venerdì 14 febbraio 2020

STORIA DELLE GUERRE BATTERIOLOGICHE: DALLA SECONDA GUERRA MONDIALE AL CORONAVIRUS IV Parte


Il Giuramento d’Ippocrate

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”Giuro di esercitare la medicina in libertà e indipendenza di giudizio e di comportamento; di perseguire come scopi esclusivi la difesa della vita, la tutela della salute fisica e psichica dell’uomo e il sollievo della sofferenza, cui ispirerò con responsabilità e costante impegno scientifico, culturale e sociale, ogni mio atto professionale; di non compiere mai atti idonei a provocare deliberatamente la morte di un paziente; di attenermi nella mia attività ai principi etici della solidarietà umana, contro i quali, nel rispetto della vita e della persona non utilizzerò mai le mie conoscenze; […] ”.
Giuramento d’Ippocrate

Fin dall’antichità, il Giuramento di Ippocrate pone le basi del comportamento professionale del medico, non solo nei confronti del paziente e della scienza, ma soprattutto nei confronti di un’etica morale superiore ad ogni fine e proposito. Scienza, progresso tecnologico, scienza medica hanno lo scopo di difendere, garantire e migliorare l’esistenza dell’uomo, pur sempre nel rispetto del diritto più importante dell’essere umano, il diritto inalienabile alla vita. Niente di più lontano da ciò che si verificò nelle varie Unità di Ishii Shiro e colleghi dal 1932 al 1945. La più totale negazione di ogni morale umana e scientifica venne portata avanti da molte delle menti più brillanti del Giappone in nome di un progresso tecnologico offensivo senza freno. I medici giapponesi operarono nella più assoluta noncuranza del bene e del male. A spregio della sofferenza altrui, utilizzarono le loro conoscenze per mettere a punto armi biologiche e batteriologiche di distruzione di massa. L’agonia di centinaia di migliaia di essere umani venne deliberatamente provocata per fini inumani e come mezzo per creare ulteriori e atroci sofferenze.
A distanza di oltre sessanta anni, la coltre di nebbia che offusca la verità sui fatti concernenti la guerra biologica giapponese non è stata ancora del tutto assottigliata e, cosa ben più grave, nessuno ha mai pagato per i crimini commessi. All’imperatore Hirohito fu garantita l’immunità da qualsiasi processo per crimini di guerra e morì di cancro il 7 gennaio 1989, dopo sessantasette anni di regno. Durante il decorso della sua malattia un quotidiano inglese, il Daily Star, scrisse un articolo intitolato “Let the bastard rot in hell” [che il bastardo marcisca all’inferno], accusando l’imperatore di essere personalmente responsabile della morte di migliaia di persone in esperimenti con microrganismi letali1. Sebbene le decisioni in materia di politica interna ed estera fossero demandate al gabinetto governativo, comunque Hirohito poteva svolgere un ruolo di contenimento nelle questioni di stato. Come egli intervenne il 15 agosto 1945 per costringere il gabinetto a firmare la resa incondizionata agli Alleati, allo stesso modo sarebbe potuto intervenire contro l’inumanità degli esperimenti di guerra biologica. Hirohito conobbe personalmente Ishii Shiro e lo insignì delle più alte decorazioni governative per le azioni di guerra biologica compiute presso il fiume Nomonhan contro l’esercito sovietico e mongolo. Gli ingenti fondi annui (dai 15 ai 20 milioni di yen) diretti alle varie Unità biologiche giapponesi in Cina non potevano certo sfuggire all’attenzione dell’imperatore, continuamente aggiornato su tutto ciò che concerneva l’andamento della guerra e le questioni ad essa connesse. Sebbene non ci siano documenti che attestino il fatto che Hirohito fosse a conoscenza degli esperimenti sugli esseri umani, sicuramente gli erano note le ricerca sulle armi biologiche. Anche alcuni membri della famiglia reale parteciparono al programma di guerra biologica. Un cugino dell’imperatore e fido consigliere lavorò a Pingfan sotto falso nome; due fratelli di Hirohito, appassionati di biologia, conoscevano personalmente Ishii e alcuni importanti esperti delle armi biologiche; il più giovane dei fratelli dell’imperatore, principe Mikasa, visitò l’Unità 731 e molte altre installazioni, come è dimostrato da alcune foto scattate dagli ufficiali dell’Unità Ishii. Nel 1983, il principe Takeda Tsuneyoshi, cugino di Hirohito, in un’intervista riguardo alle attività di guerra biologica giapponesi si giustificò dicendo che era “necessario studiare qualsiasi mezzo per muovere guerra2”.
I membri del gabinetto politico e gli alti vertici militari non furono mai giudicati per i crimini di guerra biologica, anche se alcuni furono condannati a morte o a pene detentive per altri crimini di guerra. Il Comando Supremo era continuamente informato sulle attività di Ishii, Kitano e Wakamatsu fin dal 1932. I Comandanti in Capo dell’Armata del Kwantung, generale Umezu Yoshijiro e il suo successore Yamada Otozoo (giudicato a Khabarovsk) erano a conoscenza dei vari esperimenti ed azioni biologiche, come tutti gli alti gradi dei corpi veterinari e medici dell’Armata.
Il generale di divisione Ishii Shiro, i suoi colleghi e i vari sottoposti non furono mai portati davanti ad una corte giudiziaria, bensì cominciarono una nuova vita da civili, liberi e apparentemente innocenti. I tecnici dell’Unità 731 e 1644 giudicati ad Khabarovsk, ancora detenuti in Unione Sovietica, tornarono nelle loro case in Giappone nel 1956, anche loro liberi e non più penalmente perseguibili. Uno dei dodici, Karasawa Tomio, si suicidò poco dopo essere stato liberato.
Gli Stati Uniti, l’URSS, le dinamiche politiche e geopolitiche della guerra fredda avevano trasformato dei feroci criminali in uomini assolti, senza mai essere stati giudicati. La corsa agli armamenti più efficaci in vista di un’eventuale conflitto tra Est ed Ovest, la volontà di dominio e di potenza avevano sepolto la necessità di rendere giustizia a chi era stato sacrificato e utilizzato dalla crudeltà dei medici del Sol Levante. Questi ultimi, non solo evitarono il giudizio dell’umanità intera, ma, grazie alla collaborazione con le forze d’occupazione statunitensi, ricoprirono incarichi di prestigio all’interno del gabinetto governativo, nelle strutture pubbliche, nelle università e nelle istituzioni o industrie private, come case farmaceutiche e laboratori scientifici.

Ishii Shiro si ritirò nel 1945 nella sua casa nella prefettura di Chiba, nelle vicinanze di Tokyo. Dopo aver ottenuto la più completa immunità da parte degli Stati Uniti d’America in cambio delle sue sterminate conoscenze, condusse una vita tranquilla insieme alla sua famiglia. L’esercito gli garantì un’ingente pensione da generale di divisione e amici ed ex colleghi dell’Unità 731 continuarono per anni a fargli visita, anche se non gli fu mai concesso un lavoro come esperto né in istituzioni private né pubbliche. Il fatto che egli fosse un criminale era risaputo e non poteva, per questo, esporsi in pubblico. E’ possibile che fosse anche controllato dai sovietici e dal Partito Comunista Giapponese. Morì da libero cittadino, all’età di sessantasette anni, di cancro alla gola. Murray Sanders disse nel 1985 di aver sentito che Ishii, negli anni Cinquanta, aveva segretamente tenuto delle conferenze a Camp Detrick sul miglior modo di utilizzare le armi biologiche. Nel 1951, l’agenzia di stampa Reuters, in un dispaccio, asseriva che Ishii, Kitano, Wakamatsu ed altri veterani dell’Unità 731 sarebbero stati mandati in Corea del Sud dagli alti vertici militari degli Stati Uniti, per preziose consulenze sull’uso delle armi biologiche durante la Guerra di Corea3. La figlia di Ishii smentì queste voci che, comunque, non possono essere verificate in alcun documento o testimonianza attendibile.
Il dottor Ishikawa Tachiomaru, ex patologo dell’Unità 731, negli anni Settanta divenne preside dell’Istituto di medicina dell’Università Kanazawa, una delle più illustri istituzioni giapponesi. Ogawa Toru, ex addetto alla selezione dei ceppi più virulenti di tifo e paratifo presso l’Unità 1644 di Nanjing, divenne professore alla Facoltà di medicina di Nagoya. Tabei Kazu, responsabile di molti esperimenti sul tifo a Pingfan, divenne docente di batteriologia a Kyoto. Yoshimura Hisato, esperto degli esperimenti sul congelamento presso l’Unità 731, divenne, nel 1973, presidente della Società di Meteorologia e guidò numerose spedizioni in Antartide per studiare, questa volta su dei volontari, gli effetti del freddo estremo sulla fisiologia umana. Più tardi fu persino consulente per una ditta di pesce surgelato, nonché docente all’Università di Kyoto. Wakamatsu Yujiro, ex capo dell’Unità 100 a Changchun, fu membro scientifico dell’Istituto Nazionale della Salute e lavorò per vari istituti sanitari nella ricerca pediatrica sulle infezioni da streptococco. Alcune patologie equine studiate da Wakamatsu presso la sua Unità in Cina sono dovute allo streptococco. A questo punto, la domanda se il suo lavoro durante la guerra abbia influenzato la sua successiva occupazione in Giappone potrebbe risultare retorica.
Naito Ryoichi, Kitano Masaji e Futagi Hideo, tra i principali pianificatori degli attacchi biologici in Cina e responsabili dei molti esperimenti sugli esseri umani all’Unità 731, nel 1947 fondarono la Japan Blood Plasma Company, una banca del sangue. Nel 1950, si assicurarono un fruttuoso contratto con gli Stati Uniti per le forniture di sangue ai soldati americani impegnati nel conflitto coreano. Più tardi, i tre cambiarono il nome della loro compagnia in Midori Juchi, Croce Verde, dando vita ad una casa farmaceutica con un fatturato annuo di quasi un miliardo di euro. Alla morte di Naito, nel 1982, la Midori Juchi creò la Fondazione Naito per la ricerca degli studi sul sangue, campo di studio del medico giapponese a Pingfan. Nel febbraio del 1988, la Midori subì un fortissimo scandalo: aveva venduto sacche di sangue non sterilizzate a pazienti emofiliaci che contrassero il virus dell’AIDS (oltre 2.000 tra Giappone e USA). Le denunce delle vittime dell’incuria della Midori riportarono a galla il passato dei fondatori della società farmaceutica, che furono costretti a pagare milioni di dollari in risarcimenti. Nel 1998, la Midori Juchi cambiò nome in Midori Pharmerica, nel 1999 in Welfare Corporation e si fuse, nel 2001, al settore farmaceutico della Mitsubishi Corporation. Tuttora esiste come entità distinta all’interno del gruppo Mitsubishi4. Il medico giapponese Yamaguchi Ken’ichiro, che si occupava degli effetti del lavoro dell’Unità 731 sull’attuale scienza medica giapponese, era dell’opinione che la distribuzione di sangue infetto facesse parte di un programma della Midori per il lucroso sviluppo di un vaccino contro l’AIDS5, ma non ci sono prove per confermare la teoria di Yamaguchi.
Molte altri ancora sono gli istituti medici e farmaceutici che assunsero ex membri del personale dell’Unità 731 come la Takeda Pharmaceutical Company e la Hayakawa Medical Company. Le Facoltà di medicina dell’Università di Tokyo, Kyoto, Osaka, Kanazawa, l’Università di farmacologia di Showa, l’Università di medicina della prefettura di Nagoya e molte altri istituti d’istruzione accolsero come docenti ex membri del personale delle Unità antiepidemiche. Altri membri del Distaccamento 731 ebbero ricche e fortunate carriere nella pubblica amministrazione, come Kitano Masaji che divenne Ministro dell’Educazione6.

