mercoledì 10 luglio 2019

I FRATELLI MUSSULMANI in quanto assassini complementari dell’MI6 e della CIA





di Thierry Meyssan



La pubblicazione del libro di Thierry Meyssan, “Sotto i nostri occhi”. In questo episodio l’autore narra la creazione di una società segreta egiziana, i Fratelli Mussulmani, nonché la rifondazione fattane dai servizi segreti britannici dopo la seconda guerra mondiale. Poi ci racconta come l’MI6 abbia usato i Fratelli Mussulmani per compiere assassinii politici in Egitto, ex colonia della Corona.


Questo articolo è estratto dal libro Sotto i nostri occhi. - Si veda l’indice.
Hasan al-Banna, fondatore della società segreta dei Fratelli Mussulmani. Si hanno scarse notizie sulla sua famiglia; si sa solo che erano orologiai, mestiere in Egitto riservato alla comunità ebraica.
Le “Primavere arabe” vissute dai Fratelli musulmani
Nel 1951 i servizi segreti anglosassoni costituiscono, a partire dall’antica organizzazione omonima, una società politica segreta: i Fratelli musulmani, usati a più riprese per assassinare figure che si oppongono e poi, dal 1979, come mercenari contro i sovietici. Nei primi anni novanta sono integrati nella NATO e nel 2010 si tenta di metterli al potere nei paesi arabi. I Fratelli musulmani e l’ordine sufita della Naqshbandiyya sono finanziati – con almeno 80 miliardi di dollari l’anno – dalla famiglia regnante saudita, cosa che lo rende uno degli eserciti più importanti al mondo. Tutti i capi jihadisti, compresi quelli dell’ISIS, appartengono a questo apparato militare.

