giovedì 27 giugno 2019

Quando lo Stato perse il controllo del capitale

Prima del 1992, lo Stato controllava il 73% di quella che potremmo chiamare l’industria del credito. Quindi l’operazione di privatizzazione è stata imponente e ha rappresentato un’autentica rivoluzione in nome di una marcata ortodossia liberista.

In circa 10 anni, sono state privatizzate aziende statali per un valore di oltre 220.000 miliardi di lire. Di fatto, è stato liquidato l’IRI, e sono state vendute grandi società pubbliche quali Telecom, ENEL, ENI (quest’ultime 2 solo in parte), e praticamente tutte le banche precedentemente controllate dallo Stato. Su queste ultime concentreremo la nostra analisi.

Esiste un vero esecutore del grande processo di privatizzazione: Mario Draghi, oggi direttore della BCE. Draghi, insieme agli altri economisti come Prodi, non attesero nemmeno una legislazione sulle liberalizzazioni. Legislazione che avrebbe potuto impedire un passaggio da monopoli pubblici a monopoli privati. Due avvenimenti condizionarono questa scelta operativa: il primo era il trattato di Maastricht firmato nel ’92; il secondo, il grande scandalo di Tangentopoli.
Quest’ultimo sembrò delegittimare il parlamento, non ritenendolo in grado di legiferare su questioni di cui non si potevano accettare ritardi intollerabili che avrebbero rallentato un processo verso il liberismo, verso l’euro e la BCE, quelle istituzioni liberiste che erano già previste nel trattato di Maastricht appunto.

Possiamo subito aggiungere che anche chi partecipò alla “struttura” di Draghi ha ammesso recentemente che quella scadenza fu usata come una sorta di leva per ridisegnare e ridurre il ruolo dello Stato, la presenza dello Stato nell’economia italiana.
Paradossalmente i dati non sono sempre omogenei, anche se si tratta di vendita di beni dello Stato, quindi di tutti i cittadini italiani. Ad esempio, il vecchio Credito Italiano, oggi Unicredit, fu venduto per 1830 miliardi di lire, corrispondenti a una capitalizzazione della banca di 2700 miliardi di lire, mentre il valore della banca in base della quotazione di Borsa il giorno di fissazione del prezzo era di 3012 miliardi. Il fatto è che, appena dopo sei anni di privatizzazione, Unicredit capitalizzava già 26593 milioni di euro. Poi nel 2007, dopo la fusione con Capitalia, valeva 100 miliardi di euro e oggi ne vale appena 20,15 (dopo un aumento di capitale da 7 miliardi).
Per quanto riguarda la Banca Commerciale Italiana, la banca di Raffaele Mattioli, che aveva il più grande “know-how” nel credito per l’impresa, fu ceduta per 2891 miliardi di lire che divennero 3005 per via del dividendo del 1993. La Banca di Roma venduta per 977 milioni di euro, capitalizzava 4.087 milioni di euro. Il caso del Banco di Napoli ha addirittura dell’incredibile! Il 60% che lo Stato vendette alla Bnl per 32 milioni di euro (dopo averlo ripulito di crediti inesigibili e di perdite per 6.200 milioni di euro) è stato rivenduto dopo pochi anni da Bnl per mille milioni di euro.

Sentiamo cosa disse il Ministro del Tesoro Carlo Azeglio Ciampi: “Il Tesoro vuole valorizzare prima di vendere. È un suo dovere nei confronti dei cittadini, che dopo aver profuso risorse per risanare i conti delle imprese pubbliche non tollererebbero regali al momento della loro vendita”, ha fatto proprio un bel lavoro…

E le transazioni dovute alla privatizzazione a chi sono state commissionate? A banche anglosassoni! Questi commissionamenti per i collocamenti in Borsa ci sono costati tra il 2-3% dell’ammontare del ricavato. Circa l’1% sull’ammontare totale (2.200 miliardi di lire), è andato diritto nelle già ampie tasche delle banche d’affari anglosassoni (JP Morgan, Goldman Sachs, Morgan Stanley, Credit Suisse, First Boston, Merril Lynch e via cantando)per la loro attività di consulenza.

Nei primi anni Duemila, la moda prevalente nel sistema bancario internazionale fu quella della corsa alla crescita dimensionale attraverso fusioni e acquisizioni. Anche il sistema bancario italiano si concentrò molto. Troppo: nel senso che si creò un oligopolio di poche grandi banche. Furono così privatizzate tutte le grandi banche commerciali, tutte le banche a medio-lungo termine (che facevano credito per gli investimenti delle imprese), e addirittura banche di sviluppo come il Mediocredito centrale abbiamo cambiato i princìpi guida dell’attività bancaria: prevalse il criterio del profitto di breve termine e della «creazione di valore per gli azionisti», a sua volta identificata con l’andamento in Borsa del titolo. La gestione delle banche cominciò a seguire tutte le «mode» che favorivano la crescita in Borsa del titolo relativo. Inclusi la speculazione finanziaria sempre più spinta, l’uso di società veicolo fuori bilancio per aumentare la leva finanziaria (ossia per fare più operazioni con sempre meno capitale proprio) e l’utilizzo di prodotti finanziari derivati.

Ricordo anche che dal 1987 al 2000 il numero delle banche è sceso da 1200 a 864 e, soprattutto, alla faccia della concorrenza, della liberalizzazione e delle public company si sono costituiti, verso la fine degli anni Novanta, cinque gruppi che, da soli, controllano quasi il 50% del mercato del credito: Unicredit, Intesa Bci, San Paolo Imi, Banca di Roma e Montepaschi. Si pensi che, prima della grande crisi del 2008, Unicredit si è fuso con Capitalia, cioè ex banca di Roma, Intesa con San Paolo. Quindi sono rimasti tre poli.