Il primo a smascherare i legami tra gli Stati Uniti e le Unità di Ishii e a far luce sugli accordi segreti tra gli scienziati giapponesi e gli USA fu John W. Powell che, nell’ottobre del 1981, pubblicò sulla rivista Bulletin of the Atomic Scientists un lungo articolo intitolato “Japan’s Biological Weapons: 1930-1945. A Hidden Chapter in History”[Le armi biologiche del Giappone: 1930-1945 un capitolo segreto nella storia]. Powell scoprì dei memorandum top secret che coinvolgevano il generale Douglas MacArthur, il suo capo dell’intelligence, il generale Charles Willoughby, il capo della sessione legale Alva Carpenter e il Comitato di Coordinamento del Dipartimento di Stato, della Marina e della Difesa (SWNCC). Implicati nell’acquisizione dei dati giapponesi erano il U.S. Chemical Warfare Service (Servizio della Guerra Chimica degli USA), il Capo di Stato Maggiore Congiunto, il Dipartimento di Giustizia e il prosecutore capo statunitense dei crimini di guerra, Joseph Keenan. Powell spiegò come molti civili cinesi fossero stati utilizzati per testare l’efficacia e la virulenza delle armi biologiche, descrisse gli esperimenti, le dissezioni e tutta la serie di infezioni letali che i giapponesi avevano studiato e sviluppato. Anche se, dopo l’uscita dell’articolo di Powell, il governo USA continuò a negare, con continue smentite, la più grande manovra di copertura della storia degli Stati Uniti, il Giappone, nel 1983, ammise l’esistenza del programma di guerra biologica.
L’articolo sul Bulletin of the Atomic Scientists aprì anche un altro dibattito: Powell scrisse che probabilmente diversi aviatori statunitensi potevano essere stati usati come cavie da laboratorio dai giapponesi. Un membro del Congresso statunitense, il democratico Pat Williams, il 17 settembre 1986, durante la seconda sessione del novantanovesimo Congresso, disse “ora sappiamo che Mukden [Shenyang] non era solamente un altro campo di prigionia giapponese per soldati alleati. Gestito dagli scienziati giapponesi dell’Unità 731, Mukden era un luogo dove avvenivano mortali esperimenti chimici e biologici tramite iniezioni, dissezioni, analisi del sangue e delle feci, congelamento di parti del corpo, infezioni con antrace, bacillo della peste, colera, dissenteria e tifo. Questo è ciò che accadde a molti aviatori americani sopravvissuti alla marcia della morte di Bataan7. Insieme ai nostri soldati in questi terribili campi c’erano inoltre cinesi, britannici, australiani e sovietici. Non sappiamo quanti ne sopravvissero, ma sicuramente sappiamo che il governo statunitense sapeva degli esperimenti alla fine della guerra8”. Vennero raccolte diverse testimonianze dei sopravvissuti statunitensi al campo di prigionia di Shenyang da parte di un Comitato dei Veterani. Esistono anche molti resoconti dettagliati e diari scritti da statunitensi e britannici sulla loro vita all’interno dei campi di prigionia giapponesi in Asia, che sembrerebbero confermare sia le accuse di Powell sia quelle di Williams, ma le agenzie americane (CIA, FBI, Amministrazione dei Veterani) furono molto evasive sull’argomento dei prigionieri di guerra utilizzati negli esperimenti di guerra biologica nel campo di Shenyang dal novembre del 1942 fino alla liberazione nell’agosto del 1945. Soprattutto non collaborarono nel fornire agli studiosi significative prove sulle condizioni fisiche e psichiche dei loro connazionali liberati, visto che prima di essere rimpatriati ricevettero tutte le cure mediche necessarie. In base alle attuali stime, sembra che siano 1.671 gli individui, di varia nazionalità, sopravvissuti alla prigionia di Shenyang e utilizzati negli esperimenti, ma nessuno di loro, apparentemente, accusò mai il Giappone di tali orrori. A tutt’oggi non è ancora possibile, perciò, stabilire con assoluta certezza se alcuni prigionieri di guerra statunitensi siano stati sottoposti alle “cure” dei giapponesi. Le prove americane sembrano smentire le accuse. Lo stesso Ishii Shiro lo negò categoricamente, anche dopo aver ottenuto la totale immunità nel 1948, ma non smentì di aver utilizzato cavie sovietiche. Inoltre il campo di Shenyang non garantiva le necessarie condizioni di sicurezza, che le altre Unità prevedevano, per portare avanti la sperimentazione sui microrganismi letali. Shenyang era continuamente visitata dai corpi di propaganda giapponese e dai membri della Croce Rossa. Altra prova per confutare le accuse è quella che 1.671 individui sopravvissero; dalle altre Unità di Ishii nessuno uscì vivo. In conclusione, prigionieri di guerra statunitensi potrebbero essere stati utilizzati come cavie umane, ma nessun documento attendibile è aperto all’interesse degli studiosi.

Nel 1997, centottanta querelanti cinesi intentarono una causa al Giappone per chiedere il risarcimento per i loro parenti (2100 persone), vittime del programma di sviluppo e produzione di armi biologiche. Il verdetto venne emesso il 27 agosto 2002, da una corte distrettuale di Tokyo presieduta dal giudice Koji Iwata9: il Giappone era effettivamente colpevole di aver compiuto attacchi biologici in Cina, ma non doveva presentare alcuna scusa formale né tantomeno pagare i risarcimenti richiesti (circa 80.000 euro per ogni querelante). La decisione ha le sue basi legali negli accordi di pace e collaborazione firmati il 29 settembre 1972 tra Repubblica Popolare Cinese e Giappone, in base ai quali la Cina rinunciava alla richiesta di ogni riparazione per i danni di guerra subiti. Il 20 maggio 2003, i centottanta querelanti hanno presentato ricorso all’Alta Corte di Tokyo.

1 Daniela De Palma, Storia del Giappone Contemporaneo 1945-2000, Bulzoni Editore, Roma 2003, pp. 172-173


2 Sheldon H. Harris, Factories of Death, op. cit., p. 143.


3 Daniel Barenblatt, I Medici del Sol Levante, op. cit., p 291.


4 Daniel Barenblatt, I Medici del Sol Levante, op. cit., pp. 300-301.


5 Hal Gold, Unit 731 Testimony, op. cit., pp. 140-141.


6 Sheldon H. Harris, Factories of Death, op. cit., p. 133.


7 Campo di prigionia nelle Filippine dove venivano segregati i prigionieri Alleati. Non meno di 8.000 tra americani e filippini morirono durante la marcia verso il campo. Per un maggiore approfondimento consultare: Lord Russell of Liverpool, I Cavalieri del Bushido, op. cit., pp. 139-144.


8 Sheldon H. Harris, Factories of Death, op. cit., p. 113.


9 Jonathan Watts, “Japan Guilty of Germ Warfare against Thousands of Chinese”, The Guardian, 28 agosto 2002.

CONTINUA.....

STORIA DELLE GUERRE BATTERIOLOGICHE: DALLA SECONDA GUERRA MONDIALE AL CORONAVIRUS III Parte


La resa dei conti
Il patto col diavolo

...Né il Rapporto Qian, né le pubbliche accuse, né l’articolo di Pullitzer servirono a smuovere l’attenzione delle potenze internazionali e dell’opinione pubblica mondiale su tali crimini contro l’umanità... 

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“Per gli interessi di sicurezza nazionale degli Stati Uniti, il generale Ishii e molti altri membri dell’Unità 731 hanno vissuto la loro vita, soffrendo solamente delle naturali afflizioni della tarda età”
John W. Powell

Nell’aprile del 1942, i tecnici e gli scienziati della Croce Rossa cinese guidati dal cinese Wen Quai Qian, pubblicarono il cosiddetto Rapporto Qian, frutto della prima indagine scientifica della storia sugli attacchi con armi biologiche e batteriologiche, nel quale vennero riportati i risultati delle ricerche effettuate nelle città di Changde, Ningbo, Jinhua e Quzhou che avevano subito gli attacchi biologici causati dalle Unità giapponesi. Subito dopo, a Chongqing, il governo del Guomindang riunì una conferenza stampa in cui invitò molti giornalisti internazionali. Nel corso dell’incontro, il direttore generale dell’Amministrazione Sanitaria Cinese accusò il governo giapponese e l’Armata Imperiale giapponese di aver deliberatamente diffuso numerose epidemie di malattie mortali e altamente contagiose. Il Rapporto Qian fu tradotto in varie lingue, tra cui l’inglese, e distribuito a dieci ambasciate straniere di stanza a Chongqing. Il microbiologo statunitense Pullitzer, dopo aver lavorato al contenimento dell’epidemia di peste bubbonica riapparsa a Quzhou nel 1941 (ripercussione degli attacchi giapponesi dell’ottobre 1940), scrisse un articolo sull’Epidemic Prevention Weekly, settimanale di fama mondiale, in cui descriveva il proprio lavoro di esperto in Cina nella prevenzione delle epidemie .
Né il Rapporto Qian, né le pubbliche accuse, né l’articolo di Pullitzer servirono a smuovere l’attenzione delle potenze internazionali e dell’opinione pubblica mondiale su tali crimini contro l’umanità. Sicuramente gli Stati Uniti ne erano a conoscenza o, per lo meno, ne avevano il sospetto. Nel febbraio 1939, un gruppo di ricercatori giapponesi, tra cui Naito Ryoichi, aveva chiesto al Rockefeller Institute for Medical Research di New York di poter ottenere campioni di virus della febbre gialla , malattia trasmessa dalle punture delle zanzare e altamente letale. Nel momento in cui il Rockefeller Institute aveva respinto la richiesta, i ricercatori nipponici avevano tentato di corrompere un tecnico dell’istituto offrendogli 3.000 dollari, ma senza successo. Venne aperta un’inchiesta dal Dipartimento di Stato USA che chiaramente descriveva in modo molto sospetto l’atteggiamento dei nipponici e il fatto che i campioni richiesti potessero permettere al Giappone di “ottenere ceppi particolarmente letali del virus della febbre gialla con l’obiettivo di trasformarli in armi biologiche ”. Sicuramente gli USA non sottovalutarono affatto neanche il rapporto della Croce Rossa cinese del 1942: la guerra contro il Giappone era ormai cominciata e le armi invisibili potevano essere utilizzate anche contro i soldati americani impegnati nel Pacifico.

Molti prigionieri di guerra giapponesi catturati dalle forze armate USA confessarono, in più occasioni, di aver fatto parte di una qualche Unità di sperimentazione di armi biologiche e di aver compiuto o visto compiere test su cavie umane vive. Un prigioniero catturato il 12 maggio 1944 confessò di aver lavorato al dipartimento di batteriologia dell’Università del Guangdong e di aver sentito dire che, nel luglio 1941, “il generale di divisione Ishii Shiro aveva condotto esperimenti con bombe biologiche al Distaccamento del collegio medico militare di Haerbin, in Manciuria”. Altri due prigionieri di guerra giapponesi descrissero, con minuzia di particolari, la produzione degli agenti patogeni destinati all’uso nella guerra biologica e fecero persino dei riferimenti agli atroci test su cavie umane effettuati presso l’Unità 1644 a Nanjing. Inoltre, venne ritrovato, sull’isola di Morotai nel Pacifico, un manuale dell’Armata Imperiale che indicava il largo uso strategico delle armi biologiche .
Il 15 agosto del 1944, lo Stato Maggiore statunitense ordinò con un memorandum che tutte le prove di un eventuale attacco biologico fossero raccolte e messe al sicuro. I dati furono reperiti nella maggior parte delle nazioni del sud-est asiatico, man mano che l’avanzata USA dilagava.