I Fratelli musulmani d’Egitto
Durante la prima guerra mondiale scompaiono quattro imperi: il Reich tedesco, l’Impero austro-ungarico, la Santa Russia zarista e la Sublime porta ottomana. I vincitori, del tutto privi del senso della misura, impongono ai vinti le loro condizioni. Così, in Europa, il Trattato di Versailles sancisce condizioni inaccettabili per la Germania, considerata l’unica colpevole del conflitto. In Oriente, lo smembramento del Califfato ottomano è destinato a originare conflitti: alla Conferenza di San Remo (1920), in base all’accordo segreto Sykes-Picot (1916), il Regno Unito è autorizzato a stabilire la patria ebraica della Palestina, mentre la Francia può colonizzare la Siria (che all’epoca comprendeva l’attuale Libano). Tuttavia, in ciò che resta dell’Impero ottomano, Mustafa Kemal Atatürk si ribella sia contro il Sultano che ha perso la guerra, sia contro gli occidentali che occupano il suo paese. Alla Conferenza di Sèvres (1920) il Califfato viene diviso, con la conseguente creazione di ogni genere di nuovo Stato, tra cui il Kurdistan. Ma la popolazione turco-mongola della Tracia e dell’Anatolia insorge, mettendo Kemal al potere. Alla fine, la Conferenza di Losanna (1923) traccia i confini odierni rinunciando al Kurdistan, organizzando l’esodo dei popoli e provocando così più di mezzo milione di morti.
Ma proprio come in Germania Adolf Hitler mette in discussione il destino del suo paese, in Medio Oriente un uomo si oppone alla nuova divisione della regione. Un insegnante egiziano fonda un movimento per ripristinare il Califfato che gli occidentali hanno sconfitto e smembrato. Quest’uomo è Hasan al-Banna, l’organizzazione i Fratelli musulmani (1928).
Il Califfo, in linea di principio, è il successore del Profeta cui tutti devono obbedire; un titolo molto ambito. Si succedono diversi importanti lignaggi di califfi: Omayyadi, Abbasidi, Fatimidi e Ottomani. Il futuro Califfo dovrà essere colui che conquisterà tale titolo, in questo caso la “Guida suprema” della Fratellanza che s’immagina padrone del mondo musulmano.
La società segreta si diffonde in fretta, proponendosi di lavorare dall’interno per ripristinare le istituzioni islamiche. Gli adepti devono giurare fedeltà al fondatore sul Corano e su una spada o una pistola. L’obiettivo della Fratellanza è puramente politico, benché espresso in termini religiosi. Né Hasan al-Banna, né i suoi successori si riferiranno mai all’Islam come una religione o evocheranno la spiritualità musulmana. Per loro l’Islam è solo un dogma, una sottomissione a Dio e un modo per esercitare il potere. Ma evidentemente gli egiziani che appoggiano la Fratellanza non la percepiscono in questi termini, la seguono perché sostiene di appellarsi a Dio.
Per Hasan al-Banna la legittimità di un governo non si misura in base alla sua rappresentatività – come si fa per i governi occidentali –, ma dalla capacità di difendere lo “stile di vita islamico”, ossia quello dell’Egitto ottomano del XIX secolo. I Fratelli non crederanno mai che l’Islam abbia una propria storia e che lo stile di vita dei musulmani possa variare sensibilmente da regione a regione e da epoca a epoca. Non penseranno mai neanche che il Profeta abbia rivoluzionato la società beduina e che lo stile di vita descritto nel Corano non rappresenti altro che una fase. Per loro le regole giuridiche del Corano – la Sharia – non corrispondono quindi a una determinata situazione, ma dettano le leggi immutabili su cui il potere può fondarsi.
Il fatto che la religione musulmana sia stata spesso trasmessa a colpi di spada giustifica – per la Fratellanza – l’uso della forza. I Fratelli non ammetteranno mai che l’Islam possa essere diffuso tramite l’esempio: ciò non impedisce comunque ad al-Banna e alla Fratellanza di concorrere alle elezioni, e perderle. Se condannano i partiti politici non è perché si oppongono al multipartitismo, ma perché, separando la religione dalla politica, cadrebbero nella corruzione.
La dottrina dei Fratelli musulmani corrisponde all’ideologia dell’“Islam politico”, che in francese – così come in italiano – si definisce “islamismo”, una parola che oggi va molto di moda.
Nel 1936 Hasan al-Banna scrive al primo ministro Mustafa al-Nahhas per chiedere: – “Una riforma della legislazione e l’unione di tutti i tribunali sotto la Sharia; – il reclutamento militare per istituire un servizio volontario sotto la bandiera del jihad; – il collegamento dei paesi musulmani e la preparazione per la restaurazione del Califfato, applicando l’unità richiesta dall’Islam”.
Durante la seconda guerra mondiale la Confraternita si dichiara neutrale, anche se in realtà si trasforma in un servizio d’intelligence del Reich. Ma con l’entrata in guerra degli Stati Uniti, quando le sorti del conflitto sembrano ribaltarsi, fa il doppio gioco e ottiene finanziamenti dagli inglesi per fornire informazioni sul “nemico” tedesco. In tal modo la Fratellanza si mostra completamente priva di principi e puramente opportunista a livello politico.
Il 24 febbraio 1945 i Fratelli sfidano la sorte e uccidono, in piena seduta parlamentare, il primo ministro egiziano. Ne consegue una violenta escalation: la repressione nei loro confronti e una serie di omicidi politici, fino ad arrivare all’uccisione del nuovo primo ministro – il 28 dicembre 1948 – e, per rappresaglia, dello stesso Hasan al-Banna, il 12 febbraio 1949. Poco tempo dopo una corte marziale condanna alla detenzione la maggior parte dei Fratelli e ne scioglie l’associazione.
Fondamentalmente, questa organizzazione segreta non era altro che una banda di assassini che aspirava a prendere il potere mascherando la propria cupidigia dietro il Corano. La sua storia avrebbe dovuto chiudersi qui.
La fratellanza riformata dagli Anglosassoni e la pace separata con Israele. 
Nonostante lo abbia negato, Sayyd Qutb era massone. Il 23 arile 1943 ha pubblicato sulla rivista al-Taj al-Masri (la “Corona d’Egitto”) un articolo dal titolo Perché sono diventato massone.
La capacità della Confraternita di mobilitare le persone e di trasformarle in assassini non può che incuriosire le grandi potenze.
Due anni e mezzo dopo lo scioglimento, gli anglosassoni formano una nuova organizzazione riutilizzando il nome di “Fratelli musulmani”. Approfittando della detenzione dei capi storici, l’ex giudice Hasan al-Hudaybi viene eletto Guida suprema. Diversamente da quanto si possa credere, non vi è alcuna continuità storica tra la vecchia e la nuova Fratellanza, ma si viene a sapere che un’unità della vecchia società – l’“apparato segreto” – era stata accusata da Hasan al-Banna di perpetrare gli attentati di cui negava la responsabilità. Questa organizzazione dentro l’organizzazione era così segreta che non fu mai influenzata dalla dissoluzione della Fratellanza, restando quindi a disposizione del suo successore. Ma la Guida decide di disconoscerla, dichiarando di voler raggiungere gli obiettivi in modo pacifico. È difficile definire con esattezza cosa sia successo all’epoca tra gli anglosassoni – che volevano ricreare l’antica società segreta – e la Guida, che riteneva giusto riguadagnarsi il seguito delle masse. In ogni caso, l’“apparato segreto” è talmente forte che l’autorità della Guida viene spazzata via a favore di quella di altri capi della Fratellanza. Si apre una vera e propria guerra intestina: la CIA vi pone a capo Sayyid Qutb [1], il teorico del jihad, che la Guida ha condannato prima di concludere un accordo con l’MI6.
È impossibile definire con precisione i reciproci rapporti di subordinazione, in primo luogo perché ciascuna filiale estera ha autonomia propria, poi perché le unità segrete all’interno dell’organizzazione non dipendono più necessariamente né dalla Guida suprema né dalla Guida locale, ma talvolta direttamente da CIA e MI6.
Nel secondo dopoguerra, gli inglesi cercano di riorganizzare il mondo in modo da tenerlo fuori dalla portata dei sovietici. Nel settembre 1946, a Zurigo, Winston Churchill propone l’idea degli Stati Uniti d’Europa e, secondo lo stesso principio, lancia la Lega araba. In entrambi i casi, si tratta di unire una regione escludendo la Russia. Dall’inizio della Guerra fredda gli Stati Uniti d’America, a loro volta, creano associazioni per sostenere queste mosse a loro vantaggio: il Comitato americano per l’Europa unita e gli American Friends of the Middle East [2]. Nel mondo arabo, la CIA organizza due colpi di Stato, prima a Damasco a favore del generale Husni al-Za’im (marzo 1949) e poi con gli Ufficiali liberi al Cairo (luglio 1952). Si tratta di sostenere i nazionalisti che si presumono ostili ai comunisti, ed è con tale spirito che Washington invia in Egitto il generale delle SS Otto Skorzeny e in Iran il generale nazista Fazlollah Zahedi, accompagnati da centinaia di ex ufficiali della Gestapo per guidare la lotta al comunismo.
Skorzeny purtroppo modella la polizia egiziana nel solco di una tradizione di violenza: nel 1963 sceglierà CIA e Mossad per rovesciare Nasser. Zahedi creerà invece la SAVAK, la polizia politica più crudele a quel tempo.
Se Hasan al-Banna aveva disegnato l’obiettivo – ossia assumere il potere manipolando la religione – Qutb definisce il mezzo: il jihad. Dopo che i seguaci avranno ammesso la superiorità del Corano, si potrà contare su di lui per formare un esercito e mandarlo a combattere. Qutb sviluppa una teoria manichea, distinguendo ciò che è islamico rispetto a ciò che è “oscuro”. Per CIA e MI6 questa “operazione” può permettere di utilizzare i seguaci per controllare i governi nazionalisti arabi e poi destabilizzare le regioni musulmane dell’Unione Sovietica. La Fratellanza si trasforma in una fonte inesauribile di terroristi accomunati dallo slogan: “Allah è il nostro obiettivo. Il Profeta è il nostro capo. Il Corano è la nostra legge. Il jihad la nostra via. Il martirio la nostra suprema speranza”.
Il pensiero di Qutb è razionale, ma non ragionevole. Diffonde sempre la stessa retorica Allah/Profeta/Corano/jihad/martirio che non lascia spazio a discussioni, dunque impone la superiorità di tale logica sulla ragione.

