venerdì 14 febbraio 2020

STORIA DELLE GUERRE BATTERIOLOGICHE: DALLA SECONDA GUERRA MONDIALE AL CORONAVIRUS I PARTE

LE ARMI INVISIBILI

Risultato immagini per rischio biologico

INTRODUZIONE


La guerra biologica ha una lunga storia alle sue spalle, soprattutto ha lasciato dietro di sé numerosissime vittime. Per guerra biologica si intende l’uso di malattie infettive e altamente contagiose per uccidere o ferire il nemico e la popolazione civile. Le malattie sono diffuse tramite virus, batteri ed ogni sostanza viva e attiva prodotta da un microrganismo come spore o tossine. Questi microrganismi possono essere diffusi attraverso testate missilistiche, bombe, cosparsi in forma di aerosol oppure dispersi nelle risorse umane primarie, come cibo e acqua.



L’uso delle armi biologiche è d’estrema efficacia per la sua terribile letalità: un milionesimo di grammo di antrace costituisce una dose letale per l’uomo, un chilogrammo, potenzialmente, potrebbe uccidere centinaia di migliaia di persone in un’area metropolitana. Altro enorme e assolutamente non trascurabile vantaggio della guerra biologica è il suo bassissimo costo: colpire un chilometro quadrato di territorio con armi convenzionali costerebbe oltre i 2000 euro, 800 euro con armi nucleari, 600 con quelle chimiche, ma appena un euro usando agenti biologici, la cui produzione è agevole a qualsiasi nazione con un’industria farmaceutica e una ricerca medica relativamente avanzata; la messa a coltura di agenti patogeni è rapidissima: in alcuni giorni, partendo da un solo batterio, se ne possono ottenere a tonnellate.

L’effetto delle armi convenzionali, nella maggior parte dei casi, termina dopo la loro esplosione; le armi biologiche invece trasformano ogni contagiato in una bomba viva, sebbene l’impiego di determinati microrganismi richieda specifiche condizioni ambientali che ne consentano e favoriscano la sopravvivenza, ma soprattutto la diffusione. Un attacco biologico riuscito provoca uno spontaneo diffondersi dell’epidemia che, in assenza di adeguate contromisure sanitarie, tende a propagarsi in maniera esponenziale senza intaccare il potenziale economico del territorio colpito, lasciando intatte le infrastrutture e colpendo solamente l’ambiente umano.



La Direzione Generale della Prevenzione del Ministero della Salute ha considerato agenti biologici ad alta priorità (categoria A) i microrganismi del vaiolo (Variola major), dell’antrace o carbonchio (Bacillus anthracis), della peste (Yersina pestis), del botulino (tossina di Clostridium botulinum) e dei virus di febbri emorragiche. Tutti questi virus e batteri rappresentano seri rischi per la sicurezza nazionale perché possono essere disseminati agevolmente e trasmessi da persona a persona;
causano alta morbosità e mortalità, con il rischio di un gravissimo impatto sulla sanità pubblica;
possono provocare panico e perturbamento sociale;
richiedono azioni speciali per la preparazione della sanità pubblica (1).

Altre malattie infettive e agenti patogeni utilizzati negli attacchi biologici sono il colera, la dissenteria, organismi rickettsiali (simili ai virus, ma di dimensioni più ridotte) come il tifo, la brucellosi, tularemia, cancrena gassosa ed altri ancora.

Uno dei primi usi documentati di guerra biologica avvenne nel 1346 nel presidio genovese di Caffa ad opera delle truppe tartare che catapultarono all’interno della città assediata cadaveri di appestati. Le navi in fuga e di ritorno a Genova portarono con loro il batterio della peste bubbonica che, secondo alcuni storici, da lì a cinque anni propagò la “Morte Nera” in Europa mietendo circa venticinque milioni di individui. Alcuni secoli dopo, nel 1763, durante la Guerra dei Sette Anni il governatore generale inglese delle colonie nordamericane, Sir Jeffrey Amherst (a cui fu intitolata anche un’università e una città), diede ordine di distribuire alle tribù indiane della Pennsylvania e dell’Ohio, sospettate di fiancheggiare i francesi, coperte intrise di germi prelevate dagli ospedali dove venivano curati i malati di vaiolo. In poco tempo questa terribile malattia decimò le forze indigene. Durante la Prima Guerra Mondiale, la Germania Guglielmina diede il via ad un programma di guerra biologica con l’intento d’infettare con antrace e morva il bestiame e gli animali da macello destinati alle forze alleate.

Dopo gli orrori generati dall’uso delle armi chimiche e tossiche durante la Prima Guerra Mondiale, si sentì il bisogno di limitare la prolificazione di tali armi di distruzione di massa. L’utilizzo di agenti biologici e batteriologici come arma di offesa fu vietato dal Protocollo di Ginevra del 1925 (Proibizione dell’Uso in Guerra di Asfissianti, Veleni o Altri Gas e dei Metodi di Guerra Batteriologica), nel corso della Conferenza Internazionale di Ginevra sul Commercio di Armi promossa dalla Società delle Nazioni e ratificato da 128 nazioni, compreso il Giappone. Tuttavia civili cinesi, per la maggior parte, ma anche alcuni prigionieri di guerra russi, mongoli, coreani, forse anche statunitensi ed europei furono utilizzati come cavie umane dallo staff di scienziati guidati dal generale di divisione Ishii Shiro, per lo sviluppo di un vasto programma di guerra biologica e sperimentazione sull’uomo. Negli anni che vanno dal 1932 al 1945, vennero costruite della vere e proprie fabbriche della morte (2) in numerose località della Cina occupata e negli altri stati del Sud-Est Asiatico sotto il giogo nipponico. In queste Unità (Togo a Beiyinhe, 731 o Ishii a Pingfan, 1644 a Nanjing, 100 a Changchun, 1855 a Beijing, queste le più conosciute) venivano studiati i batteri e i virus più violenti e letali quali peste, antrace, morva, tifo, colera, dissenteria, virus delle febbri emorragiche, tubercolosi e inoculati nei maruta (così venivano chiamate le cavie umane, pezzi di legno) in modo da poterne isolare i più virulenti e studiarne con estrema precisione gli effetti e la loro applicazione nelle operazioni di guerra biologica. La maggior parte dei soggetti infettati veniva poi dissezionata senza anestesia, per non alterare le osservazioni degli organi interni, ed i resti dei cadaveri inceneriti nei crematori.

Con tutta quella quantità di materiale umano a disposizione i migliaia di medici, tra le menti più brillanti del Giappone, dell’equipe di Ishii potevano sbizzarrire la loro fantasia e curiosità sottoponendo i loro “pazienti” a trapianti di organi animali; trasfusioni di sangue equino per poter sopperire all’estrema carenza di sangue umano; studi sui rimedi al congelamento (il Giappone voleva prepararsi ad un’eventuale guerra alla Russia); cura e prevenzione delle malattie veneree come la sifilide, molto diffusa tra i soldati dell’esercito imperiale; sperimentazione e produzione di vaccini su larga scala.

