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mercoledì 3 aprile 2019

Bill Gates e Steve Jobs hanno cresciuto i loro figli senza tecnologia, e questo dovrebbe insegnarci qualcosa

Bill Gates non ha permesso ai suoi figli di avere telefoni cellulari fino a quando non hanno compiuto 14 anni, temendo gli effetti di troppo tempo passato davanti allo schermo. Shutterstock Rex per EEM
  • Le interviste a Bill Gates, Steve Jobs e altri personaggi dell’élite tecnologica rivelano costantemente che i genitori della Silicon Valley sono severi sull’uso della tecnologia
  • Un nuovo libro suggerisce che già anni fa c’erano chiari segnali del fatto che l’uso degli smartphone dovesse essere regolato
  • Tuttavia potrebbe esserci un modo per integrare la tecnologia nelle scuole evitando i suoi effetti dannosi
Gli psicologi stanno rapidamente imparando quanto possano essere pericolosi gli smartphone per i cervelli degli adolescenti.
La ricerca ha scoperto che il rischio di depressione per un bambino di terza elementare aumenta del 27%quando usa frequentemente i social network. I bambini che usano i loro telefoni per almeno tre ore al giornohanno molte più probabilità di tentare il suicidio. E una recente ricerca ha rilevato che il tasso di suicidi tra gli adolescenti negli Stati Uniti ora eclissa il tasso di omicidi, con gli smartphone come forza trainante.

Ma i segnali circa il rischio rappresentato dagli smartphone sarebbero dovuti essere chiari da circa un decennio ormai, secondo gli educatori Joe Clement e Matt Miles, coautori del libro “Screen Schooled: due insegnanti veterani espongono come un uso eccessivo della tecnologia stia rendendo i nostri bambini più stupidi“.
Il fatto che le due più grandi figure tecnologiche della storia recente – Bill Gates e Steve Jobs – raramente abbiano permesso ai propri figli di usare gli stessi prodotti che hanno contribuito a creare, dovrebbe insegnarci qualcosa, sostengono Clement e Miles.
“Che cosa sanno questi ricchi dirigenti tecnologici dei propri prodotti che i loro consumatori non conoscono?” gli autori hanno scritto. La risposta, secondo un crescente numero di prove, è il potere di creare dipendenza della tecnologia digitale.

‘Limitiamo la quantità di tecnologia che i nostri figli usano a casa’

Sung-Jun/Getty Images
Nel 2007 il fondatore di Microsoft ha programmato un limite di tempo davanti allo schermo quando sua figlia ha iniziato a sviluppare una malsana dipendenza ad un videogioco. Inoltre non ha permesso ai suoi figli di avere i telefoni cellulari fino a quando non hanno compiuto 14 anni. (Oggi l’età media di un bambino che riceve il primo telefono è 10 anni).
Jobs, ceo di Apple fino alla sua morte nel 2012, ha rivelato in un’intervista del New York Times del 2011 che vietava ai suoi figli di usare l’iPad appena lanciato sul mercato. “Limitiamo la quantità di tecnologia che i nostri figli utilizzano a casa”, ha dichiarato Jobs al reporter Nick Bilton.
In una recente intervista sul canale di notizie online Cheddar, il co-creatore di iPod Tony Fadell ha ipotizzato che se Steve Jobs fosse vivo oggi, affronterebbe le crescenti preoccupazioni della società riguardo alla dipendenza dalla tecnologia. “Diceva sempre, ‘Ehi, dobbiamo fare qualcosa al riguardo'”, ha detto Fadell.
In “Screen Schooled”, Clement e Miles sostengono che i ricchi genitori della Silicon Valley sembrano cogliere i poteri di dipendenza di smartphone, tablet e computer più di quanto faccia il pubblico in generale – nonostante il fatto che questi genitori spesso si guadagnino da vivere creando e investendo in quella tecnologia.
“È curioso pensare che in una moderna scuola pubblica, dove ai bambini viene richiesto di utilizzare dispositivi elettronici come iPad,” hanno scritto gli autori, “i bambini di Steve Jobs sarebbero stati gli unici a rinunciarci”.
I bambini di Jobs hanno finito la scuola, quindi è impossibile sapere come il defunto cofondatore di Apple avrebbe reagito alla tecnologia educativa, o “edtech”. Ma Clement e Miles suggeriscono che se i figli di Jobs avessero frequentato una scuola ordinaria degli Stati Uniti oggi, avrebbero usato la tecnologia in classe molto più di quanto non facessero a casa da bambini.
Almeno questo vale per le scuole ordinarie, secondo i coautori. Un certo numero di scuole specializzate della Silicon Valley, come la Waldorf School, sono notevolmente low-tech. Usano lavagne e matite. Invece di imparare a codificare, ai bambini viene insegnata la capacità di cooperazione e il rispetto. Alla scuola Brightworks, i bambini imparano la creatività costruendo oggetti e frequentando le lezioni nelle case sugli alberi.