Alberto Fossadri

I pedofili preferiscono i neonati: in aumento stupri e abusi su di loro (FOTO)

Unimamme, il timore dei pedofili è sicuramente una delle paure più giustificate per un genitore nei confronti dei propri figli. Per questo motivo è importante essere consapevoli della situazione nel mondo.

Report 2016 dell’Associazione Meter Onlus sulla pedofilia: un quadro drammatico

Il report 2016 dell’Associazione Meter Onlus, fondata da don Fortunato Di Noto, sottolinea come la pedofilia non sia un fenomeno in calo, bensì in crescita.
A favorire la diffusione e condivisione del materiale pedopornografico è il deep web (il web profondo), dove continuano a circolare milioni di immagini, esattamente 1.946.898contro 1 milione e poco più del 2015, a cui si aggiungono tonnellate di gigabyte di altri elementi offensivi.
Le vittime preferite dai pedofili moderni sono bambini di un’età compresa tra pochi giorni e 12 anni che vengono violentati e venduti da persone che non hanno nemmeno più timore di celare il loro volto per nascondersi alle autorità.
“Più i bambini sono piccoli, più sono merce pregiata, più i bambini sono piccoli, più si può lucrare sulla loro pelle” commenta don Fortunato Di Noto in un’intervista su Radio Vaticana.
Secondo il prete la pedofilia non è una malattia ma un crimine compiuto coscientemente, perché nel 99,9% dei casi le condotte sono lucide e quindi perseguibili penalmente.
Questo aspetto viene confermato dal report 2016 di Meter Onlus.
Dai risultati dell’indagine emerge infatti che:
  • gli indirizzi web segnalati e monitorati sono 9379, in lieve calo rispetto all’anno scorso
  • i riferimenti italiani nel deep web sono passati da 70 nel 2015 a 95 nel 2016
Purtroppo, il fatto che si registri un calo delle segnalazioni non indica un calo di questi abusi, ma solo il fatto che diventino ancora più sotterranei e meno evidenti.
Si può inoltre osservare che i pedofili non “preferiscono” più i social network:
  • da Twitter, Facebook, Youtube, ecc… sono arrivate 155 segnalazioni rispetto alle 3.414 dell’anno scorso, ma optano per altre forme di immersione
  • video sono addirittura triplicati, arrivando a 203.047


Per raccogliere questi dati sono state prese in considerazione:
42 nazioni
  • Tonga, un Paese di 100 mila abitanti ha totalizzato la maggior parte delle segnalazioni: 4156, seguita da Russia con 635 e Nuova Zelanda con 312
“In Europa troviamo Russia, Slovacchia e l’Unione Europa; l’Italia è al 15.mo posto della lista” aggiunge don Di Noto.
Come intuirete il quadro che ne emerge è davvero drammatico, soprattutto se si sottolinea che le vittime sono sempre più piccole.
“C’è un’altissima percentuale di neonati violentati, al punto tale che i pedofili hanno fatto un portale dedicato proprio ai neonati dove viene caricato materiale con abusi inenarrabili” dichiara don Di Noto su Radio Vaticana.
Le vittime tra 0 e 3 anni sono in aumento e le violenze sono complete e totali.
Come dichiarato da don Di Noto esiste addirittura un portale interamente dedicato ai neonati con una chatroom in italiano.
A rendere ancora più difficile il lavoro delle autorità è il fatto che i pedofili, complice la tecnologia, lascino sempre meno tracce rispetto al passato. Usano, ad esempio, dropfile che consente uno scambio temporaneo di file. Qui, dopo un breve lasso di tempo, il materiale scompare, rendendo difficile l’intervento della polizia.
Le immagini e i video dei bambini abusati in passato continuano a circolare, a cui si aggiunge il materiale nuovo. Per questo Meter segnala l’esistenza di vere e proprie organizzazione a delinquere che si approfittano dei bambini nel modo più vile.
Come accennato i pedofili, per i loro scambi, adoperano The Onion Router (Tor) dove i membri sono protetti dalla crittografia e quindi irrintracciabili.
Infine, l’associazione Meter svolge anche un ruolo di monitoraggio e un servizio per piccoli e grandi.
  • 91 sono i casi seguiti
  • 1157 sono le consulenze telefoniche di tipo psicologico e spirituale
  • le telefonate, per quanto riguarda l’Italia, provenivano soprattutto da Sicilia, Lazio e Lombardia
Tra le situazioni di disagio si segnalano:
  • abusi sessuali
  • difficoltà famigliari
  • induzione alla prostituzione.
L’associazione ha fatto sentire la sua voce anche nelle scuole con 36 incontri a 3087 studenti  e 540 insegnanti.
Come si evidenzia il quadro è assai drammatico, considerando la diffusione globale del fenomeno. Per questo motivo i report come quello di Meter dovrebbero aiutare a fare maggiore pressione sui governi per un’azione tempestiva contro i pedofili e un maggior impegno.
Unimamme, voi cosa ne pensate di questi dati? Ne eravate al corrente?


42 persone da 12 giorni sulla Sea Watch3. Il silenzio assordante dell’Europa


LE ONG PORTANO LA NOMINATA E I TRAFFICANTI FANNO I FATTI.....

Sono passati 12 giorni da quando la nave Sea Watch3 ha cominciato a girare su se stessa a circa 15 miglia dall’isola di Lampedusa. A bordo stremati dalla tensione equipaggio e 42 persone chiamate migranti. 42 vite diverse, 42 persone diverse. Qualcuno forse buono, qualcuno forse cattivo. È in base a quel “forse” che la legge del mare ha stabilito che chi si trova in difficoltà  va soccorso e portato nel luogo più vicino e sicuro: poi potrà chiedere asilo e forse ottenerlo oppure no. È questa la legge che il comandante Carola Rakete, poco più che trentenne, ha deciso di seguire senza pensare che questa legge, logica, umana e solidale è stata stravolta con l’intento di chiudere i porti e le porte.

