo, lo avvertivano come un movimento esotico che non dava noia a nessuno; gli unici a cui dava noia erano quelli dell'Yevsekstja che dovevano subirne la concorrenza fra le masse ebraiche. In realtà il sionismo durò più a lungo del suo maggiore nemico: la Yevsektsja. Questa infatti fu sciolta nel 1930, dopo essere già stata ridotta. Essa aveva esaurito il suo compito demolitore delle istituzioni ebraiche, l'unico compito che le era stato assegnato, e quindi non era più necessario tenerla in vita. Un altro colpo che il regime inferse agli ebrei fu dal punto di vista economico. Come abbiamo visto gli ebrei erano soprattutto artigiani e commercianti, quindi piccolo borghesi. Durante la NEP essi ripresero queste loro attività, quando essa finì circa 1.120.000 ebrei dovettero chiudere le loro piccole attività. Molti di questi nuovi disoccupati si riversarono nelle città, e particolarmente nei centri industriali. Per coloro che rimasero nella Zona di Residenza la situazione era disastrosa, l'unico lavoro ancora disponibile era quello agricolo. Nel 1925 vien fondata la "Società per l'insediamento sulla terra di lavoratori ebrei", conosciuta come Geserd, suo fautore fu Kalinin, molto interessato alla causa degli ebrei. Poiché in Ucraina non c'era abbastanza terra per assorbire tutti gli ebrei russi come contadini, e quei pochi che vi furono insediati provocarono le reazioni antisemite delle popolazioni locali, fu deciso di trasferire la zona di insediamento in una zona dell'URSS meno abitata. Fu scelto il Biro-Bidzan, al confine con la Cina, perché era strategicamente importante che fosse popolato. L'obbiettivo delle autorità sovietiche nel creare uno stato ebraico era quello di ottenere il sostegno finanziario, degli ebrei americani, e di risolvere il problema degli ebrei sovietici, cercando di allontanarli così dal sionismo. Dal 1928 cominciò la propaganda a favore dell'insediamento in Biro-Bidzan, diretta anche agli ebrei stranieri: pochissimi ebrei sovietici e nessun ebreo straniero risposero all'appello. Il numero degli arrivati era di poche centinaia l'anno. Ben presto divenne maggiore il numero di coloro che se ne andavano rispetto a quelli che arrivavano. Le condizioni di vita erano pessime, ed anche la tanto propagandata libertà culturale era irrisoria. Nel 1934 la zona fu proclamata Regione Autonoma, anche per renderla più attraente agli ebrei. Kalinin disse che in quel modo gli ebrei, unica fra tutte le nazionalità a non avere uno stato proprio, avrebbero avuto uno stato che ne avrebbe salvaguardato la cultura nazionale; coloro che non volevano andarci si sarebbero dovuti assimilare. Seguendo questo criterio fin da quegli anni la cultura ebraica al di fuori del Biro-Bidzan fu ostacolata. La scelta era fra il Biro-Bidzan e l'assimilazione. Da allora il Biro-Bidzan servì più che altro a scopo intimidatorio: di tanto in tanto, fino a periodi recenti, veniva detto che gli ebrei sarebbero stati tutti deportati in Biro-Bidzan. Finora abbiamo analizzato l'atteggiamento della autorità, vediamo adesso quello della popolazione sovietica nei confronti degli ebrei. La Russia ha una lunga tradizione di antisemitismo popolare, ricordiamo per inciso i pogrom che fino a pochi anni prima erano comuni ed i pogrom commessi dai Bianchi. L'avvento del comunismo fui sentito, soprattutto dai contadini impregnati della propaganda antisemita religiosa, come la vittoria degli ebrei. Ad esempio gli archivi del partito comunista relativi a Smolensk (gli unici consultabili), parlano di contadini che fanno un pogrom e minacciano di uccidere per rappresaglia tutti gli ebrei della città se gli ori della chiesa fossero stati presi dalla autorità. L'antisemitismo crebbe in maniera preoccupante durante la NEP, in quanto gli ebrei ne erano i principali beneficiari e venivano visti da molti, fra cui anche membri del partito, come degli speculatori. Infatti neanche