L’Edtech non sarà una panacea

BERTRAND LANGLOIS/AFP/Getty Images
Se c’è qualche concessione che Gates ha fatto sulla tecnologia, è nei vantaggi che offre agli studenti in determinati contesti educativi. Negli anni trascorsi da quando Gates ha implementato la sua politica, il filantropo miliardario ha avuto un vivo interesse per l’educazione personalizzata, un approccio che utilizza dispositivi elettronici per aiutare a personalizzare i piani di lezione per ogni studente.
In un recente post sul suo blog, Gates ha celebrato Summit Sierra, una scuola con sede a Seattle che analizza gli obiettivi personali degli studenti e escogita un percorso per arrivarci. Gli insegnanti nelle impostazioni di apprendimento personalizzate assumono più di un ruolo di coaching, contribuendo a spingere di nuovo gli studenti in pista quando rimangono bloccati o distratti.
La tecnologia in questi casi viene utilizzata nel modo più specifico possibile e in modi che Gates riconosce come utili per lo sviluppo di uno studente, non come intrattenimento.
“L’apprendimento personalizzato non sarà un toccasana”, ha scritto. Ma Gates ha detto che “è fiducioso che questo approccio possa aiutare molti più giovani a ottenere il massimo dai loro talenti”.

mercoledì 27 marzo 2019

Madri manipolatrici: quando l’amore diventa invalidante



Avere un figlio è uno dei doni più grandi che una donna possa ricevere ma non tutte sanno come esprimere l’amore in modo assertivo. Ci sono madri iperprotettive o che sono inclini a controllare eccessivamente così che finiscono per limitare la libertà e le potenzialità dei propri figli. In questo caso, possono essere considerate “madri manipolatrici” perché il loro comportamento, anche se non vorrebbe causare danni, termina con minare l’autostima dei propri figli e limitare il loro potenziale. 
Le madri manipolatrici sono quelle che controllano in eccesso i loro figli entrando nei minimi dettagli come per esempio i vestiti che indossano i locali che visitano o gli amici che scelgono. Inoltre, vogliono avere il controllo soprattutto quando il bambino cresce e inizia a prendere le proprie decisioni autonomamente. In alcuni casi diventano molto egoiste trasformandosi in un vero e proprio calvario per il bambino, che è combattuto tra l’amore per la madre e la sensazione di soffocamento che provoca il suo comportamento.

ALLA RICERCA DI UNA SPIEGAZIONE

Uno dei motivi per cui queste madri si comportano in questo modo è legata al’’infanzia che esse stesse hanno vissuto. Approfondendo la loro storia personale spesso si scopre che la loro infanzia era eccessivamente controllata dai genitori e che a volte sono anche state umiliate o manipolate.
Dal momento che molti di noi tendono a ripetere lo stile di insegnamento al quale sono stati sottoposti, la storia si ripete, ma questa volta la vittima diventa il carnefice. Si tratta di un ciclo in cui la madre mette in pratica il modo di educare e di amare che è stato inculcato in lei quando era una bambina. In effetti, è curioso che molte di queste donne affermino che i loro figli non dovrebbero mai vivere le stesse esperienze che hanno vissuto loro, ma inavvertitamente finiscono per adottare un repertorio di comportamenti che hanno sempre odiato.
Altre volte, il comportamento delle madri manipolatrici è semplicemente dovuto a tratti caratteriali e personologici, cioè, sono donne dal carattere così forte e dominante che hanno bisogno di tenere sempre tutto sotto controllo. In questi casi, alla base esiste quasi sempre una certa insicurezza, dato che il controllo che esercitano sui loro figli è una forma di assertività che le fa sentire più sicure.

COME COMPORTARSI CON UNA MADRE MANIPOLATRICE?

