venerdì 14 febbraio 2020

STORIA DELLE GUERRE BATTERIOLOGICHE: DALLA SECONDA GUERRA MONDIALE AL CORONAVIRUS II Parte

Le altre fabbriche della morte

...I metodi di diffusione delle malattie non avvenivano solo attraverso i lanci aerei. Tecnici e scienziati dello staff di Ishii distribuivano materiali e cibi contaminati nei villaggi. Furono usate anche false vaccinazioni come metodo di contagio. Nel 1940, nei dintorni di Changchun vennero diffusi i batteri del colera.A questo punto Ishii Shiro organizzò una campagna di immunizzazione, ma i vaccini, forniti dalle Unità nipponiche, erano costituiti da batteri vivi e attivi del colera...

Risultato immagini per rischio biologico



Mappa della dislocazione delle maggiori Unità giapponesi per la sperimentazione di armi biologiche.

Come è già stato detto, Pingfan era il quartier generale di un’enorme struttura di sperimentazione per lo sviluppo di armi biologiche che comprendeva varie filiali in Cina e nelle altre zone del Sud-Est Asiatico sotto il controllo nipponico. Con le ingenti somme messe a disposizione dal governo, Ishii assicurò la creazione di molte basi satellite dove lavorarono centinaia di medici giapponesi e dove veniva addestrato il personale per compiere i test sugli uomini. In ogni fabbrica della morte venivano prodotti in quantità germi, batteri, virus e tossine necessari alla contaminazione di vaste aree di territorio.



L’Unità Songo (Unità 673) presso Sunyu era specializzata nelle ricerche sulle cause delle febbri emorragiche e sulla peste bubbonica. Molti roditori selvatici vennero catturati in Manciuria, allevati e infettati con le pulci appestate e coltivate nei laboratori. Questi ratti vennero utilizzati nelle successive sperimentazioni e operazioni di guerra biologica. L’Unità 673 si occupò anche di molti test umani sul congelamento. Altre basi più piccole erano situate ad Hailaer (Unità 543), vicino alla frontiera con l’URSS, e in altre zone remote della Manciuria. A Dalian nella provincia del Liaodong, sorse l’Istituto sanitario delle ferrovie della Manciuria del Sud dove venivano prodotte enormi quantità di vaccini per l’immunizzazione delle truppe dell’Armata Imperiale. Distaccamenti urbani dell’Unità 731 sorsero ad Haerbin, a Shenyang, dove venivano studiati i microrganismi letali e le sostanza chimiche tossiche da utilizzare in un eventuale scontro con l’Unione Sovietica.

A Changchun si stabilì l’Unità 100, detta anche Unità Wakamatsu (il veterinario Wakamatsu Yujiro fu a capo del centro di sperimentazione dal 1936 al 1945) o Unità amministrativa per la protezione anti-epizootica equina dell’Armata del Kwantung. Venivano portati avanti gli esperimenti sulle armi biologiche contro animali, piante e raccolti. L’Unità si estendeva per una superficie di quasi venti chilometri quadrati che comprendeva, oltre ai vari laboratori, estesi terreni coltivati dove venivano sperimentate sostanze chimiche, batteri e funghi per la distruzione e la contaminazione dei raccolti di grano e riso. Sviluppò anche numerosi progetti di contaminazione del bestiame da spingere dietro le linee sovietiche.
Agli ordini di Wakamatsu c’erano ottocento fra scienziati e soldati; gli edifici dell’Unità di Changchun erano numerosi e, come a Pingfan, la sede amministrativa, le prigioni e i laboratori erano accorpati e vi si accedeva tramite tunnel sotterranei segreti.