Nel 1939, iniziarono le sperimentazioni di guerra batteriologica direttamente sul campo. Al confine tra Unione Sovietica e Cina furono gettati in un fiume, nei pressi degli accampamenti nemici, batteri della febbre tifoide. Nel 1940, l’Unità 731 nella provincia cinese dello Zhejiang disperse nei pozzi d’acqua 70 chili di batteri del tifo. La città di Ningbo fu bombardata con i batteri della peste bubbonica, facendo scoppiare una micidiale epidemia provocando la morte del 99 per cento dei contagiati. La peste si diffuse anche nelle zone limitrofe a Ningbo, portata dagli abitanti in fuga dalla città appestata. In almeno 13 città dello Zhejiang scoppiarono epidemie di tifo e peste. Sempre in questa provincia, gli scienziati dell’Unità 731 fecero cadere piume pregne d’antrace e dispersero uccelli vivi cosparsi d’antrace che trasferirono i germi alle persone. Nel 1942, un terzo della popolazione del paesino di Chongshan morì di peste o vivisezionata in loco dai medici nipponici giunti per esaminare gli esiti dell’attacco. Nel maggio del 1942, bombe al colera (bombe Yagi) fecero scoppiare un’epidemia nella provincia dello Yunnan causando oltre 200.000 morti (mai prima di allora si erano avuti casi di colera in questa provincia). Nel 1943, le stesse bombe colpirono la provincia dello Shandong; le province dell’Hebei e dell’Henan furono decimate dagli sfollati che portavano in corpo i terribili effetti degli attacchi giapponesi, delle vere e inconsapevoli bombe biologiche umane, causando anche qui circa 200.000 morti. Si presume che siano circa 600.000 gli individui morti a causa del programma di armamento biologico giapponese. Il progetto di sperimentazione della guerra biologica fu un’idea del dottor e generale di divisione Ishii Shiro che ottenne l’appoggio dai massimi vertici dello stato, compreso l’imperatore Hirohito, e ingenti finanziamenti per realizzare i suoi atroci esperimenti in Cina.
Al momento della resa, nell’agosto del 1945, l’equipe delle Unità di Ishii, dopo aver distrutto le varie strutture e ucciso i prigionieri che ancora erano in vita, fuggì in Giappone. Lì, i membri dello staff furono interrogati per diversi mesi dagli scienziati statunitensi che cercavano di assicurarsi l’esclusivo possesso dei dati delle sperimentazioni sull’uomo e delle ricerche sulle armi biologiche dei nipponici. Nel gennaio del 1947, lo Stato Maggiore USA (massimo organo militare degli Stati Uniti) ordinò al generale Douglas MacArthur (comandante in capo dello SCAP, Comando Supremo delle Potenze Alleate) di mantenere segretissime le rivelazioni degli scienziati giapponesi, in cambio, Ishii e la sua equipe, avrebbero ottenuto l’immunità ufficiale da qualsiasi forma di persecuzione e di processo per crimini di guerra e contro l’umanità.
Nessuno scienziato giapponese fu quindi portato davanti ad una giuria internazionale per rispondere delle ferocissime colpe di cui si era macchiato, ad eccezione di dodici medici ed ufficiali dell’Unità 731 che furono giudicati nel 1949 al Processo di Khabarovsk nell’ex Unione Sovietica. I dodici furono tutti condannati a pene che andavano fino ad un massimo di 25 anni di reclusione, ma poi rimpatriati in Giappone nel 1956.

Durante la guerra di Corea (1950-1953), i governi della Repubblica Popolare Cinese e Corea del Nord accusarono pubblicamente gli Stati Uniti di utilizzare armi batteriologiche. I comunisti cinesi e coreani chiesero l’intervento di una Commissione Scientifica Internazionale (ISC) per valutare le accuse mosse contro gli USA. Il solo osservatore e consulente era il microbiologo professor Franco Graziosi, un italiano all’epoca ventinovenne e oggi unico testimone vivente dei fatti concernenti la Commissione. Non ebbe modo di compiere indagini sul campo, ma poté visionare e studiare i vari documenti e referti, giungendo alla conclusione che “il popolo coreano e quello cinese sono stati oggetto di attacchi con armi biologiche da parte dell’esercito statunitense (3)” (Appendice 1, p. 211). Il rapporto stilato dall’ISC (oltre 600 pagine) cita anche il nome di Ishii Shiro come uno dei consulenti scientifici del programma degli attacchi batteriologici nella guerra di Corea e afferma che “i popoli della Corea e della Cina sono stati effettivamente l’obiettivo delle armi batteriologiche. Queste armi sono state impiegate da unità delle forze armate degli Stati Uniti, utilizzando una grande quantità di sistemi, alcuni dei quali sembrano essere evoluzioni degli armamenti impiegati dai giapponesi durante il Secondo Conflitto Mondiale (4)“.
I membri dell’ISC interrogarono anche alcuni aviatori statunitensi prigionieri di guerra che dichiararono di aver compiuto attacchi di guerra batteriologica, ma una volta rimpatriati, furono accusati di alto tradimento. Alla fine le accuse vennero ritirate e tutto fu messo nel dimenticatoio.
A tutt’oggi è molto difficile risalire alla verità: gli archivi cinesi, russi e statunitensi relativi alla guerra biologica non sono ancora del tutto accessibili agli studiosi, sebbene in molti ne abbiano richiesto l’apertura (tra i quali il professor Graziosi (5) e Joseph Needham, altro membro dell’ISC). Tutto ciò che riguarda i terribili avvenimenti sopra sommariamente descritti, è nascosto sotto la coltre del silenzio e bollato come top secret. Molte prove emerse dalle indagini dell’ISC che dimostrano gli attacchi di guerra biologica e successivamente confutate con ogni mezzo dalla leadership statunitense e dalla maggior parte delle potenze occidentali, possono essere confermate e ampliate solamente dall’apertura degli archivi militari dei paesi coinvolti.


1 Ministero della Salute – Direzione Generale della Prevenzione, Ufficio III; Malattie infettive e profilassi internazionale – Osservatorio Epidemiologico Nazionale.


2 Sheldon H. Harris, Factories of Death. Japanese Biological Warfare, 1932-45, and the American Cover-up, Routledge, London 1994.


3 Rapport de la Commission Scientifique Internationale Chargee d’Examiner les Faits Concernant la Guerre Bacteriologique Coree et en Chine (avec Annexes), Pekin 1952, p. 621.


4 Ivi., p. 64.


5 Lettera di Franco Graziosi alle autorità cinesi, Encl. 2 – List of Documents in Franco Graziosi Archive, depositato al London Imperial War Museum.

Gli uomini dietro al sole
Ishii Shiro

L’ uccisione di un capitano giapponese e lo scoppio di una bomba contro la ferrovia Sud-Mancese offrì il pretesto all’Armata Imperiale giapponese del Kwantung per attaccare la Manciuria. Il governo di Tokyo, pur dichiarando la propria estraneità ai fatti non avendo ordinato l’attacco, tuttavia lasciò fare. Le potenze occidentali, dopo il crollo della borsa di Wall Street nel 1929, erano in fortissime difficoltà e del tutto incapaci di porre un adeguato freno alla spinta eversiva dei circoli militari nipponici. Inoltre, la Società delle Nazioni aveva già dimostrato tutta la sua inefficacia nel contrastare l’uso della forza da parte delle grandi potenze ai danni delle minori.