Il fatto che una madre abbia dei comportamenti di questo genere non significa che non ami i propri figli. Tuttavia, i bambini devono imparare a gestire questo problema se desiderano avere una vita indipendente. Come fare?
Rompere il ciclo della manipolazione
Quando si è consapevoli che la propria madre mostra comportamenti di controllo e manipolatori bisogna intervenire per fermarla. Ricordate sempre che rimandare è peggio, è meglio affrontare il problema il prima possibile. Fategli sapere che siete abbastanza grandi per prendere le vostre decisioni da soli, che lei potrà sempre esprimere delle opinioni ma non decidere per voi.
Stabilite dei confini
Impostate una determinata distanza tra lei e voi, che può essere di tipo economico, emotivo, o di comunicazione, l’idea è che delimitiate un territorio al quale solo voi avrete accesso. In questo modo starete bloccando il controllo eccessivo e la manipolazione, e dimostrerete che avete bisogno di indipendenza e di privacy.
Imparate a riconoscere la manipolazione
Riconoscere una umiliazione o l’eccessivo controllo è facile, ma quando si tratta di gestire la manipolazione le cose diventano più complicate dal momento che questa è spesso mascherata. Il caso più tipico è quando una madre si finge malata ogni volta che suo figlio vuole uscire la sera o quando lui dice che andrà a vivere da solo. Ovviamente, per porre fine a questi comportamenti si deve imparare a identificarli.
Essere assertivi e incoraggiare la comunicazione
Provate ad aprire uno spazio in cui la comunicazione è assertiva ed esponete le vostre opinioni e i desideri apertamente. Dopo tutto, vostra madre vi ama, il problema è che non riesce a gestire al meglio la preoccupazione che prova per voi. Allora, spiegategli come vi sentite e quanto vi limitano i suoi comportamenti. Dovete sempre cercare la soluzione migliore per entrambi.

mercoledì 6 marzo 2019

LA RIVINCITA SOCIAL DEI FIGLI: QUANDO LA LEGGE DIFENDE I MINORI DAL NARCISISMO 2.0 DEI LORO GENITORI


Nell’ultimo anno si sono verificati i primi casi di denunce da parte dei figli verso i propri genitori a causa della pubblicazione sui Social di loro dati personali visibili a tutti e senza il loro consenso. Si tratta per lo più di foto intime ma anche di informazioni private che vengono diffuse in Rete dove parenti ma anche solo semplici conoscenti o addirittura sconosciuti possono vederle. Questa violazione della privacy del minore è una conseguenza della SOCIAL-izzazione che sta degenerando sempre di più tra i genitori di nuova generazione, ma anche tra quelli che hanno scoperto da poco il mondo dei social network e che sembrano non poter fare a meno di esporre pubblicamente la loro vita privata. Ad essere coinvolte in questa pratica ossessiva di pubblicazione di immagini personali e private sono anche le persone che stanno più vicino a questi giovani genitori: i partner ma soprattutto i figli. Se è vero che il marito o la moglie possono avere pochi problemi a mostrare la propria immagine su internet nella loro quotidianità, più problematico è il discorso quando si tratta di informazioni o foto più intime di figli minorenni.

Sempre più infatti la Rete è invasa da foto di bambini messi su Facebook o Instagram, senza censure, anche nudi, come a rendere partecipi i “followers” o gli “amici di Facebook” della gioia di vivere con un pargolo al proprio fianco.

La pubblicazione compulsiva di questi dati personali può essere un problema nel momento in cui il bambino, diventato ragazzo, comincerà a diventare consapevole della propria intimità e identità e quindi inizierà a preoccuparsi della sua privacy e della sua reputazione online oltre che nella vita reale. Da qui è nata l’esigenza di molti ragazzi di sentirsi tutelati nella propria immagine fino a minacciare i propri genitori di querela se essi non avessero rimosso i dati compromettenti dalle loro pagine Social.

Nell’ultimo anno si è passati ai fatti.

Lo scorso dicembre il Tribunale di Roma ha emesso un’ordinanza che ha obbligato una madre a rimuovere le foto di suo figlio 16enne postate su Facebook e Instagram oltre a tutte le informazioni private legate a lui che la donna diffondeva sulla sua pagina personale. Questo ragazzo in seguito alla separazione dei genitori era stato affidato ad un tutore in quanto madre e padre erano stati entrambi sospesi dalla responsabilità genitoriale “per condotte gravemente pregiudizievoli verso il minore”. Da lì sono cominciate le richieste insistenti da parte del giovane (turbato dalla diffusione delle sue informazioni personali, tra cui anche accuse di essere un “malato di mente”) di rimuovere tutti i post pubblicati dalla madre che avevano lui come soggetto; i suoi compagni erano infatti a conoscenza delle vicende familiari che lo riguardavano grazie all’uso sistematico dei social network da parte della donna, tanto da costringerlo a voler proseguire gli studi all’estero, manifestando il “desiderio di stare lontano dall’attuale contesto sociale”.