Il presidente Eisenhower riceve alla Casa Bianca una delegazione della società segreta (23 settembre 1953).
Quando la CIA organizza un convegno presso l’Università di Princeton sulla “situazione dei musulmani in Unione Sovietica”, si presenta l’occasione per ricevere negli USA la delegazione guidata dal capo dell’ala militare dei Fratelli musulmani, Said Ramadan. Nel suo rapporto, l’agente della CIA incaricato di monitorarli rileva che Ramadan non è un estremista religioso, ma piuttosto un fascista; un modo per sottolineare il carattere esclusivamente politico dei Fratelli musulmani. Il convegno si conclude con un ricevimento alla Casa Bianca organizzato dal presidente Eisenhower, il 23 settembre 1953: l’alleanza tra Washington e il jihadismo viene così siglata.
Da sinistra a destra: Hassan al-Banna diede in sposa la propria figlia a Said Ramadan e designò quest’ultimo proprio successore. Dal matrimonio nacquero Hani (direttore del Centro Islamico di Ginevra) e Tariq Ramadan (che sarà titolare della cattedra di studi islamici contemporanei all’università di Oxford).
La CIA, che ha ricreato la Fratellanza contro i comunisti, la utilizza prima di tutto per aiutare i nazionalisti. Al tempo l’Agenzia è rappresentata in Medio Oriente da antisionisti del ceto medio che ben presto vengono estromessi a favore di alti funzionari anglosassoni e puritani, provenienti dalle grandi università e pro-Israele. Washington entra dunque in conflitto con i nazionalisti e la CIA mette la Fratellanza contro di loro.Said Ramadan e Abdul Ala Mawdudi furono gli animatori di una trasmissione settimanale di Radio Pakistan, stazione creata dal britannico MI6.


Said Ramadan ha comandato alcuni combattenti della Fratellanza durante la breve guerra contro Israele nel 1948; inoltre, ha aiutato Abul Ala Maududi a creare l’organizzazione paramilitare del Jamaat-e-Islami in Pakistan: si è trattato allora di costruire un’identità islamica per gli indiani musulmani in modo che fosse fondato un nuovo Stato, ovvero il Pakistan. Il Jamaat-e-Islami redigerà anche la costituzione pakistana. A quel punto, Ramadan sposa la figlia di Hasan al-Banna e diventa il capo del braccio armato dei nuovi “Fratelli musulmani”.
Mentre in Egitto i Fratelli partecipano al colpo di Stato degli Ufficiali liberi del generale Muhammad Naguib – Sayyid Qutb è il loro agente di collegamento –, ricevono l’ordine di eliminare uno dei loro leader, Gamal Abd el-Nasser, entrato in contrasto con Naguib. Non solo falliscono, ma il 26 ottobre 1954 Nasser prende il potere, sopprimendo la Fratellanza e mettendo ai domiciliari Naguib. Sayyid Qutb sarà impiccato pochi anni dopo.
Vietata in Egitto, la Fratellanza si ritira nei regni wahhabiti (Arabia Saudita, Qatar ed Emirato di Sharja) e in Europa (Germania, Francia, Regno Unito e la neutrale Svizzera). Ogni volta vengono accolti come agenti occidentali che combattono contro l’alleanza nascente tra nazionalisti arabi e Unione Sovietica. Said Ramadan riceve un passaporto diplomatico giordano e si trasferisce a Ginevra nel 1958, da dove dirige la destabilizzazione del Caucaso e dell’Asia centrale (Pakistan, Afghanistan e valle di Fergana in Unione Sovietica). Prende il controllo della commissione per la costruzione di una moschea a Monaco di Baviera, che gli permette di sorvegliare quasi tutti i musulmani in Europa occidentale. Con l’aiuto del Comitato americano per la liberazione dei popoli della Russia – abbreviato con la sigla inglese AMCOMLIB –, cioè la CIA, crea Radio Free Europe/Radio Liberty, una stazione finanziata direttamente dal Congresso degli Stati Uniti per diffondere il pensiero della Fratellanza [3].
Dopo la crisi del Canale di Suez e il drastico cambio di alleanze di Nasser all’indirizzo dei sovietici, Washington decide di sostenere illimitatamente i Fratelli musulmani contro i nazionalisti arabi. A un alto dirigente della CIA, Miles Copeland, viene inutilmente assegnato il compito di scegliere una personalità della Fratellanza in grado di svolgere – nel mondo arabo – un ruolo equivalente a quello del pastore Billy Graham negli Stati Uniti. Bisognerà aspettare fino agli anni ottanta per trovare un predicatore di egual rilievo, l’egiziano Yusuf al-Qaradawi.
Nel 1961 la Fratellanza si collega a un’altra società segreta, l’Ordine Naqshbandı, una sorta di massoneria musulmana che mescola iniziazione sufi e politica. Uno dei suoi teorici, l’indiano Abu Hasan Ali al-Nadwi, pubblica un articolo sulla rivista dei Fratelli. L’Ordine è antico e presente in molti paesi: in Iraq il gran maestro non è altri che il futuro vicepresidente Izzat Ibrahim al-Douri, che sosterrà il tentato colpo di Stato della Fratellanza in Siria nel 1982 e la “campagna del ritorno alla fede” organizzata dal presidente Saddam Hussein per dare nuovamente un’identità al suo paese dopo l’istituzione della no-fly zone degli occidentali. In Turchia l’Ordine avrà un ruolo più complesso: responsabili saranno sia Fethullah Gülen (fondatore dell’Hizmet), sia il presidente Turgut Özal (1989-1993) e il primo ministro Necmettin Erbakan (1996-1997), a capo del Partito della Giustizia (1961) e del Millî Görüs¸ (1969). In Afghanistan, gran maestro sarà l’ex presidente Sibghatullah Mojaddedi (1992). In Russia, con l’aiuto dell’Impero ottomano, nel XIX secolo l’Ordine aveva fatto insorgere Crimea, Uzbekistan, Cecenia e Daghestan contro lo zar. Fino alla caduta dell’URSS non si avranno più notizie di questo ramo, come pure nel Xinjiang cinese. La vicinanza dei Fratelli e dei Naqshbandı viene studiata di rado, data l’opposizione di principio degli islamisti alla mistica e agli ordini sufi in generale.