Fu proprio in questa provincia cinese che il dottor Ishii Shiro cominciò gli esperimenti sull’uomo per lo sviluppo e la produzione di un vasto programma di guerra biologica.

Ishii Shiro nacque il 25 giugno del 1892 nel villaggio di Chiyoda Mura, un piccolo paesino nei pressi di Tokyo, da una famiglia aristocratica di antiche tradizioni feudali. Fin dall’infanzia la sua intelligenza strabiliante e il suo fisico possente lo fecero distinguere dai suoi coetanei e persino dai suoi fratelli maggiori. Brillante studente, venne ammesso nelle più esclusive istituzioni scolastiche del paese, come l’Università Imperiale di Kyoto. Qui, nel 1916, si iscrisse a medicina, dove venne notato immediatamente dai suoi professori che gli assegnarono esclusivi progetti di ricerca ben più complessi di quelli che affrontavano i compagni di corso. Nel 1920, si laureò ed entrò nell’esercito come assistente sociale del Terzo Reggimento della Divisione della Guardia Imperiale. Dopo appena cinque mesi, fu promosso al grado di tenente e distaccato come medico chirurgo al Primo Ospedale Militare di Tokyo.

La sua veloce ascesa sociale e militare fu dovuta, oltre che alla sua straordinaria intelligenza, alle importanti amicizie di cui si era saputo circondare. Sposò Araki Kyoko, figlia dell’illustre rettore dell’università di Kyoto, Araki Torasaburo, medico illustre e affermato, che gli assicurò l’appoggio e l’influenza di personaggi importanti e potenti. Fece conoscere il proprio nome nell’ambiente medico durante gli anni del suo dottorato in patologia umana, sierologia e batteriologia a Kyoto quando, nel 1924, diede un importantissimo aiuto alla missione medica e scientifica nel distretto di Kagawa, dove era scoppiata un’epidemia di encefalite emorragica (encefalite B giapponese). Ishii ne isolò il virus con la messa a punto di un efficace sistema di filtraggio.
Nel 1927, dopo aver conseguito il dottorato in microbiologia, venne assegnato dall’esercito all’Ospedale Militare di Kyoto con il grado di capitano. Fu qui che per la prima volta, dopo aver letto un articolo riguardante il Protocollo di Ginevra, venne letteralmente folgorato dall’idea di dotare l’esercito imperiale di armi biologiche. Ben consapevole della potenza dei microbi, cominciò a sondare tutti i suoi ex professori e colleghi, cercò di convincere gli alti vertici militari dell’enorme potenziale strategico e distruttivo delle armi biologiche e si impegnò per ottenere appoggi e sovvenzioni per lo sviluppo di laboratori di ricerca e produzione di virus e batteri letali. Ma i vertici governativi e militari non erano ancora pronti ad accettare la sfida e le proposte di Ishii. Endo Saburo, generale del Ministero della Guerra, ricorda nei suoi diari che “il volto di Ishii era ben conosciuto […] enfatizzava sempre il ruolo della guerra batteriologica nei nostri piani tattici”.
Nell’aprile del 1928, Ishii partì per un tour scientifico di due anni in giro per il mondo in cerca di notizie utili sulla ricerca relativa alle armi biologiche. Non ci sono però documenti utili e attendibili per stabilire ciò che egli vide o chi incontrò, ma è sicuro che visitò Francia, Italia, Germania, Ungheria, Belgio, Svezia, Danimarca, Finlandia, Svizzera, Turchia, Polonia, URSS, Lituania, Estonia, Stati Uniti, Canada, Egitto, Singapore, Ceylon. Sembra che Ishii abbia compiuto questa ricerca a proprie spese, ma è molto strano che l’esercito giapponese, allora rigidamente strutturato, avesse dato il permesso ad un capitano di assentarsi per due anni dall’esercito per compiere ricerche all’estero per proprio conto, se effettivamente non era interessato alle proposte di un armamento biologico.

Nel 1930, quando Ishii ritornò dal suo viaggio, la situazione politica interna stava cambiando: il gabinetto governativo, ma soprattutto i nuovi giovani ufficiali del Ministero della Guerra premevano per azioni più decise ed espansionistiche per estendere il dominio nipponico nell’Asia orientale e vedevano nella Manciuria una posizione strategica ottimale da cui partire. Il Ministro della Guerra, Araki Sadao, divenne un fervido sostenitore dei progetti di Ishii Shiro, insieme al generale Nagata Tetsuan, che spingeva per un ammodernamento dei mezzi offensivi dell’esercito. Dopo soli quattro mesi dal ritorno dal viaggio solitario per il mondo, Ishii fu nominato preside del Dipartimento di Immunologia all’Istituto di Medicina dell’esercito di Tokyo e promosso al grado di maggiore all’età di trentasette anni. Questa promozione fu fortemente appoggiata da Koizumi Chikahiko, un pioniere della ricerca medica e delle armi chimiche che godeva di amicizie molto in alto. Fu proprio lui a trovare a Ishii i fondi necessari per iniziare la ricerca sulle armi biologiche che iniziò nel 1931 all’Istituto di Medicina dell’esercito a Tokyo. Insieme ad una piccola équipe di scienziati fidati, lavorò, di notte, nei laboratori del suo dipartimento alle colture di batteri letali come peste bubbonica, colera, tifo e antrace. Nel 1932, gli venne assegnato un laboratorio di due piani all’Istituto di Medicina dove sviluppò molti vaccini per immunizzare le truppe nipponiche dalle epidemie che potevano scoppiare in caso di guerra e contemporaneamente lavorare allo sviluppo e allo studio dei più terribili flagelli che l’uomo abbia mai conosciuto.

“Ci sono due tipi di ricerca sulle armi batteriologiche, A e B. A è la ricerca offensiva, B è la ricerca difensiva. La ricerca sui vaccini è di tipo B, e può essere fatta in Giappone. Tuttavia, le ricerche di tipo A possono essere fatte solamente all’estero”, in questo modo Ishii cercava di spiegare ai suoi diretti superiori gli scopi della sua ricerca e le potenzialità di un esercito dotato di armi batteriologiche. Con l’occupazione della Manciuria (1932) e la creazione dello stato fantoccio del Manzhouguo, Ishii vide la grandiosa possibilità di poter realizzare quelle ricerche di tipo A che da anni cercava di portare avanti: “è giunto il momento di dare inizio alla sperimentazione. Chiediamo di essere mandati in Manciuria per sviluppare nuove armi”.

Sheldon H. Harris, Factories of Death, p. 21.


3 Daniel Barenblatt, I Medici del Sol Levante. Gli Esperimenti Segreti Giapponesi. 1932-1945, Rizzoli, Milano 2004, p. 50.