Queste lamentele numerose e inascoltate hanno portato il tutore alla richiesta legale di tutela dell’immagine del minore, facendo valere le norme penali e civili sul consenso alla diffusione dei dati personali (art. 96 sul diritto d’autore che vieta la pubblicazione di fotografie senza consenso della persona ritratta), sui diritti dei minori (art. 16 Convenzione sui diritti del fanciullo 1989) e sui doveri genitoriali (art. 147 e 357 cod. civ.). Il procedimento ha portato, oltre alla richiesta di rimozione di quanto pubblicato in precedenza, anche al divieto di diffondere ulteriori informazioni personali del minore (sia in forma di immagine che scritta) con tanto di sanzione pecuniaria di 10 mila euro in caso di inottemperanza all’ordine di rimozione o al divieto di pubblicazione. Ciò ha creato un importante precedente nella giurisprudenza italiana.

Un secondo caso è accaduto invece in Austria, dove una ragazza di 18 anni ha denunciato i genitori dopo il loro rifiuto a rimuovere sue foto personali e intime di quando era bambina dalle loro pagine social. La ragazza si è accorta di quelle immagini (in cui era anche nuda sul lettino o seduta sul vasino) quando a 14 anni aprì anche lei un profilo su Facebook e si accorse che erano visibili a circa 700 contatti, amici dei rispettivi profili della coppia. La richiesta della ragazza di eliminare le immagini dai profili venne ignorata, così al compimento dei 18 anni di età decise di rivolgersi ad un avvocato, dichiarando: “Sono estremamente arrabbiata e furiosa. Ne ho abbastanza di non essere presa sul serio dai miei genitori. Non vedo altra possibilità, ora che ho 18 anni, di citarli in giudizio”.

La crescente attenzione sul tema dei diritti dei minori legata alla dilagante pedo-pornografia online ha portato molti avvocati a specializzarsi in questo ambito giuridico e a difendere molti ragazzi minori o appena maggiorenni dall’abuso della loro immagine diffusa su internet, andando a ledere la loro privacy e la loro dignità in un’età in cui sono molto a rischio sia dal punto di vista individuale, sia da quello dell’utilizzo che si può fare delle loro immagini in Rete.

Questa esigenza di gestione delle informazioni dei figli su internet sta entrando inoltre nelle pratiche di separazione in cui i genitori possono mettersi d’accordo sull’utilizzo delle foto dei figli minorenni nei loro profili Social, sia riguardo la pubblicazione di foto che sull’utilizzo di esse come immagini del profilo di Whatsapp. Dunque in caso di separazione giudiziale il giudice potrà far valere i diritti dei figli minori, tutelandone la riservatezza. In ogni caso il tribunale potrà ordinare l’eliminazione delle foto o la disattivazione del profilo del minore, sostituendosi al genitore che ha dimostrato di trascurare i profili educativi legati al corretto utilizzo delle nuove tecnologie.

Nel 2014 la Cassazione infatti aveva definito i social come “luoghi aperti al pubblico, potenzialmente pregiudizievoli per i minori che potrebbero essere taggati o avvicinati da malintenzionati” (sentenza 37596). Bisognerebbe spiegarlo a certe madri o padri che, nel nome di un narcisismo 2.0, espongono alla mercé della Rete i loro figli minorenni. E fa molto riflettere il fatto che ci sia la necessità da parte dei tribunali di vicariare la responsabilità genitoriale a causa di un’incapacità dei veri genitori di difendere i diritti e la sicurezza dei loro figli.



giovedì 31 gennaio 2019

Pensiero Unico e Asilo Nido


PRESTARE PIU' ATTENZIONE ALLA CRESCITA E ALLO SVILUPPO DEI PROPRI FIGLI NE FARA' DEGLI ADULTI PIU' SANI DAL PUNTO DI VISTA PSICO-FISICO E PIU' CONSAPEVOLI

Negli ultimi decenni si è fatto sempre più strada l’addestramento al Pensiero Unico che inizia a prendere una netta consistenza, già in Asilo Nido. Il Pensiero Unico è una forma di dittatura culturale particolarmente subdola, nella quale la gente comune si trova incastrata senza nemmeno esserne consapevole.