Le malattie trasmissibili dal contatto con gli equini furono le più studiate, come morva, l’anemia infettiva equina (malattia che distrugge il sistema immunitario) e la pirosplasmosi (infezione dei globuli rossi trasmessa dalle zecche). I tecnici di questa Unità concentrarono i loro esperimenti principalmente sui microrganismi trasmissibili da animale a uomo o sui microrganismi capaci di contaminare le risorse umane come i raccolti e le falde acquifere: svilupparono approfonditi studi ed esperimenti sul virus del mosaico, della ruggine rossa, su diserbanti chimici in modo da devastare interi raccolti; agenti patogeni vennero coltivati in laboratorio per trovare il modo più rapido ed efficace per sterminare mandrie di bestiame.
I pazienti dell’equipe di Wakamatsu ricevettero lo stesso trattamento che l’Unità 731 riservava ai suoi maruta: microrganismi e sostanze letali furono testati su centinaia di uomini, poi dissezionati per seguire gli sviluppi della malattia sperimentata. Le autopsie e le vivisezioni venivano condotte con un’estrema meticolosità come dimostrano due spessi rapporti che i giapponesi, al momento della resa nell’agosto del 1945, non riuscirono a distruggere. Il Rapporto G, costituito da 372 pagine, descrive ventuno casi di morva con numerose illustrazioni e centinaia di fotografie delle cellule malate. Il Rapporto A, 406 pagine, riporta le annotazione sulle vivisezioni di trenta persone infettate con l’antrace e il modo in cui nove prigionieri furono costretti a contrarre l’infezione intestinale dell’antrace mangiando cibo contaminato. Tutti i pazienti morirono in pochi giorni per emorragie interne e dopo un’atroce agonia.

Anche l’Unità 100 sviluppò alcune basi satellite in Manciuria che lavoravano in collaborazione con gli scienziati di Wakamatsu.
Il 18 aprile 1939 Ishii diede ordine di creare, nella città di Nanjing, l’Unità 1644 distaccamento dell’Unità antiepidemica per l’approvvigionamento idrico della Cina centrale, detta anche Unità Tama, e ne affidò la gestione al microbiologo Masuda Tomosada. Un ricercatore assegnato all’Unità di Nanjing rimasto anonimo scrisse che nel luglio 1942 fui trasferito in Cina e il mese seguente assegnato all’Unità 1644 di Nanjing. Attrezzature e tecnici furono trasferiti da Haerbin. La struttura era buona; avevamo persino una piscina. Sotto il regime di Chiang Kai-shek [JiangJieshi], la struttura era in origine un ospedale civile. La parte anteriore del complesso ospedaliero si estendeva per duecento metri, isolata da alte mura difese da guardie. La struttura si sviluppava per settecento metri al di là di questo muro e c’era una grande croce rossa sul tetto dell’edificio principale. […] Le persone che lavorarono nell’Unità erano medici militari, medici specialisti, interpreti e dipendenti civili.
La nostra attività includeva lo sviluppo di vaccini preventivi, curare gli animali e prelevare sangue animale per la ricerca e la produzione di vaccini. Io fui assegnato al team che si occupava dei vaccini. Eravamo in centoventi, circa il dieci percento degli effettivi dell’Unità. Ogni giorno, io dovevo dare informazioni sul lavoro svolto il giorno precedente, incluso quale medico militare aveva effettuato quel lavoro, quali risultati si erano ottenuti e così via. Avevo il compito di scrivere tutti i dettagli in un rapporto di ricerca, poi ponevo il timbro sopra, «segreto», e lo mettevo al sicuro. Ogni persona collegata con gli esperimenti umani indossava uno speciale bottone al lato del suo cappello. I maruta erano tenuti in celle all’ultimo piano di un edificio a tre piani.
Si doveva passare attraverso gli uffici amministrativi per andare al terzo piano, dove erano le celle. L’area dei prigionieri era chiusa ermeticamente da una porta. Un metro prima di questa e di là da essa c’erano due tappetini pregni di materiale disinfettante per prevenire che i batteri potessero uscire restando attaccati alle scarpe. Dietro la porte, la stanza era di circa 10-15 metri quadrati con le celle tutte in fila. La maggior parte dei maruta nelle celle erano distesi a terra. Nella stessa stanza c’erano contenitori d’olio con topi infettati con i batteri della peste e pulci che si nutrivano sui topi. Non erano il tipo usuale di pulci, ma di una varietà trasparente. Intorno al perimetro della stanza c’era un solco largo trenta centimetri in cui scorreva l’acqua.
Vicino alla stanza per le dissezioni c’era la stanza dei campioni sperimentali umani.

I laboratori di batteriologia dell’Unità 1644 erano stati progettati in particolar modo per la messa a coltura di virus e batteri letali da utilizzare nelle azioni di guerra biologica. In un solo ciclo di produzione e utilizzando le duecento incubatrici che possedeva l’Unità, si potevano produrre fino a dieci chilogrammi di microrganismi. Gli scienziati di Nanjing somministrarono a civili cinesi una vasta varietà di sostanze chimiche tossiche e veleni come acetone, arsenicanti, cianuro, nitrito prussico, veleno del cobra, habu, amagasa e il veleno contenuto nella carne del pesce palla (fogu).
La posizione strategica di Nanjing rese l’Unità 1644 il punto di partenza delle varie missioni di sperimentazione e attuazione di guerra biologica nella Cina centrale.