1 Sheldon H. Harris, Factories of Death, op. cit., p. 18.
L’ Unità Togo

Nel 1932 l’armata del Kwantung diede al maggiore Ishii Shiro 200.000 yen di finanziamento per creare, in una distilleria di sakè abbandonata ad Haerbin, un centro per la ricerca e lo sviluppo di armi biologiche, sebbene lo scopo iniziale fosse quello di compiere ricerche di tipo B, studio e produzione di vaccini. Ma, fin da subito, la scelta del luogo non si rivelò adatta ai lavori del nuovo centro: Haerbin era una città abitata da quasi 400.000 persone di varia nazionalità e la segretezza, che la ricerca imponeva, non poteva certo essere mantenuta a lungo. Perciò, nell’estate del 1932, Ishii trasferì il centro di ricerca in un piccolo paesino a cento chilometri a sud-est di Haerbin, ben collegato dalla ferrovia e al riparo da occhi indiscreti: Beiyinhe.
Il nuovo centro venne chiamato Unità Togo, in onore dell’ammiraglio Togo Heihachiro che nel 1905 aveva sconfitto la flotta russa a Tsushima, durante la guerra russo-giapponese (1904-1905). L’esercito giapponese fece evacuare quasi due chilometri quadrati di area per la costruzione della Fortezza di Zhong Ma (come veniva chiamata dei cinesi). I contadini del luogo furono costretti a lavorare per l’edificazione dei fabbricati, ricevendo in cambio soprusi, torture e un misero salario con cui a stento cercavano di sopravvivere. L’Unità era cinta da un muro di mattoni alto tre metri sormontato da reti di filo spinato ad alto voltaggio elettrico con, ai quattro angoli, torrette di sorveglianza. Sentinelle armate delimitavano una zona off limits di 250 metri quadrati al di fuori del perimetro dell’Unità. In meno di un anno, vennero costruiti dagli operai cinesi circa cento edifici, quello più importante era al centro della struttura e diviso in due ali. La prima comprendeva le prigioni, i laboratori per gli esperimenti sull’uomo e il crematorio; l’altra ala era costituita da uffici, baracche, una mensa, magazzini, un parcheggio.
La prima ala poteva contenere fino a mille prigionieri anche se, di norma, non se ne tenevano che un massimo di 600. I primi reclusi furono essenzialmente maschi adulti e sotto i quarant’anni, prigionieri politici che lottavano contro l’occupazione nipponica, banditi e membri della guerriglia o, in mancanza di questi, criminali comuni prelevati dalle prigioni e condotti a Beiyinhe.
I detenuti erano relegati in anguste celle e ammanettati per la maggior parte del tempo, ma ben nutriti e obbligati ad eseguire continui esercizi fisici per mantenere le loro condizioni di salute ad un livello ottimale, anche se per poco tempo. Ogni tre o cinque giorni, a tutte le cavie venivano prelevati cinquecento centimetri cubici di sangue, pratica che spesso portava ad una progressiva invalidità (l’organismo umano contiene dai quattro ai sei litri di sangue).
Le malattie testate sulle cavie umane furono peste bubbonica, antrace, morva, tifo, dissenteria, vaiolo. Karasawa Tomio, un maggiore catturato ed interrogato dai sovietici nel 1946, dichiarò che Ishii tra il 1933 e il 1934 aveva sperimentato l’effettiva efficacia del batterio della peste bubbonica nel suo impiego nella guerra batteriologica. Alcuni documenti, pubblicati successivamente dal governo cinese, descrivono nel dettaglio gli esperimenti. In uno di questi vennero prese le pulci che veicolano il batterio della peste da topi raccolti nel nord della Manciuria dove la malattia era endemica (fenomeno in cui una malattia rimane circoscritta in un’area geografica limitata). I batteri, una volta isolati e messi a coltura, vennero iniettati in tre prigionieri comunisti cinesi che morirono vivisezionati dopo un’atroce agonia di quasi tre settimane.

Il generale Endo Saburo registrò nel suo diario un’ispezione a Beiyinhe nel novembre del 19331:

la Seconda Squadra era responsabile dei gas e dei liquidi velenosi; la Prima Squadra era responsabile degli esperimenti sull’elettricità. Vennero usati due banditi per ogni squadra. 1. Gas fosfogene. 5 minuti di iniezione con gas all’interno di una stanza di mattoni; il soggetto è rimasto vivo per un giorno dopo l’inalazione del gas; condizioni critiche con polmonite. 2. Cianuro di potassio. Al soggetto ne sono stati iniettati 15 milligrammi; perdita di conoscenza dopo approssimativamente venti minuti. 3. 20.000 volt diverse scariche a questo voltaggio non sono sufficienti ad uccidere il soggetto; si è obbligati ad un’iniezione per ucciderlo. 4.5000 volt. Diverse scariche non sufficienti; dopo diversi minuti di scariche continue, è morto carbonizzato. Partito alle 13.30. […] ho fatto fatica ad addormentarmi e non ho dormito bene.

Anche il comandante in capo dell’Armata del Kwantung, Okamura Yasutsugu, visitò il campo di Beiyinhe nel periodo compreso tra il 1932 e il 1934 rimanendo particolarmente impressionato dagli esperimenti sul congelamento: in inverno in Manciuria si può arrivare anche a trenta gradi sotto lo zero ed il freddo rappresentava per l’Armata Imperiale un nemico terribile.
Nella maggior parte dei casi, i prigionieri dell’Unita Togo non sopravvivevano più di un mese, chi riusciva a sopravvivere veniva ucciso con un’iniezione letale. Lo staff di Ishii aveva a disposizione un’enorme quantità di materiale umano, perennemente sostituibile. Molti esperimenti furono condotti solamente per mera curiosità scientifica come per esempio vedere fino a che punto poteva essere prelevato sangue umano prima che sopraggiungesse la morte. La maggior parte dei prigionieri furono dissezionati per poter essere studiati e i loro organi raccolti in vasi immersi in formalina (soluzione per la conservazione dei pezzi anatomici); le cavie, una volta infettate da qualche morbo letale, venivano vivisezionate senza anestesia per non alterare le condizione del sangue, degli organi e per non pregiudicare la raccolta dei dati degli esperimenti. Un veterano dell’Unità 731 disse che “non si possono ottenere dati accurati sugli effetti di un’infezione dopo il decesso di una persona, poiché a quel punto entrano in attività i batteri responsabili della putrefazione. Questi sono più forti di quelli patogeni. Quindi per ottenere risultati accurati è importante sapere se il paziente sia vivo o morto”. Ci furono casi in cui i maruta furono uccisi con un colpo d’ascia secco alla testa per prelevarne il cervello. I resti dei corpi venivano immediatamente bruciati nel crematorio.
I campioni di organi umani erano regolarmente spediti all’Istituto di Medicina dell’esercito di Tokyo; nel tentativo di coinvolgere le alte sfere militari e politiche governative e per ottenere fondi più consistenti, Ishii fece filmare molti esperimenti sugli uomini da far visionare agli ufficiali dell’armata del Kwantung.
Durante la festa d’Autunno (inizio ottobre) del 1934, un prigioniero cinese di nome ?Li, approfittando dell’ebbrezza delle guardie, ne tramortì una, rubandogli le chiavi e aprendo le celle. Pochi furono coloro che riuscirono ad uscire dalle celle, debilitati dalle malattie o dai continui prelievi di sangue. Grazie ad una tempesta che aveva mandato in cortocircuito l’impianto elettrico, trenta prigionieri riuscirono a raggiungere il muro di cinta, ma Li, insieme ad altri nove, fu ucciso dalle guardie ormai allertate. Fuori dalle mura di cinta otto furono catturati o assassinati, gli altri dodici riuscirono a fuggire e ad unirsi ad un gruppo di partigiani cinesi. I testimoni raccontarono la loro storia e gli strani esperimenti che venivano eseguiti all’interno della Fortezza di Zhong Ma, ma nessuna informazione arrivò agli alti canali ufficiali.
Non si può sapere con certezza quante siano state le persone utilizzate negli esperimenti, ne la portata di questi all’interno dell’Unità Togo, ma si sa per certo che lavorò dall’estate del 1932 alla fine del 1934, cioè fino a quando il velo di segretezza fu strappato. Ciò spinse i vertici militari a costruire un altro centro di sperimentazione sull’uomo e di sviluppo del programma di guerra biologica altrove, a Pingfan.