Mentre da un lato stiamo oggi assistendo ad un desiderio e ad una volontà sociale, di creare individui svegli ed autonomi (si moltiplicano corsi di risveglio) e non più sottoposti alle leggi del “branco”.. in maniera subdola il “sistema” cerca di ripristinare l’accentramento di potere cercando di coltivare il Pensiero Unico, iniziando ad agire sulle menti dei bambini molto piccoli per poterli plasmare fin dalla nascita.
L’Asilo Nido è un luogo per il corpo, dove si impostano le menti, dove viene strappata al bambino la propria individualità.

Il Pensiero Unico è una sorta di incantesimo a misura d’uomo, che ti fa credere che ci sia un solo modo di vivere che uniforma tutti e al quale non si possa sfuggire.
Il Pensiero Unico che viene utilizzato come metodo di sviluppo scolastico già dall’Asilo Nido, è la chiave di accesso alla psico-prigione che incastra l’uomo dormiente, facendogli credere di essere libero e di scegliere come vivere.

Paola Liberace giornalista autrice del libro “Contro gli Asili Nido” scrive:
“L’ Asilo Nido è offerto culturalmente e politicamente come la salvezza, la sicurezza, la modernità e soprattutto come garanzia della non diminuita produttività di una madre, camuffata anche da realizzazione personale.
Come nella Germania dell’est pre 1989: fitta rete di Asili Nido aperti dodici ore al giorno e anche il sabato, se serve, così la signora lavoratrice con figlio di tre mesi può fare programmi di formazione nel fine settimana.
Quella non era democrazia, è Pensiero Unico: fare i figli e mollarli in fasce per chiuderci dieci ore in ufficio e dimostrare quanto siamo libere, disponibili, capaci e disinvolte.

Non ci sono alternative, non mancano tanto gli Asili Nido, quanto invece la libertà di scelta: telelavoro, part time, job sharing, banca del tempo, cose fattibili ma culturalmente lontane.
Siamo sommersi di blackberry, iPhone, computer, modem, chat, webcam, qualunque tipo di nuova geniale stronzata: possibile che dobbiamo ancora andare in ufficio come Fantozzi. Incolonnate nel traffico dopo aver svegliato all’alba il bambino per depositarlo al nido. Un bambino raffreddato, pieno di catarro e incapace di spiegarci che la socializzazione a sette mesi non gli interessa, che lui vuole stare in casa a rotolarsi, che vuole la mamma?
A quindici anni vorrà ucciderci, ma adesso per lui siamo degli idoli assoluti e questo non ricapiterà più.
Paola Liberace ha studiato tutto nel dettaglio, presenta cifre, percentuali, leggi (e purtroppo anche studi sulla sofferenza dei bambini allontanati troppo presto e troppo a lungo dai genitori – soprattutto dalla madre, tanto per non sentirci in colpa): cambiare si può, offrire alternative aziendali è possibile e non costa nemmeno molto di più che riempire ogni palazzo di asili nido aperti ventiquattr’ore al giorno. Dare alle madri la possibilità di scegliere come crescere i propri figli, magari offrire un’alternativa all’affaticata signorina del nido o alla tata colf vice madre ricattatrice…”
… e liberaci dal Pensiero Unico. Amen

Ambiente Olistico staff



martedì 15 gennaio 2019

Maltrattamenti all’asilo? I segnali che ci aiutano a capire il disagio del nostro bambino

L’ultimo episodio di maltrattamento è stato scoperto a Milano, ma negli anni non sono certo stati pochi i casi di abusi e maltrattamenti sui bambini ad opera delle persone che avrebbero dovuto proteggerli ed accudirli.
E se, da un lato, si parla di dotare di telecamere le strutture destinate ai più vulnerabili, bambini piccoli, ma anche anziani e disabili, dall’altro è importante che le famiglie siano capaci di cogliere i segnali di disagio che il bambino invia quando c’è qualcosa che non va.

 I segnali di disagio del bambino

Gli indicatori del disagio infantile sono diversi e occorre ricordare che un solo indicatore non è sufficiente a ipotizzare un maltrattamento. Per questo è importante imparare ad osservare, a non aver timore di parlarne con gli altri genitori o con pediatra, pedagogista e psicologo: solo guardando la situazione da diverse angolazioni è possibile ipotizzare un disagio che dipenda dalla struttura scolastica.
bambino triste
MALTRATTAMENTO FISICO, I SEGNALI SUL CORPO – I segnali del maltrattamento fisico si possono osservare sul corpo ma anche nel comportamento. Da un punto di vista fisico osserviamo, spesso o regolarmente, segni di morsi, lividi, contusioni, ferite, graffi, escoriazioni, magari in punti del corpo che difficilmente possono essere colpite accidentalmente.