A partire dal mese di novembre del 1944, più di novemila piccoli palloni aerostatici, gonfiati con idrogeno, partirono dall’isola più estesa del Giappone, Honshu, diretti verso gli Stati Uniti. Volarono su Messico, California, Oregon, Washington, Canada. Molti furono intercettati dalla contraerea, ma altri furono ritrovati in Texas, Hawaii, Utah, Wyoming, Montana, Dakota, Alberta, Manitoba, Los Angeles e Michigan. I palloni, di un diametro di dieci metri e fatti con carta di gelso, realizzati dalla Divisione di Ricerca Tecnologica della Nona Armata Giapponese, avevano lo scopo di creare vasti incendi nelle foreste americane attraverso contenitori, attaccati ai palloni, pieni di bombe incendiare. Probabilmente, si trattava più che altro di un’azione dimostrativa. Le uniche vittime documentate, infatti, furono una madre e i suoi cinque figli, nell’Oregon, che incautamente si avvicinarono a quegli strani oggetti. Nel marzo del 1945, un pallone nipponico cadde nello stato di Washington causando un’interruzione alle linee elettriche. Solamente nel maggio del 1945, la popolazione americana fu allertata per la possibile presenza delle nuove armi giapponesi. Furono 230 i palloni recuperati, gli altri o esplosero in aria o caddero nell’oceano Pacifico.
Sebbene gli “aerostati” non causassero danni rilevanti, avrebbero potuto rappresentare una terribile arma se avessero contenuto degli agenti biologici letali. Gli investigatori statunitensi se ne resero subito conto, altrimenti non avrebbero mandato il tenente colonnello Murray Sanders ad esaminare i palloni. Sanders era un medico e microbiologo del centro di ricerche sulle armi batteriologiche di Camp Detrick (aperto nell’aprile del 1943 e rinominato Fort Detrick nel 1956) nel Maryland. Nel dicembre del 1944, Sanders fu chiamato a Washington per analizzare due palloni giapponesi trovati nel Montana e sulla spiaggia di San Diego. Il suo compito era quello di accertare se le nuove armi giapponesi avessero potuto trasportare agenti patogeni e il rapporto di Sanders “spaventò a morte” i militari. Egli spiegò che le malattie trasmesse dalle zanzare, come l’encefalite B giapponese, potevano causare un’ecatombe, poiché quel tipo di insetti è molto diffuso negli USA e la popolazione non aveva difese immunitarie per quelle patologie. Tuttavia queste affermazioni lasciano molti dubbi tra gli studiosi poiché il virus dell’encefalite B per poter dilagare in una vera e propria epidemia ha bisogno di essere disperso su zanzare del luogo. Anche l’antrace, affermò Sanders, poteva essere agevolmente inserita nei palloni e contaminare principalmente terreni e animali da pascolo, ma, anche in questo caso, l’antrace ha bisogno di ottimali condizioni ambientali per poter sopravvivere (come dimostrarono più e più volte gli scienziati giapponesi) e, di conseguenza, la lunga esposizione al sole o all’aria l’avrebbe resa totalmente innocua. Probabilmente, Sanders cercava di impressionare i vertici militari e di ottenere il consenso per ulteriori e più approfondite ricerche nel campo delle armi biologiche. Il tenente colonnello di Camp Detrick esaminò anche altri palloni rinvenuti in Canada e nelle Hawaii. Alla fine del suo lavoro, non si trovarono tracce di agenti biologici nocivi.
Nel marzo del 1945, Sanders descrisse, durante alcune riunioni nelle basi militari di San Francisco e Omaha, alcune bombe biologiche che i giapponesi avevano utilizzato nei loro attacchi in Cina e affermò erroneamente che il quartier generale della produzione dell’armamento biologico si trovava a Nanjing.
Il generale Douglas MacArthur ordinò a Sanders di incontrarlo a Manila, nelle Filippine, per verificare che tipi di armi biologiche potessero essere utilizzate contro l’esercito statunitense al momento dell’occupazione dell’isola di Honshu. Ma lo sgancio delle due bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, rispettivamente il 6 e 9 agosto 1945, evitò lo sbarco. A Sanders allora fu ordinato di valutare i risultati degli attacchi biologici compiuti dai giapponesi in Cina e di rintracciare la presunta mente del programma di sviluppo e produzione di un arsenale biologico, Ishii Shiro. Nel settembre del 1945, Sanders insieme ad altri sei tecnici si recò in Giappone con la sensazione che i medici nipponici avessero compiuto cose inimmaginabili.

Gli ex tecnici e scienziati delle varie Unità antiepidemiche che avevano lavorato in Cina, si erano ormai rifugiati in Giappone e, distrutte o quanto meno nascoste le prove che li legavano alla sperimentazione sull’uomo, fecero voto di silenzio. Ma, dopo che giunse voce che il microbiologo americano Murray Sanders sarebbe giunto in Giappone per fare delle ricerche approfondite su una presunta produzione su larga scala di agenti patogeni da utilizzare contro il nemico, cercarono di correre ai ripari. Infatti Sanders non fece nemmeno in tempo ad attraccare presso il porto di Yokohama, che fu immediatamente ricevuto da una persona che si presentò come suo interprete, Naito Ryoichi, colui che, sei anni prima, aveva cercato di ottenere il virus della febbre gialla dal Rockefeller Institute di New York. L’obiettivo di Naito e degli altri veterani dell’Unità 731 era quello di ottenere una totale immunità dall’accusa di crimini di guerra in cambio delle rivelazioni che avrebbero potuto fare agli statunitensi. E fin da subito, Naito si adoperò per far intendere ai suoi intervistatori che egli e i suoi ex colleghi erano in possesso di un’enorme mole di materiale segreto. La missione di Sanders era quella di raccogliere qualsiasi particolare su tutte le persone ed i luoghi coinvolti nella sperimentazione giapponese e per fare ciò si incontrava tutte le settimane a Tokyo con Naito. Questi, al termine di ogni incontro, si consultava segretamente con gli ex veterani dell’Unità 731 per decidere quali delle informazioni in loro possesso potessero essere passate agli americani e quali invece avrebbero dovuto usare per successivi negoziati. Quando i medici giapponesi si rifiutarono di rivelare informazioni importanti e più particolareggiate, a Sanders bastò la minaccia di intervento di una commissione d’inchiesta sovietica per fare in modo che Naito gli fornisse un diagramma sulla struttura gerarchica del programma biologico nipponico. Lo schema di Naito presentò per la prima volta i nomi degli istituti e dei distaccamenti che avevano lavorato con agenti patogeni, chimici e tossici da utilizzare in attacchi biologici; fece il nome della Boeki Kyusui Bu (Unità per la purificazione dell’acqua o Unità 731). Naito presentò anche un manoscritto in cui si confessava l’attivo coinvolgimento giapponese nella guerra biologica, ma non fu fatto alcun accenno agli esperimenti sull’uomo o all’utilizzo di armi biologiche sulla popolazione civile anzi si legge che “è vero che l’esercito giapponese aveva strutture non solo per la difesa, ma anche per l’uso offensivo delle armi biologiche. Ma il Comando Supremo non ebbe mai la volontà di condurre attacchi biologici contro il nemico, finché il nemico stesso non avesse cominciato ad usarli. Poiché nessuna nazione combattente lanciò mai tali attacchi al Giappone, il Comando Supremo non ebbe mai occasione, né motivo, per usare le armi biologiche”. Era la prova che il Giappone si era effettivamente e al di là di ogni dubbio impegnato nella ricerca offensiva di agenti patogeni: ciò che Sanders sperava di sapere.
Il generale MacArthur era il diretto responsabile del lavoro di Sanders e dopo aver esaminato tutti i documenti che gli erano stati sottoposti dal microbiologo decise di accordare la totale e più completa immunità giudiziaria, nonché l’anonimato, a chi avesse confessato la propria attività e a chi avesse fornito i documenti relativi alle ricerche effettuate nel campo della sperimentazione biologica. L’accordo fu siglato e da quel momento in poi “i dati arrivarono ad ondate, riuscivamo appena a farvi fronte”, disse Sanders. Tra questi dati vi erano moltissimi reperti di autopsie e vivisezioni di cavie umane cinesi, per la maggior parte, e sovietiche, ma anche molti tessuti contenuti in vasi di formalina e campioni di agenti patogeni. Tutto fu attentamente studiato e archiviato dai vari reparti di guerra chimica e batteriologica statunitensi in Giappone e a Camp Detrick.
Il generale di divisione Ishii Shiro rimase nascosto finché non gli fu chiaro che gli USA non avevano alcuna intenzione di portarlo davanti a Corti Militari di Giustizia Internazionale per rendere conto degli abomini contro l’umanità da lui commessi. Tutt’altro! Gli alti vertici politici e militari degli Stati Uniti avevano l’intenzione di sfruttare l’enorme potenziale di conoscenze del più grande esperto al mondo di metodi di guerra biologica e batteriologica. In quanto mente del programma, Ishii fu sottoposto agli arresti domiciliari e continuamente interrogato da due tecnici di Camp Detrick, il tenente colonnello Arvo Thompson e il dottor Norbert Fell.
Gli Stati Uniti non erano gli unici ad aver investigato sui terribili esperimenti giapponesi, anche l’URSS aveva interrogato due uomini molto importanti dell’Unità 731, il colonnello Ota Kiyoshi e il colonnello Kikuchi Hitoshi, e nel febbraio 1947 chiesero formalmente al generale MacArthur di poter interrogare il dottor Ishii Shiro. Gli Stati Uniti acconsentirono alle richieste dei sovietici, ma solo dopo che Ishii e colleghi furono debitamente istruiti dagli americani in modo da non rivelare alcuna informazione utile riguardo ai loro test e almeno un ufficiale statunitense avrebbe partecipato ai vari colloqui. Gli USA volevano il possesso esclusivo dei dati acquisiti dai medici giapponesi. La figlia di Ishii, Ishii Harumi, ricordò in un’intervista che “un giorno gli americani mi dissero che degli ufficiali russi sarebbero venuti a far visita a mio padre. Mi avvisarono di non tradire in alcun modo la cordialità che avevamo dimostrato agli americani, qualora ne avessimo riconosciuto qualcuno fra quelli che scortavano i sovietici. Gli ufficiali sovietici vennero a casa nostra solo due volte. Durante le loro interviste con mio padre, gli ufficiali americani erano sempre presenti. Presumo che ulteriori richieste dei sovietici per interrogarlo fossero state respinte dalle autorità americane”. Numerosissimi furono i colloqui tra Ishii e i ricercatori di Camp Detrick, così tanti che nella casa di Ishii si respirava ormai un’atmosfera intima e festosa.

