mercoledì 26 giugno 2019

Quella ricetta di Mussolini che salvò l'Italia dalla crisi

QUANDO IL FASCISMO TIRO' FUORI L'ITALIA DAI GUAI. IL PERIODO FASCISTA TRA "INVIDIE" E NOSTALGIE....

Nel libro di Vespa vengono analizzate in chiave attuale le misure che il Duce introdusse per tirare fuori il Paese dal baratro. Molte sarebbero d'esempio anche oggi

Poiché è stata la crisi del 2011-12 a suggerire l’idea di questo libro, e a fronte delle difficoltà incontrate dal go­verno Monti nel taglio della spesa pubblica, può essere interessante vedere come se la cavò Mussolini nell’altra Grande Crisi del secolo scorso. Come ogni regime dittatoriale, il fascismo spendeva grosse cifre per la difesa: all’inizio della crisi es­se rappresentavano il 32 per cento del bilancio statale, contro il 14 de­gli stanziamenti per opere pubbli­che. Ora, negli anni successivi al 1931, il bilancio della Difesa fu ta­gliato del 20 per cento, mentre lo stanziamento per opere pubbli­che fu quasi raddoppiato. («Nei primi dieci anni del mio governo­ - amava puntualizzare il Duce- si è speso in opere pubbliche più di quanto abbiano speso i governi li­berali nei primi sessant’anni dal­l’Unità d’Italia»). Il bilancio della polizia, altra po­sta strategica del regime, fu decur­tato del 30 per cento, come quello della Giustizia, mentre gli stanzia­menti per le Colonie furono ridot­ti quasi del 50 per cento. Colpisce, invece, che non sia stato tagliato di una sola lira il bilancio della Pubblica Istruzione. Nonostante la scuola fosse uno dei settori sui quali Mussolini puntava mag­giormente (famoso lo slogan «Libro e moschet­to»), l’istruzione non fu mai veramente «fascistiz­zata», perché tra gli stessi in­segnanti fascisti erano pochi quelli che accettavano di svuotare la scuola della sua funzione culturale appiatten­dosi completamente sulle esi­genze del regime. Furono ridotti del 20 per cento anche i servizi fi­nanziari, malgrado i robusti inter­venti per salvare banche e impre­se. Nella prima metà degli anni Trenta il bilancio dello Stato oscil­lò tra i 19 e i 21 miliardi di lire. Nel­l’esercizio finanziario 1930-31 il disavanzo fu limitato al 2,5 per cento, ma dall’anno successivo passò via via dal 20 al 35, per ridi­scendere al 10 nel biennio 1934-35.



Per farvi fronte, non volendo ri­nunciare alla parità aurea nono­stante la svalutazione del dollaro e della sterli­na, Mussolini fu costretto in cin­que anni a di­mezzare le ri­serve d’oro della Banca d’Italia. Gli inasprimenti fiscali raggiun­sero il picco nel 1934 con l’aggravio delle imposte sugli scambi e sulle successioni. Fu lì che il Du­ce disse «basta», con una frase che suonerebbe ancor oggi di notevo­le buonsenso: «La pres­sione fiscale è giunta al suo limite estremo e biso­gna la­sciare per un po’ di tempo as­solutamente tranquillo il contri­buente italiano e, se sarà possibi­le, bisognerà alleggerirlo, per­ché non ce lo troviamo schiacciato e defunto sotto il pesante far­dello». (...) La diffusione delle biciclette e delle tramvie ex­traurbane aveva favorito il pendola­rismo tra campagna e città, cosicché si for­mò una potenziale nuova classe lavoratrice che i sindaca­ti cercarono di arginare, difenden­do gli operai urbani. I sindacati fa­scisti chiesero la riduzione del­l’orario lavorativo settimanale a 40 ore a parità di salario: l’Italia fu il primo paese al mondo a intro­durre tale misura fin dal 1934, una scelta così avanzata che è ancora in vigore quasi ottant’anni dopo. (…)


Nel 1933 il regime modificò radi­calmente il sistema assicurativo pubblico creando l’Istituto nazio­na­le fascista della previdenza so­ciale (Infps), dotato di gestione autonoma. Prima della fine del decennio, furono appron­tati diversi ammortizzatori sociali,come l’assicurazio­ne contro la disoccupazio­ne, gli assegni familiari e le integrazioni salariali per i lavoratori sospesi o a ora­rio ridotto. Per compensare i sacri­fici chiesti ai lavoratori e alle loro famiglie con le riduzioni salariali, il regime predispose «una serie di servizi sociali e di possibilità ricre­ative, sportive, culturali, sanita­rie, individuali e collettive, sino al­lora sconosciute o quasi in Italia e che influenzarono largamente il loro atteggiamento verso il fasci­smo e soprattutto quello dei giova­ni che più ne usufruirono». (...) In un paese ancora povero, in cui pochissimi bambini potevano permettersi le vacanze al mare, fu provvidenziale l’istituzione delle colonie estive, i cui ospiti passaro­no da 150mila nel 1930 a 475mila nel 1934. Nel 1926, un anno dopo la sua costituzione, l’Opera nazio­nale dopolavoro contava 280mila iscritti, che un decennio più tardi erano saliti a 2 milioni 780mila, per raggiungere i 5 milioni alla vigi­lia della seconda guerra mondia­le: quasi il 20 per cento dell’intera popolazione italiana. Gli aderenti godevano di alcune forme di assi­stenza sociale integrativa oltre a quella ordinaria, della possibilità di fruire di sconti e agevolazioni e, soprattutto, di partecipare a una lunga serie di attività sportive, ri­creative e culturali.