Presso Anda, a circa 120 chilometri a nord-ovest di Pingfan, si stabilì un terreno di sperimentazione a cielo aperto in cui vennero effettuati test di bombe biologiche e batteriologiche, usando gli agenti patogeni di colera, peste bubbonica e altri microrganismi letali. Per queste particolari prove venivano utilizzati dai dieci ai cinquanta individui legati a dei pali e generalmente disposti in più circoli di diverso diametro, per poter stabilire la giusta distanza dal punto della deflagrazione alla persona che veniva colpita dalle schegge contaminate dell’ordigno. Le cavie erano protette da un elmetto e da un piatto di metallo che copriva il collo e tutto il busto. In questo modo, erano solamente gli arti esposti ad essere colpiti, evitando così che gli organi vitali dei maruta venissero mortalmente lesionati.
Il coreano Choi Hyung Shin lavorò come interprete per i giapponesi nell’Unità 1855 di Beijing dal 1942 al 1943 e testimoniò che le cavie venivano infettate con la peste, il colera ed il tifo. Coloro che non erano stati ancora infettati venivano messi in differenti zone. C’erano grandi specchi nelle celle dei soggetti così da poter essere osservati in maniera migliore. Io parlavo con i prigionieri usando un microfono e guardandoli attraverso un pannello di vetro, traducendo le domande dei dottori: “hai la diarrea? hai emicranie? hai freddo?”. I dottori registravano attentamente tutte le risposte.
Durante un esperimento sul tifo, dieci persone furono costrette a bere una mistura di germi e a cinque di loro fu somministrato il vaccino. I due gruppi furono separati l’uno dall’altro. I dottori li visitavano attentamente e ponevano loro domande che io traducevo, registrando le risposte. Il vaccino funzionò con i cinque che erano stati immunizzati. Gli altri cinque soffrirono orribilmente.
Nei test con la peste, i prigionieri soffrirono di feroci brividi, di febbre alta e gemevano per i dolori, finché non morirono. Per quello che ho potuto vedere, ogni giorno una persona veniva uccisa.
Choi si ammalò di appendicite e ne approfittò per fuggire dall’Unità 1855, in cui era stato costretto a lavorare. Fu catturato dal Kempeitai e sottoposto alla tortura dell’acqua5 mista a peperoncino che gli causò un danno permanente ai polmoni. Per cinquanta anni è stato costretto a continui ricoveri ospedalieri.
Molte altre ancora furono le fabbriche della morte e tutte lavorarono su soggetti umani, al di là di ogni morale scientifica e umana.

Principali fabbriche della morte giapponesi in Asia 

Unità giapponesi di sviluppo e sperimentazione della guerra biologica


Pingfan 

Unità 731 o Unità Ishii


Nanjing 

Unità 1644 o Unità Tama


Beijing 

Unità 1855


Changchun 

Unità 100 o Unità Wakamatsu


Sunyu 

Unità 673 o Unità Songo


Beiyinhe 

Unità Togo


Hailaer 

Unità 543


Dalian 

Istituto sanitario delle ferrovie della Manciuria del Sud


Haerbin 

Distaccamento dell’Unità 731


Shenyang 

Distaccamento dell’Unità 731


Anda 

Distaccamento dell’Unità 731


Shanghai 

nome sconosciuto


Guangzhou 

Unità 8604 o Unità Nami


Singapore 

Unità 9420 o Unità Oka


Burma 

nome sconosciuto


Rangoon 

nome sconosciuto


Bangkok 

nome sconosciuto


Manila 

nome sconosciuto



1 Daniel Barenblatt, I Medici del Sol Levante, op. cit., p. 164.


2 Sheldon H. Harris, Factories of Death, op. cit., p. 94.


3 Hal Gold, Unit 731 Testimony, op. cit., pp. 150-152.


4 Hal Gold, Unit 731 Testimony, op. cit., pp. 52-53.


5 Nella bocca e nelle narici della vittima veniva pompata dell’acqua nei polmoni finché il torturato non perdeva i sensi.