Norbert Fell si occupò anche di intervistare altri importanti medici giapponesi tra i quali Kitano, Naito e Wakamatsu dai quali ricevette: un rapporto di sessanta pagine redatto da alcuni ricercatori sulle armi biologiche; alcuni studi sulle potenzialità dell’uso della peste da parte di dieci esperti sulla sperimentazione sull’uomo; seicento pagine di rapporti sui test su cavie umane e ottomila tra diapositive e microfilm sugli esperimenti. Ishii fece intendere che tantissimo altro materiale era in suo possesso e che “se concederete l’immunità ufficiale a me, ai miei superiori e ai miei subordinati, io posso raccogliere tutte le informazioni per conto vostro. Vorrei collaborare con gli Stati Uniti in qualità di esperto di armi biologiche. Nella preparazione della guerra contro l’Unione Sovietica, io posso assicurarvi i vantaggi delle mie ricerche e della mia esperienza ventennale”. Per immunità ufficiale si intendeva un documento scritto che avrebbe permesso a chi ne era in possesso di non essere mai sottoposto a giudizio anche nel caso in cui gli USA avessero ritrattato la loro protezione e copertura ai crimini di guerra e contro l’umanità compiuti nella più completa indifferenza al bene e al male.
Il 6 maggio 1947, MacArthur chiese al Comitato di Coordinamento del Dipartimento di Stato, della Marina e della Difesa (SWNCC) la richiesta di immunità ufficiale per Ishii e colleghi in cambio di importanti ed ulteriori informazioni comunicando a Washington: “richiesta esenzione dalla persecuzione per i membri dell’Unità 731. Utili informazioni su vivisezione”.
L’SWNCC incaricò Alva Carpenter, investigatore legale, di occuparsi delle prove di cui gli Stati Uniti erano entrati in possesso riguardo a tutti i giapponesi che avevano collaborato e richiesto l’immunità. Il lavoro di Carpenter consisteva nel trovare delle scappatoie legali nel caso in cui alcuni membri del programma di guerra biologica fossero stati chiamati a giudizio dalle altre nazioni alleate, quali URSS, Gran Bretagna e Australia, nazioni che avevano subito gli orrori dell’Armata Imperiale giapponese. Carpenter indicò che se un qualsiasi paese avesse chiesto dei chiarimenti relativi ai crimini di guerra biologica, i legali americani avrebbero dovuto avallare la tesi che le prove contro Ishii e il suo staff non erano del tutto attendibili poiché basate su fonti anonime e su voci forse infondate. Questo cavillo legale doveva servire anche per continuare in segreto la raccolta di tutte le informazioni sulle armi invisibili. Carpenter affermò inoltre che gli interrogatori dei medici nipponici non rivelavano prove sufficienti per intraprendere azioni legali, sebbene dalle confessioni emerse che criminali comuni, contadini, donne e bambini erano stati usati a scopo sperimentale.

Tuttavia, l’organismo che sosteneva l’accusa nei processi per crimini di guerra compiuti dai giapponesi, l’International Prosecution Section (IPS), iniziò ad indagare per proprio conto sulle accuse di guerra biologica. L’IPS utilizzò informazioni relative agli attacchi biologici compiuti nel 1940 in Cina, il Rapporto Qian del 1942 e la testimonianza del maggiore Karasawa Tomio. Catturato dai sovietici, egli confessò gli attacchi su Ningbo e Hangzhou con peste, tifo e colera; confessò che tutta la struttura con a capo Ishii Shiro dipendeva direttamente dai più alti vertici militari nipponici, i quali utilizzavano le armi biologiche nelle loro operazioni strategiche; confessò che prigionieri cinesi e russi erano stati utilizzati come pezzi di legno sui quali sperimentare i più terribili flagelli dell’umanità e sui quali coltivare gli agenti patogeni più virulenti. I membri dell’IPS si avvalsero anche della testimonianza scritta di Hataba Osamu, uno dei molti disertori del programma biologico che era passato alle forze nazionalista cinesi, nel quale si affermava che l’Unità 1644, di cui aveva fatto parte, aveva “svolto compiti di diffusione per via aerea delle malattie sul fronte. La squadra aveva sicuramente più di due aerei speciali. […] So che gli atti disumani sopra descritti furono compiuti sotto l’eufemismo di Guerra Santa, e io sono uno di quelli che disertarono dalla squadra. Inoltre, nella sezione scientifica, stavano conducendo studi anche sulle sostanze tossiche”. Hari Hasane confessò, sempre all’ISP, che le Unità antiepidemiche in realtà producevano germi e virus su larga scala da utilizzare contro il nemico e i civili e che l’Unità di Nanjing aveva dato a 3000 prigionieri di guerra cinesi dolcetti infetti con tifo e paratifo. L’accusa a questo punto aveva in mano una grande quantità di prove che collegavano il Giappone alla guerra biologica e alla sperimentazione sull’uomo.

Il 19 gennaio 1946, per proclama generale di MacArthur, venne istituito a Tokyo il Tribunale Militare Internazionale dell’Estremo Oriente (IMTFE), il più grande processo mai avvenuto per crimini di guerra e contro l’umanità, durante il quale vennero giudicati ventotto criminali giapponesi di classe A. Il Tribunale aprì i lavori il 3 maggio 1946 e, dopo 417 udienze e dopo aver ascoltato 419 testimoni, si concluse il 12 novembre del 1948, con sette condanne a morte, sedici all’ergastolo, una a venti e una a sette anni; due imputati morirono e uno fu internato in un ospedale psichiatrico per manifesta pazzia. I giudici rappresentavano ben dodici nazionalità e erano magistrati, giuristi, parlamentari che godevano di ottima reputazione nei loro rispettivi paesi; gli avvocati difensori, in parte statunitensi, in parte giapponesi, erano 104, mentre 72 erano i membri del collegio dell’accusa sia civili che militari.
Ishii Shiro e la sua equipe non vennero neanche nominati: le prove raccolte dall’IPS non furono né presentate né compaiono nelle numerose pagine dei verbali del processo. Perché? Eppure le prove erano evidenti: le alte sfere politiche e militari giapponesi avevano, senza dubbio alcuno, portato avanti un enorme progetto di sperimentazione e sviluppo di armi di distruzione di massa. Per tutta la durata dell’IMTFE, non si fece mai riferimento alle epidemie scoppiate in Cina centrale, deliberatamente e oggettivamente provocate dai giapponesi.
Il capo dell’IPS era l’americano Joseph Keenan. Egli si consultò continuamente, durante la raccolta delle prove e per tutta la durata del processo, con il generale MacArthur e con il Dipartimento della Difesa, che probabilmente fecero pressioni sulle indagini dell’IPS per sotterrare le prove contro il Giappone.
Solamente le confessioni di Hataba furono lette durante il Processo di Tokyo. Fu lo statunitense David Sutton, a capo delle indagini relative allo Stupro di Nanjing, che pronunciò tre brevi frasi il 7 novembre del 1946 . Sutton lesse una versione censurata e profondamente modificata della confessione scritta di Hataba, secondo la quale i giapponesi compirono terribili attacchi biologici: “il nemico […] catturò dei nostri connazionali e li utilizzò per esperimenti medici. Furono loro iniettati vari tipi di batteri tossici e poi eseguiti degli esperimenti per studiarne le condizioni. Cani e gatti erano comunemente sacrificati negli esperimenti medici, ma sacrificare dei nostri fratelli e prigionieri è un vero atto di barbarie compiuto dai nostri nemici ”. Sutton continuò a leggere la parte successiva della testimonianza che non aveva nulla a che vedere con gli esperimenti segreti. In base ai verbali del processo, il presidente della corte, l’australiano Sir William Webb, chiese se le prove erano solamente quelle che aveva sottoposto l’investigatore statunitense. Sutton rispose che non vi erano altre prove. Due avvocati difensori americani, Alfred Brooks e Michael Levin, incaricati di difendere alcuni generali giapponesi, contestarono le accuse, troppo disumane per essere vere , e fecero passare il capo d’accusa come diffamatorio. Il giudice Webb accolse l’obiezione dicendo che “mi sembra che queste asserzioni gratuite non siano fondate su alcuna prova”. Per tutta la durata del processo non si parlò più delle sperimentazioni segrete giapponesi e le altre prove raccolte dall’IPS furono accantonate.
Durante il processo di Yokohama, svolto nel 1948 e promosso dallo SCAP (Comando Supremo delle Potenze Alleate), vennero giudicati alcuni studenti e medici dell’Università di medicina del Kyushu, accusati di aver vivisezionato otto aviatori americani prigionieri di guerra paracadutati da un B-29 abbattuto. Il processo non ebbe una risonanza a livello mondiale, sebbene le accuse mosse contro i giapponesi fossero orribili: sperimentazione umana, vivisezioni e persino cannibalismo rituale. Nell’agosto del 1948, la corte condannò la maggior parte degli imputati a pene che variavano da un minimo di 15 anni ad un massimo di 25; due medici vennero condannati a morte, ma uno si suicidò e all’altro fu commutata la pena in ergastolo.
Nel 1948, gli Stati Uniti avevano ormai raccolto tutti i dati relativi alle armi biologiche giapponesi, sperimentate sulla pelle di migliaia e migliaia di civili innocenti. Moltissimi dati su antrace, botulino, brucellosi, colera, dissenteria, cancrena gassosa, morva, influenza, meningite, peste, studi sulle malattie delle piante, salmonella, febbri emorragiche, tetano, vaiolo, tubercolosi, tularemia, voluminosi tomi nei quali erano descritte nei più minuti particolari le osservazioni dopo le vivisezioni e le dissezioni umane, erano ora nelle mani dell’esercito statunitense.
Gli spietati medici giapponesi non furono mai chiamati a giudizio nei vari processi militari internazionali che si svolsero in molte località dell’Asia e del Pacifico: una spessa coltre di segretezza e di silenzio, eretta dagli Stati Uniti, stava nascondendo l’abominio dell’Unità 731 e dei suoi vari Distaccamenti. Il 13 marzo 1948, mentre l’IMTFE era ancora in corso, il ministero della Difesa USA telegrafò alla Sezione Legale di MacArthur a Tokyo: “permesso accordato”, a Ishii e colleghi sarebbe stata accordata la totale immunità. Il ricercatore di Camp Detrick, Edwin V. Hill, scrisse:

Le informazioni raccolte in questa indagine hanno completato ed ampliato le nozioni già acquisite in questo campo. Forniscono dati che gli scienziati giapponesi hanno ottenuto con molti milioni di dollari e molti anni di lavoro. […] Tali informazioni ce le siamo assicurate, a tutt’oggi, con una spesa totale di 250.000 yen, una vera miseria rispetto ai costi effettivi degli studi. […] E’ auspicabile che agli individui che hanno volontariamente passato queste informazioni siano risparmiate le accuse che potrebbero sorgerne, e che si faccia qualsiasi sforzo perché tali dati non cadano in mani altrui .

Negli anni del dopoguerra cominciò a delinearsi il radicale scontro ideologico, politico e militare tra le due superpotenze, Stati Uniti e Unione Sovietica. Gli USA si autonominarono a guida del cosiddetto mondo libero vedendo ovunque risorse e punti vitali per la propria sicurezza. Si radicò sempre più la volontà di assurgere ad un ruolo egemonico mondiale conquistato con le due guerre mondiali e attraverso la tradizionale vocazione a proporre il modello statunitense come quello esemplare . Nell’ottica della Guerra Fredda era forse accettabile calpestare i fondamentali diritti umani, che un paese che si dichiara esportatore della libertà dovrebbe possedere come capisaldi della propria politica, in nome di un vantaggio tecnologico senza limite ed etica? Ed era forse ammissibile la feroce contraddizione tra la pretesa di esportare la democrazia nel mondo e la totale copertura degli orrori e delle agonie patite da oltre migliaia e migliaia di individui trasformati in cavie umane?
Daniel Barenblatt, I Medici del Sol Levante, op. cit., pp. 243-244.


Peter Williams, David Wallace, Unit 731, op. cit., pp. 91-93.


Ivi., pp. 92-93.


Hal Gold, Unit 731 Testimony, op. cit., p. 102.


Daniel Barenblatt, I Medici del Sol Levante, op. cit., pp. 247-248.


Daniel Barenblatt, I Medici del Sol Levante, op. cit., p. 251.