Agli adulti la tessera del dopolavoro dava dirit­to a forti sconti su ogni tipo di sva­go: dai cinema ai teatri, dai viaggi alle balere, dagli abbonamenti ai giornali alle partite di calcio. Tut­ti, iscritti e non, avevano diritto ­se bisognosi- alla refezione scola­stica, a libri e quaderni gratuiti,al­l’accesso a colonie marine, ai cam­peggi estivi e invernali, all’assi­stenza nei centri antitubercolari. (...) Rexford Tugwell, l’uomo più di sinistra dell’amministrazione americana, pur collocandosi ideo­logicamente agli antipodi del fa­scismo, riconosceva che il regime stava ricostruendo l’Italia «mate­rialmente e in modo sistematico. Mussolini ha senza dubbio gli stes­si oppositori di Roosevelt, ma con­trolla la stampa e così costoro non possono strillare le loro fandonie tutti i giorni. Governa un paese compatto e disciplinato, anche se con risorse insufficienti. Almeno in superficie, sembra aver com­piuto un enorme progresso. Il fa­scismo è la macchina sociale più scorrevole e netta, la più efficiente che io abbia mai visto. E ne sono in­vidioso». 

L'IMPORTANZA DI TORNARE ALLA CITTADINANZA ITALIANA PER DISCENDENZA (IURE SANGUINIS)

ECCO QUANTO PREVEDE IL CONSOLATO GENERALE D'ITALIA A VANCOUVER (CANADA) IN MATERIA DI CITTADINANZA ITALIANA

INFORMAZIONI GENERALI

E' cittadino italiano, indipendentemente dal luogo di nascita, chi nasce da genitori cittadini italiani. 
Poiché la donna trasmette la cittadinanza solo a partire dal 1° gennaio 1948, chi è nato prima di quella data può ricevere la propria cittadinanza esclusivamente dal padre, mentre chi è nato dopo, la può ricevere indifferentemente sia dal padre, che dalla madre. 
Il figlio minore di un cittadino italiano e' cittadino italiano automaticamente. La trascrizione dell'atto di nascita e' da considerarsi un servizio del settore Stato Civile e non gia' un riconoscimento della cittadinanza italiana. Verificare pertanto le informazioni nella sezione Stato Civile > Trascrizione Nascita.

La trasmissione di cittadinanza non prevede limiti di generazione ma, all'opposto, non consente salti di generazione: se il nonno non trasmette la cittadinanza al padre, questi non la può trasmettere al figlio. 
Chi per esempio e' nato in Canada e', di norma, cittadino italiano se i genitori erano italiani al momento della sua nascita e non ha acquistato prima del 16 agosto 1992 un'altra cittadinanza oltre a quella canadese (vedere informazioni relative alla perdita della cittadinanza) oppure non ha formalmente rinunciato a quella italiana.

Si informa che le istanze di riconoscimento della cittadinanza iure sanguinis sono accettate solo se spedite per posta a questo Consolato Generale. Non saranno accettate istanze presentate di persona allo sportello.

La domanda di riconoscimento di cittadinanza potra’ essere accettata nel caso in cui:
- l’ascendente/avo cittadino italiano nato in Italia NON si sia mai naturalizzato cittadino canadese (British subject prima del 1 gennaio 1947);

- l'ascendente/avo cittadino italiano NON abbia acquistato la cittadinanza canadese o altra cittadinanza (perdendo di conseguenza la cittadinanza italiana) prima della nascita del richiedente o del suo primo ascendente nato fuori del territorio italiano. 

Si ricorda che la cittadinanza canadese come tale esiste dal 1 gennaio 1947 e di conseguenza l’ufficio Citizenship Immigration Canada potrebbe non disporre di informazioni in merito ad eventi verificatisi prima di questa data. Per naturalizzazioni avvenute prima di tale data si consiglia di rivolgersi all’ufficio Library and Archives Canada.

Se l’antenato italiano del richiedente è emigrato in un Paese diverso dal Canada, l’eventuale certificato di naturalizzazione deve essere richiesto anche presso le autorità di quel Paese.   

Pur essendo automatica, per esplicare i propri effetti giuridici, la trasmissione della cittadinanza jure sanguinis é subordinata alla registrazione in Italia. 
Il genitore che acquista la cittadinanza italiana la trasmette ai propri figli minorenni se con lui conviventi. 

COSTI
Si informa che la Legge n.89 del 23.06.2014 ha introdotto, a partire dall'8 luglio 2014, la riscossione di un contributo (vedi Art. 7B della tabella diritti consolari) dovuto per la trattazione delle domande di riconoscimento delle cittadinanza italiana a favore di persona maggiorenne. Si precisa che tale contributo, da versare direttamente a questo Consolato Generale, dovrà essere pagato in dollari canadesi con money order intestato al Consolato Generale d'Italia di Vancouver al momento della presentazione della domanda da ogni richiedente maggiorenne. Trattandosi dunque di un contributo per la trattazione della pratica, esso è svincolato dall’esito dell’accertamento che sarà effettuato dall’Ufficio consolare.
Si ricorda che gli atti di stato civile relativi al richiedente e rilasciati in questa Circoscrizione (nascita, matrimonio, divorzio e nascita di figli minorenni) dovranno essere legalizzati pagando gli importi previsti così come indicato nella pagina "Stato civile".