bambino mani
I SEGNALI COMPORTAMENTALI DEL MALTRATTAMENTO – Da un punto di vista comportamentale sono diversi gli indicatori che qualcosa non va: dall’iperattività, all’eccessiva aggressività, i bambini che non stanno bene nel loro ambiente possono manifestare comportamenti ambivalenti. Da un lato una forte reattività, per esempio comportamenti aggressivi e distruttivi, giochi eccessivamente agitati, cambiamenti repentini di umore, instabilità emotiva, difficoltà di relazione con adulti e coetanei. Dall’altro una eccessiva sottomissione: bambini troppo passivi, che non sono presenti e hanno difficoltà di concentrazionebambini che sembrano piccoli adulti o sembrano estremamente preoccupati del giudizio degli adulti, ritardi nello sviluppopsicomotorio, nel controllo degli sfinteri, nelle capacità logiche e di pensiero, bambini che mostrano comportamenti autolesivi, per esempio sbattono sempre contro qualcosa, si fanno male accidentalmente e sembrano incapaci di evitare il pericolo.

bambino piange
TRASCURATEZZA – Il disagio del bambino può dipendere da maltrattamenti ma anche dalla trascuratezza. Se al nido i bambini non vengono accuditi con attenzione possiamo notare che: sono sporchi o puzzano, hanno spesso infiammazioni cutanee da pannolino o da mancanza di igiene, sono spesso soggetti a pidocchi o a parassiti, manifestano spesso malattie dovute ad un ambiente malsano, per esempio troppo caldo, troppo freddo o troppo umido. I bambini trascurati possono avere un deficit del sistema immunitario, disidratazione o malnutrizionedeficit della crescita e ritardi dovuti a carenza di stimoli.

bambino piange triste
GRAVI SEGNALI DI DISAGIO – Quando il disagio è forte i segnali possono essere anche gravi, per esempio emozionali (pianti improvvisi, lamenti continui, sensi di colpa, ansia…) o psichici (fobie, isteria, angoscia, incubi, ossessioni, depressione, malinconia, forti paure, isolamento, aggressività o sottomissione eccessiva, autolesionismo, disturbi alimentari, disturbi del sonno, enuresi)

disegno bambino
IL DISEGNO CI PARLA DEL MALTRATTAMENTO – Il bambino, soprattutto se piccolo, non conosce il modo verbale per parlarvi di lui, della sua gioia o della sua sofferenza. Un bambino piccolo potrà entrare il relazione col foglio utilizzando colori a dita o quadrotti di cera d’api, che gli permettono di lasciare il segno quando ancora non hanno la maturità manuale di usare matite o pennarelli. I tratti che ci devono mettere in allarme sono: – Segni puntiformi, come di un continuo bussare alla porta, indicano irrequietezza, bisogno di attenzione. – Disegni di cose paurose e personaggi brutti (per esempio mostri, sangue, pianto) – Colori cupi (il colore leggero e vivace mostra tranquillità o interesse per il mondo, un colore offuscato, cupo, grigio manifesta tensione e paura) – Tratti rigidi e disordinati (un tratto sinuoso e tondeggiante indica tranquillità e sicurezza, tratti forti, rigidi, disordinati, impressi con forza tale da bucare il foglio, indicano forte aggressività). Scopri di più su Il disegno infantile, dallo scarabocchio al realismo. Come il disegno si modifica in base all’età del bambino.

Cosa fare se si sospetta il maltrattamento nelle strutture pubbliche, come scuole o asili

La violenza, a qualsiasi livello, non è mai tollerabile.
Se avete dei dubbi sulle modalità educative dell’asilo o della scuola di vostro figlio parlatene subito:
  • CON L’INSEGNANTE – Potrete immediatamente capire se è sincera e se è attenta al vostro bambino.
  • CON IL RESPONSABILE DELLA STRUTTURA O IL DIRIGENTE SCOLASTICO – Se arrivano diverse segnalazioni su un singolo insegnante sarà sua cura provvedere a verificare e a controllare.
  • CON GLI ALTRI GENITORI – Non abbiate timore di parlare con gli altri genitori, se avete impressione che qualcun altro abbia le vostre stesse perplessità agire insieme darà forza alla segnalazione.
  • CON ESPERTI NEL SETTORE: attraverso una valutazione multidisciplinare sarà possibile verificare che sussistano i requisiti per un sospetto maltrattamento.
In caso di forti sospetti occorrerà una denuncia alla autorità preposte (Carabinieri) che raccoglieranno testimonianze e indagheranno sulla struttura e le persone responsabili.