Porti e porte che però restano chiusi solo per le navi umanitarie. Soprattutto per questa nave blu che per la terza volta in un anno prova a forzare la serratura, trovando però stavolta il catenaccio più grosso e resistente del nuovo decreto sicurezza italiano.

Sono giorni che Carola Rakete pensa di superare quel limite delle 12 miglia che la separano dall’Italia e di entrare in porto. Sapendo che rischia lei stessa di dover pagare una multa fino a 50 mila euro e di vedere confiscata la nave. Non si capacita di dover far girare come una trottola quella balena di ferro con a bordo 42 uomini, donne e minori tra cui un bambino di dodici anni che viaggia da solo e che non ha avuto il permesso dal Viminale di scendere con i 10 più vulnerabili.
La beffa più grande per Carola Rakete è sapere che la porta d’Europa lampedusana si apre più volte in questi 12 giorni in cui la Sea Watch3 viene tenuta a debita distanza. Oltre 150 persone partite da Libia e Tunisia sbarcano sull’isola da barche arrivate in autonomia. Perché i trafficanti  non sono interessati ai partiti politici che governano i paesi più vicini nel Mediterraneo ma sono interessati ai loro guadagni miliardari (3 miliardi di dolori si stima sia il ricavato annuale del traffico di esseri umani).
In mancanza di navi in soccorso nel Mediterraneo Centrale, come filmato da un aereo Frontex usano navi o pescherecci dove caricano fino a 100 persone. Arrivati a metà strada, li trasbordano e li lasciano andare verso nord. Un modo per evitare che la percentuale di morti in mare aumenti a causa del lungo e incerto viaggio e per far arrivare a destinazione la loro merce. Sapendo che le barche con persone in difficoltà a bordo entrano nei porti senza se e senza ma. Così i trafficanti si fanno beffe degli Stati che vorrebbero chiusi i porti e si fanno beffa delle stesse Ong che sono diventate il centro di tiro delle frecce e degli strali di tutti. “In 12 giorni sarebbero arrivati tranquillamente in Olanda che è lo stato di bandiera o in Germania che è lo stato della Ong”  si sente ripetere a raffica sui social sempre più imbevuti di odio e imbeccati da fake news. Falso: perché anche se questa nave ha un’autonomia di tre settimane, un viaggio così lungo con 42 persone che arrivano dai campi libici e sono state per ore in mare su un gommone, è troppo rischioso. Se qualcuno si sente male in alto mare non c’è nessuno che lo viene a prendere. Tant’è che la nave Aquarius l’anno scorso fu scortata a Valencia da due navi della nostra Guardia   Costiera e Marina Militare. Con un costo elevatissimo per le tasche del nostro paese.
Non c’è dunque alcuna soluzione in questa ennesima penosa vicenda perché l’attore che deve soccombere è l’organizzazione umanitaria non perché i porti siano realmente chiusi ma perché si vuole vincere una prova di forza verso chi si ostina ad essere solidale.

Sul sagrato della Chiesa solidali restano il parroco e i volontari dell’associazione delle chiese evangeliche e valdesi Mediterranean Hope. In diverse città si organizzano staffette solidali ma nessuno batte colpo da Bruxelles.

“Io non riesco a pensare che un Continente di 500 milioni di abitanti assista senza colpo ferire a 43 profughi disgraziati che ciondolano di fronte a Lampedusa” ha gridato ieri Emma Bonino.

Ancora una volta lascia allibiti il silenzio assordante dell’Europa. Un silenzio addirittura più pesante del catenaccio italiano.


Migranti e illegalità: ecco come opera la nave 'Sea Watch'

Riprendiamo dal GIORNALE del 13/06/2019, a pag.8, con il titolo "Sea Watch 'salva' 52 migranti. Salvini: 'Nave pirata, confisca'", il commento di Fausto Biloslavo.


In Italia, a mettere in dubbio le buone intenzione della Ong 'salvatrici' dei migranti, non si trovano tracce sui nostri media. Segnaliamo con piacere il pezzo di Biloslavo, che accende la luce nella stanza buia del politicamente corretto. 