Masson-Leaks: clamorosa fuga di dati, ma le logge puntano su aborto e gender

La notizia è clamorosa, eppure in Italia pare che nessuno se ne sia accorto. Il 12 aprile 2016 la Gran Loggia di Francia ha sporto denuncia contro ignoti presso la Procura di Parigi con le accuse di pirateria informatica, nonché sottrazione e diffusione di dati personali dopo la fuga incontrollata di informazioni sul web relative ad alcune migliaia di documenti interni e riservati.
A darne notizia, è stato il settimanale L’Express. Il dossier è stato diffuso per la prima volta il 10 aprile 2016 dal sito Stop Mensonges, che promette «rivelazioni sul governo occulto che regge le sorti del nuovo ordine mondiale». Si tratta della maggior raccolta di testi mai sottratta, oltre 6 mila, più di 6 gigabyte di materiale segreto, almeno fino a quel giorno. Contiene decenni di rituali, elenchi, progetti, programmi, contabilità, riviste interne, domande di adesione con tanto di dettagliati curricula vitae, estratti di casellari giudiziari e copie di carte d’identità, corrispondenza interna e lettere mai inviate. Il quotidiano Le Monde è riuscito a prenderne visione.
Come operativamente queste informazioni siano uscite non è dato sapere, almeno non in questa fase dell’inchiesta. Ciò che è certo è che lo spyware, utilizzato per trasportare quest’immensa mole di dati verso uno spazio di archiviazione on line, è stato individuato nel sistema informatico della Gran Loggia di Francia, i cui computer hanno segnalato il giorno 4 aprile  2016 un file-spia intrufolatosi nel cloud il giorno 2. Alcuni file piratati sono datati aprile 2016.
Il gestore del blog, da diversi anni residente in una villa a Las Vegas con la sua famiglia, si è limitato a specificare di non poter spiegare come si sia procurato i documenti «per la sicurezza delle persone implicate» ed ha rifiutato di lasciarsi intervistare dalla rivista Society, temendo «rappresaglie». Ma tutto pare far pensare ad una talpa interna. Sollecitata di un parere sull’accaduto, anche la Gran Loggia di Francia ha preferito non esprimersi. Pare che i pirati informatici non siano riusciti ad entrare in possesso però della lista completa dei 34 mila membri della Gran Loggia di Francia, benché molti dei loro nomi figurino ampiamente nei documenti apparsi on line.
Subito dopo la denuncia è stato attivato l’Oclctic, complicatissimo acronimo corrispondente a Ufficio centrale della lotta alla criminalità legata alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, dipartimento di Polizia specializzato nella cybercriminalità. In attesa di saperne di più, v’è anche da sottolineare come la notizia si riferisca in ogni caso soltanto ad una delle otto obbedienze massoniche attualmente attive in Francia. Obbedienze, che, pare, dopo l’accaduto, si trovino in stato di allerta per prevenire attacchi analoghi. Di certo, tutto questo non ha fermato la loro attività, soprattutto su due fronti ritenuti particolarmente “caldi”: aborto e gender.
Il Godf, Grand’Oriente di Francia, ad esempio, è tornato a sottolineare l’importanza attribuita dalla massoneria alla pratica abortiva, assegnando lo scorso 8 aprile il riconoscimento Marianne Jacques France a Simone Veil, 88 anni, ex-ministro, primo presidente del Parlamento europeo eletto direttamente e primo presidente donna, ma soprattutto autrice della legge che ha legalizzato l’aborto in Francia. È stato il Gran Maestro in persona, Daniel Keller, a consegnare l’ambito busto ai due figli della premiata, Jean e Pierre-François, alla presenza del presidente del Senato, Gérard Larcher. Busto, che vuol essere «testimonianza dell’affetto e della riconoscenza del Grand’Oriente di Francia verso Simone Veil, nostra sorella di cuore».
Nella circostanza, Keller non ha usato giri di parole, è andato dritto al cuore del problema, elogiando, di Veil, l’«attivismo repubblicano», la «lotta per l’emancipazione delle donne, figlia della laicità che costituisce il fulcro dell’impegno massonico», nonché la sua legge sull’aborto, «simbolo di quel miglioramento dell’Uomo e della società, cui i massoni stanno lavorando; questa legge resta un pilastro della nostra società». Commenta giustamente l’agenzia Médias-Presse-Info: «Dunque, uccidere ogni giorno in Francia centinaia di bambini nel ventre delle loro madri costituisce un pilastro della società voluta dalla setta massonica»… Ma non basta: anche il tema del gender tiene banco, per uniformare le sacche di resistenza intestina ancora presenti tra i “grembiulini”, i cui vertici promuovono ad ogni pié sospinto l’ideologia Lgbt. Non esitando a punire chi non si adegui. Così la Glrb ovvero la Gran Loggia Regolare del Belgio ha rotto le proprie relazioni internazionali con la Gran Loggia del Tennessee per il rifiuto opposto da quest’ultima ad accogliere le richieste di adesione presentate da candidati omosessuali. Una decisione non isolata, già la Glrb si era comportata allo stesso modo e per lo stesso motivo lo scorso 8 marzo con i “confratelli” della Georgia.
Si legge in una lettera della Loggia belga, scritta il 19 aprile scorso: «Riteniamo che chiunque debba essere rispettato indipendentemente dal proprio orientamento sessuale», principio a suo dire oggi violato. Non può pertanto accettare di vedere «la propria credibilità e la propria serenità minate» dal fatto che nella stessa Catena universale della massoneria regolare di cui essa fa parte, vengano riconosciuti anche membri «con simili attitudini discriminatorie». Per la verità, lo scorso 8 marzo la Gran Loggia del Belgio aveva inviato una missiva d’avvertimento ai “grembiulini” del Tennessee, chiedendo spiegazioni circa l’esclusione dei candidati Lgbt, ma non è stata neppure data loro risposta. Da qui, la dura presa di posizione pubblica, che crea spaccature importanti e crepe significative all’interno dei consessi massonici internazionali, nel tentativo d’imporre il “massonicamente corretto” all’insegna del gay friendly più spinto. 
(Mauro Faverzani)

Per la Corte di Cassazione il feto durante il travaglio è una persona. E prima?




(di Alfredo De Matteo) A dir poco singolare, soprattutto nelle motivazioni, la sentenza n. 27539/2019 della Cassazione, depositata il 20 giugno scorso, che ha confermato la condanna in primo e secondo grado ad un anno e nove mesi di reclusione per omicidio colposo ad una ostetrica, rea di non aver adeguatamente monitorato il battito cardiaco di un bambino mentre la madre era in travaglio.

Secondo gli Ermellini il feto deve essere considerato persona dall’inizio del travaglio, e non già dal successivo momento del distacco dall’utero materno. In conseguenza di ciò, la morte colposa del bimbo nelle fasi immediatamente precedenti la nascita integra il reato di omicidio, e non quello d’interruzione della gravidanza. Tale disciplina, si legge nella sentenza, rispecchia «un quadro normativo giurisprudenziale italiano ed internazionale di totale ampliamento della tutela della persona e della nozione di soggetto meritevole di tutela, che dal nascituro al concepito si è poi estesa fino all’embrione».