L’impianto di Beiyinhe fu distrutto, i prigionieri rimasti in vita uccisi.

1 James Yin, The Rape of Biological Warfare, Northpole Light, San Francisco 2001, p. 7.


2 Hal Gold, Unit 731 Testimony, Tuttle Publishing, Tokyo 1996, p. 44.


3 Daniel Barenblatt, I Medici del Sol Levante, op. cit., p. 61.


4 Hal Gold, Unit 731 Testimony, op. cit., pp. 37-38.
L’Unità 731

Il primo agosto del 1935, Ishii Shiro fu promosso al grado di tenente-colonnello medico a soli quarantatre anni, per le scoperte ottenute a Beiyinhe. Esattamente un anno dopo, fu nominato capo del Boeki Kyusui Bu, Ufficio per la prevenzione delle epidemie e la purificazione dell’acqua, noto come Ufficio per la purificazione dell’acqua. Molte filiali di questa sorta di “Uffici” sorsero in Manciuria, nelle altre province cinesi e nelle zone dell’Asia orientale sotto il controllo nipponico (Birmania, Filippine, Singapore, Nuova Guinea, Thailandia); ognuna di queste strutture utilizzò cavie umane per condurre ricerche sulla guerra biologica. Ishii Shiro era l’elemento a capo del progetto e aveva posto il suo quartier generale a Pingfan, piccolo villaggio a circa venticinque chilometri a sud-ovest da Haerbin, ben collegato dalla ferrovia Sud-Manciuriana e distante appena cinquanta minuti d’automobile dal centro della città.
La grande compagnia giapponese Nihon Tokoshu Kogyo Kabushiki Kaisha fornì ogni equipaggiamento necessario alla nuova Unità, mentre Ishii riceveva ingenti mazzette per tutte le fatture gonfiate. Al contrario della sua apparenza ligia e severa, Ishii era sempre pronto ad intascare il suo tornaconto. Per la società un uomo onesto e sposato, ma, nel privato, un assiduo frequentatore di casa chiuse e di geishe, grande bevitore e scialacquatore incallito. Molti lo descrissero come un pazzo e un “fuori di testa”, come quando, per dimostrare l’efficacia di un suo nuovo filtro per la purificazione dell’acqua, offrì all’imperatore Hirohito un bicchiere della sua urina filtrata; quando questi rifiutò il gentile invito, Ishii ne tracannò il contenuto, persino con una certa aria di soddisfazione.

I sovrintendenti della Nihon Tokoshu Kogyo assunsero manodopera cinese a bassissimo costo, sottoponendo gli operai a massacranti turni di lavoro. I sei chilometri quadrati di strutture vennero ultimati nel 1939, dopo tre anni di lavori, ma senza mai fermare gli esperimenti e i test sugli uomini. Oltre seicento famiglie furono costrette ad evacuare la zona e a vendere i loro piccoli terreni a prezzi irrisori. Gli edifici della nuova fabbrica della morte erano circa centocinquanta e comprendevano uffici, dormitori, abitazioni per gli ufficiali, laboratori scientifici, baracche, un magazzino per le armi, stalle per gli animali usati negli esperimenti, un edificio per le vivisezioni e dissezioni, serre per sperimentare l’uso delle piante nel loro utilizzo nella guerra biologica, prigioni speciali per i test sulle persone, tre crematori per eliminare le carcasse degli animali e ciò che restava delle cavie umane sottoposte ai test. C’era persino una piscina, delle sale per la ricreazione e un tempio shintoista. Una speciale ferrovia collegava il campo ad Haerbin, insieme ad una pista di decollo ed atterraggio. Un ampio fossato circondava la struttura e un muro alto cinque metri, sopra al quale erano state installate diverse recinzioni di filo spinato elettrificato ad altissimo voltaggio, delimitava l’Unità.

I cinesi addetti ai lavori di costruzione, in alcune zone della struttura, venivano incappucciati con delle ceste di vimini, altri, ultimati i lavori, furono uccisi per mantenere la più totale segretezza. Si suppone che più di un terzo dei lavoratori impiegati a Pingfan tra il 1936 e 1945 siano morti a causa dei maltrattamenti a cui furono sottoposti al campo.

La segretezza era ormai diventata la condizione essenziale e maniacale per poter continuare i lavori scientifici. La zona di Pingfan venne dichiarata Zona Militare Speciale e l’accesso negato a qualsiasi civile, sia giapponese o cinese, salvo speciali lasciapassare rilasciati solamente in situazioni del tutto particolari ed eccezionali. Tre diverse forze di polizia si occupavano della sicurezza della zona: il Kempeitai, la polizia dell’armata del Kwantung e la gendarmeria dell’imperatore fantoccio del Manzhouguo, Pu Yi. Lo spazio aereo sopra Pingfan fu interdetto a tutti i voli civili.

“Paragonata alla ricerca di laboratorio a cui voi siete abituati” disse Ishii ai medici presenti nella sala conferenze di Pingfan nell’autunno del 1936 “quella di Pingfan non è inferiore a nessuna e possiamo essere orgogliosi di avere molte più strutture delle grandi università. Chi mai al di fuori di voi qui riuniti potrebbe immaginare, persino nei suoi sogni più ottimistici, che un simile laboratorio di ricerca culturale esista qui, in questo luogo sperduto? Inoltre noi non abbiamo alcuna preoccupazione, di nessun tipo, sulla disponibilità di fondi destinati alla ricerca”. Ishii aveva l’appoggio dell’esercito e del governo, gestiva un budget annuo di oltre dieci milioni di yen, le strutture del centro erano le più all’avanguardia e comprendevano laboratori di microbiologia, di patologia, laboratori per la messa a coltura dei batteri letali; gli strumenti e i prodotti farmaceutici erano i migliori disponibili. La prigione (detta Ha) era situata in una palazzina di tre piani circondata da un edificio di cinque, che la nascondeva, chiamato Ro. Queste due strutture erano anche contraddistinte da due numeri, rispettivamente 6 e 7.