Fausto Biloslavo


E ci risiamo con i soliti talebani dell'accoglienza di Sea Watch, che vanno a caccia di gommoni a largo della Libia recuperando 52 migranti nonostante la Guardia costiera di Tripoli avesse assunto il coordinamento del soccorso arrivando sul posto con una motovedetta. Non solo: la nave «umanitaria» è la Sea Watch 3 appena dissequestrata dalla magistratura il 1° giugno. E il gommone davanti alla Libia è stato avvistato da Colibrì, l'aereo dei piloti volontari francesi finanziato dalla Ong tedesca. La beffa è che il velivolo era decollato, come nei casi degli ultimi soccorsi di migranti, poi sbarcati in Italia, dall'aeroporto di Lampedusa. Ieri mattina alle 9,53 l'aereo di ricognizione dei talebani dell'accoglienza individua un gommone carico di migranti a circa 35-40 miglia, in zona di soccorso libica. Curioso che attendano almeno un'ora prima di dare l'allarme in maniera tale da fare avvicinare i migranti e Sea Watch 3. Da Tripoli, una fonte del Giornale in prima linea sull'immigrazione clandestina, parla chiaramente di «appuntamento. Il gommone viaggiava dritto verso Nord dove si trovava la nave della Ong». Il comandante, Carola Rakete, dichiara di «avere lanciato due gommoni veloci» per andare incontro ai migranti. Sea Watch sostiene che all'inizio la Guardia costiera libica non assume il coordinamento del soccorso. Da Tripoli spiegano che «l'abbiamo fatto prima che iniziassero le operazioni di recupero da parte della Ong». I tedeschi intercettano i migranti alle 12,30. Secondo Sea Watch «il gommone è in difficoltà, senza strumenti di navigazione, con poco carburante e sovraffollato». La Guardia costiera libica fa salpare da Zawhia, la motovedetta Talil, che arriva quando Sea Watch 3 sta concludendo le operazioni d'imbarco dei migranti. Nonostante il contatto via radio Vhf da parte dei libici, i tedeschi della nave battente bandiera olandese si rifiutano di lasciare il campo alla Guardia costiera di Tripoli. Verso ora di pranzo Sea Watch 3 fa salire a bordo 41 uomini, 9 donne e due bambini. I libici non possono fare altro che tornare indietro. Secondo il ministro dell'Interno, Matteo Salvini, la Ong «non ha rispettato le indicazioni della Guardia costiera libica, ennesimo atto di pirateria di un'organizzazione fuori legge». Dopo il recupero Sea Watch chiede di sbarcare i migranti «in un porto sicuro». Quello più vicino è Zarzis, in Tunisia, ma i talebani dell'accoglienza punteranno verso Nord. «Sono in acque libiche - ha spiegato Salvini - se vogliono salvare vite umane vadano in Libia o in Tunisia o a Malta... L'Italia è lontana. Se vengono in Italia evidentemente non vogliono salvare vite, ma infrangere la legge». E poi spiega che nel decreto sicurezza bis approvato martedì «che non vedo l'ora di applicare c'è una norma che prevede la confisca dei mezzi pirati che non rispettano leggi e indicazioni». Il decreto sarà operativo quando verrà pubblicato sulla Gazzetta ufficiale. Paradossale che Sea Watch 3 sia stata già sequestrata due volte dallo scorso anno per la stessa ipotesi di reato di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. Il 21 maggio è stata proprio la procura di Agrigento a farla entrare in porto per sequestrarla e fare sbarcare i migranti. Dieci giorni dopo, con l'inchiesta ancora aperta, la nave è stata dissequestrata e ha ripreso il mare ripetendo lo stesso, identico, copione. Secondo Salvini «è evidente il collegamento tra scafisti e alcune ong. Probabilmente solo qualche procuratore non se ne accorge, ma il resto del mondo sì».

La “fratellanza” secondo Bergoglio

Papa Francesco, il 4 febbraio scorso durante il viaggio negli Emirati Arabi, al termine della Global Conference of Human Fraternity, davanti a 700 capi religiosi ha firmato una dichiarazione insieme al Grande Imam di Al-Azhar, Ahmad Muhammad Ahmad al-Tayyib, massima autorità sunnita. In linea con lo spirito interreligioso del Concilio Vaticano II, che nella dichiarazione del 28 ottobre 1965 Nostra Aetate espresse stima verso i musulmani, secondo Yahya Pallavicini – della Comunità Islamica Italiana – Bergoglio avrebbe “cancellato” lo spazio di ambiguità tra cattolicesimo e islam.


Ahmad al-Tayyib (a destra nella foto) sul terrorismo: “La soluzione al terrore israeliano risiede nella proliferazione degli attacchi suicidi che diffondono terrore nel cuore dei nemici di Allah. I paesi, governanti e sovrani islamici devono sostenere questi attacchi”. E sulla violenza contro le mogli: “Secondo il Corano prima si ammonisce, poi si dorme in letti separati, infine si colpisce”.

Per quanti sono critici su tale documento, il problema sta ab ovo.
Quando la Chiesa Cattolica intraprese il cammino interreligioso, travisò, nella sua nuova collegialità, non solo il suo ruolo di portatrice di Verità, ma la Verità stessa, cioè Cristo: Cristo, Valore non negoziabile in base al quale atti collegiali della Chiesa in nessun modo avrebbero potuto concedere dimensioni di salvezza ad altre forme religiose.
Gli atti di un Concilio non dogmatico (Vaticano II) possono essere sempre sottoposti a giudizi teologici perché, illo tempore, non è scontato che siano stati supportati dallo Spirito Santo, con Cristo parte del Dio Trinità, che guida la Chiesa a patto che questa sia espressione della Verità. Già nel 2000, il documento Dominus Iesus della Congregazione per la Dottrina della Fede – di cui il cardinal Joseph Ratzinger, futuro papa, fu l’ispiratore – ribadì non solo il primato del cattolicesimo sulle altre confessioni cristiane e nei confronti delle altre religioni, ma mise in guardia dal sincretismo e dal relativismo di un dio generico. Atti unilaterali compiuti dalla gerarchia ecclesiastica, con “professioni di fede” che promuovono fuori dal Depositum fideisimulacri di verità concedendo a esse disegni di salvezza, sono parodie della Verità.
Bergoglio, attingendo dal raduno interreligioso di Assisi del 1986, che pur nel sincretismo riconosceva il primato della religione sul secolarismo, fa intendere che la Chiesa Cattolica approva ufficialmente un Dio “comune”. Oltretutto le dichiarazione non rende onore né al Dio dei cristiani né a quello degli islamici, ma a una vacua divinità laica, la “fratellanza umana, che abbraccia tutti gli uomini, li unisce e li rende uguali”. Questo ricorda la “fratellanza universale”, tipico concetto massonico. La fratellanza sostituisce la carità e la comunione dei Santi portando alla distruzione di ogni elemento divisivo tra gli uomini, così come disse Immanuel Kant nelle sue tesi demagogiche sull’unica autorità europea in Per la pace perpetua (1795).
La dichiarazione di Abu Dhabi assume un senso gnostico, frutto di una elaborazione umana che condanna la religione “rivelata” all’irrilevanza. Si tratta di un Dio da cui tutte le religioni sono legittimate ad attingere, in quanto esternazioni umane e storiche di un’esperienza dell’uomo, non di una rivelazione esterna. Nessun accenno a un fondamento metafisico. Come fecero i trovatori provenzali, Bergoglio cerca quei versi gradevoli alle orecchie dei sovrani medievali, oggi l’élite di potere che include gli attenti pasdaran della “democrazia liberale” dei Lumi. Il novello trovatore gesuita, in sei anni di pontificato, pascendo un gregge ecclesiasticamente corretto, facendolo pascolare sopra una faglia tellurica, lo ha costretto al bradisismo dottrinale, a vivere una fede ansiogena.