Le bombe vive

“Queste spaventose applicazioni belliche sono opera di medici che dovrebbero proteggere l’umanità dal dolore e dalla malattia”

Franco Graziosi

Tutti gli scienziati e tecnici delle Unità di Ishii lavorarono febbrilmente alla produzione su larga scala di potenti e letali microrganismi biologici e batteriologici da impiegare negli attacchi contro il nemico. Per poter disseminare gli agenti patogeni su vaste aree si progettarono e realizzarono moltissimi mezzi di dispersione, ma soprattutto vi era il continuo bisogno di coltivare gigantesche quantità di batteri e virus sufficienti a provocare un’epidemia.
All’inizio si cercò di costruire proiettili esplosivi con ogive piene di agenti letali, ma, fin da subito, si rivelarono totalmente inefficaci: la detonazione uccideva i microrganismi impiegati o li rendeva innocui. Questo tipo di armi fu scartato e si cercò di produrre bombe specifiche che non annientassero il loro contenuto letale e, allo stesso tempo, adatte alla disseminazione su un vasto territorio.
La bomba HA fu progettata per disperdere, da alte quote e su un’ampia area, l’antrace sotto forma di spore o di batteri polverizzati. La forma era quella di una pallottola costituita da sottile acciaio e il suo scopo era quello di provocare ferite con schegge infette.
Le bombe Uji e le varianti Uji modello 50, realizzate per veicolare qualsiasi tipo di microrganismo, furono testate presso la pista aerea di Pingfan e di Anda su centinaia di prigionieri: le bombe risultarono inefficaci, la detonazione necessaria a spaccare l’acciaio annullava la letalità dei microrganismi. Venne progettata un’altra variante della bomba Uji, ma questa volta con pareti di ceramica con all’interno sei litri di liquido micidiale. Il sottotenente Segochi Kenichi, assistente della Divisione per la Produzione e la Fabbricazione dell’Unità 731, descrisse il tipo di bomba: “le bombe erano lunghe fra i 70 e gli 80 centimetri, per un diametro di circa 20. Sul fondo c’era un’apertura filettata. Le bombe erano cave all’interno, dove veniva inserita una spoletta a tempo. Sulla superficie del proiettile venivano fatte scanalature a zig-zag, mentre nella parte superiore venivano sistemati gli attacchi per lo stabilizzatore. Nelle scanalature veniva applicato l’esplosivo, che serviva a far deflagrare le bombe. Lanciate dagli aerei, queste dovevano esplodere prima dell’impatto al suolo”. Nei proiettili venivano inserite delle palle di porcellana al cui interno erano immesse, per esempio, pulci dell’uomo veicolanti peste bubbonica, precedentemente coltivate e selezionate nei laboratori dell’edificio 7 dell’Unità 731. Una volta rotti i contenitori, le pulci si spostavano e infettavano la persone.
Si cercò anche di trovare alcuni metodi per disperdere batteri sotto forma di aerosol, delle vere e proprie nubi micidiali, ma i tecnici giapponesi ritennero questo sistema poco affidabile.
L’Unità 731 ideò anche le cosiddette bombe Madri e Figlie: la Madre controllava, con un radiocomando incorporato, l’esplosione delle Figlie, contenenti gli agenti microbiologici immersi in un liquido che si sarebbe diffuso al suolo. Oltre ad essere un sistema di attacco particolarmente costoso, non diede mai i risultati sperati. Per questo il progetto fu abbandonato.
Le bombe con le pareti di ceramica si rivelarono, dopo innumerevoli esperimenti sui soggetti cinesi, il sistema di diffusione per le epidemie più efficace e divenne quello maggiormente utilizzato.
La prima offensiva in cui fu impegnata l’Unità 731 fu nell’estate del 1939. Durante un attacco proditorio alle truppe sovietiche e mongole a Nomonhan, lungo i confini sino-sovietici. Dopo essere stati trasportati su camion all’interno di bidoni metallici, vennero gettati batteri del tifo in un fiume che scendeva nei pressi degli accampamenti nemici. Oltre quaranta membri dell’Unità giapponese contrassero il virus della febbre tifoide. Non si fece particolarmente attenzione alle necessarie misure di sicurezza da adottare durante simili trasporti eccezionali e si trascurò persino il fatto che i microrganismi del tifo non potessero sopravvivere nella corrente gelata del fiume. Proprio per questo, sorge il sospetto che Ishii stesse solamente tentando di dare maggior prestigio al proprio programma e di aumentare i fondi ad esso destinati, anche perché nessuno aveva avuto modo di constatare gli esiti dell’attacco. L’Unità 731 ricevette un premio, sebbene l’offensiva biologica si fosse dimostrata un totale fallimento, per aver contribuito con una “decisiva operazione tattica2”. Nel 1940, l’imperatore Hirohito autorizzò con un decreto un aumento nel numero dei ricercatori e delle strutture; l’aumento del territorio sotto il comando diretto di Ishii Shiro; l’apertura di nuovi centri scientifici in Manciuria; l’aumento di tremila tecnici al personale di stanza a Pingfan.
