venerdì 14 febbraio 2020

STORIA DELLE GUERRE BATTERIOLOGICHE: DALLA SECONDA GUERRA MONDIALE AL CORONAVIRUS III Parte


La resa dei conti
Il patto col diavolo

...Né il Rapporto Qian, né le pubbliche accuse, né l’articolo di Pullitzer servirono a smuovere l’attenzione delle potenze internazionali e dell’opinione pubblica mondiale su tali crimini contro l’umanità... 

Risultato immagini per rischio biologico

“Per gli interessi di sicurezza nazionale degli Stati Uniti, il generale Ishii e molti altri membri dell’Unità 731 hanno vissuto la loro vita, soffrendo solamente delle naturali afflizioni della tarda età”
John W. Powell

Nell’aprile del 1942, i tecnici e gli scienziati della Croce Rossa cinese guidati dal cinese Wen Quai Qian, pubblicarono il cosiddetto Rapporto Qian, frutto della prima indagine scientifica della storia sugli attacchi con armi biologiche e batteriologiche, nel quale vennero riportati i risultati delle ricerche effettuate nelle città di Changde, Ningbo, Jinhua e Quzhou che avevano subito gli attacchi biologici causati dalle Unità giapponesi. Subito dopo, a Chongqing, il governo del Guomindang riunì una conferenza stampa in cui invitò molti giornalisti internazionali. Nel corso dell’incontro, il direttore generale dell’Amministrazione Sanitaria Cinese accusò il governo giapponese e l’Armata Imperiale giapponese di aver deliberatamente diffuso numerose epidemie di malattie mortali e altamente contagiose. Il Rapporto Qian fu tradotto in varie lingue, tra cui l’inglese, e distribuito a dieci ambasciate straniere di stanza a Chongqing. Il microbiologo statunitense Pullitzer, dopo aver lavorato al contenimento dell’epidemia di peste bubbonica riapparsa a Quzhou nel 1941 (ripercussione degli attacchi giapponesi dell’ottobre 1940), scrisse un articolo sull’Epidemic Prevention Weekly, settimanale di fama mondiale, in cui descriveva il proprio lavoro di esperto in Cina nella prevenzione delle epidemie .
Né il Rapporto Qian, né le pubbliche accuse, né l’articolo di Pullitzer servirono a smuovere l’attenzione delle potenze internazionali e dell’opinione pubblica mondiale su tali crimini contro l’umanità. Sicuramente gli Stati Uniti ne erano a conoscenza o, per lo meno, ne avevano il sospetto. Nel febbraio 1939, un gruppo di ricercatori giapponesi, tra cui Naito Ryoichi, aveva chiesto al Rockefeller Institute for Medical Research di New York di poter ottenere campioni di virus della febbre gialla , malattia trasmessa dalle punture delle zanzare e altamente letale. Nel momento in cui il Rockefeller Institute aveva respinto la richiesta, i ricercatori nipponici avevano tentato di corrompere un tecnico dell’istituto offrendogli 3.000 dollari, ma senza successo. Venne aperta un’inchiesta dal Dipartimento di Stato USA che chiaramente descriveva in modo molto sospetto l’atteggiamento dei nipponici e il fatto che i campioni richiesti potessero permettere al Giappone di “ottenere ceppi particolarmente letali del virus della febbre gialla con l’obiettivo di trasformarli in armi biologiche ”. Sicuramente gli USA non sottovalutarono affatto neanche il rapporto della Croce Rossa cinese del 1942: la guerra contro il Giappone era ormai cominciata e le armi invisibili potevano essere utilizzate anche contro i soldati americani impegnati nel Pacifico.

Molti prigionieri di guerra giapponesi catturati dalle forze armate USA confessarono, in più occasioni, di aver fatto parte di una qualche Unità di sperimentazione di armi biologiche e di aver compiuto o visto compiere test su cavie umane vive. Un prigioniero catturato il 12 maggio 1944 confessò di aver lavorato al dipartimento di batteriologia dell’Università del Guangdong e di aver sentito dire che, nel luglio 1941, “il generale di divisione Ishii Shiro aveva condotto esperimenti con bombe biologiche al Distaccamento del collegio medico militare di Haerbin, in Manciuria”. Altri due prigionieri di guerra giapponesi descrissero, con minuzia di particolari, la produzione degli agenti patogeni destinati all’uso nella guerra biologica e fecero persino dei riferimenti agli atroci test su cavie umane effettuati presso l’Unità 1644 a Nanjing. Inoltre, venne ritrovato, sull’isola di Morotai nel Pacifico, un manuale dell’Armata Imperiale che indicava il largo uso strategico delle armi biologiche .
Il 15 agosto del 1944, lo Stato Maggiore statunitense ordinò con un memorandum che tutte le prove di un eventuale attacco biologico fossero raccolte e messe al sicuro. I dati furono reperiti nella maggior parte delle nazioni del sud-est asiatico, man mano che l’avanzata USA dilagava.