Le prigioni poteva “ospitare” fino a quattrocento maruta; erano le parti più sorvegliate dell’intera Unità, la cui supervisione fu affidata a Ishii Takeo, fratello di Shiro. Le cavie arrivavano agli edifici 6 e 7 attraverso due tunnel segreti sotterranei, uno conduceva alle prigioni e ai laboratori, l’altro ai forni crematori. Nel numero 6 vi erano solo maschi adulti, nell’altro uomini, donne e bambini. Le anguste celle erano insonorizzate e separate le une dalle altre da pareti molto spesse; un buco nel pavimento funzionava da latrina; la temperatura all’interno sempre ben controllata in modo da non interferire con la verifica dei test; le porte blindate delle celle avevano due fori dai quali la cavia doveva sporgere le braccia, se ci riusciva, per i continui prelievi di sangue. Non sempre i detenuti erano isolati: ciò dipendeva dalle disposizioni del medico e dal tipo di esperimenti che dovevano essere effettuati. Celle e corridoi venivano sempre disinfettati per impedire agli agenti patogeni di infettare gli altri prigionieri e il personale in servizio. L’edificio 7, oltre alle celle, comprendeva i laboratori di coltura e produzione dei batteri letali e i laboratori di ricerca per le malattie infettive.

Ishii divise la sua Unità in otto sezioni. La Prima comprendeva tutti gli impianti di ricerca e produzione degli agenti patogeni da utilizzare contro il nemico: peste, colera, febbri del tifo e del paratifo, dissenteria, antrace, morva, tetano, cancrena gassosa (infezione tossica delle ferite aperte), tubercolosi. Si occupava anche dei problemi derivanti dal congelamento. Due camere di raffreddamento contenevano oltre cento coltivatori, che potevano produrre anche fino ad un massimo di 40.000.000 di miliardi di agenti patogeni in un solo ciclo di produzione. Questa sezione era anche responsabile della gestione degli edifici 6 e 7.


La Sezione Seconda si occupava degli esperimenti: gli scienziati sviluppavano e testavano sugli uomini l’effettiva efficacia dei vari tipi di bombe biologiche e batteriologiche. Era responsabile della produzione attraverso due boilers, dalla capacità di due tonnellate ciascuno, di alcuni agenti patogeni. Il generale Kawashima Kiyoshi affermò che “quando la sezione I e II operavano al massimo delle loro capacità, si potevano produrre 300 chilogrammi di batteri della peste, 500-600 chilogrammi di germi dell’antrace, 800-900 di tifo, paratifo o dissenteria e oltre 1000 chilogrammi di germi del colera. Tutto questo si sarebbe potuto fare in un solo mese4”. La Sezione Seconda era inoltre responsabile della gestione del campo di esperimenti presso l’aeroporto di Anda a 146 chilometri a nord di Pingfan.
La Sezione Terza era l’Unità per l’Approvvigionamento dell’Acqua e la Prevenzione Epidemicache dal 1944 fu incaricata di produrre i contenitori per le bombe biologiche.
La Sezione Quarta era la Divisione per la Produzione e la Fabbricazione per l’Unità 731. Si occupava degli impianti di produzione e assortimento degli agenti patogeni, era inoltre responsabile dell’immagazzinamento e mantenimento dei microrganismi.
La Sezione per l’Educazione aveva il compito di formare il personale appena dislocato all’Unità 731. Finito il corso di addestramento Ishii metteva in guardia le reclute, “fate particolare attenzione alla vostra salute nel momento in cui andate a ricoprire il vostro incarico. Il corpo medico non si deve ammalare a sua volta. E ancora, non dovete morire a causa di malattie o sotto al fuoco nemico. Dovete vivere, dovete sopravvivere in onore del Giappone; dovrete affrontare le avversità per il futuro del Giappone”.
La Sezione degli Affari Generali era incaricata della tesoreria del centro; la Sezione Materiali costruiva e metteva a punto le bombe biologiche e batteriologiche, preparava e forniva il materiale per la messa a coltura degli agenti patogeni; la Sezione Diagnosi e Trattamento si occupava dei vari problemi medici che potevano colpire il personale dell’Unità.

A Pingfan lavorarono microbiologi, patologi, chirurghi, chimici, infermieri, biologi, entomologi, veterinari, specialisti e tecnici tutti impegnati nel produrre terribili armi biologiche sperimentate su migliaia e migliaia di civili cinesi. Naito Ryoichi (scienziato veterano dell’Unità 731) affermò che i medici civili impegnati nel programma di sperimentazione della guerra biologica erano talmente tanti che ormai tutta la comunità scientifica doveva per forza esserne a conoscenza, “in Giappone, la maggior parte dei microbiologi era in qualche modo collegata al lavoro di Ishii. […] Divenne noto ben presto a tutti che nel centro di Haerbin si usavano esseri umani per le sperimentazioni”.

La nostra missione divina di medici è di sfidare tutti i microrganismi patogeni; di bloccare loro tutte le possibili vie di accesso al corpo umano; di annientare tutta la materia estranea che vive nel nostro corpo e di individuare la terapia più efficiente possibile. Tuttavia, il lavoro di ricerca che noi intraprenderemo è all’esatto opposto di questi principi e potrà essere causa di tormento per le nostre coscienze di medici. […] Ciò nondimeno, io vi chiedo di condurre queste ricerche mosso da una doppia aspirazione: in primo luogo, in quanto medico, dal desiderio di fare qualsiasi sforzo per trovare la verità nelle scienze naturali, nella ricerca e nella scoperta del mondo sconosciuto; in secondo luogo, in quanto soldato, dalla volontà di costruire con successo un’arma potente contro il nemico.

Queste le parole di Ishii al discorso inaugurale dell’Unità Ishii (cambiò nome in Unità 731 nel 1941, per questioni di sicurezza. E’ con questa designazione numerica che passò alla storia). Migliaia furono gli scienziati che vollero sfruttare le possibilità di una ricerca senza limite e l’opportunità di studiare le varie fasi di una malattia vivisezionando un essere umano, ottenendo così i risultati sperimentali più certi e puri. I prigionieri deliberatamente contagiati, un volta insorti i primi sintomi del morbo, venivano portati nei laboratori di patologia, spogliati e lavati. Senza anestesia, gli veniva praticata un’incisione a forma di “Y” sull’addome. Molto spesso la cavia rimaneva cosciente mentre i medici facevano le loro fredde osservazioni o ne esaminavano gli organi interni. La vittima moriva in seguito alla grande perdita di sangue e di tessuti corporei. Se una cavia moriva prima di essere vivisezionata, il cadavere veniva immediatamente sottoposto ad autopsia e, dopo essere stati asportati gli organi interessati, cremato.
Sebbene la maggior parte degli esperimenti prevedessero l’utilizzo di giovani cavie di sesso maschile, in diverse occasione vennero usate donne, soprattutto incinte. Una donna sovietica fu imprigionata a Pingfan, dove partorì il proprio figlio. Per due anni furono sottoposti a continui esperimenti e poi uccisi.