l'apparato sovietico era esente da antisemitismo. Per molti di loro l'antisemitismo era una variante del sentimento contro la borghesia e lo ritenevano conforme al comunismo (come d'altronde avevano fatto molti populisti nel secolo precedente). Non erano però solo gli elementi meno istruiti del partito ad essera antisemiti; Kalinin nel 1926 affermò che "l'intellighenzia russa è forse più antisemita oggi che sotto lo Zar". Fu infatti proprio da quell'anno che cominciò lo sforzo fatto dal partito contro l'antisemitismo (1926-30). Il fenomeno era infatti divenuto allarmante; si ha notizia soprattutto di violenza commesse da studenti che chiedevano l'introduzione del numerus clausus. Dal momento che gli ebrei vennero riconosciuti come "nazionalità" e non più come religione, anche i loro figli erano compresi. Così in Urss essere ebrei non era una scelta privata, ma una faccenda legale. Questo provvedimento non aveva un carattere antisemita, né razzista in genere. Inevitabilmente lo assunse con il tempo. Infatti nonostante le varie promesse la menzione della nazionalità è rimasta obbligatoria fino a tempi recentissimi (crollo del comunismo?). A metà degli anni '30 il patriottismo sovietico dei tempi dell'industrializzazione cominciò a trasformarsi in nazionalismo russo. Se fino ad allora tutte le minoranze avevano avuto la libertà più ampia, adesso si comincia dire che le nazionalità più piccole devono assimilarsi. Dal 1937 un motivo valido per essere deportati poteva essere anche solo la nazionalità. Nel 1937 infatti avviene la prima deportazione di una nazionalità intera: la minoranza coreana in Urss (che venne deportata dall'Estremo Oriente al Kazhakistan). Nel 1940 furono deportati gli estoni ed i finlandesi da Leningrado sulla base del cognome. Nel 1941 tocco ai tedeschi del Volga, anche qui sulla base del cognome (Ginzburg!). Subito dopo la guerra toccò ai ceceni, ai tatari ed a varie altre etnie caucasiche. In queste deportazioni furono spostate centinaia di migliaia di persone, di tutte le età nel giro di pochi giorni. La definizione tecnica fu "confinati speciali". Le uniche eccezioni furono i coniugi sposati con un membro di un'altra etnia. L'arma dell'antisemitismo viene usata per la prima volta dalla propaganda nel conflitto fra Stalin e Trocki. Trocki stesso denunciò la cosa chiedendo in una lettera a Bucharin se fosse possibile che nelle cellule operaie a Mosca si facesse agitazione antisemita (Deutsher, "Il profeta disarmato"). In Urss divenne opinione comune ritenere che le principali vittime delle purghe degli anni '30 fossero gli ebrei. La diffusione del nazionalismo colpì anche la cultura ebraica. Furono chiuse scuole e centri culturali ebraici. Il patto Ribbentrop-Molotov accellerò le cose. Infatti l'antisemitismo durante il patto Ribbentrop-Molotov fu una sorta di omaggio ai nuovi alleati; ad esempio sui giornali si scriveva che l'antisemitismo nazista era principalmente diretto contro la religione ebraica e che era dovere degli atei marxisti aiutare i nazisti in questa campagna. Nel 1942 fu fondato il Comitato Antifascista Ebraico, ufficialmente il 6 Aprile del 1942. Salomon Mikhoels, un noto attore, ne fu il presidente, Aynikayt il suo organo. I compiti del Comitato dapprima furono quelli di fare propaganda tra gli ebrei sovietici, e di usare gli esempi di eroismo degli ebrei sovietici all'estero per muovere gli ebrei dei paesi stranieri verso la guerra contro Hitler. Subito dopo la creazione del Comitato Mikhoels e Feffer vennero mandati in Gran Bretagna ed in Usa per raccogliere denaro per l'Armata Rossa ed i civili sovietici. Nel frattempo la diplomazia sovietica prese contatti con esponenti sionisti in Palestina, valutando la possibilità di un sostegno sovietico alla creazione dello stato di Israele, in cambio del sostegno del movimento sionista (questo mentre i sionisti in Urss continuavano ad essere perseguitati).