La sede saudita della Lega Islamica Mondiale, il cui budget nel 2015 è stato superiore a quello del ministero saudita della Difesa. Primo acquirente mondiale di armi, l’Arabia Saudita le fa pervenire alle organizzazioni dei Fratelli Mussulmani e dei Naqshbandi attraverso la Lega.
Nel 1962 la CIA incoraggia l’Arabia Saudita a creare la Lega musulmana mondiale e a finanziare la Fratellanza e l’Ordine contro i nazionalisti e i comunisti [4]. Questa organizzazione viene inizialmente finanziata dall’ARAMCO (Arabian-American Oil Company). Tra i venti fondatori vi sono tre teorici islamici di cui abbiamo già parlato: l’egiziano Said Ramadan, il pakistano Sayyid Abul Ala Maududi e l’indiano Abu Nasal Ali al-Nadwi.
Di fatto i sauditi, che improvvisamente si ritrovano a possedere un’enorme liquidità grazie al commercio del petrolio, diventano gli sponsor dei Fratelli nel mondo. In loco la monarchia crea un sistema scolastico e universitario in un paese in cui quasi nessuno sa leggere e scrivere. I Fratelli si devono adattare alle tradizioni dei loro ospitanti. Infatti, la fedeltà al re impedisce loro di giurare davanti alla Guida suprema. In ogni caso si organizzano in due filoni attorno a Muhammad Qutb, fratello di Sayyid: i Fratelli sauditi da un lato e i “sururisti” dall’altro. Questi ultimi, sauditi, cercano di compiere una sintesi tra ideologia politica della Fratellanza e teologia wahhabita. Questa setta, cui aderisce la famiglia reale, segue un’interpretazione dell’Islam nata dal pensiero beduino, iconoclasta e antistorico. Finché Riad dispone di petrodollari, lancia anatemi contro le scuole musulmane tradizionali che, a loro volta, ritengono eretica tale sintesi.
In realtà, la politica dei Fratelli e la religione wahhabita non hanno nulla in comune, ma sono comunque compatibili. Sennonché il patto che lega la famiglia dei Saud ai predicatori wahhabiti non può esistere con la Fratellanza: l’idea della monarchia di diritto divino si scontra infatti con la brama di potere dei Fratelli. Si decide quindi che i Saud sosterranno i Fratelli di tutto il mondo, purché questi ultimi si astengano dal fare politica in Arabia Saudita.
L’appoggio dei wahhabiti sauditi alla Fratellanza inasprisce la rivalità tra l’Arabia Saudita e gli altri due Stati wahhabiti, il Qatar e l’Emirato di Sharja.
Dal 1962 al 1970 i Fratelli musulmani prendono parte alla guerra civile nello Yemen del Nord, tentando di restaurare la monarchia al fianco di Arabia Saudita e Regno Unito contro nazionalisti arabi, Egitto e URSS; un conflitto che anticipa ciò che avverrà nel mezzo secolo successivo.
Nel 1970 Gamal Abd el-Nasser giunge a un accordo tra le fazioni palestinesi e re Husayn di Giordania, ponendo fine al “settembre nero”. Però muore la sera del vertice della Lega araba, che ratifica l’accordo: ufficialmente per un attacco cardiaco, ma molto probabilmente per omicidio. Nasser ha tre vicepresidenti: uno di sinistra – estremamente popolare –, uno di centro – ben noto –, e un conservatore, scelto su richiesta di Stati Uniti e Arabia Saudita, Anwar al-Sadat. A seguito di pressioni enormi, il vicepresidente di sinistra si dichiara non meritevole della carica, il vicepresidente centrista preferisce rinunciare alla vita politica e al-Sadat viene così nominato candidato dei nasseriani. È un dramma per molti paesi: il presidente sceglie un vicepresidente tra i concorrenti per ampliare la base elettorale, ma se questi lo sostituisce quando muore, ne distrugge l’eredità.
Al-Sadat, che ha operato per conto del Reich durante la seconda guerra mondiale e professa grande ammirazione per il Führer, è un militare ultra-conservatore, un alter-ego di Sayyid Qutb in veste di intermediario tra la Fratellanza e gli Ufficiali liberi. Al momento della sua ascesa al potere, libera i Fratelli che Nasser ha imprigionato. Il “presidente credente” è alleato della Confraternita nell’islamizzazione della società – la “rivoluzione correttiva” –, ma suo rivale in caso di tensioni politiche. Questo rapporto ambiguo è dimostrato dalla creazione di tre gruppi armati che non nascono da scissioni della Fratellanza, ma sono unità esterne a essa obbedienti: il partito di liberazione islamica, il Jihad islamico (dello sceicco Omar Abdel Rahman) e il “Takfir” (letteralmente “scomunica e immigrazione”). Tutti affermano di applicare le istruzioni di Sayyid Qutb. Armato dai servizi segreti, il Jihad islamico sferra attacchi contro i cristiani copti: lungi dal calmare la situazione, “il presidente credente” accusa di sedizione gli stessi copti e ne imprigiona il papa insieme a otto vescovi. Alla fine, al-Sadat interviene nella guida della Confraternita e parteggia per il Jihad islamico contro la Guida suprema, che fa arrestare [5].
Su indicazione del segretario di Stato americano, Henry Kissinger, convince la Siria a unirsi all’Egitto per attaccare Israele e ripristinare i diritti dei palestinesi. Il 6 ottobre 1973 i due eserciti attaccano su due fronti Israele durante la festa dello Yom Kippur. L’esercito egiziano attraversa il Canale di Suez, mentre i siriani sferrano attacchi dalle alture del Golan. Tuttavia, al-Sadat non schiera che una parte della difesa antiaerea e arresta l’esercito a 15 chilometri a est del canale, mentre gli israeliani si avventano sui siriani che si ritrovano catturati e gridano al complotto. Soltanto quando le truppe israeliane sono mobilitate e l’esercito siriano circondato, al-Sadat ordina alla propria armata di riprendere l’avanzata, interrompendola poi per negoziare il cessate il fuoco. Considerando il tradimento egiziano, i sovietici – che hanno già perso un alleato con la morte di Nasser – minacciano gli Stati Uniti e chiedono il cessate il fuoco immediato.