Le donne erano utilizzate soprattutto per i test riguardanti le malattie veneree, come la sifilide. Le malattie a trasmissione sessuale rappresentavano un grave flagello per l’Armata Imperiale giapponese: la prostituzione militare era molto diffusa insieme ai continui stupri perpetrati a bambine, donne e anziane nelle nazioni sotto il giogo nipponico. Un assistente personale di Ishii confessò che “all’inizio, infettavamo le donne con la sifilide praticando un’iniezione. Questo metodo però, non produceva risultati reali. La sifilide si trasmette normalmente per contatto diretto. Le indagini sul decorso della malattia non possono dare risultati utili a meno che non venga contratta in quel modo. Di conseguenza adottammo un sistema per infezione diretta attraverso contatti sessuali”, naturalmente erano i prigionieri, uno dei quali affetto da sifilide, ad essere costretti ad avere rapporti sessuali. Oltre a poter verificare il decorso della malattia attraverso l’osservazione degli organi sessuali, i tecnici dell’Unità potevano ricorrere alla vivisezione per controllare lo stato degli organi interni. Spesso le donne “stuprate” dagli altri prigionieri rimanevano incinte: si verificava come la malattia si trasmetteva da madre a embrione, poi i medici uccidevano e dissezionavano madre e feto.

Tra il 1938 e il 1943, il dottor Tabei Kanau testò diverse specie di germi del tifo e paratifo su alcune centinai di soggetti. Nella maggior parte dei casi, dava da bere alle cavie una soluzione di acqua, zucchero e bacilli del paratifo; in altri casi i maruta furono sottoposti all’esplosione di bombe che contenevano pallettoni di argilla mescolati a dieci milligrammi di bacilli riportando positivi esami di laboratorio.
Nella maggior parte degli esperimenti, le cavie venivano infettate con differenti dosaggi di microrganismi per poter poi stabilire la quantità necessaria che doveva essere usata in vista di un futuro utilizzo in guerra. Il contagio avveniva tramite iniezione oppure attraverso il contatto con oggetti cosparsi con germi letali: tessuti, attrezzi da lavoro e qualsiasi altro utensile di comune utilizzo. Molti furono i prigionieri costretti a trangugiare liquidi o cibi ripieni di tifo, antrace o peste.
I maruta erano spesso usati come veri e propri boiler: gli agenti patogeni venivano coltivati iniettandoli direttamente nei prigionieri, isolati e messi a coltura i batteri che avevano dato i sintomi e le manifestazioni più virulente. Ciò dava la possibilità ai medici nipponici di ottenere ceppi virali sempre più letali.
La curiosità scientifica dei medici giapponesi è una grande sfida all’immaginazione umana: urina di cavallo fu iniettata nei reni di alcuni detenuti solamente per osservarne le conseguenze; “misi più di un grammo di eroina in un dolcetto per un civile cinese arrestato. Circa trenta minuti dopo perse conoscenza e rimase in quello stato per 15-16 ore. Sperimentai 5-6 volte l’effetto dell’eroina”; le conseguenze della tubercolosi (la tubercolosi non incide su larga scala e perciò non è utilizzata nella guerra biologica) vennero testati su alcuni bambini manciuriani; ad un detenuto furono amputate entrambe le mani e subito trapiantate la destra al posto della sinistra e la sinistra al posto della destra; alcuni furono bolliti vivi o centrifugati, appesi a testa in giù fino a provocarne la morte per soffocamento o uccisi da massicce dosi di radiazioni.

Tra il 1938 (anno in cui Ishii Shiro fu nominato colonnello) e il 1945, Ishii e Kitano Masaji, a comando del programma di sperimentazione dal 1942 alla resa del Giappone, studiarono e testarono su civili cinesi le reazioni umane alla peste bubbonica, tifo, paratifo A e B, antrace, botulino, vaiolo, tubercolosi, salmonellosi, meningite, epatite A e B, febbri emorragiche, dissenteria, pertosse, scarlattina, morva, colera, salmonella, encefalite, febbre gialla, malattie veneree, cancrena gassosa, febbre maltese, tularemia (provocata da un batterio simile alla peste, ma con effetti meno gravi), febbri ricorrenti, difterite, congelamento, malattie endemiche delle province in cui operavano le varie Unità di Ishii e colleghi, e dozzine di altre patologie. La ricerca scientifica non si basava solamente nell’infettare con malattie letali cavie umane, ma aveva anche lo scopo di individuare i metodi di coltura di agenti biologici e batteriologici più adatti all’offensiva e di sviluppare un programma di disseminazione efficace dei microrganismi.

Venivano effettuate anche ricerche di tipo B (studi difensivi): a Pingfan oltre venti milioni di dosi di diciotto differenti vaccini venivano prodotte ogni anno. Tra il maggio e il giugno del 1940, venti persone, tutte di età compresa tra i venti e i trent’anni, furono utilizzate per testare l’efficacia di un nuovo vaccino contro il colera. A otto persone fu iniettato il nuovo vaccino ottenuto con gli ultrasuoni, ad altri otto il vaccino tradizionale, i restanti non furono sottoposti a nessuna immunizzazione. Dopo venti giorni furono tutti costretti a bere grandi quantità di latte e colera. I quattro non vaccinati morirono entro pochi giorni, alcuni dei giovani immunizzati con il vaccino tradizionale si ammalarono e morirono, negli otto vaccinati con il vaccino anti-colera prodotto con gli ultrasuoni non si riscontrò alcun sintomo della malattia. Lo stesso tipo di esperimento fu compiuto utilizzando il batterio della peste bubbonica. Dopo la verifica dei test, Ishii ordinò alla sua Squadra Vaccini (Squadra A) di produrre solamente vaccini per mezzo di ultrasuoni.

Furono compiuti diversi esperimenti per trovare un rimedio efficace al congelamento e all’assideramento. Il dottor Yoshimura Hisato fu direttamente convocato da Ishii come esperto delle cure al congelamento. Nishi Toshihide, a capo dell’Unità 673 a Sunyu (Distaccamento della 731), confessò che Yoshimura gli raccontò che “nei periodi di grande gelo, con temperature inferiori ai meno 20°C, i prigionieri venivano condotti all’aria aperta. Venivano loro scoperte le braccia e vanivano fatte congelare con l’aiuto di una corrente d’aria o con dell’acqua. Questo finché gli arti, percossi con una bacchetta non producevano lo stesso suono di una tavoletta di legno”. Venne costruito a Pingfan un edificio a due piani con un laboratorio di congelamento degli esseri umani con attrezzature tali da poter raggiungere artificialmente la temperatura di -70°C; in questo modo gli esperimenti potevano essere condotti non solo durante l’inverno.