Nello stesso anno in cui Hirohito favorì un ulteriore sviluppo economico e strutturale delle ricerche scientifiche per la costruzione di armi di distruzione di massa, l’Unità per la Purificazione dell’Acqua di Pingfan sperimentò un nuovo attacco di guerra batteriologica, questa volta sulla popolazione civile di Ningbo, nella provincia dello Zhejiang. Nel maggio del 1940, un aereo carico di 70 chili di batteri del tifo, 50 chili di batteri del colera e milioni e milioni di pulci veicolanti la peste bubbonica, partì dalla città di Hangzhou. Scopo della missione era disperdere le pulci nei campi e nei pozzi idrici di Ningbo in modo da far ammalare il maggior numero di individui e ridurre in estrema povertà e degrado i pochi sopravvissuti che sarebbero rimasti. Gli attacchi batteriologici, compiuti in questa città, furono effettuati con differenti metodi: chicchi di grano cosparsi con batteri della peste e cotone contaminato furono gettati da aerei a bassa quota oppure vennero semplicemente liberate delle pulci. Nella stessa Ningbo, i pozzi vennero avvelenati con batteri che potevano vivere nell’acqua quali tifo e colera. Lo staff del programma di guerra biologica studiò, in loco,gli effetti degli attacchi, facendo particolare attenzione alla misure sanitarie che sarebbero state adottate per circoscrivere le epidemie e, soprattutto, se le unità antiepidemiche cinesi fossero state in grado di capire che le epidemie erano state causate artificialmente dei giapponesi. Il tenente colonnello Nishi Toshihide confessò nel 1949:
“vidi un documentario sulla spedizione del Distaccamento 731 nella Cina centrale nel 1940. All’inizio le immagini mostravano un contenitore pieno di pulci infette della peste che veniva attaccato alla fusoliera di un aereo. Poi furono illustrati l’apparato diffusore e le procedure per attaccarlo alle ali dell’aereo. Apparve poi una didascalia che spiegava che l’apparecchiatura era carica di pulci infette. Dopodiché, quattro o cinque persone salirono sull’aereo, ma non saprei dire chi fossero. L’apparecchio decollò, e un’altra didascalia spiegò che stava volando verso il territorio nemico. La scena seguente lo mostrava in volo sopra le linee nemiche, poi si susseguirono immagini dell’aereo, delle truppe cinesi in movimento e dei villaggi. Dalle ali dell’aereo si vide uscire una nuvola di fumo, ma la didascalia chiarì che si trattava delle pulci che venivano disperse sul nemico. Poi l’apparecchio tornò alla base, e un’altra didascalia annunciava: «Operazione conclusa». L’aereo atterrò, una squadra di tecnici della disinfestazione lo mise in sicurezza. Quindi scesero i passeggeri: il primo fu il generale di divisione Ishii Shiro, seguito dal maggiore Ikari. Chi fossero gli altri, non saprei proprio dirlo. Questa scena fu seguita da un’altra didascalia: «Risultati», e fu mostrato un giornale cinese con la traduzione in giapponese. Il testo spiegava che una grave epidemia di peste era scoppiata nella zona di Ningbo. L’ultima inquadratura ritraeva alcuni operai cinesi in tuta bianca mentre disinfettavano la zona colpita dalla peste. Grazie a questo filmato, appresi, in modo piuttosto chiaro, che sulla regione di Ningbo erano state utilizzate armi biologiche”.
I microrganismi lanciati su Ningbo erano così violenti, essendo stati precedentemente coltivati nei boilers umani, che provocarono la morte al 99% dei contagiati. I batteri vennero dispersi anche nella città di Quzhou, provincia dello Zhejiang. Nel mese di novembre, il morbo si diffuse nella vicina città di Yiwu. A Jinhua furono dispersi strani granuli giallognoli, ma non si verificò alcuna epidemia. Focolai di tifo si verificarono a Tangxi, villaggio nei pressi di Quzhou, dovuti all’inquinamento delle pozze acquifere da parte dei nipponici.
Il 4 novembre 1941, un solo aereo dell’Unità 731 lanciò sopra i cieli di Changde, provincia dell’Hunan, grano, riso, cotone e pezzi di carta intrisi di batteri della peste e trentasei chilogrammi di pulci. La missione fu guidata dal colonnello Ota Kiyoshi, che già aveva condotto simili esperimenti su persone legate ai pali nel campo di Anda. Dopo pochi giorni dall’attacco, alcuni abitanti della città morirono colpiti dalla “Morte Nera”. Una missione della Croce Rossa cinese, basandosi sulle analisi del sangue e sullo studio di alcuni animali morti, concluse che la peste era stata provocata dall’attacco giapponese. L’epidemia si propagò ben presto in tutta la città e in centinaia di piccoli villaggi limitrofi causando, in base ad una ricerca molto accurata compiuta negli anni Novanta e durata sette anni, 7643 morti. Nell’aprile del 1942, il governo cinese formulò la prima accusa contro il Giappone, additandolo come l’unico responsabile delle epidemie di peste e tifo che stavano esplodendo in almeno tredici città della Cina centrale e denunciando il programma di sviluppo di armamento biologico e batteriologico nipponico.