A partire dal mese di novembre del 1944, più di novemila piccoli palloni aerostatici, gonfiati con idrogeno, partirono dall’isola più estesa del Giappone, Honshu, diretti verso gli Stati Uniti. Volarono su Messico, California, Oregon, Washington, Canada. Molti furono intercettati dalla contraerea, ma altri furono ritrovati in Texas, Hawaii, Utah, Wyoming, Montana, Dakota, Alberta, Manitoba, Los Angeles e Michigan. I palloni, di un diametro di dieci metri e fatti con carta di gelso, realizzati dalla Divisione di Ricerca Tecnologica della Nona Armata Giapponese, avevano lo scopo di creare vasti incendi nelle foreste americane attraverso contenitori, attaccati ai palloni, pieni di bombe incendiare. Probabilmente, si trattava più che altro di un’azione dimostrativa. Le uniche vittime documentate, infatti, furono una madre e i suoi cinque figli, nell’Oregon, che incautamente si avvicinarono a quegli strani oggetti. Nel marzo del 1945, un pallone nipponico cadde nello stato di Washington causando un’interruzione alle linee elettriche. Solamente nel maggio del 1945, la popolazione americana fu allertata per la possibile presenza delle nuove armi giapponesi. Furono 230 i palloni recuperati, gli altri o esplosero in aria o caddero nell’oceano Pacifico.
Sebbene gli “aerostati” non causassero danni rilevanti, avrebbero potuto rappresentare una terribile arma se avessero contenuto degli agenti biologici letali. Gli investigatori statunitensi se ne resero subito conto, altrimenti non avrebbero mandato il tenente colonnello Murray Sanders ad esaminare i palloni. Sanders era un medico e microbiologo del centro di ricerche sulle armi batteriologiche di Camp Detrick (aperto nell’aprile del 1943 e rinominato Fort Detrick nel 1956) nel Maryland. Nel dicembre del 1944, Sanders fu chiamato a Washington per analizzare due palloni giapponesi trovati nel Montana e sulla spiaggia di San Diego. Il suo compito era quello di accertare se le nuove armi giapponesi avessero potuto trasportare agenti patogeni e il rapporto di Sanders “spaventò a morte” i militari. Egli spiegò che le malattie trasmesse dalle zanzare, come l’encefalite B giapponese, potevano causare un’ecatombe, poiché quel tipo di insetti è molto diffuso negli USA e la popolazione non aveva difese immunitarie per quelle patologie. Tuttavia queste affermazioni lasciano molti dubbi tra gli studiosi poiché il virus dell’encefalite B per poter dilagare in una vera e propria epidemia ha bisogno di essere disperso su zanzare del luogo. Anche l’antrace, affermò Sanders, poteva essere agevolmente inserita nei palloni e contaminare principalmente terreni e animali da pascolo, ma, anche in questo caso, l’antrace ha bisogno di ottimali condizioni ambientali per poter sopravvivere (come dimostrarono più e più volte gli scienziati giapponesi) e, di conseguenza, la lunga esposizione al sole o all’aria l’avrebbe resa totalmente innocua. Probabilmente, Sanders cercava di impressionare i vertici militari e di ottenere il consenso per ulteriori e più approfondite ricerche nel campo delle armi biologiche. Il tenente colonnello di Camp Detrick esaminò anche altri palloni rinvenuti in Canada e nelle Hawaii. Alla fine del suo lavoro, non si trovarono tracce di agenti biologici nocivi.
Nel marzo del 1945, Sanders descrisse, durante alcune riunioni nelle basi militari di San Francisco e Omaha, alcune bombe biologiche che i giapponesi avevano utilizzato nei loro attacchi in Cina e affermò erroneamente che il quartier generale della produzione dell’armamento biologico si trovava a Nanjing.
Il generale Douglas MacArthur ordinò a Sanders di incontrarlo a Manila, nelle Filippine, per verificare che tipi di armi biologiche potessero essere utilizzate contro l’esercito statunitense al momento dell’occupazione dell’isola di Honshu. Ma lo sgancio delle due bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, rispettivamente il 6 e 9 agosto 1945, evitò lo sbarco. A Sanders allora fu ordinato di valutare i risultati degli attacchi biologici compiuti dai giapponesi in Cina e di rintracciare la presunta mente del programma di sviluppo e produzione di un arsenale biologico, Ishii Shiro. Nel settembre del 1945, Sanders insieme ad altri sei tecnici si recò in Giappone con la sensazione che i medici nipponici avessero compiuto cose inimmaginabili.