Ora, a noi risulta che il quadro normativo di cui parla la Corte sia il seguente: nel primo trimestre della gravidanza il bambino nel grembo della madre non è considerato una persona meritevole di tutela, tant’è che la legge Italiana consente la sua violenta soppressione per qualsiasi motivo e a spese del servizio sanitario nazionale. Lo stesso bambino comincia a godere di qualche minima protezione improvvisamente, allo scoccare del 91mo giorno, ma è ancora lungi dall’essere considerato un essere umano, tant’è che può essere eliminato in presenza di una diagnosi di malformazione (anche solo presunta) che possa mettere in pericolo l’equilibrio psico fisico della gestante.

Sempre il medesimo bambino, quando sussiste per lui la possibilità di vita autonoma al di fuori dell’utero materno, che non è specificata dalla norma abortista e nemmeno può esserlo viste le innumerevoli variabili che la determinano, può essere ucciso solo in caso di grave pericolo per la vita della madre e comunque il medico che esegue l’intervento deve adottare ogni misura idonea a salvaguardare la sua vita (sic!).

Pertanto, è possibile affermare, senza timore di smentita, che il bambino non ancora nato non sia considerato affatto una persona, ma un oggetto nelle mani della madre e dello Stato che all’aumentare di peso e dimensioni comincia ad acquisire, secondo logiche astratte, qualche precario diritto, ma che sempre tale rimane. È solo quando lo stesso identico bambino cresciuto per nove mesi nel seno della madre viene alla luce che finalmente acquisisce lo status di essere umano per la legge Italiana (almeno fino ad ora …).

La Cassazione, con tale pronunciamento, ha stabilito che anche il bambino che sta transitando dalla vita uterina a quella extrauterina è da considerare un uomo a tutti gli effetti, e di ciò ce ne rallegriamo. Ma occorre prendere atto della totale mancanza di coerenza e logica di chi pretende di stabilire a colpi di sentenze chi debba essere considerato un essere umano e chi no, come se non fosse la natura delle cose a dettare la legge ma la legge stessa a determinare la natura delle cose.

Insomma, che l’essere umano sia tale fin dal concepimento e dunque meritevole di tutela giuridica lo dimostra la scienza, il buon senso, la logica, l’evidenza dei fatti. C’è dunque da aver paura di un sistema che pretende di modificare a piacimento le regole della natura per piegarle al diritto, sia quando si tratta di stabilire a tavolino nuovi e fantasiosi criteri di morte (la cosiddetta morte cerebrale) sia quando si tratta di stabilire una nuova categoria di uomini: i “bambini in transito”.




LA PROPOSTA DI LEGGE SULLE RISERVE AUREE E L'ASTRAZIONE TERMINOLOGICA DELLA BCE






Claudio Borghi scrive su Twitter:

Ecco il testo in italiano del punto in cui in un parere (non vincolante) la BCE domanda solamente una minima correzione nel testo della mia pdl sulle riserve auree mantenendo intatto il cuore della questione, ovvero la proprietà statale delle riserve medesime.

Ora, premesso che parlare di Banca d'Italia non ha più alcun senso da quando questa è diventata di proprietà privata Rothschild al tempo delle privatizzazioni selvagge (anni '90), porre sul tavolo la questione della proprietà delle riserve auree dello Stato Italiano è come guardare il dito invece della luna, ma soprattutto significa prendere gli Italiani per i fondelli. 

Se prima non si mette mano alla rinazionalizzazione della Banca d'Italia insieme all'intero comparto bancario italiano, stiamo parlando di pura fuffa. Si badi bene: non una nazionalizzazione puramente formale ma fattuale. La cancellazione del riferimento "ad esclusivo titolo di deposito" delle riserve auree della Banca d'Italia, è pura astrazione e una presa in giro perché alla BCE, anche questa di proprietà Rothschild, sanno bene che questa proposta di legge la considerano meno della carta straccia. Un lontano antenato dei Rothschild, Mayer diceva: “Datemi la facoltà di emettere moneta e me ne infischio di chi fa le leggi”. 

Il diritto di emettere denaro e, di conseguenza, di stabilirne il valore, è un attributo squisito della sovranità. Per capire meglio la truffa "terminologica" che ci propone la BCE, bisogna prima chiarire cosa fa la BCE e quali sono i suoi immensi poteri di controllo ed emissione di denaro, con l'oro scelto come simbolo monetario. L'oro ha valore non perché sia un metallo nobile e raro, ma perché ci si è messi d’accordo che lo abbia. 

Inoltre, che la moneta avesse in sé un valore duplice lo comprese bene Ezra Pound il quale scrisse: "La moneta non è uno strumento semplice come una vanga. Contiene due elementi: quello che misura i prezzi sul mercato e quello che da il potere di comprare la merce". 

Di qui discende l’intuizione di Giacinto Auriti: 
"La funzione monetaria causa una duplicazione dei valori e raddoppia quantomeno la ricchezza dei popoli che la adottano, perché la somma delle unità di misura esprime una quantità di valore corrispondente a quello di tutti i beni reali misurati o misurabili in valore". 

I vertici bancari hanno compreso bene che attraverso un semplice passaggio e, cioè spostando la convenzione monetaria dal simbolo merce (oro) al simbolo di costo nullo (carta), ci si poteva agilmente appropriare del valore monetario indotto creato dal mercato. 

La Banca Centrale europea agisce autonomamente, risponde a sé stessa, senza alcun controllo democratico da parte degli stati. In “virtù” della sua sbandierata indipendenza, la BCE può fissare a piacimento il T.U.S. e, cosa più importante, decidere arbitrariamente la quantità di denaro da emettere. Per tal via sarà dunque assai facile per i governatori delle Banche Centrali poter prevedere bufere monetarie o periodi di vacche grasse…. 