Detto questo, sull’atto formale assunto insieme ai musulmani e firmato “a nome della Chiesa Cattolica” occorre precisare che, per quanto firmata dal papa, tale dichiarazione non fa parte del Depositum fidei. L’11 aprile scorso in Vaticano, Bergoglio, confermando la “bontà” del documento di Abu Dhabi, ha compiuto un gesto simbolico prostrandosi di fronte a tre leader politici del Sudan, baciando loro i piedi, implorando la pace. Gesto che di fatto esprime la sottomissione al potere politico e il rifiuto della Regalità di Nostro Signore Gesù Cristo. Chi rappresenta Cristo sulla terra, nel cui nome ogni ginocchio si piega nei cieli e sulla terra (Filippesi 2, 10), deve ricevere l’omaggio degli uomini e delle nazioni e non prestare omaggio a nessuno: c’è da chiedersi, dopo questo atto, dove andrà a finire la missione salvifica della Chiesa.
Esistono poi evidenti collegamenti tra tale documento sulla Pace mondiale e l’inarrestabile refrain di Bergoglio che si attarda, ogni dove, sulla strada del consenso che oggi trova nell’immigrazione il suo dogma assoluto. Se è vero che il Signore ha detto: “Ero straniero e non mi avete accolto… Lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno”, è impensabile che si possa attribuire al Signore l’adesione all’imprudenza di certi pastori, in un contesto che ci vede impotenti di fronte all’affluenza verso l’Europa di migliaia di profughi strumentalizzati politicamente e spinti a morire nel Mediterraneo. Fenomeno sul quale non si intravedono soluzioni, anche perché nessuno, al di là della pelosa carità di soggetti economicamente motivati, sembra manifestare la volontà di rimuoverne a monte le cause con interventi a livello internazionale, mentre ONU e UE sono latitanti.

Sotto il profilo identitario si dice che Bergoglio, in quanto sudamericano, non conosca a fondo la realtà islamica, ma egli non applicando la virtù teologale della prudenza rischia di concorrere al completo disarmo culturale del continente europeo, già debilitato da secoli di laicismo. A questo c’è da aggiungere che egli si dimentica puntualmente di fare i nomi di quelle nazioni, come la Francia, che hanno acceso la miccia, per esempio nella polveriera libica, per motivazioni vetero-coloniali.
L’accoglienza ideologica non ha nessun nesso concreto con la carità. Se una religione esogena, in assenza della difesa dei valori endogeni, trova la sponda ideale per un progetto egemonico attraverso l’occupazione religiosa, contemplerà di fatto anche la sostituzione etnica. Questo bisognerebbe farlo capire a quei vescovi che vendono chiese e terreni alle comunità islamiche, ricevendo di fatto denaro (che sarebbe utile, come diceva Giovannino Guareschi, per i nostri poveri e non per costruire moschee) dalle monarchie arabe, dall’Arabia Saudita, dal Qatar e dagli Emirati Arabi. Moschee e “associazioni culturali” muovono un volume d’affari difficilmente calcolabile, ma che raggiunge, secondo stime riportate da “La Verità”, una cifra di 42 milioni all’anno.
L’effetto Abu Dhabi non ha tardato a manifestarsi. L’inizio del Ramadan, lo scorso 5 maggio, ha visto diocesi e parrocchie partecipare, in nome della fraternità evocata da Bergoglio, a una gara di solidarietà nei confronti dei musulmani. Senza dimenticare una serie di iniziative che sono andate oltre le intenzioni del documento, come quella dell’Ordine dei Frati Minori che si è spinto a sostenere che musulmani e cristiani subiscono le stesse “persecuzioni, guerre e ingiustizie”; tutto ciò in concomitanza con la strage di cristiani per mano di islamisti in Indonesia…
Dietro la foglia di fico del dialogo, come in occasione del mese sacro degli islamici, emerge sempre di più la crisi d’identità del cattolicesimo. Secondo Marcello Veneziani, “con il papato del sudamericano Bergoglio la civiltà cristiana europea si dispone al tramonto”. Monsignor Nicola Bux, liturgista e studioso dell’Oriente fuori dal coro dell’ecclesiasticamente corretto, afferma con preoccupazione:

Non ha alcun senso condividere le celebrazioni del Ramadan con i musulmani, soprattutto se si tratta di preghiere in comune, perché quando prega un cattolico lo fa “per Cristo Signore nostro” che ci ha rivelato il vero Dio. Queste iniziative non fanno che rafforzare negli islamici la convinzione che noialtri siamo apostati della nostra religione e che loro sono più forti di noi.