Daniel Barenblatt, I Medici del Sol Levante, op. cit., p. 254.


Peter Williams, David Wallace, Unit 731, op. cit., p. 131.


Daniel Barenblatt, I Medici del Sol Levante, op. cit., p. 266.


Hal Gold, Unit 731 Testimony, op. cit., p. 97.


Daniel Barenblatt, I Medici del Sol Levante, op. cit., p. 270.


Daniel Barenblatt, I Medici del Sol Levante, op. cit., pp. 272-273.


Per un maggiore approfondimento consultare: Lord Russell of Liverpool, I Cavalieri del Bushido. Storia dei Crimini di Guerra Giapponesi. La Strage di Nanchino e i Crimini Commessi Contro i Prigionieri di Guerra Alleati, Newton & Compton Editori, Roma 2003.


Peter Williams, David Wallace, Unit 731, op. cit., pp. 176-177.


Daniel Barenblatt, I Medici del Sol Levante, op. cit., p. 276.


Arnold C. Brackman, The Other Nuremberg: The Untold Story of the Tokyo War Crimes Trial, William Morrow, New York 1987, pp. 196-197.


Sheldon H. Harris, Factories of Death, op. cit., p. 181.


Daniel Barenblatt, I Medici del Sol Levante, op. cit., p. 280.


John W. Powell, “Japan’s Biological Weapons”, op. cit., ottobre 1981.


Oliviero Bergamini, Storia degli Stati Uniti d’America, Editori Laterza, Bari 2004, p. 182.

Il processo di Khabarovs

L’unica inchiesta giudiziaria mossa contro i fatti concernenti lo sviluppo giapponese della guerra biologica e la sua sperimentazione su cavie umane, avvenne a Khabarovsk in Unione Sovietica, nella Siberia orientale lungo il confine sino-sovietico. Dal 25 al 31 dicembre del 1949, furono portati alla sbarra dodici membri delle Unità 731 e 1644, catturati dai sovietici nel 1945, nel momento in cui l’URSS scoprì le varie fabbriche della morte, nel corso della sua avanzata nella Manciuria. Le prove da esporre alla giuria, raccolte nei quattro anni precedenti al processo, si basarono su diciotto volumi che raccoglievano interviste, testimonianze di soldati nipponici collegati alle varie Unità antiepidemiche e centinaia di pagine di deposizioni relative al segreto sviluppo di armi biologiche di distruzione di massa e alla sperimentazione di una larga quantità di virus e batteri letali su esseri umani. Ogni medico giapponese accusato confessò di aver commesso terribili crimini contro civili cinesi e di aver utilizzato uomini, donne e bambini sovietici negli esperimenti. I dodici imputati accusarono l’imperatore Hirohito, non solo di essere a conoscenza delle nuove armi nipponiche e di essere profondamente legato al programma di guerra biologica, ma anche di aver dato il via libera alla costruzione delle Unità di Pingfan e Changchun. Il Ministro della Guerra e gli alti ufficiali del governo nipponico furono accusati di aver pianificato operazioni di offensiva biologica. Testimoniarono persino che molti prigionieri di guerra americani erano stati usati come cavie nei test.
I dodici uomini imputati erano:
Yamada Otozoo, generale ed ex comandante in capo dell’Armata del Kwantung;
Ryuji Kajitsuka, tenente generale dei servizi di sanità, batteriologo ed ex capo della Direzione della Sanità dell’Armata del Kwantung;
Takahashi Takaatsu, chimico e biologo, generale di divisione dei servizi veterinari, ex capo di divisione del servizio veterinario dell’Armata del Kwantung;
Kawashima Kiyoshi, batteriologo, generale maggiore del servizio di sanità, ex capo del servizio di produzione dell’Unità 731;
Nishi Toshihide, batteriologo, tenente colonnello del servizio di sanità, ex capo del servizio d’intrattenimento e d’istruzione dell’Unità 731;
Karasawa Tomio, batteriologo, maggiore del servizio di sanità, ex capo della sezione di produzione dell’Unità 731;
Onoue Masao, batteriologo, maggiore del servizio di sanità, ex capo del Distaccamento 643 dell’Unità 731;
Sato Shunji, batteriologo, generale maggiore del servizio di sanità, ex capo del servizio di sanità della V Armata;
Hirazakura Zensaku, veterinario, tenente del servizio veterinario, ex collaboratore dell’Unità 100;
Mitomo Kazuo, sergente maggiore, ex collaboratore dell’Unità 100;
Kikuchi Norimitsu, infermiere stagista al laboratorio del Distaccamento 643 dell’Unità 731;
Kurushima Yuji, ex infermiere del laboratorio del Distaccamento 162 dell’Unità 731.

Come risulta dai verbali del processo, ogni accusato confessò i crimini per i quali stava per essere giudicato, senza avvalersi di alcuna circostanza attenuante. La difesa ammise alla corte sovietica che i suoi clienti erano effettivamente colpevoli delle accuse loro mosse, confidando solamente nella clemenza dei giudici.
Il processo di Khabarovsk non ebbe un forte impatto mediatico, ma allarmò il governo statunitense. Nei lunghi dispacci tra il Dipartimento di Stato USA e il quartier generale degli uffici di MacArthur a Tokyo si cercò di coprire ai media occidentali tutte le informazioni disponibili sul procedimento giudiziario. Molti commenti erano annessi alle comunicazioni segrete tra Washington e Tokyo, che vennero usati come linee guida alle domande che la stampa americana poneva al governo per una presa di posizione nei confronti di ciò che stava accadendo a Khabarovsk.
Ancor prima dell’avvio del processo, si aprì un dibattito tra USA e URSS relativo alla valenza puramente politica del procedimento. Gli Stati Uniti accusavano i sovietici di utilizzare Khabarovsk come risposta alle accuse americane di detenere ancora prigionieri di guerra giapponesi, sebbene le accuse di guerra biologica al Giappone non fossero legate alla risoluzione della questione dei prigionieri di guerra. Il Dipartimento di Stato portò avanti la tesi che l’Unione Sovietica aveva l’intenzione di utilizzare Khabarovsk per mettere in pericolo i negoziati di pace con il Giappone, che stavano per avere inizio, vista la brevissima durata del procedimento giudiziario. Si desume dai dispacci statunitensi che le lunghe indagini portate avanti dall’URSS fino al dicembre del 1949, erano dovute al fatto che i sovietici si mostravano interessati ad acquisire le informazioni dai tecnici giapponesi relative alla guerra biologica. Il governo sovietico, inoltre, avrebbe potuto accusare gli USA di essersi già accaparrati i dati relativi alle armi biologiche da utilizzare in un futuro scontro contro il blocco comunista. L’ambasciatore americano a Mosca credeva che i sovietici stessero preparando da lungo tempo un processo dimostrativo e che aspettassero solamente il momento adatto per metterlo in scena.

Dall’altro lato, la stampa sovietica mise bene in evidenza come molti criminali giapponesi non fossero presenti al Processo di Khabarovsk e il fatto che Ishii Shiro e molti suoi colleghi fossero al sicuro e liberi in Giappone. I media accusarono gli Stati Uniti di non aver presentato al Tribunale Militare Internazionale di Tokyo le prove dell’IPS relative ai crimini di guerra biologica e sottolinearono come l’imperatore Hirohito e importanti membri della casa imperiale fossero indubbiamente legati a tali atrocità. La risposta statunitense a queste accuse venne fornita da un portavoce di MacArthur che affermò che nella sezione chimica giapponese e nei suoi quartier generali non era stato trovato nulla di particolarmente significativo riguardo all’uso di armi letali batteriologiche da parte del Giappone. Indubbiamente vero, come è vero che i reparti chimici non erano coinvolti, se non in minima parte, nelle accuse contro i medici giapponesi. Il portavoce continuò nelle sue mistificazioni affermando che i nipponici avevano usato, nei loro test, solamente animali e cavie da laboratorio e negò persino il fatto che prigionieri di guerra statunitensi fossero stati utilizzati negli esperimenti, cosa che invece fu confessata da più d’uno degli indagati a Khabarovsk. Lo stesso Joseph Keenan, capo dell’IPS e quindi sicuramente a conoscenza delle prove che inchiodavano i medici giapponesi, affermò che gli investigatori non avevano trovato nessuna prova evidente che militari statunitensi fossero stati utilizzati come cavie da laboratorio, mentre il quotidiano russo Izvestia dichiarò che Keenan “chiuse gli occhi quando, nel settembre 1946, i membri sovietici del collegio dell’accusa al Processo di Tokyo gli consegnarono, in quanto capo della delegazione statunitense, le prove a carico dei personaggi di spicco dell’Unità 731. […] Quelle prove dimostravano come i militari giapponesi fossero stati impegnati in azioni di guerra biologica e in terribili esperimenti su esseri umani”. Il quotidiano sovietico, una volta terminato il processo, chiese che Ishii Shiro, in quanto mente del programma di guerra biologica e colpevole di atroci crimini, fosse sottoposto a giudizio da parte delle forze di occupazione USA in Giappone. L’ufficio di MacArthur a Tokyo negò le accuse a carico di Ishii e contro gli Stati Uniti, riguardo alla copertura dei criminali nipponici, bollandole come un’ingannevole propaganda rossa.

Nel 1950, la casa editrice Edizioni in Lingue Straniere di Mosca pubblicò i documenti relativi al Processo di Khabarovsk, ma in forma ridotta e riassunta. Sebbene sia stata per lungo tempo l’unica risorsa pubblica sul programma di guerra biologica portato avanti dal Giappone che potesse essere consultata dagli studiosi, i diciotto volumi relativi ai quattro anni di indagine non sono ancora accessibili al pubblico. Ciò potrebbe effettivamente provare la tesi statunitense che anche i sovietici si siano impadroniti dei terribili segreti delle armi invisibili.

I dodici giudicati a Khabarovsk furono condannati a pene detentive che andavano da un minimo di due anni ad un massimo di venticinque. Nessuno fu condannato a morte malgrado la natura dei crimini di cui si era macchiato, sebbene la legislazione sovietica prevedesse la pena capitale per reati di entità infinitamente minore. Tutti furono poi rimpatriati nel 1956, anno delle liberalizzazioni seguite alla morte del dittatore sovietico Josif Stalin. Una pena così lieve fu probabilmente dovuta al vantaggio che il governo sovietico avrebbe potuto ottenere dall’acquisizione di informazioni utili e segrete da parte dei tecnici giapponesi. Infatti, subito dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale e probabilmente usando i dati raccolti dagli scienziati giapponesi, venne stabilita presso Sverdlovsk in Unione Sovietica, ad est della catena degli Urali, una struttura per la ricerca sulle armi biologiche. Questo stabilimento è tristemente noto per un incidente che avvenne a fine marzo del 1979, quando una fuga di spore di antrace e di additivi chimici vari contaminò tutta l’area intorno all’impianto e alla città causando oltre sessanta morti.


1 Documents Relatifs au Procès, op. cit., pp. 35-36.


2 Sheldon H. Harris, Factories of Death, op. cit., p. 228.


3 Daniel Barenblatt, I Medici del Sol Levante, op. cit., pp. 284-285.


4 Per un maggiore approfondimento consultare: Ken Alibek, Stephen Handelman, Biohazard: The Chilling True Story of the Largest Covert Biological Weapons Program in the World–Told from Inside by the Man Who Ran It, Random House, 1999, pp. 70-86 e Joshua Lederberg, Biological Weapons: Limiting the Threat, Belfer Center for Science and International Affair, Cambridge 1999, pp. 193-209.

CONTINUA....