Inoltre, mentre è possibile ascoltare in diretta o in differita le sedute parlamentari nazionali, non è possibile ascoltare le riunioni della BCE, le quali sono segrete. Solo il Consiglio di detta banca decide di volta in volta se rendere pubbliche o meno le sue decisioni, Alla faccia della trasparenza e della democrazia! 

Identica cosa vale per la Banca d’Italia che è controllata dalle medesime banche su cui dovrebbe vigilare. E qui il condizionale è d’obbligo, poiché la formalità della legge viene aggirata allegramente. Infatti dalla stampa si leggono articoli che denunciano il fatto che la stragrande maggioranza dei controlli effettuati dalla Banca d’Italia si rivolge verso gli istituti di credito cooperativo e non alle grandi banche che viceversa gestiscono cospicue risorse. Non dimentichiamo l’omesso controllo delle banche sui Bond argentini sulle azioni di Cirio e Parmalat ecc....

Lo Stato emette un Titolo, in quanto non ha il potere sovrano di emettere moneta e ciò indipendentemente se ha speso in conformità alle sue entrate. Solo la Banca Centrale può farlo e lo fa spendendo 30 centesimi per una banconota da (esempio) 500 euro. La Banca Centrale possiede quei Titoli di Stato perché li compra con semplice carta stampata a basso costo. 

Lo Stato deve tassare il cittadino per avere la liquidità necessaria per ripagare i Titoli che ha emesso, più gli interessi maturati nel tempo. Le tasse sono soldi REALI, nostro LAVORO. Quindi, dato che si è detto che il signoraggio è dato dal potere di emettere moneta, possiamo SERENAMENTE affermare che la BCE con soli 30 centesimi compra 500 euro del nostro lavoro. 

LO RIPETIAMO per l’ennesima volta: uno STATO VERAMENTE SOVRANO non è COSTRETTO a emettere titoli per avere denaro…UNO STATO SOVRANO BATTE MONETA in modo autonomo, ed è semplicemente ASSURDO che uno STATO s’indebiti VERSO SE MEDESIMO! 

Ancora una volta, i Banchieri CENTRALI sono riusciti a capovolgere la frittata, facendo passare un vizio per declamata virtù! IL DEBITO NASCE attraverso la BANCA CENTRALE che si ARROGA il diritto di PROPRIETA' SULLA MONETA. 

La Banca Centrale di Emissione dovrebbe essere pertanto un Istituto STATALE, NON un Istituto di Diritto Pubblico o Privato, poiché il ladro può essere, indifferentemente, pubblico o privato, sistemi che consentono entrambi ai grandi gruppi di investitori privati di accaparrarsi gran parte delle quote di proprietà. 

“ADDEBITANDO, ossia mettendo nelle poste passive del Bilancio la moneta emessa, “la Banca Centrale carica il costo del denaro del 200%, perché prestando distrugge il 100% di un credito al quale tutti avremmo diritto, carica di un altro 100% di debito e in più aggiunge un Interesse. E questa è truffa!". [Giacinto Auriti] 

Tutti sanno che uno Stato, non potendo battere moneta in proprio, è come una macchina senza benzina. Quindi, a nulla varranno tutte le raccomandazioni dei Commissari Europei sulla riduzione del deficit. Lo Stato per poter funzionare avrà sempre bisogno di soldi. Per tal via, lo Stato dovrà tassare i cittadini in modo sempre più pressante, per fare in modo che lo stato funzioni a dovere. 

Ora, senza operare ulteriori digressioni sulla natura della Banche Centrali (il che richiederebbe altro spazio ed energie), si può serenamente affermare che un esecutivo che non pone dei chiari paletti allo strapotere della BCE risponde, in minima o massima parte, all’oligarchia bancaria. Allo stesso modo, anche i mass-media (giornali e televisioni in primis) e, in genere, tutte le società indebitate con le banche, sono a ben vedere un’espressione delle medesime. Per questo il sistema bancario internazionale mette propri uomini all’interno dei vari governi o all’interno delle società che intende controllare: Tommaso Padoa Schioppa, Vincenzo Visco, Gianni Letta, Romano Prodi, Mario Monti, Savona, Picchi della Lega (uomo Rothschild) ecc.... 

Quindi appare quanto meno opinabile la certezza che siano i governi, senza alcuna ingerenza, a nominare i governatori delle banche centrali. In altri termini questo è vero… ma solo sotto il piano meramente formale. Del resto tale affermazione è indicata a chiare lettere in una legge del 2005 che così recita: 

“il Governatore della Banca d’Italia è nominato con Decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri,sentito il parere del Consiglio superiore della Banca d’Italia”. 

Ora, siccome il diavolo sta nei dettagli, è proprio all’ultima riga che bisogna attenersi… in buona sostanza, sono i banchieri e altri centri di potere ad incidere profondamente nella nomina dei governatori. 

Karl Marx nel suo “capitale” già affermava che le Banche Centrali si fregiano dell’aggettivo Pubblico, proprio per non destare i sospetti del "pubblico". 

Lo studioso Marco Saba sostiene inoltre che: “la Banca D’Inghilterra, formalmente nazionalizzata nel 1948, sia di proprietà di una società privata, chiamata Bank of England Nominees, i cui soci restano “occulti”…. 

E che lo studioso ebreo indica ne “…la famiglia reale inglese, con l’aggiunta di alcuni “notabili europei” tra cui Sarkozy ecc…. e sarebbero coloro che percepiscono la rendita da signoraggio, riciclata dalle Banche attraverso dei conti neri (ne sarebbero stati trovati 17000 solo su Clearstream) che le medesime banche tengono aperti presso le centrali di compensazione interbancaria internazionale”. 