La situazione antisemita dopo la guerra
L'odio antisemita accumulato durante la guerra non sparì d'un colpo, anzi. Soprattutto nelle regioni che erano state occupate il ritorno dei sopravvissuti fu molto malvisto. Molti che avevano collaborato temevano di essere riconosciuti, molti che avevano approfittato della scomparsa degli ebrei per appropriarsi delle loro case, dei loro posti di lavoro vedevano altrettanto male il loro ritorno. Ciò significò che gli ebrei non dovevano più avere cariche importanti in nessun ambito e che le istituzione ebraiche, scuole in yiddish, teatri etc… non sarebbero state più tollerate. Vediamo adesso le perdite subite dagli ebrei russi durante la guerra. Gli ebrei sterminati dai nazisti ammontano circa a 700.000 persone (Reitlinger). In realtà secondo il dato di crescita demografica, gli ebrei nel 1959 avrebbero dovuto esser 4.000.000, quindi negli anni dal 1939 al 1959 il loro tasso di decrescita è stato di 1.700.000 persone; oltre allo sterminio nazista bisogna infatti aggiungere i morti dovuti più propriamente alla guerra, quelli dovuti alle purghe degli anni neri etc. Le annessioni di territori quali le repubbliche baltiche etc… hanno però fatto rimanere il numero degli ebrei quasi invariato. Infatti nel censimento del 1959 gli ebrei in Urss erano 2.500.000 circa. Diffusi soprattutto in Russia, Ucraina, Moldavia, repubbliche baltiche etc. Poiché la popolazione ebraica è prevalentemente urbana si stima che a Mosca l'11% della popolazione sia composto da ebrei, il 9,8% a Leningrado, il 13,8% a Kiev fino ad un massimo di 19,8% di ebrei a Kishinev (Levenberg). Salomon Mikhoels, presidente del Comitato Antifascista Ebraico e noto attore del teatro yiddish, è la prima vittima della campagna contro il "nazionalismo ebraico"; venne assassinato nel Gennaio del 1948 e il Comitato sciolto (Novembre). In quello stesso anno vennero arrestati tutti i più importanti rappresentanti della cultura yiddish sovietici. Gli arresti continuarono fino al 1953. Secondo la lista fatta a New York dopo il 1956 dal Congresso per la Cultura ebraica fra deportati e fucilati gli artisti yiddish, o comunque ebrei, coinvolti erano qualche centinaio. La maggior parte fu subito deportata in Siberia, i più importanti venero sottoposti ad interrogatori lunghissimi (e durante i quali molti morirono). Lo scopo era di farli confessare di star preparando una rivolta armata per la secessione delle Crimea, dove doveva essere fondato uno stato sionista, satellite degli USA. Gli interrogatori dovevano probabilmente (Pinkus) concludersi con un grande processo pubblico. Il primo processo pubblico contro gli ebrei avvenne fuori dall'URSS: il processo Slanski, in Cecoslovacchia, quando i più importanti dirigenti, di origine ebraica, del partito comunista ceco, furono accusati di essere spie sioniste (27 Novembre 1952). Infatti nel frattempo i rapporti con Israele si erano deteriorati e la definizione del sionismo come movimento reazionario venne ritirata fuori e si cominciò a costruire una base teorica per opporsi allo stato di Israele (comunque già nel processo contro Rayk nel 1949 il sionismo era stata una delle accuse); la scusa formale era il dire che ci si aspettava che Israele diventasse un paese socialista. Il processo Slanski servì per vedere che effetto avrebbe fatto ad Ovest un attacco del genere. Si ricordi che anche nel processo Slanski si parlò di "medici avvelenatori". Cerchiamo di capire quali possono essere stati i motivi per lanciare una tale campagna, che avrebbe dovuto concludersi con un processo pubblico. Al XIX Congresso del Partito nell'Ottobre del 1952 il Politburo era stato ristrutturato. Probabilmente Stalin voleva cominciare un'enorme purga per eliminare i vecchi leader dell'apparato, quali Berja, Molotov etc. Per condurre questa purga non fu scelta