Gli ex tecnici e scienziati delle varie Unità antiepidemiche che avevano lavorato in Cina, si erano ormai rifugiati in Giappone e, distrutte o quanto meno nascoste le prove che li legavano alla sperimentazione sull’uomo, fecero voto di silenzio. Ma, dopo che giunse voce che il microbiologo americano Murray Sanders sarebbe giunto in Giappone per fare delle ricerche approfondite su una presunta produzione su larga scala di agenti patogeni da utilizzare contro il nemico, cercarono di correre ai ripari. Infatti Sanders non fece nemmeno in tempo ad attraccare presso il porto di Yokohama, che fu immediatamente ricevuto da una persona che si presentò come suo interprete, Naito Ryoichi, colui che, sei anni prima, aveva cercato di ottenere il virus della febbre gialla dal Rockefeller Institute di New York. L’obiettivo di Naito e degli altri veterani dell’Unità 731 era quello di ottenere una totale immunità dall’accusa di crimini di guerra in cambio delle rivelazioni che avrebbero potuto fare agli statunitensi. E fin da subito, Naito si adoperò per far intendere ai suoi intervistatori che egli e i suoi ex colleghi erano in possesso di un’enorme mole di materiale segreto. La missione di Sanders era quella di raccogliere qualsiasi particolare su tutte le persone ed i luoghi coinvolti nella sperimentazione giapponese e per fare ciò si incontrava tutte le settimane a Tokyo con Naito. Questi, al termine di ogni incontro, si consultava segretamente con gli ex veterani dell’Unità 731 per decidere quali delle informazioni in loro possesso potessero essere passate agli americani e quali invece avrebbero dovuto usare per successivi negoziati. Quando i medici giapponesi si rifiutarono di rivelare informazioni importanti e più particolareggiate, a Sanders bastò la minaccia di intervento di una commissione d’inchiesta sovietica per fare in modo che Naito gli fornisse un diagramma sulla struttura gerarchica del programma biologico nipponico. Lo schema di Naito presentò per la prima volta i nomi degli istituti e dei distaccamenti che avevano lavorato con agenti patogeni, chimici e tossici da utilizzare in attacchi biologici; fece il nome della Boeki Kyusui Bu (Unità per la purificazione dell’acqua o Unità 731). Naito presentò anche un manoscritto in cui si confessava l’attivo coinvolgimento giapponese nella guerra biologica, ma non fu fatto alcun accenno agli esperimenti sull’uomo o all’utilizzo di armi biologiche sulla popolazione civile anzi si legge che “è vero che l’esercito giapponese aveva strutture non solo per la difesa, ma anche per l’uso offensivo delle armi biologiche. Ma il Comando Supremo non ebbe mai la volontà di condurre attacchi biologici contro il nemico, finché il nemico stesso non avesse cominciato ad usarli. Poiché nessuna nazione combattente lanciò mai tali attacchi al Giappone, il Comando Supremo non ebbe mai occasione, né motivo, per usare le armi biologiche”. Era la prova che il Giappone si era effettivamente e al di là di ogni dubbio impegnato nella ricerca offensiva di agenti patogeni: ciò che Sanders sperava di sapere.
Il generale MacArthur era il diretto responsabile del lavoro di Sanders e dopo aver esaminato tutti i documenti che gli erano stati sottoposti dal microbiologo decise di accordare la totale e più completa immunità giudiziaria, nonché l’anonimato, a chi avesse confessato la propria attività e a chi avesse fornito i documenti relativi alle ricerche effettuate nel campo della sperimentazione biologica. L’accordo fu siglato e da quel momento in poi “i dati arrivarono ad ondate, riuscivamo appena a farvi fronte”, disse Sanders. Tra questi dati vi erano moltissimi reperti di autopsie e vivisezioni di cavie umane cinesi, per la maggior parte, e sovietiche, ma anche molti tessuti contenuti in vasi di formalina e campioni di agenti patogeni. Tutto fu attentamente studiato e archiviato dai vari reparti di guerra chimica e batteriologica statunitensi in Giappone e a Camp Detrick.
Il generale di divisione Ishii Shiro rimase nascosto finché non gli fu chiaro che gli USA non avevano alcuna intenzione di portarlo davanti a Corti Militari di Giustizia Internazionale per rendere conto degli abomini contro l’umanità da lui commessi. Tutt’altro! Gli alti vertici politici e militari degli Stati Uniti avevano l’intenzione di sfruttare l’enorme potenziale di conoscenze del più grande esperto al mondo di metodi di guerra biologica e batteriologica. In quanto mente del programma, Ishii fu sottoposto agli arresti domiciliari e continuamente interrogato da due tecnici di Camp Detrick, il tenente colonnello Arvo Thompson e il dottor Norbert Fell.
Gli Stati Uniti non erano gli unici ad aver investigato sui terribili esperimenti giapponesi, anche l’URSS aveva interrogato due uomini molto importanti dell’Unità 731, il colonnello Ota Kiyoshi e il colonnello Kikuchi Hitoshi, e nel febbraio 1947 chiesero formalmente al generale MacArthur di poter interrogare il dottor Ishii Shiro. Gli Stati Uniti acconsentirono alle richieste dei sovietici, ma solo dopo che Ishii e colleghi furono debitamente istruiti dagli americani in modo da non rivelare alcuna informazione utile riguardo ai loro test e almeno un ufficiale statunitense avrebbe partecipato ai vari colloqui. Gli USA volevano il possesso esclusivo dei dati acquisiti dai medici giapponesi. La figlia di Ishii, Ishii Harumi, ricordò in un’intervista che “un giorno gli americani mi dissero che degli ufficiali russi sarebbero venuti a far visita a mio padre. Mi avvisarono di non tradire in alcun modo la cordialità che avevamo dimostrato agli americani, qualora ne avessimo riconosciuto qualcuno fra quelli che scortavano i sovietici. Gli ufficiali sovietici vennero a casa nostra solo due volte. Durante le loro interviste con mio padre, gli ufficiali americani erano sempre presenti. Presumo che ulteriori richieste dei sovietici per interrogarlo fossero state respinte dalle autorità americane”. Numerosissimi furono i colloqui tra Ishii e i ricercatori di Camp Detrick, così tanti che nella casa di Ishii si respirava ormai un’atmosfera intima e festosa.