Non valgo nulla, faccio schifo”. Da chi vengono e come scacciare i pensieri neri?

SE VOSTRO FIGLIO PRESENTA QUESTI PROBLEMI PROVATE ANCHE CON LA FEDE. INSTILLARE LA FEDE NEI FIGLI PUO' SIGNIFICARE SALVARGLI LA VITA!

In un libro che raccoglie alcune catechesi di padre Maurizio Botta troviamo utili risposte per fronteggiare il dialogo cattivo che sentiamo dentro

“Non valgo nulla”, “La mia vita non ha senso”, “Faccio schifo”, “Meglio morire che vivere così”, “Sono inutile”, “Va tutto male”, “Niente cambierà”…
A tutti, chi più chi meno, è capitato in alcuni momenti di essere invasi dentro al cuore e nella mente da parole brutte su sé stessi e sugli altri, pensieri neri che come calamite potentissime ne attraggono mille altri, uno dietro l’altro in un vortice pazzesco che toglie energie, appesantisce l’animo e – aspetto più inquietante – fa rimanere concentrati solo su se stessi. Il mondo non esiste, le persone che hai intorno perdono importanza, esisti tu e il tuo malessere, tu e le cose che non funzionano come dovrebbero, tu e il tuo batticuore, tu e la tua ansia, tu e la tua infelicità.
Ricordo che il primo anno di nozze mi capitava, dopo aver discusso con mio marito, di essere assalita da pensieri tremendi che mi immobilizzavano sul divano a rimuginare e piangere. Pensieri scollegati e incontrollabili che arrivavano a mettere in dubbio tutto e a gettare fango sul matrimonio, il mio sposo, me stessa, la mia vita. Qualcosa dentro di me assolutizzava e drammatizzava quella incomprensione, appiccando fuoco ad ogni cosa.
LACRIMA, OCCHIO, TRISTEZZA
Ma quei pensieri negativi, da dove venivano fuori? Chi è che parlava dentro di me?

Un giorno confidai a mia madre questa mia tristezza e lei, consolandomi, mi suggerì di non prestare ascolto a quelle “voci” che di certo non venivano da Dio: “fatti il segno della croce, bevi tre sorsi (Padre, Figlio e Spirito Santo) di acqua benedetta e prega, recita l’Ave Maria”. Io obbedii e mi accorsi di stare subito meglio, il saggio consiglio di mia mamma, teologa senza laurea, funzionava. Se non le avessi dato retta però non lo avrei mai saputo. Perché se non chiediamo aiuto a Dio, se non gli domandiamo lo Spirito Santo, come possiamo riceverlo? Mia madre mi suggeriva spesso in quei momenti di stare in compagnia e tenermi impegnata in attività manuali: piegare i panni, preparare la cena. Anche questo mi fu molto utile. Riuscii ad “imparare” in breve tempo un modo per fronteggiare la tristezza e il flusso negativo interno che di tanto in tanto occupava il mio cuore.
Recentemente ho letto il bel libro: “Sto benissimo soffro molto”, di padre Maurizio Botta per i tipi Edizioni studio domenicano che raccoglie alcune delle sue catechesi tenute all’interno del ciclo di incontri “Cinque passi al mistero”, di cui avevamo già parlato qui.
Nel quinto capitolo dal titolo “Senso di colpa che uccide. Quando paura e ansia ti tolgono la gioia”, l’autore spiega molto bene questo incessante catapultarsi nella mente di parole, frasi, pensieri, immagini negative e offre dei consigli, partendo dalla sua esperienza personale e dai passi del Vangelo, per contrastarle.



Abuso infantile: segni e sintomi – Definizione Psicopedia

QUESTO ARTICOLO PUO' AIUTARE I GENITORI A CAPIRE QUANDO E' IL CASO DI RIVOLGERSI ALLO SPECIALISTA SE QUESTI SINTOMI NEL GIOVANE ABUSATO COMINCIANO A MANIFESTARSI. IN QUESTI CASI, INTERVENIRE TEMPESTIVAMENTE E CLINICAMENTE E' FONDAMENTALE. 