Ex agente di collegamento tra gli “Ufficiali liberi” e la Confraternita, insieme a Sayyid Qutb, il “presidente credente” Anwar al-Sadat avrebbe dovuto essere proclamato dal parlamento egiziano “sesto califfo”. Nella foto, questo ammiratore di Adolf Hitler siede alla Knesset, a fianco dei partner Golda Meir e Shimon Peres.
Quattro anni dopo, seguendo il piano della CIA, al-Sadat si reca a Gerusalemme e decide di firmare una “pace separata” con Israele a scapito dei palestinesi. E così si sigla l’alleanza tra Fratellanza e Israele. Tutti i popoli arabi condannano il tradimento e la Lega araba estromette l’Egitto, trasferendo la sede a Tunisi.




Responsabile dell’“Apparato segreto” dei Fratelli Mussulmani, Ayman al-Zawahiri (capo attuale di Al Qaeda) organizza l’assassinio del presidente Sadat (6 ottobre 1981).
Washington decide di voltare pagina nel 1981. Il jihad islamico ha il compito di liquidare al-Sadat – diventato ormai inutile –, che viene assassinato durante una parata militare, mentre il Parlamento si prepara a proclamarlo “Sesto Califfo”. Nella tribuna d’onore, 7 persone rimangono uccise e 28 ferite ma, seduto accanto al presidente, il vicepresidente – il generale Mubarak – si salva. È l’unico nella tribuna d’onore ad indossare un giubbotto antiproiettile. Succede al “presidente credente” e la Lega araba può così tornare al Cairo.

I Fratelli Mussulmani come forza complementare dell’MI6 e della CIA
di Thierry Meyssan

Continuiamo la pubblicazione del libro di Thierry Meyssan, Sotto i nostri occhi. In questo episodio l’autore descrive come il presidente Jimmy Carter e il suo consigliere nazionale per la Sicurezza, Zbigniew Brzezinski, utilizzarono le competenze terroristiche d'operatori di pace "moderati" dei Fratelli Mussulmani contro i sovietici.
Questo articolo è estratto dal libro Sotto i nostri occhi. - Si veda l’indice.



Il consigliere per la Sicurezza Nazionale, Zbigniew Brzezinski, ha ideato lo stratagemma d' utilizzare i Fratelli Mussulmani per operazioni terroristiche contro il governo comunista afgano, provocando l’intervento dell’URSS.
LA FRATELLANZA AL SERVIZIO DELLA STRATEGIA DI CARTER-BRZEZINSKI