Nelle più importanti città europee la convivenza è al limite, anche se “La Civiltà Cattolica” si ostina a definirla “narrazione mediatica”. In Francia le banlieue scoppiano, a Marsiglia la popolazione islamica è al 40%. In Belgio abbiamo visto l’esito tragico del quartiere multiculturale di Molenbeeck, alla periferia di Bruxelles, dove è nato un partito maomettano che si propone di introdurre la sharia. In Gran Bretagna c’è quella che viene chiamata Londonistan, città nella città con la sua legge e il suo tribunale. Sono alcuni esempi di una gemmazione musulmana che avviene con il placet dei liberal di sinistra, veri responsabili della catastrofe, che si rifiutano di vedere e che verranno anch’essi travolti da quell’integralismo religioso.

Il rischio di islamizzazione è reale. Dove si crea un vuoto spirituale, questo viene riempito mettendo a rischio le identità autoctone. Monsignor Mariano Crociata, studioso dell’islam, ha pubblicato lo scorso anno un libro dal titolo Cristiani e musulmani nei secoli, dove sconsiglia alla Chiesa un approccio del tutto acritico rispetto al fenomeno migratorio:


Per la Chiesa lo straniero non esiste e siamo tutti uguali davanti a Dio, senza distinzioni. Per cui giustamente la Chiesa ragiona seguendo i suoi postulati. Tuttavia, quello migratorio è un fatto che va guidato dallo Stato e dalle sue leggi e la Chiesa non può e non deve interferire su questo fenomeno, non le compete. Il Catechismo della Chiesa dice espressamente che si fa carità e dunque si accoglie secondo le reali ed effettiva disponibilità. La carità non ha confini, i poveri sono uguali senza distinzioni, ma tale carità deve partire dai vicini per arrivare ai lontani. Lo Stato deve, con grande prudenza, valutare chi entra, chi è, da dove viene e se ne ha diritto, tenendo insieme i valori dell’accoglienza con quelli della sicurezza. Chi bussa in Europa lo faccia, rispettando le leggi, adeguandosi alla cultura e alle abitudini religiose di chi lo ospita.

Purtroppo tutto ciò si scontra con uno dei passaggi del controverso documento di Abu Dhabi riguardante la “diversità delle religioni”, che in sostanza dissuade (anche i cattolici!) dal proselitismo. Se l’attuale Pastore Universale della Chiesa non ci avesse abituato al bradisismo di cui sopra, la prescrizione ci farebbe sobbalzare; ma sappiamo che Bergoglio è tanto chiaro, limpido, cristallino sui temi sociali e politici, quanto è fumoso su quelli religiosi (vedi Amoris et Letitia).
Noi tuttavia ci “ostiniamo” a credere ancora nella conversione dei cuori e nell’evangelizzazione: 

Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo. 

Matteo 28, 16-20





Vaccini (inutili) contro la malaria in Africa e conflitti d’interesse

Nell’aprile 2017 i media annunciavano a gran voce che dal 2018 sarebbe stato disponibile un vaccino contro la malaria che avrebbe salvato decine di migliaia di vite. La notizia era basata sui trial che dovevano iniziare in Ghana, Malawi e Kenya su 750.000 bambini tra 5 e 17 mesi di età. L’autorizzazione per un trial così costoso sollevava molte domande, visti i deludenti risultati di trial simili e avendo a disposizione altri strumenti per controllare la malaria, tutti sottofinanziati. Per non parlare dei conflitti d’interesse.
Il Mosquirix, questo il nome del vaccino, è stato sviluppato dalla GlaxoSmithKline (GSK) in collaborazione con la Bill and Melinda Gates Foundation (BMGF) e con una grossa ONG USA, il Programme for Appropriate Technology in Health (PATH), che, avendo ricevuto dalla BMGF un finanziamento da un miliardo di dollari, è ormai considerata come un agente di Bill Gates. Se il trial dovesse avere risultati positivi, il vaccino potrebbe essere aggiunto dall’OMS alla lista degli interventi efficaci per la malaria. Notare che la BMGF è il secondo finanziatore dell’OMS dopo il governo USA.
La GSK e i suoi partner hanno già speso 565 milioni di dollari per sviluppare il vaccino, con risultati preliminari non entusiasmanti, cioè al di sotto del 50% di efficacia protettiva per almeno un anno richiesto dall’OMS come valore minimo. Trial preliminari condotti in 7 paesi dell’Africa subsahariana su 15.000 bambini hanno mostrato un’efficacia protettiva del 36% nei bambini oltre l’anno e del 26% in quelli sotto l’anno. Ma a parte le difficoltà tecniche per lo sviluppo di un vaccino efficace contro un protozoo, la domanda da porsi è: ne abbiamo proprio bisogno? La malaria potrebbe essere controllata anche e soprattutto con interventi sul ciclo del vettore, la zanzara anofele: drenaggio e trattamento delle acque stagnanti, uso oculato di insetticidi, gestione delle terre coltivabili e non, uso di zanzariere medicate. Queste misure ridurrebbero la trasmissione e l’incidenza della malattia. Un accesso universale ai servizi di salute permetterebbe un trattamento tempestivo e appropriato dei casi (in diminuzione, se fossero adottate le misure di cui sopra).