Nel mondo antico il potere non aveva bisogno di nascondersi. Al contrario, esso ostentava la sua potenza, magnificandola attraverso opere, scritti eccetera. Il Re Sole, Richelieu o la Regina Vittoria non si nascondevano, erano anzi amati o temuti dal popolo, perciò riconosciuti ed identificati come il potere a cui bisognava inchinarsi e portare rispetto. 

Nell’era moderna, viceversa, il vero potere, per evitare che il popolo si sollevi contro di esso, cerca in ogni modo di nascondersi. Quello che noi reputiamo essere il potere: i politici, i magistrati, le mafie non sono altro che uomini di paglia a cui viene affidato il compito di dare un volto “democratico” ad esso. 

Per questo durante ogni rivoluzione sono loro a pagare non il vero potere che invece rimane dietro le quinte a manovrare i suoi burattini. Per questo ed altro il vero potere li copre di privilegi e di denaro. 

Il POTERE, in altre parole, ha fatto tesoro delle esperienze passate e ha compreso che, per continuare a governare senza problemi di rivolte e sollevazioni popolari, dovesse lasciare le luci della ribalta a delle “comparse”. 

Con la rivoluzione francese il vero potere arretrò visibilmente; solo che riuscì, in virtù della sua secolare esperienza, a tenere per se il potere più grande: quello monetario. 

Dagli anni ’70 in avanti, con l’adozione della moneta fiat, aveva capito che gli stati avevano acquistato un potere enorme … un potere che avrebbe dato loro la patente di piena legittimità popolare. 

I governi, attraverso l’adozione della moneta fiat, potevano infatti: finanziare il Welfare e la piena occupazione, la sanità e la scuola. In tal modo, col passare del tempo, i “burattini” avrebbero fatto a meno dei burattinai… e questo stato di cose il vero potere non voleva e non poteva permetterlo. Così decisero di passare al contrattacco. 

Le “élites” si diedero subito da fare e architettarono un piano articolato in quattro punti fondamentali: 

La spesa degli stati doveva essere distrutta. Il potere di emissione doveva tornare totalmente nelle mani delle “élites”. La sovranità legislativa statuale doveva essere limitata e indi sottoposta a quella di un ordine sovranazionale (vd. Europa); i cittadini dovevano essere ridotti al rango di sudditi, resi apatici ed incapaci di opporsi al potere sovranazionale; dalle ceneri degli stati nazionali in decomposizione le élites avrebbero assunto la guida di interi continenti. 

Ora, venendo all'oggi, non vi sembra che questo piano occulto delle “elites” sia – in gran parte – stato realizzato? 

C.P. 

Di chi è l'oro della Banca d'Italia? 

Moncalvo: in Banca d'Italia mancano 2,8 tonnellate d'oro!



Riferimenti:


L’ORO DELLA BANCA D’ITALIA. IL FURTO DEL MILLENNIO, PROBABILMENTE.




Bankitalia, Riserve Auree e BCE: Vi svelo il gioco delle tre carte


Il tema delle sovranità è la questione centrale dell’epoca in cui viviamo, anche se la percezione che ne hanno i nostri connazionali è confusa e alterata dalle menzogne del sistema politico, economico e mediatico. Una questione da troppi ignorata, ma dalle dimensioni immense, è quella delle riserve d’oro italiane, che ammontano a 2.452 tonnellate e sono al terzo posto nel mondo. Alle quotazioni correnti del metallo giallo, il controvalore in euro è di almeno 75/80 miliardi. Le domande fondamentali sono almeno tre: dove sia custodito l’oro, chi ne abbia la proprietà, a che cosa può servire.



Le risposte sono drammaticamente negative per il nostro popolo. Negli ultimi mesi, alcuni deputati sono riusciti a visitare i santuari-caveaux della Banca d’Italia. I fatti sono i seguenti: solo circa 1.200 tonnellate si trovano a Palazzo Koch, storica sede di Bankitalia, meno della metà. La proprietà, giuridicamente, è in capo alla stessa Banca, che, repetita iuvant, è un organismo privato, sia pure investito di funzioni pubbliche, partecipante della Banca Centrale Europea, ed i suoi azionisti sono le maggiori banche “italiane”, tranne uno striminzito 5 per cento in mano all’INPS. Le virgolette poste sull’aggettivo italiane riguarda il fatto che tutte, diciamo tutte, le banche interessate hanno importanti azionisti esteri, in alcuni casi sono controllate da istituti stranieri, a partire dai due giganti Unicredit e Intesa San Paolo. Anche la Banca detta d’Italia, che alcuni ancora chiamano banca “nazionale” è quindi eterodiretta, ed i suoi domines sono il gotha della finanza mondiale.



Quanto all’uso o alla funzione della riserva aurea, le cosiddette autorità finanziarie affermano che essa “costituisce un presidio fondamentale di garanzia per la fiducia nel sistema Paese” . Due osservazioni: poiché Bankitalia fa parte dell’Eurosistema, la garanzia si estende agli altri Stati che fanno parte dell’Eurozona, il che pare quanto meno improprio; se poi occorre garantire attraverso l’oro il “sistema Paese”, orribile espressione sinonimo di Italia, chi, se non lo Stato, deve detenerla ed eventualmente deciderne un utilizzo, attraverso governo e parlamento ? Eh no, poiché, dicono lor banchieri, la riserva è nostra, è della sacra istituzione di cui è governatore Ignazio Visco. Ebbene, questo è il punto: le riserve auree sono indiscutibilmente proprietà del popolo italiano nella sua continuità storica, di cui la banca di emissione (ormai ex, il potere è di BCE) è solo uno strumento tecnico.

Due righe di storia: la Banca d’Italia nacque nel 1893, per volontà governativa a seguito dello scandalo della Banca Romana. Le furono conferite, insieme con i poteri di emissione, circa 150 tonnellate d’oro, provenienti per la metà dalle casseforti delle banche regnicole dei deposti Borbone. Non dimentichiamo che la quantità di moneta emessa, oggetto principale dello scandalo del 1893, era legata al possesso di riserve in metallo prezioso. Dopo la seconda guerra mondiale, e varie vicissitudini e trasferimenti che determinarono la perdita di 25 tonnellate, la riserva aumentò sino all’attuale consistenza, nell’ambito della proprietà pubblica dell’istituto di Via Nazionale, attraverso le banche di interesse nazionale di cui alle leggi bancarie del fascismo.