STORIA DELLE GUERRE BATTERIOLOGICHE: DALLA SECONDA GUERRA MONDIALE AL CORONAVIRUS II Parte

Le altre fabbriche della morte

...I metodi di diffusione delle malattie non avvenivano solo attraverso i lanci aerei. Tecnici e scienziati dello staff di Ishii distribuivano materiali e cibi contaminati nei villaggi. Furono usate anche false vaccinazioni come metodo di contagio. Nel 1940, nei dintorni di Changchun vennero diffusi i batteri del colera.A questo punto Ishii Shiro organizzò una campagna di immunizzazione, ma i vaccini, forniti dalle Unità nipponiche, erano costituiti da batteri vivi e attivi del colera...

Risultato immagini per rischio biologico



Mappa della dislocazione delle maggiori Unità giapponesi per la sperimentazione di armi biologiche.

Come è già stato detto, Pingfan era il quartier generale di un’enorme struttura di sperimentazione per lo sviluppo di armi biologiche che comprendeva varie filiali in Cina e nelle altre zone del Sud-Est Asiatico sotto il controllo nipponico. Con le ingenti somme messe a disposizione dal governo, Ishii assicurò la creazione di molte basi satellite dove lavorarono centinaia di medici giapponesi e dove veniva addestrato il personale per compiere i test sugli uomini. In ogni fabbrica della morte venivano prodotti in quantità germi, batteri, virus e tossine necessari alla contaminazione di vaste aree di territorio.



L’Unità Songo (Unità 673) presso Sunyu era specializzata nelle ricerche sulle cause delle febbri emorragiche e sulla peste bubbonica. Molti roditori selvatici vennero catturati in Manciuria, allevati e infettati con le pulci appestate e coltivate nei laboratori. Questi ratti vennero utilizzati nelle successive sperimentazioni e operazioni di guerra biologica. L’Unità 673 si occupò anche di molti test umani sul congelamento. Altre basi più piccole erano situate ad Hailaer (Unità 543), vicino alla frontiera con l’URSS, e in altre zone remote della Manciuria. A Dalian nella provincia del Liaodong, sorse l’Istituto sanitario delle ferrovie della Manciuria del Sud dove venivano prodotte enormi quantità di vaccini per l’immunizzazione delle truppe dell’Armata Imperiale. Distaccamenti urbani dell’Unità 731 sorsero ad Haerbin, a Shenyang, dove venivano studiati i microrganismi letali e le sostanza chimiche tossiche da utilizzare in un eventuale scontro con l’Unione Sovietica.

A Changchun si stabilì l’Unità 100, detta anche Unità Wakamatsu (il veterinario Wakamatsu Yujiro fu a capo del centro di sperimentazione dal 1936 al 1945) o Unità amministrativa per la protezione anti-epizootica equina dell’Armata del Kwantung. Venivano portati avanti gli esperimenti sulle armi biologiche contro animali, piante e raccolti. L’Unità si estendeva per una superficie di quasi venti chilometri quadrati che comprendeva, oltre ai vari laboratori, estesi terreni coltivati dove venivano sperimentate sostanze chimiche, batteri e funghi per la distruzione e la contaminazione dei raccolti di grano e riso. Sviluppò anche numerosi progetti di contaminazione del bestiame da spingere dietro le linee sovietiche.
Agli ordini di Wakamatsu c’erano ottocento fra scienziati e soldati; gli edifici dell’Unità di Changchun erano numerosi e, come a Pingfan, la sede amministrativa, le prigioni e i laboratori erano accorpati e vi si accedeva tramite tunnel sotterranei segreti.

Le malattie trasmissibili dal contatto con gli equini furono le più studiate, come morva, l’anemia infettiva equina (malattia che distrugge il sistema immunitario) e la pirosplasmosi (infezione dei globuli rossi trasmessa dalle zecche). I tecnici di questa Unità concentrarono i loro esperimenti principalmente sui microrganismi trasmissibili da animale a uomo o sui microrganismi capaci di contaminare le risorse umane come i raccolti e le falde acquifere: svilupparono approfonditi studi ed esperimenti sul virus del mosaico, della ruggine rossa, su diserbanti chimici in modo da devastare interi raccolti; agenti patogeni vennero coltivati in laboratorio per trovare il modo più rapido ed efficace per sterminare mandrie di bestiame.
I pazienti dell’equipe di Wakamatsu ricevettero lo stesso trattamento che l’Unità 731 riservava ai suoi maruta: microrganismi e sostanze letali furono testati su centinaia di uomini, poi dissezionati per seguire gli sviluppi della malattia sperimentata. Le autopsie e le vivisezioni venivano condotte con un’estrema meticolosità come dimostrano due spessi rapporti che i giapponesi, al momento della resa nell’agosto del 1945, non riuscirono a distruggere. Il Rapporto G, costituito da 372 pagine, descrive ventuno casi di morva con numerose illustrazioni e centinaia di fotografie delle cellule malate. Il Rapporto A, 406 pagine, riporta le annotazione sulle vivisezioni di trenta persone infettate con l’antrace e il modo in cui nove prigionieri furono costretti a contrarre l’infezione intestinale dell’antrace mangiando cibo contaminato. Tutti i pazienti morirono in pochi giorni per emorragie interne e dopo un’atroce agonia.

Anche l’Unità 100 sviluppò alcune basi satellite in Manciuria che lavoravano in collaborazione con gli scienziati di Wakamatsu.
Il 18 aprile 1939 Ishii diede ordine di creare, nella città di Nanjing, l’Unità 1644 distaccamento dell’Unità antiepidemica per l’approvvigionamento idrico della Cina centrale, detta anche Unità Tama, e ne affidò la gestione al microbiologo Masuda Tomosada. Un ricercatore assegnato all’Unità di Nanjing rimasto anonimo scrisse che nel luglio 1942 fui trasferito in Cina e il mese seguente assegnato all’Unità 1644 di Nanjing. Attrezzature e tecnici furono trasferiti da Haerbin. La struttura era buona; avevamo persino una piscina. Sotto il regime di Chiang Kai-shek [JiangJieshi], la struttura era in origine un ospedale civile. La parte anteriore del complesso ospedaliero si estendeva per duecento metri, isolata da alte mura difese da guardie. La struttura si sviluppava per settecento metri al di là di questo muro e c’era una grande croce rossa sul tetto dell’edificio principale. […] Le persone che lavorarono nell’Unità erano medici militari, medici specialisti, interpreti e dipendenti civili.
La nostra attività includeva lo sviluppo di vaccini preventivi, curare gli animali e prelevare sangue animale per la ricerca e la produzione di vaccini. Io fui assegnato al team che si occupava dei vaccini. Eravamo in centoventi, circa il dieci percento degli effettivi dell’Unità. Ogni giorno, io dovevo dare informazioni sul lavoro svolto il giorno precedente, incluso quale medico militare aveva effettuato quel lavoro, quali risultati si erano ottenuti e così via. Avevo il compito di scrivere tutti i dettagli in un rapporto di ricerca, poi ponevo il timbro sopra, «segreto», e lo mettevo al sicuro. Ogni persona collegata con gli esperimenti umani indossava uno speciale bottone al lato del suo cappello. I maruta erano tenuti in celle all’ultimo piano di un edificio a tre piani.
Si doveva passare attraverso gli uffici amministrativi per andare al terzo piano, dove erano le celle. L’area dei prigionieri era chiusa ermeticamente da una porta. Un metro prima di questa e di là da essa c’erano due tappetini pregni di materiale disinfettante per prevenire che i batteri potessero uscire restando attaccati alle scarpe. Dietro la porte, la stanza era di circa 10-15 metri quadrati con le celle tutte in fila. La maggior parte dei maruta nelle celle erano distesi a terra. Nella stessa stanza c’erano contenitori d’olio con topi infettati con i batteri della peste e pulci che si nutrivano sui topi. Non erano il tipo usuale di pulci, ma di una varietà trasparente. Intorno al perimetro della stanza c’era un solco largo trenta centimetri in cui scorreva l’acqua.
Vicino alla stanza per le dissezioni c’era la stanza dei campioni sperimentali umani.

I laboratori di batteriologia dell’Unità 1644 erano stati progettati in particolar modo per la messa a coltura di virus e batteri letali da utilizzare nelle azioni di guerra biologica. In un solo ciclo di produzione e utilizzando le duecento incubatrici che possedeva l’Unità, si potevano produrre fino a dieci chilogrammi di microrganismi. Gli scienziati di Nanjing somministrarono a civili cinesi una vasta varietà di sostanze chimiche tossiche e veleni come acetone, arsenicanti, cianuro, nitrito prussico, veleno del cobra, habu, amagasa e il veleno contenuto nella carne del pesce palla (fogu).
La posizione strategica di Nanjing rese l’Unità 1644 il punto di partenza delle varie missioni di sperimentazione e attuazione di guerra biologica nella Cina centrale.

Presso Anda, a circa 120 chilometri a nord-ovest di Pingfan, si stabilì un terreno di sperimentazione a cielo aperto in cui vennero effettuati test di bombe biologiche e batteriologiche, usando gli agenti patogeni di colera, peste bubbonica e altri microrganismi letali. Per queste particolari prove venivano utilizzati dai dieci ai cinquanta individui legati a dei pali e generalmente disposti in più circoli di diverso diametro, per poter stabilire la giusta distanza dal punto della deflagrazione alla persona che veniva colpita dalle schegge contaminate dell’ordigno. Le cavie erano protette da un elmetto e da un piatto di metallo che copriva il collo e tutto il busto. In questo modo, erano solamente gli arti esposti ad essere colpiti, evitando così che gli organi vitali dei maruta venissero mortalmente lesionati.
Il coreano Choi Hyung Shin lavorò come interprete per i giapponesi nell’Unità 1855 di Beijing dal 1942 al 1943 e testimoniò che le cavie venivano infettate con la peste, il colera ed il tifo. Coloro che non erano stati ancora infettati venivano messi in differenti zone. C’erano grandi specchi nelle celle dei soggetti così da poter essere osservati in maniera migliore. Io parlavo con i prigionieri usando un microfono e guardandoli attraverso un pannello di vetro, traducendo le domande dei dottori: “hai la diarrea? hai emicranie? hai freddo?”. I dottori registravano attentamente tutte le risposte.
Durante un esperimento sul tifo, dieci persone furono costrette a bere una mistura di germi e a cinque di loro fu somministrato il vaccino. I due gruppi furono separati l’uno dall’altro. I dottori li visitavano attentamente e ponevano loro domande che io traducevo, registrando le risposte. Il vaccino funzionò con i cinque che erano stati immunizzati. Gli altri cinque soffrirono orribilmente.
Nei test con la peste, i prigionieri soffrirono di feroci brividi, di febbre alta e gemevano per i dolori, finché non morirono. Per quello che ho potuto vedere, ogni giorno una persona veniva uccisa.
Choi si ammalò di appendicite e ne approfittò per fuggire dall’Unità 1855, in cui era stato costretto a lavorare. Fu catturato dal Kempeitai e sottoposto alla tortura dell’acqua5 mista a peperoncino che gli causò un danno permanente ai polmoni. Per cinquanta anni è stato costretto a continui ricoveri ospedalieri.
Molte altre ancora furono le fabbriche della morte e tutte lavorarono su soggetti umani, al di là di ogni morale scientifica e umana.