La classica obiezione – in Africa non è possibile – è in parte smentita dal caso dell’Eritrea. Impoverita e abbandonata dal commercio e dalla cooperazione internazionale per cause politiche, l’Eritrea è riuscita a ridurre l’incidenza (da 125.746 a 35.725 casi l’anno tra il 2001 e il 2014) e la mortalità (solo 15 decessi nel 2014) per malaria adottando proprio le misure di cui sopra. 1) Ma imitare l’Eritrea toglierebbe a Big Pharma, a GSK in questo caso, l’opportunità di guadagnare enormi profitti con la vendita di milioni di dosi di vaccino per moltissimi anni. E toglierebbe alla BMGF il merito di aver finanziato con miliardi di dollari questa impresa.
Non solo. Nonostante abbia venduto nel 2009 azioni di multinazionali del farmaco per un valore di 205 milioni di dollari, per evitare l’accusa di avere dei conflitti d’interesse quando finanziava lo sviluppo di nuovi farmaci e vaccini, la BMGF possiede 1,5 milioni di azioni di GSK attraverso la Warren Buffett’s Berkshire Hathaway, una compagnia che controlla al 50%. Per non parlare del fenomeno delle cosiddette porte girevoli. Vedasi i casi di Tachi Yamada, prima a capo del dipartimento di ricerca e sviluppo di GSK, poi assunto dalla BMGF come direttore esecutivo per i programmi sanitari, e di Kate James, impiegata da GSK per 9 anni prima di diventare Chief Communication Officer presso la BMGF.
Il caso del vaccino per la malaria non è unico. Nel 2009 PATH aveva testato il vaccino della GSK contro il papilloma virus nello stato indiano del Gujarat usando fondi della BMGF. All’epoca l’accusa fu di aver fatto passare per ricerca quello che era in realtà un programma di vaccinazione, come documenta un rapporto del parlamento indiano.2) In conclusione, questa triangolazione tra BMGF, GSK e PATH deve essere vigilata, se vogliamo evitare danni per le politiche di salute e per le popolazioni che ne sono oggetto.

a cura di Adriano Cattaneo



N O T E

1) Berhane A e altri, Gains attained in malaria control coverage within settings earmarked for pre-elimination: malaria indicator and prevalence surveys 2012, Eritrea. Malaria J 2015;14:467.
2) Parliament of India, Alleged Irregularities in the Conduct of Studies using Human Papilloma Virus (HPV) Vaccine by Path in India. 30 August 2013.

Le radici oscure dell'UE di Bruxelles



Questo articolo identifica il luogo di nascita dell'attuale Unione Europea sul tavolo della coalizione tra la IG-Farben e i nazisti che volevano un'Europa post-bellica sotto il loro controllo.
E' uno stralcio del discorso tenuto dal Dr. Rath in occasione del ricevimento del premio "Relay of Life", che gli è stato assegnato dai "sopravvissuti del campo di concentramento di Auschwitz".
1.jpg


I preparativi per la seconda guerra mondiale sono cominciati nel 1925, quando la Bayer, la BASF e la Hoechst e altre multinazionali tedesche formarono un cartello chiamato "IG-Farben". L'obiettivo dichiarato era quello di ottenere il controllo del mercato globale nei settori industriali della chimica, dei prodotti farmaceutici e petrolchimici. Già nel 1925, quando il cartello fu fondato, il suo valore aveva superato gli 11 miliardi di Reichsmark e aveva più di 80000 dipendenti.



2.jpg

Uno dei settori strategici della quale la IG-Farben voleva il controllo globale era quello del "business farmaceutico". Sapevano che l'industria farmaceutica non è un'industria che guarda alla salute ma agli investimenti e fa del corpo umano il suo mercato. Mentre si presenta come dispensatrice di salute, l'intera esistenza di questa industria per investimenti si basa sulla continuazione e l'espansione delle malattie per favorire il mercato multimiliardario dei farmaci brevettati.

Il presupposto per la creazione e il mantenimento di questo monopolio globale d'investimento sui farmaci brevettati è stata l'eliminazione sistematica di tutte le terapie naturali e non brevettabili.



3.jpg

Nel 1933 la IG-Farben è stata la più grande finanziatrice dell'ascesa al potere dei nazisti. Negli anni successivi questo cartello chimico/farmaceutico è diventato il principale complice dei nazisti nei preparativi per la conquista militare dell'Europa.



4.jpg

I documenti del Tribunale penale di Norimberga dimostrano che la Bayer, la BASF e la Hoechst hanno dato più di 80 milioni di Reichmark ai nazisti e le loro sussidiarie. In cambio di questo "investimento" la IG-Farben ha preso il controllo delle industrie chimiche, farmaceutiche e petrolchimiche dei paesi che venivano occupati durante la seconda guerra mondiale con l'obiettivo finale di creare e, al contempo, dominare tutto il mercato Europeo da Lisbona a Sofia.



5.jpg

Questo documento del Tribunale penale di Norimberga, è una lettera scritta il 20 luglio del 1940 dal direttore della IG-Farben, August von Knieriem, al governo Nazista - subito dopo la vittoria sui francesi - dove vengono sottolineati gli strumenti principali con la quale la IG-Farben intendeva cementificare il suo ruolo centrale in Europa.
Nella lettera della IG-Farben si specificava di una "moneta unica Europea", di un'unica legislazione Europea e anche di un'unico sistema giudiziario - tutto sotto il controllo della coalizione dei nazisti e della IG-Farben.



6.jpg

Ad Auschwitz, la IG-Farben ha costruito il più grande complesso industriale europeo per la produzione di agenti chimici ed esplosivi per il fronte bellico del secondo conflitto mondiale. Questi 24 kilometri quadrati di complesso industriale - così come la massiccia espansione dei campi di concentramento vicini, utilizzati come riserva di lavoro forzato - sono stati finanziati con circa un miliardo di Reichsmark da parte della Deutsche Bank.



7.jpg

La divisione farmaceutica della Bayer ha usato migliaia di prigionieri in esperimenti per analizzare i loro prodotti brevettati, come nel caso della "chemioterapia".



8.jpg

Durante il processo di Norimberga, 24 dirigenti della IG-Farben sono stati processati per crimini contro l'umanità e molti di loro sono stati condannati.