la via segreta, per altro possibile, perché Stalin voleva creare un clima di tensione in vista di una nuova guerra, che egli riteneva imminente (così come era avvenuto negli anni '30). Il pretesto furono gli ebrei probabilmente a causa dell'antisemitismo di Stalin, che negli ultimi anni era aumentato fino a raggiungere un livello di paranoia (come Hitler?). Ad esempio se dei medici erano potuti arrivare a tanto, ciò significava che gli organi di sicurezza, e cioè Berja, erano complici, etc…I successori di Stalin si trovarono d'accordo almeno nel rinunciare agli aspetti demenziali della sua politica, tra cui l'antisemitismo. Radio Mosca annunciò che le accuse contro i medici erano state costruite e che essi erano innocenti. Vennero fatti dei passi per liberare i prigionieri superstiti dai campi di concentramento e molti ebrei riottennero i posti che avevano perso con la campagna anti-cosmopolita. Comunque le campagne antisemite in Cecoslovacchia ed in Romania cominciarono proprio allora, e non sembrarono risentire di questi cambiamenti, che in ogni caso riguardavano soltanto gli aspetti estremi. Per capire quanto furono limitati questi cambiamenti e quanto in realtà la politica generale nei confronti degli ebrei rimase immutata vediamo l'atteggiamento verso gli ebrei dei successori di Stalin. La maggior parte delle dichiarazioni sugli ebrei o sull'antisemitismo fatte da Kruscëv o da altri leader dell'epoca era rivolta all'occidente e non fu neanche pubblicata in Urss. Infatti l'occidente, ed in particolare i partiti comunisti occidentali, si erano mobilitati contro le dimostrazioni di antisemitismo che avvenivano in Urss, per questo cercavano di negare. Fu un tentativo inutile perché in realtà la pratica dell'antisemitismo era assai più evidente allora che negli anni di segretezza dello stalinismo. Il numero di ebrei fra gli iscritti al partito è diminuito costantemente, non solo per un decremento delle richieste, ma per una precisa politica del partito stesso (Pinkus). Lo si vede dal fatto che il decremento più forte è stato fra i membri del partito con cariche importanti. Tra i membri del Comitato Centrale e del Soviet Supremo addirittura gli ebrei sono la nazionalità meno rappresentata, nonostante gli ebrei siano, come numero, la settima nazionalità dell'Unione. La discriminazione è agevolata dal fatto che fino a pochissimo tempo fa tutti gli ebrei portavano scritto sui propri documenti la parola "ebreo". É facile capire come questa norma possa essere discriminatoria. Già sotto Stalin, e prima ancora ai tempi della NEP, i processi per "crimini economici" (termine che designa una serie di reati che variano dalla speculazione alla corruzione) avevano sempre avuto un carattere antisemita. La punta massima raggiunta è stata negli anni '60. Si calcola che il 78 % dei coinvolti siano stati ebrei, molti dei quali condannati a morte per questo. A processi in cui gli accusati erano ebrei venne dato molto risalto, nel tono che vi potete immaginare. Dopo che Bertrand Russel scrisse una lettera per protestare contro questo atteggiamento e contro l'imposizione della pena di morte, i processi economici diminuirono. Gli atti di antisemitismo, sinagoghe incendiate, cimiteri profanati, ebrei picchiati etc… vennero passati sotto silenzio dai mass-media, o appena se ne accennò. Fin dal 1956 cominciarono ad essere tenuti vari processi contro sionisti o i rappresentanti del mondo religioso ebraico, ma la stampa non dette molto risalto a questi processi che erano semplice routine. Una routine che era continuata ininterrottamente dagli anni '20 e che da tempo aveva annientato il movimento sionista e che aveva ridotto le sinagoghe da molte migliaia ad un sessantina, di cui la stragrande maggioranza fra le comunità sefardita degli ebrei georgiani a caucasici. Fu dopo la Guerra