Norbert Fell si occupò anche di intervistare altri importanti medici giapponesi tra i quali Kitano, Naito e Wakamatsu dai quali ricevette: un rapporto di sessanta pagine redatto da alcuni ricercatori sulle armi biologiche; alcuni studi sulle potenzialità dell’uso della peste da parte di dieci esperti sulla sperimentazione sull’uomo; seicento pagine di rapporti sui test su cavie umane e ottomila tra diapositive e microfilm sugli esperimenti. Ishii fece intendere che tantissimo altro materiale era in suo possesso e che “se concederete l’immunità ufficiale a me, ai miei superiori e ai miei subordinati, io posso raccogliere tutte le informazioni per conto vostro. Vorrei collaborare con gli Stati Uniti in qualità di esperto di armi biologiche. Nella preparazione della guerra contro l’Unione Sovietica, io posso assicurarvi i vantaggi delle mie ricerche e della mia esperienza ventennale”. Per immunità ufficiale si intendeva un documento scritto che avrebbe permesso a chi ne era in possesso di non essere mai sottoposto a giudizio anche nel caso in cui gli USA avessero ritrattato la loro protezione e copertura ai crimini di guerra e contro l’umanità compiuti nella più completa indifferenza al bene e al male.
Il 6 maggio 1947, MacArthur chiese al Comitato di Coordinamento del Dipartimento di Stato, della Marina e della Difesa (SWNCC) la richiesta di immunità ufficiale per Ishii e colleghi in cambio di importanti ed ulteriori informazioni comunicando a Washington: “richiesta esenzione dalla persecuzione per i membri dell’Unità 731. Utili informazioni su vivisezione”.
L’SWNCC incaricò Alva Carpenter, investigatore legale, di occuparsi delle prove di cui gli Stati Uniti erano entrati in possesso riguardo a tutti i giapponesi che avevano collaborato e richiesto l’immunità. Il lavoro di Carpenter consisteva nel trovare delle scappatoie legali nel caso in cui alcuni membri del programma di guerra biologica fossero stati chiamati a giudizio dalle altre nazioni alleate, quali URSS, Gran Bretagna e Australia, nazioni che avevano subito gli orrori dell’Armata Imperiale giapponese. Carpenter indicò che se un qualsiasi paese avesse chiesto dei chiarimenti relativi ai crimini di guerra biologica, i legali americani avrebbero dovuto avallare la tesi che le prove contro Ishii e il suo staff non erano del tutto attendibili poiché basate su fonti anonime e su voci forse infondate. Questo cavillo legale doveva servire anche per continuare in segreto la raccolta di tutte le informazioni sulle armi invisibili. Carpenter affermò inoltre che gli interrogatori dei medici nipponici non rivelavano prove sufficienti per intraprendere azioni legali, sebbene dalle confessioni emerse che criminali comuni, contadini, donne e bambini erano stati usati a scopo sperimentale.

Tuttavia, l’organismo che sosteneva l’accusa nei processi per crimini di guerra compiuti dai giapponesi, l’International Prosecution Section (IPS), iniziò ad indagare per proprio conto sulle accuse di guerra biologica. L’IPS utilizzò informazioni relative agli attacchi biologici compiuti nel 1940 in Cina, il Rapporto Qian del 1942 e la testimonianza del maggiore Karasawa Tomio. Catturato dai sovietici, egli confessò gli attacchi su Ningbo e Hangzhou con peste, tifo e colera; confessò che tutta la struttura con a capo Ishii Shiro dipendeva direttamente dai più alti vertici militari nipponici, i quali utilizzavano le armi biologiche nelle loro operazioni strategiche; confessò che prigionieri cinesi e russi erano stati utilizzati come pezzi di legno sui quali sperimentare i più terribili flagelli dell’umanità e sui quali coltivare gli agenti patogeni più virulenti. I membri dell’IPS si avvalsero anche della testimonianza scritta di Hataba Osamu, uno dei molti disertori del programma biologico che era passato alle forze nazionalista cinesi, nel quale si affermava che l’Unità 1644, di cui aveva fatto parte, aveva “svolto compiti di diffusione per via aerea delle malattie sul fronte. La squadra aveva sicuramente più di due aerei speciali. […] So che gli atti disumani sopra descritti furono compiuti sotto l’eufemismo di Guerra Santa, e io sono uno di quelli che disertarono dalla squadra. Inoltre, nella sezione scientifica, stavano conducendo studi anche sulle sostanze tossiche”. Hari Hasane confessò, sempre all’ISP, che le Unità antiepidemiche in realtà producevano germi e virus su larga scala da utilizzare contro il nemico e i civili e che l’Unità di Nanjing aveva dato a 3000 prigionieri di guerra cinesi dolcetti infetti con tifo e paratifo. L’accusa a questo punto aveva in mano una grande quantità di prove che collegavano il Giappone alla guerra biologica e alla sperimentazione sull’uomo.