I metodi di diffusione delle malattie non avvenivano solo attraverso i lanci aerei. Tecnici e scienziati dello staff di Ishii distribuivano materiali e cibi contaminati nei villaggi. Furono usate anche false vaccinazioni come metodo di contagio. Nel 1940, nei dintorni di Changchun vennero diffusi i batteri del colera. A questo punto Ishii Shiro organizzò una campagna di immunizzazione, ma i vaccini, forniti dalle Unità nipponiche, erano costituiti da batteri vivi e attivi del colera. Un veterano del Distaccamento 731, Shinohara Tsuro, raccontò che, mentre era impegnato in operazioni di guerra biologica in un piccolo paesino della Manciuria centrale, il suo istruttore capo e la sua equipe “portarono i batteri della peste ed eseguirono i test. Il metodo prevedeva che gli agenti patogeni fossero iniettati in dolciumi da avvolgere nella carta. Gli uomini dell’Unità 731 andarono in una zona dove alcuni bambini stavano giocando e cominciarono a mangiare dolci simili a quelli infetti. Due o tre giorni dopo, la squadra tornò in paese per indagare, e riferì casi di peste”.
Fra il 1939 e il 1940, si svilupparono molti focolai di colera nelle zone intorno ad Haerbin. In ogni caso, i tecnici di Ishii, dopo aver compiuto le necessarie osservazioni, segnalavano sempre nuovi e migliori metodi per i futuri attacchi.

Il 22 giugno 1941, il Fuhrer tedesco Adolf Hitler diede il via all’Operazione Barbarossa, con la quale la Germania dava inizio alla campagna militare contro il fronte orientale, attaccando l’Unione Sovietica. Il Capo di Stato Maggiore nipponico diede ordine alle varie Unità per la Purificazione dell’Acqua di aumentare sensibilmente la produzione di agenti biologici da impiegare in attacchi mirati lungo le frontiere sino-sovietiche a sostegno delle normali azioni armate convenzionali. Secondo le testimonianze rese durante il Processo di Khabarovsk, il Giappone voleva utilizzare armi biologiche contro le città sovietiche di Khabarovsk, Cita, Voroshilov e Blagoveschensk. Molti attacchi sperimentali furono compiuti dalle Unità di Ishii, ma non è tuttora chiaro quali ne siano stati gli esiti. E’ certo comunque che i giapponesi utilizzarono bacilli dell’antrace per contaminare il terreno e le riserve d’acqua, la morva venne utilizzata per infettare animali da pascolo e gettata in alcuni corsi d’acqua lungo il fiume Derbul, che scorre lungo la frontiera russo-mancese. L’Unità 100 a Changchun, nel marzo del 1944, aveva prodotto 200 chili di bacilli di antrace, 100 di morva e 30 chili di funghi della ruggine nera, un parassita che attacca il grano.