dei Sei Giorni che simili processi cominciarono ad avere un chiaro intento politico. Infatti da allora la campagna antisionista divenne chiaramente, e senza vie di scampo, antisemita. Ad esempio ritornò alla carica Kichko, che nel 1968 pubblicò "Giudaismo e sionismo", definito dalla Pravda "il primo e fondamentale trattato scientifico sovietico sull'argomento" (6 Febbraio del 1969). In questo libro Kichko spiega che la religione ebraica insegna l'odio per gli altri popoli e per le altre religioni e perfino insegna che esse devono essere distrutte; e che il sionismo è un'ideologia nazista, un'idra tentacolare collegata a tutte le forze reazionarie occidentali. Con la scusa degli attacchi al sionismo in realtà vengono attaccati gli ebrei tout court. Il risultato fu proprio quello di diffondere sempre più il sionismo fra gli ebrei. Infatti molti ebrei, soprattutto i giovani, avevano perso la fiducia nel comunismo come elemento di emancipazione. Per questo tra i dissidenti troviamo tanti ebrei. Si crea così un circolo vizioso: gli ebrei vengono spinti, tramite persecuzioni, all'assimilazione, poi gli viene negata anche questa e quindi gli ebrei tornano indietro, verso l'ebraismo, il sionismo etc… ciò fa aumentare di nuovo le persecuzioni in un crescendo continuo. Fino a prima della guerra le persecuzioni avevano coinvolto gli ebrei come le altre etnie: di queste campagne raramente si può affermare il carattere specificatamente antisemita. Nel dopoguerra invece il carattere antisemita è evidente. Chiariamo la cosa: negli anni '20 si era privato il popolo ebraico di tutta la parte della sua cultura che aveva a che fare con la religione e con gli altri ebrei della Diaspora (risulta chiara l'interdizione dell'ebraico); si era invece promossa la cultura laica, yiddish, ma anche assai più ristretta, che poco aveva a che fare con la cultura internazionalista degli ebrei e che invece esaltava i valori locali degli ebrei ashkenaziti. Come per le altre etnie minoritarie negli anni '30 fu scelta l'assimilazione e quindi anche la cultura yiddish cominciò ad essere ostacolata. Nel dopoguerra il processo iniziato negli anni '30 arriva alla resa dei conti. Tutte le minoranze devono scegliere l'assimilazione completa. In quest'ottica rientra la persecuzione al "nazionalismo". Il fatto che, per motivi di utilità, l'URSS abbia appoggiato la creazione dello stato di Israele non cambiò sostanzialmente le cose, anzi, le peggiorò perché illuse gli ebrei sovietici il cui sentimento nazionale fu risvegliato, facendoli incorrere ancor di più nell'ira del regime. Specificatamente antisemita è invece la campagna contro il cosmopolitismo. Essa infatti colpisce proprio gli ebrei assimilati, che quindi avevano fatto quello che il regime voleva. In modo più esteso, è vero, essa colpisce i rapporti con la cultura occidentale. Ma di fatto si risolse in una campagna antisemita, perché gli ebrei non potevano né scegliere la propria cultura ("nazionalismo"), né adattarsi alla cultura del paese, riservata ai "veri russi". Quindi, negli anni '20 e '30 gli ebrei non soffrirono più delle altre minoranze: dovettero scegliere fra la cultura yiddish, e solo quella, e l'assimilazione. Nel dopoguerra entrambe queste scelte portavano ai GUlag. I successori di Stalin eliminarono il terrore indiscriminato, ma non la persecuzione, la cui forza è testimoniata dall'emigrazione di massa degli ebrei sovietici non appena se ne è presentata l'occasione, e cioè con la glasnost. Quindi le sinistre che oggi si mostrano benevoli e accoglienti verso altre minoranze etniche e verso altri popoli, in realtà stanno mentendo spudoratamente per perseguire un fine preciso: il caos mediante il meticciato e l’estinzione del Cristianesimo e degli europei cristiani, unico argine al piano diabolico di un Governo Mondiale.      