Il 19 gennaio 1946, per proclama generale di MacArthur, venne istituito a Tokyo il Tribunale Militare Internazionale dell’Estremo Oriente (IMTFE), il più grande processo mai avvenuto per crimini di guerra e contro l’umanità, durante il quale vennero giudicati ventotto criminali giapponesi di classe A. Il Tribunale aprì i lavori il 3 maggio 1946 e, dopo 417 udienze e dopo aver ascoltato 419 testimoni, si concluse il 12 novembre del 1948, con sette condanne a morte, sedici all’ergastolo, una a venti e una a sette anni; due imputati morirono e uno fu internato in un ospedale psichiatrico per manifesta pazzia. I giudici rappresentavano ben dodici nazionalità e erano magistrati, giuristi, parlamentari che godevano di ottima reputazione nei loro rispettivi paesi; gli avvocati difensori, in parte statunitensi, in parte giapponesi, erano 104, mentre 72 erano i membri del collegio dell’accusa sia civili che militari.
Ishii Shiro e la sua equipe non vennero neanche nominati: le prove raccolte dall’IPS non furono né presentate né compaiono nelle numerose pagine dei verbali del processo. Perché? Eppure le prove erano evidenti: le alte sfere politiche e militari giapponesi avevano, senza dubbio alcuno, portato avanti un enorme progetto di sperimentazione e sviluppo di armi di distruzione di massa. Per tutta la durata dell’IMTFE, non si fece mai riferimento alle epidemie scoppiate in Cina centrale, deliberatamente e oggettivamente provocate dai giapponesi.
Il capo dell’IPS era l’americano Joseph Keenan. Egli si consultò continuamente, durante la raccolta delle prove e per tutta la durata del processo, con il generale MacArthur e con il Dipartimento della Difesa, che probabilmente fecero pressioni sulle indagini dell’IPS per sotterrare le prove contro il Giappone.
Solamente le confessioni di Hataba furono lette durante il Processo di Tokyo. Fu lo statunitense David Sutton, a capo delle indagini relative allo Stupro di Nanjing, che pronunciò tre brevi frasi il 7 novembre del 1946 . Sutton lesse una versione censurata e profondamente modificata della confessione scritta di Hataba, secondo la quale i giapponesi compirono terribili attacchi biologici: “il nemico […] catturò dei nostri connazionali e li utilizzò per esperimenti medici. Furono loro iniettati vari tipi di batteri tossici e poi eseguiti degli esperimenti per studiarne le condizioni. Cani e gatti erano comunemente sacrificati negli esperimenti medici, ma sacrificare dei nostri fratelli e prigionieri è un vero atto di barbarie compiuto dai nostri nemici ”. Sutton continuò a leggere la parte successiva della testimonianza che non aveva nulla a che vedere con gli esperimenti segreti. In base ai verbali del processo, il presidente della corte, l’australiano Sir William Webb, chiese se le prove erano solamente quelle che aveva sottoposto l’investigatore statunitense. Sutton rispose che non vi erano altre prove. Due avvocati difensori americani, Alfred Brooks e Michael Levin, incaricati di difendere alcuni generali giapponesi, contestarono le accuse, troppo disumane per essere vere , e fecero passare il capo d’accusa come diffamatorio. Il giudice Webb accolse l’obiezione dicendo che “mi sembra che queste asserzioni gratuite non siano fondate su alcuna prova”. Per tutta la durata del processo non si parlò più delle sperimentazioni segrete giapponesi e le altre prove raccolte dall’IPS furono accantonate.
Durante il processo di Yokohama, svolto nel 1948 e promosso dallo SCAP (Comando Supremo delle Potenze Alleate), vennero giudicati alcuni studenti e medici dell’Università di medicina del Kyushu, accusati di aver vivisezionato otto aviatori americani prigionieri di guerra paracadutati da un B-29 abbattuto. Il processo non ebbe una risonanza a livello mondiale, sebbene le accuse mosse contro i giapponesi fossero orribili: sperimentazione umana, vivisezioni e persino cannibalismo rituale. Nell’agosto del 1948, la corte condannò la maggior parte degli imputati a pene che variavano da un minimo di 15 anni ad un massimo di 25; due medici vennero condannati a morte, ma uno si suicidò e all’altro fu commutata la pena in ergastolo.
Nel 1948, gli Stati Uniti avevano ormai raccolto tutti i dati relativi alle armi biologiche giapponesi, sperimentate sulla pelle di migliaia e migliaia di civili innocenti. Moltissimi dati su antrace, botulino, brucellosi, colera, dissenteria, cancrena gassosa, morva, influenza, meningite, peste, studi sulle malattie delle piante, salmonella, febbri emorragiche, tetano, vaiolo, tubercolosi, tularemia, voluminosi tomi nei quali erano descritte nei più minuti particolari le osservazioni dopo le vivisezioni e le dissezioni umane, erano ora nelle mani dell’esercito statunitense.
Gli spietati medici giapponesi non furono mai chiamati a giudizio nei vari processi militari internazionali che si svolsero in molte località dell’Asia e del Pacifico: una spessa coltre di segretezza e di silenzio, eretta dagli Stati Uniti, stava nascondendo l’abominio dell’Unità 731 e dei suoi vari Distaccamenti. Il 13 marzo 1948, mentre l’IMTFE era ancora in corso, il ministero della Difesa USA telegrafò alla Sezione Legale di MacArthur a Tokyo: “permesso accordato”, a Ishii e colleghi sarebbe stata accordata la totale immunità. Il ricercatore di Camp Detrick, Edwin V. Hill, scrisse:

Le informazioni raccolte in questa indagine hanno completato ed ampliato le nozioni già acquisite in questo campo. Forniscono dati che gli scienziati giapponesi hanno ottenuto con molti milioni di dollari e molti anni di lavoro. […] Tali informazioni ce le siamo assicurate, a tutt’oggi, con una spesa totale di 250.000 yen, una vera miseria rispetto ai costi effettivi degli studi. […] E’ auspicabile che agli individui che hanno volontariamente passato queste informazioni siano risparmiate le accuse che potrebbero sorgerne, e che si faccia qualsiasi sforzo perché tali dati non cadano in mani altrui .

Negli anni del dopoguerra cominciò a delinearsi il radicale scontro ideologico, politico e militare tra le due superpotenze, Stati Uniti e Unione Sovietica. Gli USA si autonominarono a guida del cosiddetto mondo libero vedendo ovunque risorse e punti vitali per la propria sicurezza. Si radicò sempre più la volontà di assurgere ad un ruolo egemonico mondiale conquistato con le due guerre mondiali e attraverso la tradizionale vocazione a proporre il modello statunitense come quello esemplare . Nell’ottica della Guerra Fredda era forse accettabile calpestare i fondamentali diritti umani, che un paese che si dichiara esportatore della libertà dovrebbe possedere come capisaldi della propria politica, in nome di un vantaggio tecnologico senza limite ed etica? Ed era forse ammissibile la feroce contraddizione tra la pretesa di esportare la democrazia nel mondo e la totale copertura degli orrori e delle agonie patite da oltre migliaia e migliaia di individui trasformati in cavie umane?
Daniel Barenblatt, I Medici del Sol Levante, op. cit., pp. 243-244.


Peter Williams, David Wallace, Unit 731, op. cit., pp. 91-93.


Ivi., pp. 92-93.


Hal Gold, Unit 731 Testimony, op. cit., p. 102.


Daniel Barenblatt, I Medici del Sol Levante, op. cit., pp. 247-248.


Daniel Barenblatt, I Medici del Sol Levante, op. cit., p. 251.


Daniel Barenblatt, I Medici del Sol Levante, op. cit., p. 254.


Peter Williams, David Wallace, Unit 731, op. cit., p. 131.


Daniel Barenblatt, I Medici del Sol Levante, op. cit., p. 266.


Hal Gold, Unit 731 Testimony, op. cit., p. 97.


Daniel Barenblatt, I Medici del Sol Levante, op. cit., p. 270.


Daniel Barenblatt, I Medici del Sol Levante, op. cit., pp. 272-273.


Per un maggiore approfondimento consultare: Lord Russell of Liverpool, I Cavalieri del Bushido. Storia dei Crimini di Guerra Giapponesi. La Strage di Nanchino e i Crimini Commessi Contro i Prigionieri di Guerra Alleati, Newton & Compton Editori, Roma 2003.


Peter Williams, David Wallace, Unit 731, op. cit., pp. 176-177.


Daniel Barenblatt, I Medici del Sol Levante, op. cit., p. 276.


Arnold C. Brackman, The Other Nuremberg: The Untold Story of the Tokyo War Crimes Trial, William Morrow, New York 1987, pp. 196-197.


Sheldon H. Harris, Factories of Death, op. cit., p. 181.


Daniel Barenblatt, I Medici del Sol Levante, op. cit., p. 280.


John W. Powell, “Japan’s Biological Weapons”, op. cit., ottobre 1981.


Oliviero Bergamini, Storia degli Stati Uniti d’America, Editori Laterza, Bari 2004, p. 182.