Sir James Macqueen Graig, esperto di Medio Oriente, ha convinto il Regno Unito ad utilizzare i Fratelli Mussulmani in operazioni segrete esterne all’Egitto. A Graig si deve anche il piano delle “primavere arabe”, da lui concepito prendendo a modello l’operazione realizzata da Lawrence d’Arabia nel 1915.Nel 1972-73 un funzionario del Foreign Office – e probabilmente dell’MI6 –, James Craig, e l’ambasciatore inglese in Egitto, Sir Richard Beaumont, cominciano a fare pressioni affinché il loro paese e gli Stati Uniti si affidino ai Fratelli musulmani non solo in Egitto, ma in tutto il mondo musulmano, contro i marxisti ed i nazionalisti. Poco dopo Craig sarà nominato ambasciatore di sua maestà in Syria e Arabia Saudita sotto l’attenta e costante protezione da parte della CIA. Molti anni dopo sarà l’ideatore della “Primavera araba”.
Nel 1977 negli Stati Uniti viene eletto presidente Jimmy Carter, che nomina Zbigniew Brzezinski consigliere per la sicurezza nazionale. Quest’ultimo decide di usare l’islamismo contro i sovietici: dà il via libera ai sauditi per l’aumento dei finanziamenti della Lega musulmana mondiale e organizza cambi di regime in Pakistan, Iran e Siria; destabilizza l’Afghanistan e pone come obiettivo di sicurezza nazionale l’accesso, da parte degli USA, al petrolio del Medio Oriente. Da ultimo, rifornisce di mezzi militari la Fratellanza.
Tale strategia viene illustrata chiaramente da Bernard Lewis nella riunione del Gruppo Bilderberg [1] che la NATO organizza in Austria nell’aprile 1979. Lo studioso islamico anglo-israelo-statunitense assicura che i Fratelli musulmani non solo avrebbero svolto un ruolo importante contro i sovietici – causando problemi interni in Asia Centrale – ma avrebbero anche balcanizzato il Medio Oriente nell’interesse d’Israele.
Contrariamente alla credenza popolare, i Fratelli non si limitano a seguire il piano di Brzezinski: guardano lontano, ricevendo aiuti da Riad e Washington per creare diramazioni della Fratellanza in altri paesi, nuclei operativi che si svilupperanno ulteriormente. Il re saudita concede in media 5 miliardi di dollari all’anno alla Lega musulmana mondiale, che espande le attività in 120 paesi e finanzia le guerre. In linea di massima, 5 miliardi di dollari equivalgono al bilancio militare della Corea del Nord. La Lega riceve lo status consultivo presso il Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite e lo status di osservatore all’Unicef.


Il generale pakistano Muhammad Zia-ul-Haq, primo capo di Stato membro dei Fratelli Mussulmani fuori dall’Egitto, consente ai combattenti della Fratellanza di disporre di una retroguardia contro i comunisti afgani.
In Pakistan, il generale Muhammad Zia-ul-Haq – capo di Stato maggiore delle forze armate, addestrato a Fort Bragg negli Stati Uniti – rovescia il presidente Zulfiqar Ali Bhutto e lo fa impiccare. Membro del Jamaat-e-Islami – ossia la variante locale dei Fratelli musulmani –, islamizza la società, impone gradualmente la Sharia – insieme alla pena di morte per blasfemia – e crea una vasta rete di scuole islamiche. È la prima volta che la Fratellanza arriva al potere fuori dall’Egitto.
In Iran, Brzezinski convince lo Scià ad abdicare e organizza il ritorno dell’imam Khomeini, che si definisce “islamista sciita”. Da giovane, nel 1945, Khomeini aveva incontrato Hasan al-Banna al Cairo per convincerlo a non alimentare il conflitto tra sunniti e sciiti. In seguito, ha tradotto due libri di Sayyid Qutb. La Fratellanza e il rivoluzionario iraniano sono d’accordo sulle questioni sociali, ma non su quelle politiche. Brzezinski capisce di aver sbagliato lo stesso giorno dell’arrivo a Teheran dell’Ayatollah, che si reca a pregare sulle tombe dei martiri del regime dello Scià ed esorta l’esercito a ribellarsi all’imperialismo. Brzezinski commette un secondo errore inviando la Delta Force a salvare le spie statunitensi tenute in ostaggio nell’ambasciata di Teheran. Anche se riesce a tenere all’oscuro l’Occidente che i suoi diplomatici non erano tali, bensì spie, ridicolizza i suoi militari con la fallita operazione Eagle Claw e instilla al Pentagono l’idea che fosse necessario procurarsi i mezzi per sconfiggere i musulmani.

In Afghanistan, Brzezinski avvia l’“Operazione Cyclone”: tra 17 e 35 mila Fratelli musulmani – provenienti da quaranta paesi – combattono contro l’URSS, arrivata per difendere, su sua richiesta, la Repubblica democratica dell’Afghanistan [2]. Non si trattò di un’“invasione sovietica”, come sostiene la propaganda degli USA. Non ci saranno sul suolo afgano mai più di 15.000 sovietici alla volta. Gli uomini inviati da Brzezinski giungono come rinforzi per una coalizione tra combattenti conservatori e Fratelli musulmani locali; tra loro il pashtun Gulbuddin Hekmatyar e il tagiko Ahmad Shah Massoud. Ricevono le armi principalmente da Israele [3], ufficialmente loro nemico giurato, ma ormai loro alleato. Tutte le forze sono controllate dal Pakistan dal generale Muhammad Zia-ul-Haq e finanziate da Stati Uniti e Arabia Saudita. È la prima volta che la Fratellanza viene impiegata dagli anglosassoni per combattere una guerra. Tra i combattenti compaiono i futuri capi delle guerre caucasiche, dell’indonesiana Jemaah Islamiyah, del gruppo filippino Abu Sayaf e, naturalmente, di Al Qaida e ISIS. L’operazione antisovietica degli Stati Uniti è supportata dal partito repubblicano e da una frazione di estrema sinistra, i trotskisti del Social Democrats USA.
La strategia Carter-Brzezinski rappresenta un cambiamento sostanziale [4]. L’Arabia Saudita, che in precedenza ha finanziato i gruppi islamisti, diviene responsabile della gestione dei fondi bellici contro i sovietici. Il direttore generale dell’intelligence saudita, il principe Turki – figlio del re dell’epoca, Faysal –, si trasforma in una figura chiave presso tutti i vertici occidentali.