La sua privatizzazione fu conseguenza degli scellerati, criminali accordi del panfilo Britannia, presenti Andreatta, Carlo Azeglio Ciampi ed il giovane allora dirigente di Goldman & Sachs Mario Draghi, ma le banche azioniste, comprate per poco più di un tozzo di pane, non hanno mai acquisito ufficialmente la proprietà dell’oro. Fortunatamente, per statuto, non possono disporne, come del resto neppure i sedicenti proprietari, ovvero l’istituto privato di diritto pubblico ( un ircocervo !) Banca d’Italia. Non vi è dubbio che l’oro è stato acquisito con il sacrificio di molte generazioni di italiani, e che dunque la proprietà deve essere restituita al nostro popolo.

Giulio Tremonti riuscì a far approvare una legge, la 262 del 2005, che stabilisce la proprietà pubblica di Bankitalia. Legge inapplicata, come tante altre del nostro incredibile Stato, ed il perché è piuttosto evidente, e si può riassumere nell’avviso scritto sui tram di una volta: non disturbare il manovratore.

Disturbiamolo, invece, lanciando una campagna civile morale e patriottica prima che politica perché sia restituito al legittimo proprietario, noi, l’oro che è simbolo del sudore di milioni di italiani. Prima ancora, occorre sapere ufficialmente dove si trovi e perché sia lì la metà abbondante del tesoro, che, ricordiamolo, nelle nostre mani potrebbe cambiare il corso della storia economica nazionale, e forse anche ristabilire la sovranità economica della Patria. Probabilmente, la maggior parte è in America, presso la Federal Reserve, altri lingotti dormono nei forzieri della banca centrale svizzera e della Bank of England. Le spiegazioni ufficiali fanno sorridere, verrebbero forse credute nelle prime classi elementari: si afferma che la custodia in varie casseforti avrebbe ragioni di sicurezza e di cautela rispetto ad instabilità politiche ed economiche.

La realtà è ben più grave: innanzitutto, esiste ancora quell’oro? Quali furono, e sono, i motivi della sua esportazione? C’entrano forse clausole indicibili del trattato di pace con le potenze vincitrici della seconda guerra mondiale? Chi, ed a quali condizioni ha titolo per chiederne, o pretenderne il rimpatrio? Esiste un recente caso, in cui la Germania (leggasi Bundesbank) ha chiesto ed ottenuto dagli Usa la restituzione di parte della sue riserve. Analoghe richieste di restituzione provengono, per la Francia, da parte di Marine Le Pen. Troppi segreti si celano attorno all’oro, anzi all’ ”oro fisico”, come lo chiamano nel mondo di carta della finanza speculativa. La Cina sta rapidamente aumentando le sue disponibilità, ed ha inaugurato quest’anno un mercato di metalli preziosi denominato in yuan a Pechino, la stessa Russia sta cautamente procedendo ad acquisti.

Qualunque motivazione abbia portato il nostro oro lontano dall’Italia, forse venduto, forse dato in pegno, è comunque da considerare criminale ed i responsabili, in tempi seri, sarebbero chiamati a rispondere di alto tradimento. C’è anche chi sospetta che l’oro sia stato prestato più volte, generando illegalmente un interesse che, su somme così ingenti, sarebbe comunque una cifra assai importante, oppure che sia stato oggetto di spericolate manovre per manipolare il prezzo del metallo sul mercato.

Insomma, un altro furto, quello del millennio, a danno di tutti noi. Quel che colpisce profondamente è il disinteresse della classe politica, ma la spiegazione non è tanto difficile: chi tocca i fili muore. Ne sa qualcosa il governo italiano di centro-destra, pessimo ma legittimo, oggetto di un colpo di Stato per motivi finanziari del 2011. Tremonti chiedeva gli Eurobond, sgraditi a Francoforte, Berlusconi ipotizzava forse di uscire dall’euro, si accordava con Putin , il novello Gengis Khan e con Gheddafi, prima statista rispettato, poi nemico pubblico franco- britannico. Agli italiani, però, potrebbe interessare conoscere la storia di 80 miliardi di euro ( ma la somma è destinata a salire) spariti dalle loro mani.

Perché, però, l’oro continua ad essere tanto importante per gli uomini e gli Stati, anche adesso che non esiste più la riserva obbligatoria, abolita da Nixon il 15 agosto 1971, e che gli usi industriali dell’oro non giustificano la corsa al metallo color del sole? Da un punto di vista metastorico, ne dette una spiegazione molto suggestiva Mircea Eliade, il grande studioso rumeno delle tradizioni e delle civiltà tradizionali, nel seguente passo : “L’oro non appartiene alla mitologia dell’homo faberma è una creazione dell’homo religiosus; questo metallo cominciò infatti ad assumere valore per motivi di natura essenzialmente simbolica e religiosa. L’oro è stato il primo metallo utilizzato dall’uomo, pur non potendo essere adoperato né come utensile né come arma. Nella storia delle rivoluzioni tecnologiche – cioè nel passaggio dalla tecnologia litica alla produzione del bronzo, poi all’industria del ferro ed infine a quella dell’acciaio – l’oro non ha svolto alcun ruolo […] E tuttavia, dai tempi preistorici fino alla nostra epoca, gli uomini hanno faticosamente perseguito la ricerca disperata dell’oro. Il valore simbolico primordiale di questo metallo non ha potuto essere abolito malgrado la desacralizzazione progressiva della Natura e dell’esistenza umana“.