9.jpg

Il procuratore americano Telford Taylor al processo di Norimberga, ha riassunto il ruolo di questo cartello nel seguente modo: senza la IG-Farben, la seconda guerra mondiale non sarebbe stata possibile.



10.jpg

Per sei lunghi decenni gli atti del Tribunale di Norimberga contro i dirigenti della IG-Farben sono rimasti nascosti negli archivi. Nel luglio di quest'anno (?), la nostra fondazione ha ottenuto l'accesso a questi file e abbiamo pubblicato 40.000 pagine di questo importante processo su internet. D'ora in poi, tutti, bambini in età scolare e adulti, sono in grado di leggere e studiare i documenti on-line, in tutto il mondo.



11.jpg

Con l'inizio della guerra fredda, alcuni dei dirigenti della IG Farben che erano a processo, sono stati reintegrati nelle più alte cariche dell'industria tedesca. Karl Wurster, presidente della Degesch - produttore del "Zyklon B" per le camera a gas di Auschwitz - è diventato amministratore delegato della BASF.



12.jpg

Fritz ter Meer, direttore della Bayer e della IG-Farben, condannato a Norimberga per genocidio e schiavitù perpetrati ad Auschwitz, è stato rilasciato dopo soli 4 anni. 10 anni dopo esser stato condannato era nuovamente presidente del consiglio di sorveglianza della Bayer.



13.jpg

Hans Globke è stato il co-autore delle leggi razziali ed à stato anche il responsabile della scrittura delle nuove leggi del "grande Reich" europeo presso i paesi occupati dai nazisti durante la seconda guerra mondiale.



14.jpg

Dopo la WWII Globke diventa ministro della Cancelleria nell'ufficio del cancelliere tedesco Adenauer. Come "eminenza grigia" e al di fuori di qualsiasi controllo parlamentare, ha sostanzialmente controllato tutti gli aspetti della vita politica del dopoguerra della Germania Ovest, dai servizi segreti alla continuazione dei piani del cartello petrolifero e farmaceutico per conquistare l'Europa sotto un'Unione Europea di nuova costituzione.



15.jpg

Walter Hallstein, un importante avvocato durante il periodo nazista, ha dichiarato nel 1939: "Una delle leggi più importanti (nei paesi occupati) è la legge per la "protezione della linea di sangue e dell'onore della Germania"



16.jpg

Nel 1957, lo stesso avvocato del "sangue ed onore" è diventato l'archietto principale delle basi strutturali dell'Unione Europea e il primo capo della "Commissione Europea" - l'organo esecutivo dell'UE che aveva il compito di regolare l'Europa al di fuori di ogni controllo democratico.



17.jpg

In sostanza, i nazisti e gli uomini della IG-Farben hanno disegnato la Commissione Europea come "organo esecutivo" del cartello farmaceutico per il controllo dell'Europa postbellica.



18.jpg

Come risultato diretto dell'influenza di questi interessi, le decisioni del Parlamento Europeo hanno avuto poca, se non nessuna, influenza sulla legislazione e sulle così chiamate "direttive europee" imposte dalla Commissione Europea sulla vita di 400 milioni di europei.

Allo stesso tempo, l'elezione del Parlamento Europeo è poco più di una pagliacciata; Stanno ingannando i cittadini europei dipingendo la struttura europea come un sistema democratico.



19.jpg

Le basi di ogni democrazia è il potere dei suoi cittadini. Se il potere esecutivo non è più controllato dalla volontà popolare, la democrazia diventa una dittatura.



20.jpg

Oggi lo spettro della IG Farben è ancora presente in Europa. Gli obiettivi dei successori della IG Farben vengono oggi spalleggiati dalle multinazionali del petrolio e del farmaco di altri paesi europei. Ma molto dei loro obiettivi sono rimasti gli stessi della IG Farben durante la seconda guerra mondiale: stabilire e controllare il mercato europeo che va da "Lisbona a Sofia" con farmaci e prodotti tecnologici brevettati.

Oggi, le aree sempre più vaste per la quale queste corporazioni cercano il controllo coprono ulteriori settori della società e toccano tutte le vite del nostro continente. Vengono inclusi i brevetti sui geni, per ottenere il controllo sulle molecole e la vita stessa - e i brevetti delle piante geneticamente modificate, con l'obiettivo di ottenere il controllo della nostra alimentazione quotidiana.



21.jpg

Il "business farmaceutico della malattia" è il più famoso tra l'industria che cerca di avere il controllo sulle nostre vite. Come menzionato in precedenza, questa industria poggia su un presupposto salutistico, ma la sua intera esistenza dipende dalla promozione del mercato delle malattie. Oggi sappiamo che le malattie cardiocircolatorie, il cancro, le deficienze immunitarie e molte altre malattie sono largamente prevedibili. Il mantenimento deliberato di queste malattie al fine vendere farmaci per un guadagno aziendale è un crimine a tutti gli effetti.

Come conseguenza della pratica immorale di questo settore, il numero delle vittime di questo modello commerciale fraudolento ha superato il miliardo di persone e ha superato il numero delle vittime di tutte le guerre della storia del genere umano messe insieme.



22.jpg

Con il pretesto della lotta al terrorismo, la stessa Commissione Europea ha appena emanato una direttiva che trasformerà l'Europa in un "continente orwelliano". In base a questa direttiva UE, d'ora in poi tutte i numeri di telefono che una singola persona contatterà, così come gli indirizzi email, verranno archiviate. Questo vale per tutti i 400 milioni di persone che vivono in Europa. Non è difficile comprendere cosa vuole dire mettere in mano uno strumento del genere a gruppi di interesse come questi che in passato hanno largamente abusato dei loro poteri.