Secondo il documento approvato dal CISMAI (semeiotica medica nell’abuso sessuale dei bambini prepuberi) l’abuso sessuale presenta una compagine di segni e sintomi specifici da non essere rilevabili se non in un contesto clinico anche se la rilevazione e la diagnosi costituiscono problemi complessi in cui si intrecciano fattori medici, psicologici, sociali e giuridici che rende indispensabile il coinvolgimento di più figure professionali.
In virtù di questo, la diagnosi di abuso sessuale rappresenta una diagnosi multidisciplinare. Una diagnosi solo medica raramente è possibile: nella letteratura internazionale è riportato che il 50%-90% dei minori vittime di abuso sessuale accertato presenta reperti genitali e/o anali normali o non specifici. Risulta doveroso per tutti i colleghi che operino in tali contesti considerare con preoccupazione alcuni indizi:
Segnali di una sessualizzazione traumatica:

– disegni e/o racconti sessualmente espliciti, inappropriati all’età;

– interazione a carattere sessuale con altre persone;

– masturbazione coatta o introduzione di oggetti in vagina;

– disagio o rifiuto a spogliarsi per visite mediche o attività

sportive;

– inibizione e preoccupazione relativa ad argomenti sessuali;

– messa in atto di precoci forme di seduzione.

Affermazione spontanea del bambino di aver subito molestie sessuali:
• Disturbi della sfera alimentare;
• Disturbi del controllo sfinterico;
• Disturbi dell’umore;
• Presenza di fobie;
• Esibizionismo;
• Difficoltà relazionali con entrambi i sessi;
• Enuresi;
• Inibizione, assenza di slancio vitale, stanchezza cronica, demotivazione;
• Caduta del rendimento scolastico o frequenti e prolungate assenze.

Negli adolescenti in particolare un aumentato interesse relativo alla sessualità è normale, tuttavia ci sono alcuni segnali che possono indicare un abuso sessuale: 

– promiscuità sessuale (partners multipli);

– prostituzione adolescenziale;

– gravidanze precoci;

– tentativi di suicidio;

– insolito allontanamento dalla famiglia;

– abuso di sostanze stupefacenti e alcool.

Indicatori di violenza assistita:
– Più alta incidenza di disturbo post-traumatico da stress complesso (Herman)
– Instabilità affettiva
– Impulsività
– Difficoltà nella modulazione della rabbia
– Preoccupazioni suicide
– Autolesionismo
– Amnesia
– Ricordi intrusivi degli episodi traumatici
– Impotenza – vergogna-colpa
– Accettazione della violenza quale regola delle relazioni affettive
– Somatizzazione
– Disturbi dell’attaccamento
– Problemi scolastici
– Depressione e ansia
Come si opera in questi casi? Occorre tener presente, previa valutazione interdisciplinare in equipe, considerare un processo d’intervento suddiviso in 4 fasi:
– la rilevazione: individuazione dei segnali di malessere dei minori ed i rischi per la loro crescita, connessi alle condotte pregiudizievoli degli adulti;
– la protezione: intervento volto ad arrestare il comportamento maltrattante/abusante, modulato in relazione alla gravità dello stesso che nei casi più gravi;
– la valutazione: percorso teso a valutare il quadro complessivo della situazione traumatica nei suoi aspetti individuali e relazionali;
– il trattamento: intervento finalizzato a ripristinare sufficiente condizione di benessere per il minore.


BIBLIOGRAFIA:
  • O.M.S.Consultation on Child Abuse and Prevenzion1999  
  • Malacrea M. (2004). Il “buon trattamento”: un’alternativa multiforme al maltrattamento infantile, Cittadini in crescita, 1, 1-17. DOWNLOAD
  • Saunders, B.E., Berliner, L., Hanson, R.F. (2001). Guidelines for the psychosocial treatment of intrafamilial child physical and sexual abuse, Charleston (SC). DOWNLOAD
  • Malacrea, M. (2005). Da: Herman J. L. (1992). Trauma and recovery, Basic Books. Tr. It. (2005). Guarire dal trauma, Edizioni MAGI, Torino. 
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  • Malacrea M., & Lorenzini S. (2002). Bambini abusati. Linee guida nel dibattito internazionale, Raffaello Cortina, Milano. ACQUISTA ONLINE
  • Bianchi, D., Moretti E. (a cura di). Vite in bilico. Indagine retrospettiva su maltrattamenti e abusi in età infantile, Quaderni del Centro nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza, Questioni e documenti 40, Istituto degli Innocenti, Firenze. 
  • Cirillo S., & Di Blasio P. (1989). La famiglia maltrattante, Raffaello Cortina, Milano. ACQUISTA ONLINE