Una volta che parti del corpo del prigioniero erano state congelate, il maruta veniva ricondotto nella propria cella. Ad alcuni venivano amputati gli arti, altri morivano per le cancrene dovute al gelo. Si scoprì, sulla pelle di molti civili cinesi innocenti, che il miglior rimedio era scongelare le parti colpite con acqua ad una temperatura compresa tra i 38°C e i 50°C.

Molti altri test furono effettuati per osservare gli effetti della denutrizione e della disidratazione. “Scoprire quanto a lungo riuscisse a resistere un uomo solo con acqua e gallette. Due maruta furono usati per questi test. Dovevano percorrere continuamente un tragitto stabilito all’interno del campo, portando un sacco di sabbia di venti chilogrammi sulle spalle. L’esperimento durò due mesi. Venivano date loro solo gallette dell’esercito e acqua, cosicché non potessero sopravvivere troppo a lungo. Non li lasciavano nemmeno dormire molto. Morirono uno dopo l’altro”.

La maggior parte dei maruta utilizzati dall’Unità 731 furono prelevati da Haerbin. Per lo più cinesi, ma anche russi, prigionieri di guerra, mongoli, coreani, europei accusati di vari crimini, ma, comunque, tutti condannati alla pena capitale, elementi criminali anti-giapponesi incorreggibili. In mancanza di materiale umano, venivano rapiti lungo le strade vagabondi o persone sole, senza famiglia. Le persone che venivano inviate nei campi di sperimentazione erano criminali la cui “tipologia del crimine è tale che, se si intraprende un’azione legale, l’individuo può essere prosciolto oppure condannato a un breve periodo di detenzione, e potrebbe lasciare presto il carcere; l’individuo è un vagabondo, senza fissa dimora, senza parenti. E’ un fumatore d’oppio (sebbene l’uso di oppio ed eroina fosse stato legalizzato in Manciuria dalle autorità nipponiche, a volte veniva persino usato per pagare gli operai cinesi); l’individuo ha idee affini a quelle che rientrano nella categoria di custodia speciale; individui il cui rilascio sia indesiderabile, nonostante la minima entità del crimine”. Molti sospetti arrestati furono inviati alla fabbrica della morte senza alcun processo. I maruta venivano caricati su furgoni Dodge neri con i finestrini oscurati, destinazione Pingfan. Una volta arrivati, si effettuavano tutti i controlli medici necessari, venivano destinati alle rispettive celle e assegnato un numero di tre o quattro cifre (era solamente un pezzo di legno, un oggetto per esperimenti), partendo da 101 fino a 1500, per poi ripartire dal 101. Questo sistema di identificazione numerica non permette, ancora oggi, di stabilire con precisione il numero delle vittime dei medici giapponesi. Il generale Kawashima affermò che “il numero dei prigionieri del Distaccamento 731 che morirono dopo essere stati infettati con malattie letali fu non meno di circa 600 l’anno15”. Il generale lavorò insieme a Ishii dal 1941 al 1945 e, se si tiene fede alle sue parole, si possono stimare un numero di almeno 3000 morti, ma senza contare gli anni dal 1936 al 1938 e senza contare le vittime delle altre “Unità anti-epidemiche” e tutti i prigionieri-testimoni uccisi prima dell’arrivo delle armate comuniste cinesi e sovietiche in Manciuria nel settembre del 1945. L’unica certezza è che il sistema creato da Ishii Shiro con l’approvazione dei vertici militari e delle più alte cariche dello stato, compreso, è bene ricordarlo, l’imperatore Hirohito, non prevedeva assolutamente sopravvissuti. Le prove del coinvolgimento dell’establishment politica giapponese si possono trovare nel telegramma top secret, datato 6 maggio 1947,destinato a Washington e inviato dal quartier generale di MacArthur a Tokyo: “dichiarazioni riluttanti di Ishii Shiro indicano che egli ebbe l’autorizzazione per il suo programma dai suoi superiori (probabilmente dallo Stato Maggiore)”. Qualsiasi Unità, per quanto speciale e segreta essa sia, deve essere approvata e finanziata e necessariamente qualcosa deve pur trapelare alle autorità politiche e militari. E’ quasi impossibile ritenere che un qualsiasi gruppo privato possa realizzare delle strutture di tale portata (oltre venticinque Unità in tutta l’Asia estremorientale), di assoluta e spietata efficienza ed in totale segretezza senza il nullaosta dei propri superiori. Nelle attività delle fabbriche della morte erano impegnati migliaia di medici sia civili che militari, il Kempeitai, grandi compagnie private giapponesi, membri del gabinetto governativo (lo stesso Tojo, Viceministro della Guerra e Primo Ministro, visionò più volte i filmati sugli esperimenti sugli esseri umani), alti vertici militari (come i generali dell’armata del Kwantung), università ed istituti pubblici di medicina giapponesi, militari di vario grado che garantivano la sicurezza delle Unità nipponiche. Non è possibile che tutto ciò sia potuto avvenire all’oscuro delle autorità pubbliche, governative e dell’esercito, soprattutto in una nazione dove vigeva una rigidissima gerarchia sociale e militare.

1 Sheldon H. Harris, Factories of Death, op. cit., p. 47.


2 Polizia militare dell’esercito giapponese, controllata dal Ministero della guerra. Aveva pieni poteri di arresto e di indagine su civili e militari.


3 Daniel Barenblatt, I Medici del Sol Levante, op. cit., p. 80.


4 Sheldon H. Harris, Factories of Death, op. cit., p. 55.


5 Ivi, pp. 55-56.


6 Daniel Barenblatt, I Medici del Sol Levante, op. cit., pp. 76-77.


7 Daniel Barenblatt, I Medici del Sol Levante, op. cit, pp. 81-82.


8 Documents Relatifs au Procès des Anciens Militaires de l’Armée Japonaise Accusés d’Avoir Préparé et Employé l’Arme Bacteriologique, Edition en Langues Etrangères, Moscou 1950, p. 117.


9 Per un maggiore approfondimento consultare: George Hicks, The Confort Woman: Sex Slaves of the Japanese Imperial Forces, Allen & Urwin, London 1995 e Iris Chang, Lo Stupro di Nanchino, l’Olocausto Dimenticato della Seconda Guerra Mondiale, Casa Editrice Corbaccio, Milano 2000.


10 Hal Gold, Unit 731 Testimony, op. cit., pp. 163-164.


11 Sheldon H. Harris, Factories of Death, op. cit., p. 63.


12 Documents Relatifs au Procès, op. cit.


13 Documents Relatifs au Procès, op. cit.


14 Daniel Barenblatt, I Medici del Sol Levante, op. cit., pp. 99-100.


15 Documents Relatifs au Procès, op. cit.


16 John W. Powell, “ Japan’s Biological Weapons: 1930-1945. A Hidden Chapter in History”, Bulletin of Atomic Scientists, ottobre 1981.

https://cinaoggi.it/2009/01/23/le-armi-invisibili-2/


CONTINUA.....

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