Il processo di Khabarovs

L’unica inchiesta giudiziaria mossa contro i fatti concernenti lo sviluppo giapponese della guerra biologica e la sua sperimentazione su cavie umane, avvenne a Khabarovsk in Unione Sovietica, nella Siberia orientale lungo il confine sino-sovietico. Dal 25 al 31 dicembre del 1949, furono portati alla sbarra dodici membri delle Unità 731 e 1644, catturati dai sovietici nel 1945, nel momento in cui l’URSS scoprì le varie fabbriche della morte, nel corso della sua avanzata nella Manciuria. Le prove da esporre alla giuria, raccolte nei quattro anni precedenti al processo, si basarono su diciotto volumi che raccoglievano interviste, testimonianze di soldati nipponici collegati alle varie Unità antiepidemiche e centinaia di pagine di deposizioni relative al segreto sviluppo di armi biologiche di distruzione di massa e alla sperimentazione di una larga quantità di virus e batteri letali su esseri umani. Ogni medico giapponese accusato confessò di aver commesso terribili crimini contro civili cinesi e di aver utilizzato uomini, donne e bambini sovietici negli esperimenti. I dodici imputati accusarono l’imperatore Hirohito, non solo di essere a conoscenza delle nuove armi nipponiche e di essere profondamente legato al programma di guerra biologica, ma anche di aver dato il via libera alla costruzione delle Unità di Pingfan e Changchun. Il Ministro della Guerra e gli alti ufficiali del governo nipponico furono accusati di aver pianificato operazioni di offensiva biologica. Testimoniarono persino che molti prigionieri di guerra americani erano stati usati come cavie nei test.
I dodici uomini imputati erano:
Yamada Otozoo, generale ed ex comandante in capo dell’Armata del Kwantung;
Ryuji Kajitsuka, tenente generale dei servizi di sanità, batteriologo ed ex capo della Direzione della Sanità dell’Armata del Kwantung;
Takahashi Takaatsu, chimico e biologo, generale di divisione dei servizi veterinari, ex capo di divisione del servizio veterinario dell’Armata del Kwantung;
Kawashima Kiyoshi, batteriologo, generale maggiore del servizio di sanità, ex capo del servizio di produzione dell’Unità 731;
Nishi Toshihide, batteriologo, tenente colonnello del servizio di sanità, ex capo del servizio d’intrattenimento e d’istruzione dell’Unità 731;
Karasawa Tomio, batteriologo, maggiore del servizio di sanità, ex capo della sezione di produzione dell’Unità 731;
Onoue Masao, batteriologo, maggiore del servizio di sanità, ex capo del Distaccamento 643 dell’Unità 731;
Sato Shunji, batteriologo, generale maggiore del servizio di sanità, ex capo del servizio di sanità della V Armata;
Hirazakura Zensaku, veterinario, tenente del servizio veterinario, ex collaboratore dell’Unità 100;
Mitomo Kazuo, sergente maggiore, ex collaboratore dell’Unità 100;
Kikuchi Norimitsu, infermiere stagista al laboratorio del Distaccamento 643 dell’Unità 731;
Kurushima Yuji, ex infermiere del laboratorio del Distaccamento 162 dell’Unità 731.

Come risulta dai verbali del processo, ogni accusato confessò i crimini per i quali stava per essere giudicato, senza avvalersi di alcuna circostanza attenuante. La difesa ammise alla corte sovietica che i suoi clienti erano effettivamente colpevoli delle accuse loro mosse, confidando solamente nella clemenza dei giudici.
Il processo di Khabarovsk non ebbe un forte impatto mediatico, ma allarmò il governo statunitense. Nei lunghi dispacci tra il Dipartimento di Stato USA e il quartier generale degli uffici di MacArthur a Tokyo si cercò di coprire ai media occidentali tutte le informazioni disponibili sul procedimento giudiziario. Molti commenti erano annessi alle comunicazioni segrete tra Washington e Tokyo, che vennero usati come linee guida alle domande che la stampa americana poneva al governo per una presa di posizione nei confronti di ciò che stava accadendo a Khabarovsk.
Ancor prima dell’avvio del processo, si aprì un dibattito tra USA e URSS relativo alla valenza puramente politica del procedimento. Gli Stati Uniti accusavano i sovietici di utilizzare Khabarovsk come risposta alle accuse americane di detenere ancora prigionieri di guerra giapponesi, sebbene le accuse di guerra biologica al Giappone non fossero legate alla risoluzione della questione dei prigionieri di guerra. Il Dipartimento di Stato portò avanti la tesi che l’Unione Sovietica aveva l’intenzione di utilizzare Khabarovsk per mettere in pericolo i negoziati di pace con il Giappone, che stavano per avere inizio, vista la brevissima durata del procedimento giudiziario. Si desume dai dispacci statunitensi che le lunghe indagini portate avanti dall’URSS fino al dicembre del 1949, erano dovute al fatto che i sovietici si mostravano interessati ad acquisire le informazioni dai tecnici giapponesi relative alla guerra biologica. Il governo sovietico, inoltre, avrebbe potuto accusare gli USA di essersi già accaparrati i dati relativi alle armi biologiche da utilizzare in un futuro scontro contro il blocco comunista. L’ambasciatore americano a Mosca credeva che i sovietici stessero preparando da lungo tempo un processo dimostrativo e che aspettassero solamente il momento adatto per metterlo in scena.