Nel 1942, l’armata imperiale nipponica avanzò nella provincia dello Zhejiang. Gli attacchi di guerra biologica in questa provincia avevano lo scopo di estendere il controllo giapponese in maniera più rapida ed efficace, oltre a rappresentare un buon terreno di prova per le nuove armi. Il generale Kiyoshi Kawashima testimoniò che “Ishii Shiro riunì il personale dirigente del Distaccamento 731 e lo informò che, a breve, sarebbe stata organizzata una spedizione nella Cina centrale, con l’obiettivo di studiare i migliori metodi per il dispiegamento delle armi biologiche. […] Fu emesso un ordine che distaccava un gruppo scelto in Cina centrale. […] Il gruppo doveva comprendere fra i cento e i trecento uomini. Si decise di utilizzare peste, colera e paratifo. […] Le azioni di guerra biologica si svolsero alla fine dell’agosto del 1942. Questo corpo di spedizione dell’Unità 731 operò nel territorio del Distaccamento Ei [Unità 1644 a Nanjing] dove aveva stabilito le proprie basi logistiche”. Una delle prime città ad essere colpite durante questi nuovi attacchi fu Fuxing, al confine tra le province delle Zhejiang e Jiangxi. Piume di uccelli ricoperte dai batteri dell’antrace furono disseminate sulla città e vennero utilizzati uccelli vivi cosparsi d’antrace con la speranza che questi facessero cadere le loro piume sulla popolazione, infettandola. Le piume risultarono un buon sistema di diffusione dell’antrace, in quanto riproducono l’habitat ideale nel quale possono sopravvivere i batteri, al riparo dai vari agenti atmosferici. Batteri della peste bubbonica furono disseminati sul piccolo paesino di Shangrao. Come vettore si utilizzò cibo infetto o animali. Nel settembre 1942, toccò alla città di Chongshan di essere colpita dalla Yersinia pestis, e un terzo della popolazione morì del terribile morbo. Wang Lijun, in una testimonianza scritta al processo intentato contro il Giappone, nel 1997, da alcuni parenti delle vittime cinesi degli esperimenti nipponici, per ottenere un risarcimento e il giusto riconoscimento della tragedia subita, descrisse la sua esperienza:

nel 1942, quando avevo dieci anni, all’improvviso la peste diventò molto diffusa, per via dei germi che il crudele esercito giapponese aveva sparso sopra al villaggio. Tutti i malati mostravano gli stessi sintomi: febbre alta, atroce mal di testa, sensazione di sete e ghiandole linfatiche gonfie. In appena un paio di mesi un terzo degli abitanti, ossia oltre quattrocento persone, furono uccisi dalla peste. […] Quando il villaggio era pieno di persone malate, arrivarono i soldati giapponesi in camice bianco e maschere antigas. Obbligarono gli abitanti a riunirsi in una piazza in fondo al villaggio, poi esaminarono tutti e somministrarono iniezioni di farmaci ignoti.
I medici giapponesi confinarono i pazienti nella parte più lontana delle case. Comunque, non curarono i malati, ma li trattarono in modo orribile. Una ragazza di nome Wu Xiaonai fu sezionata e le furono tolti gli organi interni mentre era ancora viva, un’azione veramente diabolica. […] Inoltre, quando si seppellivano i cadaveri, spesso ai corpi mancavano le braccia o le gambe. Fino ad allora non avevamo mai avuto ammalati di peste, né in paese né nei dintorni. E’accertato che quel tragico incidente fu provocato dalle armi biologiche dell’esercito giapponese. Non solo diffusero la peste, ma vivisezionarono le persone come fossero animali”.

Da questa testimonianza si può ben capire come i tecnici di Ishii operassero test ed esperimenti direttamente sul campo e non più solamente all’interno delle varie Unità sparse per il territorio cinese. Dopo che l’epidemia a Chongshan raggiunse livelli stabili, i giapponesi tornarono per dare fuoco al villaggio, in modo da circoscrivere la malattia ed evitare che le truppe nipponiche, accampate nei pressi del paesino, fossero anch’esse contagiate. Gli abitanti ancora malati furono trascinati a forza fuori dalle loro case e vivisezionati nei campi.