Più prosaicamente, il mercato dell’oro resta elemento centrale del mondo economico, ed è dominato, manco a dirlo, dalla finanza, in particolare da quella legata alla galassia Rothschild. L’oro è il bene rifugio per eccellenza, ed i nostri anni tempestosi di conflitti e uragani economici lo rendono ancora più appetito. Dal punto di vista mineralogico, nell’ultimo quarto di secolo le quantità estratte sono state ampiamente superiori ai nuovi filoni scoperti: anche l’oro, dunque, viene sfruttato in misura maggiore di quanto ne rimanga disponibile.

Il vero choc, però, è quello relativo al suo mercato. Centro del business è Londra, ed il suo London Bullion Market, di cui sono soci Barclay, Deutsche Bank, Société Generale, HSBC e Scotia Mocatta, fondato da un Rothschild nel 1919. Cinque persone, rappresentanti delle entità citate, ne fissano due volte al giorno il prezzo in dollari ad oncia troy (31,1035 grammi). La gran parte delle transazioni avviene over the counter, cioè fuori dai canali ufficiali e in qualche misura controllabili, per cui la manipolazione dei prezzi e l’illegalità è sospetto costante. Ogni cinque giorni la finanza muove sulla piazza londinese certificati legati all’oro, futures, derivati e tutte le altre pirotecniche invenzioni dei signori del denaro, per oltre 15 milioni di once, che è la produzione annua di quell’entità esoterica che è l’”oro fisico”. Circolano per il vasto mondo, dunque, pezzi di carta legati all’oro in quantità infinitamente superiore al fino realmente esistente .

Anche qui, scommesse sul nulla gestite da biscazzieri in grisaglia, aggiotaggio, insider trading e tutto il resto. I croupier fanno girare la pallina a Londra due volte al giorno per conto dei soliti noti, ma il tavolo verde non c’è ed i giocatori da spennare sono al buio. Inevitabilmente, in condizioni di instabilità politica , crisi economica e deflazione monetaria, il prezzo dell’oro aumenta. Come negli altri settori, si scambiano promesse, previsioni, possibilità. Di oro vero, fisico, poco o nulla. Poi qualcuno scuote la tovaglia e il banco, più ancora che al casinò, vince sempre.

Probabilmente, sino al punto di rapinare senza un fruscio l’oro dei popoli depositato nelle banche che un tempo si chiamavano centrali e nazionali, compresa quella che ha il nome dell’Italia.

Dobbiamo ribellarci, ed almeno sapere e capire, oppure la schiavitù è il nostro normale destino, di cui siamo artefici e colpevoli, come si dicono Bruto e Cassio nel Giulio Cesare di Shakespeare, o come già intuiva la pratica saggezza romana populus vult decipi, il popolo vuol essere ingannato, per cui, proseguono i nostri progenitori, lo si inganna. I Rothschild conoscono bene la lezione, i loro colleghi altrettanto.

Noi paghiamo il conto.

PROPONIMENTO DI OGGI



Mi impegno a compiere opere di bene iniziando dai pensieri e dalle parole

LITURGIA DEL GIORNO



LITURGIA DEL GIORNO
- Rito Romano -
  
  



 PRIMA LETTURA 

Gen 15,1-12.17-18
Dal libro della Gènesi

In quei giorni, fu rivolta ad Abram, in visione, questa parola del Signore: «Non temere, Abram. Io sono il tuo scudo; la tua ricompensa sarà molto grande».
Rispose Abram: «Signore Dio, che cosa mi darai? Io me ne vado senza figli e l’erede della mia casa è Elièzer di Damasco». Soggiunse Abram: «Ecco, a me non hai dato discendenza e un mio domestico sarà mio erede».
Ed ecco, gli fu rivolta questa parola dal Signore: «Non sarà costui il tuo erede, ma uno nato da te sarà il tuo erede». Poi lo condusse fuori e gli disse: «Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle»; e soggiunse: «Tale sarà la tua discendenza». Egli credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia.
E gli disse: «Io sono il Signore, che ti ho fatto uscire da Ur dei Caldei per darti in possesso questa terra». Rispose: «Signore Dio, come potrò sapere che ne avrò il possesso?». Gli disse: «Prendimi una giovenca di tre anni, una capra di tre anni, un ariete di tre anni, una tortora e un colombo».
Andò a prendere tutti questi animali, li divise in due e collocò ogni metà di fronte all’altra; non divise però gli uccelli. Gli uccelli rapaci calarono su quei cadaveri, ma Abram li scacciò.
Mentre il sole stava per tramontare, un torpore cadde su Abram, ed ecco terrore e grande oscurità lo assalirono. Quando, tramontato il sole, si era fatto buio fitto, ecco un braciere fumante e una fiaccola ardente passare in mezzo agli animali divisi.
In quel giorno il Signore concluse quest’alleanza con Abram:
«Alla tua discendenza
io do questa terra,
dal fiume d’Egitto
al grande fiume, il fiume Eufrate».


  SALMO  

Sal 104
Il Signore si è sempre ricordato della sua alleanza.

Rendete grazie al Signore e invocate il suo nome,
proclamate fra i popoli le sue opere.
A lui cantate, a lui inneggiate,
meditate tutte le sue meraviglie.

Gloriatevi del suo santo nome:
gioisca il cuore di chi cerca il Signore.
Cercate il Signore e la sua potenza,
ricercate sempre il suo volto.

Voi, stirpe di Abramo, suo servo,
figli di Giacobbe, suo eletto.
È lui il Signore, nostro Dio:
su tutta la terra i suoi giudizi.

Si è sempre ricordato della sua alleanza,
parola data per mille generazioni,
dell’alleanza stabilita con Abramo
e del suo giuramento a Isacco.


 VANGELO 

Mt 7,15-20
Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Guardatevi dai falsi profeti, che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro sono lupi rapaci! Dai loro frutti li riconoscerete.
Si raccoglie forse uva dagli spini, o fichi dai rovi? Così ogni albero buono produce frutti buoni e ogni albero cattivo produce frutti cattivi; un albero buono non può produrre frutti cattivi, né un albero cattivo produrre frutti buoni. Ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco. Dai loro frutti dunque li riconoscerete».