Dall’altro lato, la stampa sovietica mise bene in evidenza come molti criminali giapponesi non fossero presenti al Processo di Khabarovsk e il fatto che Ishii Shiro e molti suoi colleghi fossero al sicuro e liberi in Giappone. I media accusarono gli Stati Uniti di non aver presentato al Tribunale Militare Internazionale di Tokyo le prove dell’IPS relative ai crimini di guerra biologica e sottolinearono come l’imperatore Hirohito e importanti membri della casa imperiale fossero indubbiamente legati a tali atrocità. La risposta statunitense a queste accuse venne fornita da un portavoce di MacArthur che affermò che nella sezione chimica giapponese e nei suoi quartier generali non era stato trovato nulla di particolarmente significativo riguardo all’uso di armi letali batteriologiche da parte del Giappone. Indubbiamente vero, come è vero che i reparti chimici non erano coinvolti, se non in minima parte, nelle accuse contro i medici giapponesi. Il portavoce continuò nelle sue mistificazioni affermando che i nipponici avevano usato, nei loro test, solamente animali e cavie da laboratorio e negò persino il fatto che prigionieri di guerra statunitensi fossero stati utilizzati negli esperimenti, cosa che invece fu confessata da più d’uno degli indagati a Khabarovsk. Lo stesso Joseph Keenan, capo dell’IPS e quindi sicuramente a conoscenza delle prove che inchiodavano i medici giapponesi, affermò che gli investigatori non avevano trovato nessuna prova evidente che militari statunitensi fossero stati utilizzati come cavie da laboratorio, mentre il quotidiano russo Izvestia dichiarò che Keenan “chiuse gli occhi quando, nel settembre 1946, i membri sovietici del collegio dell’accusa al Processo di Tokyo gli consegnarono, in quanto capo della delegazione statunitense, le prove a carico dei personaggi di spicco dell’Unità 731. […] Quelle prove dimostravano come i militari giapponesi fossero stati impegnati in azioni di guerra biologica e in terribili esperimenti su esseri umani”. Il quotidiano sovietico, una volta terminato il processo, chiese che Ishii Shiro, in quanto mente del programma di guerra biologica e colpevole di atroci crimini, fosse sottoposto a giudizio da parte delle forze di occupazione USA in Giappone. L’ufficio di MacArthur a Tokyo negò le accuse a carico di Ishii e contro gli Stati Uniti, riguardo alla copertura dei criminali nipponici, bollandole come un’ingannevole propaganda rossa.

Nel 1950, la casa editrice Edizioni in Lingue Straniere di Mosca pubblicò i documenti relativi al Processo di Khabarovsk, ma in forma ridotta e riassunta. Sebbene sia stata per lungo tempo l’unica risorsa pubblica sul programma di guerra biologica portato avanti dal Giappone che potesse essere consultata dagli studiosi, i diciotto volumi relativi ai quattro anni di indagine non sono ancora accessibili al pubblico. Ciò potrebbe effettivamente provare la tesi statunitense che anche i sovietici si siano impadroniti dei terribili segreti delle armi invisibili.

I dodici giudicati a Khabarovsk furono condannati a pene detentive che andavano da un minimo di due anni ad un massimo di venticinque. Nessuno fu condannato a morte malgrado la natura dei crimini di cui si era macchiato, sebbene la legislazione sovietica prevedesse la pena capitale per reati di entità infinitamente minore. Tutti furono poi rimpatriati nel 1956, anno delle liberalizzazioni seguite alla morte del dittatore sovietico Josif Stalin. Una pena così lieve fu probabilmente dovuta al vantaggio che il governo sovietico avrebbe potuto ottenere dall’acquisizione di informazioni utili e segrete da parte dei tecnici giapponesi. Infatti, subito dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale e probabilmente usando i dati raccolti dagli scienziati giapponesi, venne stabilita presso Sverdlovsk in Unione Sovietica, ad est della catena degli Urali, una struttura per la ricerca sulle armi biologiche. Questo stabilimento è tristemente noto per un incidente che avvenne a fine marzo del 1979, quando una fuga di spore di antrace e di additivi chimici vari contaminò tutta l’area intorno all’impianto e alla città causando oltre sessanta morti.


1 Documents Relatifs au Procès, op. cit., pp. 35-36.


2 Sheldon H. Harris, Factories of Death, op. cit., p. 228.


3 Daniel Barenblatt, I Medici del Sol Levante, op. cit., pp. 284-285.


4 Per un maggiore approfondimento consultare: Ken Alibek, Stephen Handelman, Biohazard: The Chilling True Story of the Largest Covert Biological Weapons Program in the World–Told from Inside by the Man Who Ran It, Random House, 1999, pp. 70-86 e Joshua Lederberg, Biological Weapons: Limiting the Threat, Belfer Center for Science and International Affair, Cambridge 1999, pp. 193-209.

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