Principali fabbriche della morte giapponesi in Asia 

Unità giapponesi di sviluppo e sperimentazione della guerra biologica


Pingfan 

Unità 731 o Unità Ishii


Nanjing 

Unità 1644 o Unità Tama


Beijing 

Unità 1855


Changchun 

Unità 100 o Unità Wakamatsu


Sunyu 

Unità 673 o Unità Songo


Beiyinhe 

Unità Togo


Hailaer 

Unità 543


Dalian 

Istituto sanitario delle ferrovie della Manciuria del Sud


Haerbin 

Distaccamento dell’Unità 731


Shenyang 

Distaccamento dell’Unità 731


Anda 

Distaccamento dell’Unità 731


Shanghai 

nome sconosciuto


Guangzhou 

Unità 8604 o Unità Nami


Singapore 

Unità 9420 o Unità Oka


Burma 

nome sconosciuto


Rangoon 

nome sconosciuto


Bangkok 

nome sconosciuto


Manila 

nome sconosciuto



1 Daniel Barenblatt, I Medici del Sol Levante, op. cit., p. 164.


2 Sheldon H. Harris, Factories of Death, op. cit., p. 94.


3 Hal Gold, Unit 731 Testimony, op. cit., pp. 150-152.


4 Hal Gold, Unit 731 Testimony, op. cit., pp. 52-53.


5 Nella bocca e nelle narici della vittima veniva pompata dell’acqua nei polmoni finché il torturato non perdeva i sensi.

Le bombe vive

“Queste spaventose applicazioni belliche sono opera di medici che dovrebbero proteggere l’umanità dal dolore e dalla malattia”

Franco Graziosi

Tutti gli scienziati e tecnici delle Unità di Ishii lavorarono febbrilmente alla produzione su larga scala di potenti e letali microrganismi biologici e batteriologici da impiegare negli attacchi contro il nemico. Per poter disseminare gli agenti patogeni su vaste aree si progettarono e realizzarono moltissimi mezzi di dispersione, ma soprattutto vi era il continuo bisogno di coltivare gigantesche quantità di batteri e virus sufficienti a provocare un’epidemia.
All’inizio si cercò di costruire proiettili esplosivi con ogive piene di agenti letali, ma, fin da subito, si rivelarono totalmente inefficaci: la detonazione uccideva i microrganismi impiegati o li rendeva innocui. Questo tipo di armi fu scartato e si cercò di produrre bombe specifiche che non annientassero il loro contenuto letale e, allo stesso tempo, adatte alla disseminazione su un vasto territorio.
La bomba HA fu progettata per disperdere, da alte quote e su un’ampia area, l’antrace sotto forma di spore o di batteri polverizzati. La forma era quella di una pallottola costituita da sottile acciaio e il suo scopo era quello di provocare ferite con schegge infette.
Le bombe Uji e le varianti Uji modello 50, realizzate per veicolare qualsiasi tipo di microrganismo, furono testate presso la pista aerea di Pingfan e di Anda su centinaia di prigionieri: le bombe risultarono inefficaci, la detonazione necessaria a spaccare l’acciaio annullava la letalità dei microrganismi. Venne progettata un’altra variante della bomba Uji, ma questa volta con pareti di ceramica con all’interno sei litri di liquido micidiale. Il sottotenente Segochi Kenichi, assistente della Divisione per la Produzione e la Fabbricazione dell’Unità 731, descrisse il tipo di bomba: “le bombe erano lunghe fra i 70 e gli 80 centimetri, per un diametro di circa 20. Sul fondo c’era un’apertura filettata. Le bombe erano cave all’interno, dove veniva inserita una spoletta a tempo. Sulla superficie del proiettile venivano fatte scanalature a zig-zag, mentre nella parte superiore venivano sistemati gli attacchi per lo stabilizzatore. Nelle scanalature veniva applicato l’esplosivo, che serviva a far deflagrare le bombe. Lanciate dagli aerei, queste dovevano esplodere prima dell’impatto al suolo”. Nei proiettili venivano inserite delle palle di porcellana al cui interno erano immesse, per esempio, pulci dell’uomo veicolanti peste bubbonica, precedentemente coltivate e selezionate nei laboratori dell’edificio 7 dell’Unità 731. Una volta rotti i contenitori, le pulci si spostavano e infettavano la persone.
Si cercò anche di trovare alcuni metodi per disperdere batteri sotto forma di aerosol, delle vere e proprie nubi micidiali, ma i tecnici giapponesi ritennero questo sistema poco affidabile.
L’Unità 731 ideò anche le cosiddette bombe Madri e Figlie: la Madre controllava, con un radiocomando incorporato, l’esplosione delle Figlie, contenenti gli agenti microbiologici immersi in un liquido che si sarebbe diffuso al suolo. Oltre ad essere un sistema di attacco particolarmente costoso, non diede mai i risultati sperati. Per questo il progetto fu abbandonato.
Le bombe con le pareti di ceramica si rivelarono, dopo innumerevoli esperimenti sui soggetti cinesi, il sistema di diffusione per le epidemie più efficace e divenne quello maggiormente utilizzato.
La prima offensiva in cui fu impegnata l’Unità 731 fu nell’estate del 1939. Durante un attacco proditorio alle truppe sovietiche e mongole a Nomonhan, lungo i confini sino-sovietici. Dopo essere stati trasportati su camion all’interno di bidoni metallici, vennero gettati batteri del tifo in un fiume che scendeva nei pressi degli accampamenti nemici. Oltre quaranta membri dell’Unità giapponese contrassero il virus della febbre tifoide. Non si fece particolarmente attenzione alle necessarie misure di sicurezza da adottare durante simili trasporti eccezionali e si trascurò persino il fatto che i microrganismi del tifo non potessero sopravvivere nella corrente gelata del fiume. Proprio per questo, sorge il sospetto che Ishii stesse solamente tentando di dare maggior prestigio al proprio programma e di aumentare i fondi ad esso destinati, anche perché nessuno aveva avuto modo di constatare gli esiti dell’attacco. L’Unità 731 ricevette un premio, sebbene l’offensiva biologica si fosse dimostrata un totale fallimento, per aver contribuito con una “decisiva operazione tattica2”. Nel 1940, l’imperatore Hirohito autorizzò con un decreto un aumento nel numero dei ricercatori e delle strutture; l’aumento del territorio sotto il comando diretto di Ishii Shiro; l’apertura di nuovi centri scientifici in Manciuria; l’aumento di tremila tecnici al personale di stanza a Pingfan.
Nello stesso anno in cui Hirohito favorì un ulteriore sviluppo economico e strutturale delle ricerche scientifiche per la costruzione di armi di distruzione di massa, l’Unità per la Purificazione dell’Acqua di Pingfan sperimentò un nuovo attacco di guerra batteriologica, questa volta sulla popolazione civile di Ningbo, nella provincia dello Zhejiang. Nel maggio del 1940, un aereo carico di 70 chili di batteri del tifo, 50 chili di batteri del colera e milioni e milioni di pulci veicolanti la peste bubbonica, partì dalla città di Hangzhou. Scopo della missione era disperdere le pulci nei campi e nei pozzi idrici di Ningbo in modo da far ammalare il maggior numero di individui e ridurre in estrema povertà e degrado i pochi sopravvissuti che sarebbero rimasti. Gli attacchi batteriologici, compiuti in questa città, furono effettuati con differenti metodi: chicchi di grano cosparsi con batteri della peste e cotone contaminato furono gettati da aerei a bassa quota oppure vennero semplicemente liberate delle pulci. Nella stessa Ningbo, i pozzi vennero avvelenati con batteri che potevano vivere nell’acqua quali tifo e colera. Lo staff del programma di guerra biologica studiò, in loco,gli effetti degli attacchi, facendo particolare attenzione alla misure sanitarie che sarebbero state adottate per circoscrivere le epidemie e, soprattutto, se le unità antiepidemiche cinesi fossero state in grado di capire che le epidemie erano state causate artificialmente dei giapponesi. Il tenente colonnello Nishi Toshihide confessò nel 1949:
“vidi un documentario sulla spedizione del Distaccamento 731 nella Cina centrale nel 1940. All’inizio le immagini mostravano un contenitore pieno di pulci infette della peste che veniva attaccato alla fusoliera di un aereo. Poi furono illustrati l’apparato diffusore e le procedure per attaccarlo alle ali dell’aereo. Apparve poi una didascalia che spiegava che l’apparecchiatura era carica di pulci infette. Dopodiché, quattro o cinque persone salirono sull’aereo, ma non saprei dire chi fossero. L’apparecchio decollò, e un’altra didascalia spiegò che stava volando verso il territorio nemico. La scena seguente lo mostrava in volo sopra le linee nemiche, poi si susseguirono immagini dell’aereo, delle truppe cinesi in movimento e dei villaggi. Dalle ali dell’aereo si vide uscire una nuvola di fumo, ma la didascalia chiarì che si trattava delle pulci che venivano disperse sul nemico. Poi l’apparecchio tornò alla base, e un’altra didascalia annunciava: «Operazione conclusa». L’aereo atterrò, una squadra di tecnici della disinfestazione lo mise in sicurezza. Quindi scesero i passeggeri: il primo fu il generale di divisione Ishii Shiro, seguito dal maggiore Ikari. Chi fossero gli altri, non saprei proprio dirlo. Questa scena fu seguita da un’altra didascalia: «Risultati», e fu mostrato un giornale cinese con la traduzione in giapponese. Il testo spiegava che una grave epidemia di peste era scoppiata nella zona di Ningbo. L’ultima inquadratura ritraeva alcuni operai cinesi in tuta bianca mentre disinfettavano la zona colpita dalla peste. Grazie a questo filmato, appresi, in modo piuttosto chiaro, che sulla regione di Ningbo erano state utilizzate armi biologiche”.
I microrganismi lanciati su Ningbo erano così violenti, essendo stati precedentemente coltivati nei boilers umani, che provocarono la morte al 99% dei contagiati. I batteri vennero dispersi anche nella città di Quzhou, provincia dello Zhejiang. Nel mese di novembre, il morbo si diffuse nella vicina città di Yiwu. A Jinhua furono dispersi strani granuli giallognoli, ma non si verificò alcuna epidemia. Focolai di tifo si verificarono a Tangxi, villaggio nei pressi di Quzhou, dovuti all’inquinamento delle pozze acquifere da parte dei nipponici.
Il 4 novembre 1941, un solo aereo dell’Unità 731 lanciò sopra i cieli di Changde, provincia dell’Hunan, grano, riso, cotone e pezzi di carta intrisi di batteri della peste e trentasei chilogrammi di pulci. La missione fu guidata dal colonnello Ota Kiyoshi, che già aveva condotto simili esperimenti su persone legate ai pali nel campo di Anda. Dopo pochi giorni dall’attacco, alcuni abitanti della città morirono colpiti dalla “Morte Nera”. Una missione della Croce Rossa cinese, basandosi sulle analisi del sangue e sullo studio di alcuni animali morti, concluse che la peste era stata provocata dall’attacco giapponese. L’epidemia si propagò ben presto in tutta la città e in centinaia di piccoli villaggi limitrofi causando, in base ad una ricerca molto accurata compiuta negli anni Novanta e durata sette anni, 7643 morti. Nell’aprile del 1942, il governo cinese formulò la prima accusa contro il Giappone, additandolo come l’unico responsabile delle epidemie di peste e tifo che stavano esplodendo in almeno tredici città della Cina centrale e denunciando il programma di sviluppo di armamento biologico e batteriologico nipponico.