Il palestinese Abdallah Azzam e il saudita Osama bin Laden sono stati formati a Riad da Mohammad Qutb, fratello di Sayyid Qutb. In seguito, hanno diretto i combattenti dei Fratelli Mussulmani in Afghanistan.I problemi tra arabi e afgani sono ricorrenti: il principe Turki prima invia il palestinese Abd Allah al-Azzam – l’“imam del jihad” – per ripristinare l’ordine tra i Fratelli e gestire l’ufficio locale della Lega musulmana mondiale, poi il miliardario Osama bin Laden. Al-Azzam e bin Laden sono stati addestrati in Arabia Saudita dal fratello di Sayyid Qutb.
Anche durante il mandato di Carter, i Fratelli musulmani intraprendono una lunga campagna terroristica in Siria, compresa l’uccisione dei cadetti non sunniti presso l’Accademia militare di Aleppo da parte dell’“avanguardia combattente”. Hanno basi in Giordania, dove gli inglesi li addestrano militarmente. Durante quegli “anni di piombo”, la CIA suggella l’alleanza tra i Fratelli musulmani e il gruppetto dell’ex comunista di Riad al-Turk, che con i suoi amici George Sabra e Michel Kilo hanno rotto con Mosca durante la guerra civile libanese per sostenere l’Occidente. Anche loro aderiscono al gruppo trotskista statunitense Social Democrats USA. I tre scrivono un manifesto nel quale sostengono che i Fratelli musulmani rappresentano il nuovo proletariato e che la Siria potrà essere salvata soltanto dall’intervento militare degli Stati Uniti. In ultima analisi, i Fratelli tentano un colpo di Stato nel 1982, con l’appoggio del Baath iracheno – che collabora con Washington contro l’Iran – e dell’Arabia Saudita. I combattimenti ad Hama causano duemila morti secondo il Pentagono, 40 mila secondo la Fratellanza e la CIA. In seguito vengono uccisi centinaia di prigionieri a Palmira per mano del fratello del presidente Hafiz al-Assad, Rifaat, che sarà destituito e costretto all’esilio a Parigi quando tenterà, a sua volta, il colpo di Stato contro il fratello. I trotskisti vengono catturati e la maggior parte dei Fratelli fugge in Germania – dove già risiede l’ex Guida siriana Issam al-Attar – o in Francia – come Abu Musab, “Il Siriano” –, dove il cancelliere Helmut Kohl e il presidente François Mitterrand concedono asilo. Due anni più tardi scoppia uno scandalo nell’opposizione, ormai in esilio al momento della spartizione: 3 milioni di dollari spariscono dal totale di 10 milioni forniti dalla Lega musulmana mondiale.

VERSO LA CREAZIONE DELL’INTERNAZIONALE JIHADISTA

Negli anni ottanta la Lega musulmana mondiale riceve istruzioni da Washington al fine di trasformare la società algerina. Per circa un decennio Riad si offre di costruire moschee nei villaggi, dove ogni volta vengono annessi un dispensario e una scuola. Le autorità algerine accolgono l’aiuto con gioia, considerato che non sono più in grado di garantire a tutti accesso a sanità e istruzione. A poco a poco, le classi lavoratrici algerine si allontanano da uno Stato che non le rappresenta più e si avvicinano alle tanto generose moschee.


Il presidente Bush padre, ex direttore della CIA, stringe un forte legame d’amicizia con l’ambasciatore saudita, principe Bandar bin Sultan bin Abdelaziz Al Saud, che più tardi diventerà capo dell’intelligence del proprio Paese. Bush lo considera figlio adottivo, da qui il soprannome di Bandar Bush.Quando il principe Fahd diventa re dell’Arabia Saudita, nel 1982, invia il principe Bandar – figlio del ministro della Difesa – a Washington in qualità di ambasciatore, incarico che manterrà per tutto il corso del suo regno. Nella capitale a stelle e strisce svolge una duplice funzione: da un lato si occupa di gestire le relazioni saudite-statunitensi, dall’altro funge da interfaccia tra il direttore dell’intelligence Turki e la CIA. Stringe amicizia con il vicepresidente ed ex direttore della CIA George H.W. Bush, che lo considera suo “figlio adottivo”; poi con il segretario della Difesa Dick Cheney e il futuro direttore della CIA, George Tenet. Si inserisce nell’élite sociale e va a integrare la setta cristiana dei capi di Stato maggiore del Pentagono, The Family, e l’ultra-conservatore Bohemian Club di San Francisco.
Bandar dirige i jihadisti dalla Lega musulmana mondiale e negozia con Londra l’acquisto di armi dalla British Aerospace in cambio di petrolio. I contratti della “colomba” – in arabo al-Yamamah – costano a Riad tra i 40 e gli 83 miliardi di sterline, di cui una parte sostanziosa sarà riversata dagli inglesi al principe. Nel 1983 il presidente Ronald Reagan affida a Carl Gershman – ex leader del Social Democrats USA – la direzione della nuovissima National Endowment for Democracy [5], un’agenzia che dipende dall’accordo dei “Cinque Occhi” e che opera sotto le mentite spoglie di organizzazione non governativa. È la “facciata” legale dei servizi segreti australiani, inglesi, canadesi, statunitensi e neozelandesi. Gershman, che ha già collaborato con i suoi compagni trotskisti e amici Fratelli musulmani in Libano, Siria e Afghanistan, realizza una vasta rete di associazioni e fondazioni che CIA e MI6 utilizzano per sostenere la Fratellanza, ove possibile. Si rifà alla “Dottrina Kirkpatrick”, secondo la quale tutte le alleanze sono giuste se utili agli interessi degli Stati Uniti.
Nel 1985 il Regno Unito, fedele alla propria tradizionale competenza accademica, crea un istituto per analizzare le società musulmane e il modo in cui i Fratelli possano influenzarle: l’Oxford Centre for Islamic Studies.