Nessun giorno della memoria per le foibe
Con la Seconda Guerra Mondiale e in particolare nell’aprile del 1941, la Germania, per soccorrere l’Italia (che si era illusa di spezzare le reni alla Grecia) e intanto consolidare il fronte meridionale del Reich, sferrò un poderoso attacco contro la Jugoslavia, a cui parteciparono anche i nostri soldati: concluse le operazioni, ottenemmo una zona di occupazione che dalla Slovenia andava sino alle Bocche di Cattaro. Si iniziò anche in questi nuovi territori, con la parziale eccezione della Slovenia, un processo di italianizzazione forzata con forme anche brutali di oppressione che sfociarono in veri e propri crimini di guerra. Singolare quanto avvenne nel campo di concentramento di Arbe, allestito dagli Italiani nell’omonima isola sul Quarnaro, dove, mentre i prigionieri slavi vennero trattati durissimamente, diverse migliaia di Ebrei furono internati a scopo protettivo, in condizioni e ambienti molto migliori, per scamparli dalla deportazione nei campi di sterminio nazisti. Infatti ricordiamo  che, prima dell’ascesa di Hitler, con Mussolini già saldamente al potere in Italia, gli Ebrei vivevano tranquilli e in perfetta integrazione con gli Italiani. Questo perché Mussolini non ebbe mai nulla contro gli Ebrei, ma fu Hitler a trascinarlo in un’avventura senza ritorno dagli esiti che tutti conosciamo. Hitler poteva essere molto pericoloso per l’Italia, e questo Mussolini lo aveva capito. Del resto, Giorgio Perlasca, l’eroe italiano che salvò migliaia di Ebrei, era fascista convinto. Stranamente, durante lo strazio delle foibe, il regime non si dimostrò affatto giudeofobo (nonostante le orrende leggi razziali del 1938), ma slavofobo. Poi, con l’armistizio dell’8 settembre 1943, la situazione si aggravava ulteriormente. I partigiani di Tito occuparono gran parte delle zone in precedenza assegnate all’Italia dando il via a una sorta di terrore rosso, con diffusi episodi di giustizia sommaria di cui fecero le spese fascisti, ma anche oppositori politici democratici e cittadini che, per il loro prestigio sociale o culturale, rappresentavano una minaccia di italianità rispetto al nuovo verbo slavo e comunista. È proprio per eliminare i cadaveri di tutti costoro che nel settembre del 1943 cominciarono a essere impiegate le foibe, cavità carsiche dove capitava che venissero gettate anche persone vive, legate a una grossa pietra che le trascinasse verso il fondo. Si salvarono in pochi. Ci chiediamo come mai non sia stato mai indetto un “Giorno della memoria” anche per le foibe. Oppure esiste un negazionismo “di convenienza” per un fatto increscioso che coinvolse una sinistra storicamente avvezza a purghe e gulag? Il nemico antisemita degli Ebrei non è fascista, non lo è mai stato.

CINZIA PALMACCI