I metodi di diffusione delle malattie non avvenivano solo attraverso i lanci aerei. Tecnici e scienziati dello staff di Ishii distribuivano materiali e cibi contaminati nei villaggi. Furono usate anche false vaccinazioni come metodo di contagio. Nel 1940, nei dintorni di Changchun vennero diffusi i batteri del colera. A questo punto Ishii Shiro organizzò una campagna di immunizzazione, ma i vaccini, forniti dalle Unità nipponiche, erano costituiti da batteri vivi e attivi del colera. Un veterano del Distaccamento 731, Shinohara Tsuro, raccontò che, mentre era impegnato in operazioni di guerra biologica in un piccolo paesino della Manciuria centrale, il suo istruttore capo e la sua equipe “portarono i batteri della peste ed eseguirono i test. Il metodo prevedeva che gli agenti patogeni fossero iniettati in dolciumi da avvolgere nella carta. Gli uomini dell’Unità 731 andarono in una zona dove alcuni bambini stavano giocando e cominciarono a mangiare dolci simili a quelli infetti. Due o tre giorni dopo, la squadra tornò in paese per indagare, e riferì casi di peste”.
Fra il 1939 e il 1940, si svilupparono molti focolai di colera nelle zone intorno ad Haerbin. In ogni caso, i tecnici di Ishii, dopo aver compiuto le necessarie osservazioni, segnalavano sempre nuovi e migliori metodi per i futuri attacchi.

Il 22 giugno 1941, il Fuhrer tedesco Adolf Hitler diede il via all’Operazione Barbarossa, con la quale la Germania dava inizio alla campagna militare contro il fronte orientale, attaccando l’Unione Sovietica. Il Capo di Stato Maggiore nipponico diede ordine alle varie Unità per la Purificazione dell’Acqua di aumentare sensibilmente la produzione di agenti biologici da impiegare in attacchi mirati lungo le frontiere sino-sovietiche a sostegno delle normali azioni armate convenzionali. Secondo le testimonianze rese durante il Processo di Khabarovsk, il Giappone voleva utilizzare armi biologiche contro le città sovietiche di Khabarovsk, Cita, Voroshilov e Blagoveschensk. Molti attacchi sperimentali furono compiuti dalle Unità di Ishii, ma non è tuttora chiaro quali ne siano stati gli esiti. E’ certo comunque che i giapponesi utilizzarono bacilli dell’antrace per contaminare il terreno e le riserve d’acqua, la morva venne utilizzata per infettare animali da pascolo e gettata in alcuni corsi d’acqua lungo il fiume Derbul, che scorre lungo la frontiera russo-mancese. L’Unità 100 a Changchun, nel marzo del 1944, aveva prodotto 200 chili di bacilli di antrace, 100 di morva e 30 chili di funghi della ruggine nera, un parassita che attacca il grano.

Nel 1942, l’armata imperiale nipponica avanzò nella provincia dello Zhejiang. Gli attacchi di guerra biologica in questa provincia avevano lo scopo di estendere il controllo giapponese in maniera più rapida ed efficace, oltre a rappresentare un buon terreno di prova per le nuove armi. Il generale Kiyoshi Kawashima testimoniò che “Ishii Shiro riunì il personale dirigente del Distaccamento 731 e lo informò che, a breve, sarebbe stata organizzata una spedizione nella Cina centrale, con l’obiettivo di studiare i migliori metodi per il dispiegamento delle armi biologiche. […] Fu emesso un ordine che distaccava un gruppo scelto in Cina centrale. […] Il gruppo doveva comprendere fra i cento e i trecento uomini. Si decise di utilizzare peste, colera e paratifo. […] Le azioni di guerra biologica si svolsero alla fine dell’agosto del 1942. Questo corpo di spedizione dell’Unità 731 operò nel territorio del Distaccamento Ei [Unità 1644 a Nanjing] dove aveva stabilito le proprie basi logistiche”. Una delle prime città ad essere colpite durante questi nuovi attacchi fu Fuxing, al confine tra le province delle Zhejiang e Jiangxi. Piume di uccelli ricoperte dai batteri dell’antrace furono disseminate sulla città e vennero utilizzati uccelli vivi cosparsi d’antrace con la speranza che questi facessero cadere le loro piume sulla popolazione, infettandola. Le piume risultarono un buon sistema di diffusione dell’antrace, in quanto riproducono l’habitat ideale nel quale possono sopravvivere i batteri, al riparo dai vari agenti atmosferici. Batteri della peste bubbonica furono disseminati sul piccolo paesino di Shangrao. Come vettore si utilizzò cibo infetto o animali. Nel settembre 1942, toccò alla città di Chongshan di essere colpita dalla Yersinia pestis, e un terzo della popolazione morì del terribile morbo. Wang Lijun, in una testimonianza scritta al processo intentato contro il Giappone, nel 1997, da alcuni parenti delle vittime cinesi degli esperimenti nipponici, per ottenere un risarcimento e il giusto riconoscimento della tragedia subita, descrisse la sua esperienza:

nel 1942, quando avevo dieci anni, all’improvviso la peste diventò molto diffusa, per via dei germi che il crudele esercito giapponese aveva sparso sopra al villaggio. Tutti i malati mostravano gli stessi sintomi: febbre alta, atroce mal di testa, sensazione di sete e ghiandole linfatiche gonfie. In appena un paio di mesi un terzo degli abitanti, ossia oltre quattrocento persone, furono uccisi dalla peste. […] Quando il villaggio era pieno di persone malate, arrivarono i soldati giapponesi in camice bianco e maschere antigas. Obbligarono gli abitanti a riunirsi in una piazza in fondo al villaggio, poi esaminarono tutti e somministrarono iniezioni di farmaci ignoti.
I medici giapponesi confinarono i pazienti nella parte più lontana delle case. Comunque, non curarono i malati, ma li trattarono in modo orribile. Una ragazza di nome Wu Xiaonai fu sezionata e le furono tolti gli organi interni mentre era ancora viva, un’azione veramente diabolica. […] Inoltre, quando si seppellivano i cadaveri, spesso ai corpi mancavano le braccia o le gambe. Fino ad allora non avevamo mai avuto ammalati di peste, né in paese né nei dintorni. E’accertato che quel tragico incidente fu provocato dalle armi biologiche dell’esercito giapponese. Non solo diffusero la peste, ma vivisezionarono le persone come fossero animali”.

Da questa testimonianza si può ben capire come i tecnici di Ishii operassero test ed esperimenti direttamente sul campo e non più solamente all’interno delle varie Unità sparse per il territorio cinese. Dopo che l’epidemia a Chongshan raggiunse livelli stabili, i giapponesi tornarono per dare fuoco al villaggio, in modo da circoscrivere la malattia ed evitare che le truppe nipponiche, accampate nei pressi del paesino, fossero anch’esse contagiate. Gli abitanti ancora malati furono trascinati a forza fuori dalle loro case e vivisezionati nei campi.

Sempre nel 1942, con un’azione combinata di membri dell’Unità 731 e 1644, la città di Baoshan nella provincia dello Yunnan fu bombardata con il colera. L’obiettivo era quello di tagliare fuori le vie di comunicazione degli alleati che attraverso la Birmania passavano per Kunming per poi collegarsi con Chongqing, capitale della Cina Nazionalista.
Bombe al colera, insieme alla contaminazione delle riserve idriche, fecero scoppiare nell’aprile del 1942, nell’intera provincia dello Yunnan, un’epidemia di enormi proporzioni. Il pericolo di essere contagiati era talmente alto da non permettere alle truppe cinesi di raggiungere la provincia meridionale. Ishii e i suoi tecnici avevano raggiunto un risultato strategico importantissimo in quanto diedero la possibilità all’armata giapponese di lasciare sguarnita la provincia dello Yunnan per andare a rinforzare altri fronti.
Venne creata un’apposita Unità, detta 113, addestrata nell’utilizzo delle armi biologiche. Cominciò con il contaminare varie riserve idriche lungo il confine tra Yunnan e Birmania per poi spostarsi verso Baoshan dove si unì ad altri gruppi di tecnici delle Unità 1644 e 8604 (o Unità Nami con base a Guangzhou). Le tre Unità continuarono il loro lavoro di contaminazione a Baoshan, rilasciando enormi quantità di germi del colera nelle fonti d’acqua. Il 4 maggio 1942, cinquanta bombardieri nipponici sganciarono sulla città bombe convenzionali, bombe incendiarie e bombe biologiche di ceramica dette bombe Yagi o bombe larva, che, all’impatto con il suolo, liberavano una gelatina batterica piena di mosche vive che si posavano su persone, animali, cibo, acqua e utensili, depositando larve letali piene del vibrione del colera. I pochi sopravvissuti abbandonarono la città riversandosi nelle campagne circostanti, portando con loro la terribile malattia. Il 5, 6 e 8 maggio aerei giapponesi continuarono a bombardare con armi convenzionali la città ormai in macerie e quasi completamente sfollata. Lo scopo di questi attacchi, apparentemente senza senso, era quello di far fuggire i pochi abitanti rimasti e favorire l’effetto degli attacchi biologici: gli abitanti di Baoshan si erano inconsapevolmente trasformati in involucri di bombe biologiche. Molti furono anche coloro che si avventurarono nelle macerie della città in cerca di oggetti abbandonati da riportare nei loro villaggi: anche loro si trasformarono in veicoli della malattia.
Fino ad allora, non vi era mai stata notizia nello Yunnan di un’epidemia di colera, ma, nel giugno del 1942, la malattia si era diffusa in 66 contee su 108. In base ad uno studio di ricercatori cinesi compiuto nel 1999 “possiamo desumere che il numero totale delle vittime delle epidemie di colera provocate dai giapponesi nello Yunnan possa superare i 210.000 individui”.

Nell’agosto del 1943, toccò alla provincia dello Shandong essere attaccata con il colera. Anche in questo caso la combinazione di attacchi convenzionali e bombe biologiche creò una numerosa massa di individui-vettori che si spostarono per i vari villaggi della provincia. Il numero delle vittime anche in questo caso fu enorme: l’epidemia devastò dodici contee nello Shandong, nove nell’Hebei e due nell’Henan causando almeno 200.000 morti. Con questa feroce campagna di annientamento, i giapponesi erano riusciti a bloccare temporaneamente l’avanzata delle forze comuniste in quelle regioni.

Il 9 agosto del 1945, l’Unione Sovietica denunciò il patto di non aggressione con il Giappone (firmato il 13 aprile 1941) e invase la Manciuria. L’Unità 100 iniziò ad evacuare il suo quartier generale a Changchun, distruggendo tutti le sue strutture e uccidendo gli operai che lavoravano all’interno del campo e i prigionieri ancora in vita con iniezioni al cianuro. Il 20 agosto, dopo che l’imperatore Hirohito, il 15, aveva annunciato la resa del Giappone, vennero liberati migliaia di ratti appestati e dalle scuderie dell’Unità 100, sessanta cavalli a cui era stata fatta mangiare avena infetta con la morva. Epidemie di peste bubbonica scoppiarono dal 1946 e per alcuni anni seguenti nella zona limitrofa a Changchun; una volta che i germi vengono dispersi, se incontrano situazioni ottimali, possono proliferare e riprodursi per decenni. Tutte le varie Unità di sperimentazione distrussero le strutture e la documentazione relativa agli studi scientifici effettuati; tutti le cavie-testimoni furono uccise con iniezione letali o fucilate.


1 Documents Relatifs au Procès, op. cit..


2 James Yin, The Rape of Biological Warfare, op. cit., p. 167.


3 Documents Relatifs au Procès, op. cit., pp. 287-288.


4 Daniel Barenblatt, I Medici del Sol Levante, op. cit., p. 197.


5 Documents Relatifs au Procès, op. cit., pp. 261-262.


6 Keichiro Ichinose, Hidden Holocaust in the World War II by Japanese Army, Tokyo 1998, pp. 158-163.


7 Daniel Barenblatt, I Medici del Sol Levante, op. cit., p. 224.

CONTINUA....