Sempre nel 1942, con un’azione combinata di membri dell’Unità 731 e 1644, la città di Baoshan nella provincia dello Yunnan fu bombardata con il colera. L’obiettivo era quello di tagliare fuori le vie di comunicazione degli alleati che attraverso la Birmania passavano per Kunming per poi collegarsi con Chongqing, capitale della Cina Nazionalista.
Bombe al colera, insieme alla contaminazione delle riserve idriche, fecero scoppiare nell’aprile del 1942, nell’intera provincia dello Yunnan, un’epidemia di enormi proporzioni. Il pericolo di essere contagiati era talmente alto da non permettere alle truppe cinesi di raggiungere la provincia meridionale. Ishii e i suoi tecnici avevano raggiunto un risultato strategico importantissimo in quanto diedero la possibilità all’armata giapponese di lasciare sguarnita la provincia dello Yunnan per andare a rinforzare altri fronti.
Venne creata un’apposita Unità, detta 113, addestrata nell’utilizzo delle armi biologiche. Cominciò con il contaminare varie riserve idriche lungo il confine tra Yunnan e Birmania per poi spostarsi verso Baoshan dove si unì ad altri gruppi di tecnici delle Unità 1644 e 8604 (o Unità Nami con base a Guangzhou). Le tre Unità continuarono il loro lavoro di contaminazione a Baoshan, rilasciando enormi quantità di germi del colera nelle fonti d’acqua. Il 4 maggio 1942, cinquanta bombardieri nipponici sganciarono sulla città bombe convenzionali, bombe incendiarie e bombe biologiche di ceramica dette bombe Yagi o bombe larva, che, all’impatto con il suolo, liberavano una gelatina batterica piena di mosche vive che si posavano su persone, animali, cibo, acqua e utensili, depositando larve letali piene del vibrione del colera. I pochi sopravvissuti abbandonarono la città riversandosi nelle campagne circostanti, portando con loro la terribile malattia. Il 5, 6 e 8 maggio aerei giapponesi continuarono a bombardare con armi convenzionali la città ormai in macerie e quasi completamente sfollata. Lo scopo di questi attacchi, apparentemente senza senso, era quello di far fuggire i pochi abitanti rimasti e favorire l’effetto degli attacchi biologici: gli abitanti di Baoshan si erano inconsapevolmente trasformati in involucri di bombe biologiche. Molti furono anche coloro che si avventurarono nelle macerie della città in cerca di oggetti abbandonati da riportare nei loro villaggi: anche loro si trasformarono in veicoli della malattia.
Fino ad allora, non vi era mai stata notizia nello Yunnan di un’epidemia di colera, ma, nel giugno del 1942, la malattia si era diffusa in 66 contee su 108. In base ad uno studio di ricercatori cinesi compiuto nel 1999 “possiamo desumere che il numero totale delle vittime delle epidemie di colera provocate dai giapponesi nello Yunnan possa superare i 210.000 individui”.

Nell’agosto del 1943, toccò alla provincia dello Shandong essere attaccata con il colera. Anche in questo caso la combinazione di attacchi convenzionali e bombe biologiche creò una numerosa massa di individui-vettori che si spostarono per i vari villaggi della provincia. Il numero delle vittime anche in questo caso fu enorme: l’epidemia devastò dodici contee nello Shandong, nove nell’Hebei e due nell’Henan causando almeno 200.000 morti. Con questa feroce campagna di annientamento, i giapponesi erano riusciti a bloccare temporaneamente l’avanzata delle forze comuniste in quelle regioni.

Il 9 agosto del 1945, l’Unione Sovietica denunciò il patto di non aggressione con il Giappone (firmato il 13 aprile 1941) e invase la Manciuria. L’Unità 100 iniziò ad evacuare il suo quartier generale a Changchun, distruggendo tutti le sue strutture e uccidendo gli operai che lavoravano all’interno del campo e i prigionieri ancora in vita con iniezioni al cianuro. Il 20 agosto, dopo che l’imperatore Hirohito, il 15, aveva annunciato la resa del Giappone, vennero liberati migliaia di ratti appestati e dalle scuderie dell’Unità 100, sessanta cavalli a cui era stata fatta mangiare avena infetta con la morva. Epidemie di peste bubbonica scoppiarono dal 1946 e per alcuni anni seguenti nella zona limitrofa a Changchun; una volta che i germi vengono dispersi, se incontrano situazioni ottimali, possono proliferare e riprodursi per decenni. Tutte le varie Unità di sperimentazione distrussero le strutture e la documentazione relativa agli studi scientifici effettuati; tutti le cavie-testimoni furono uccise con iniezione letali o fucilate.


1 Documents Relatifs au Procès, op. cit..


2 James Yin, The Rape of Biological Warfare, op. cit., p. 167.


3 Documents Relatifs au Procès, op. cit., pp. 287-288.


4 Daniel Barenblatt, I Medici del Sol Levante, op. cit., p. 197.


5 Documents Relatifs au Procès, op. cit., pp. 261-262.


6 Keichiro Ichinose, Hidden Holocaust in the World War II by Japanese Army, Tokyo 1998, pp. 158-163.


7 Daniel Barenblatt, I Medici del Sol Levante, op. cit., p. 224.

CONTINUA....

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