In Sudan, Hasan al-Turabi e Omar al-Bashir impongono i Fratelli Mussulmani. Nel contesto particolarmente settario e arretrato del Paese entreranno in conflitto con la Fratellanza e si distruggeranno a vicenda.Nel 1989 i Fratelli tentano – con successo – un secondo colpo di Stato, questa volta in Sudan a favore del colonnello Omar al-Bashir, che prontamente investe la Guida locale, Hasan al-Turabi, della presidenza dell’Assemblea Nazionale. Quest’ultimo, durante una conferenza tenutasi a Londra, annuncia che il suo paese diventerà la base dei gruppi islamici di tutto il mondo.
Sempre nel 1989 nasce in Algeria il Fronte islamico di salvezza (FIS), centrato sulla figura di Abbassi Madani, mentre il partito al governo crolla travolto da vari scandali. Il FIS è appoggiato dalle moschee “regalate” dai sauditi, e di conseguenza dagli algerini che le frequentano da un decennio. Grazie al rifiuto nei confronti dei dirigenti e non certo per adesione ideologica, vince le elezioni locali. Considerando il fallimento dei politici e l’impossibilità di negoziare con gli islamisti, l’esercito riesce nel colpo di Stato e annulla le elezioni. Il paese viene travolto da una lunga e sanguinosa guerra civile di cui non si saprà molto, ma la guerriglia causerà più di 150 mila vittime. Gli islamisti non esitano a imporre punizioni individuali e collettive, come con il massacro degli abitanti di Ben Talha – colpevoli di aver votato nonostante la fatwa lo proibisse – dei quali radono al suolo il villaggio. Chiaramente, l’Algeria funge da laboratorio per le nuove operazioni. Circola la voce secondo la quale è l’esercito, e non gli islamisti, a massacrare gli abitanti, mentre in realtà vari agenti dei servizi segreti, addestrati negli Stati Uniti, si uniscono agli islamisti e creano il caos.
Nel 1991 Osama bin Laden, tornato in Arabia Saudita da eroe per aver condotto la lotta anticomunista alla fine della guerra in Afghanistan, si scontra ufficialmente con il re, mentre i “sururisti” si ribellano alla monarchia. Questa rivolta, il “risveglio islamico”, dura quattro anni e si conclude con l’arresto dei capi principali, dimostrando alla monarchia – convinta di detenere ogni potere – che, mescolando religione e politica, i Fratelli hanno creato le condizioni per la rivolta tramite le moschee.
In questo contesto Osama bin Laden sostiene di aver offerto l’aiuto di alcune migliaia di veterani dell’Afghanistan contro l’Iraq di Saddam Hussein ma, con enorme sorpresa, il re avrebbe preferito il milione di truppe degli Stati Uniti e degli alleati. Così si ritira in esilio in Sudan, in realtà con la missione di riprendere il controllo degli islamisti sfuggiti all’autorità dei Fratelli e in rivolta contro la monarchia. Con Hasan al-Turabi organizza conferenze popolari panarabe e panislamiche invitando i rappresentanti dei movimenti islamici e nazionalisti di cinquanta paesi. Questo per creare partiti equivalenti a ciò che l’Arabia Saudita ha già fatto con l’Organizzazione della Conferenza islamica, che riunisce diversi Stati. I partecipanti non sanno che le conferenze sono finanziate dai sauditi e gli alberghi che le ospitano sono monitorati dalla CIA. Da Yasser Arafat a Hezbollah libanese, tutti vi partecipano.


L’FBI riesce a far condannare la BCCI, un’immensa banca musulmana diventata, col tempo, un mezzo della CIA per le operazioni segrete – tra cui il finanziamento della guerra in Afghanistan –, ma anche per il traffico di droga in America Latina [6]. Quando viene dichiarato il fallimento della banca, i clienti minori non sono rimborsati, ma Osama bin Laden riesce a recuperare 1,4 miliardi di dollari per portare avanti l’ingaggio dei Fratelli musulmani al servizio di Washington. La CIA allora trasferisce le sue attività presso la Faysal Islamic Bank e la filiale Al Baraka.

PREGHIERE E LITURGIA DI OGGI 11 LUGLIO


PREGHIERE DEL GIORNO
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Giovedì 11 Luglio 2019
  
  


DEVOZIONI DEL GIORNO





 Mese di Luglio dedicato al PREZIOSISSIMO SANGUE

  SANTO ROSARIO  da recitare on-line 


  VANGELI 




LITURGIA DEL GIORNO
- Rito Romano -






 PRIMA LETTURA 

Pr 2,1-9
Dal libro dei Proverbi

Figlio mio, se tu accoglierai le mie parole
e custodirai in te i miei precetti,
tendendo il tuo orecchio alla sapienza,
inclinando il tuo cuore alla prudenza,
se appunto invocherai l’intelligenza
e rivolgerai la tua voce alla prudenza,
se la ricercherai come l’argento
e per averla scaverai come per i tesori,
allora comprenderai il timore del Signore
e troverai la conoscenza di Dio,
perché il Signore dà la sapienza,
dalla sua bocca escono scienza e prudenza.
Egli riserva ai giusti il successo,
è scudo a coloro che agiscono con rettitudine,
vegliando sui sentieri della giustizia
e proteggendo le vie dei suoi fedeli.
Allora comprenderai l’equità e la giustizia,
la rettitudine e tutte le vie del bene.


  SALMO  

Sal 33
Gustate e vedete com’è buono il Signore.

Benedirò il Signore in ogni tempo,
sulla mia bocca sempre la sua lode.
Io mi glorio nel Signore:
i poveri ascoltino e si rallegrino.

Magnificate con me il Signore,
esaltiamo insieme il suo nome.
Ho cercato il Signore: mi ha risposto
e da ogni mia paura mi ha liberato.

Guardate a lui e sarete raggianti,
i vostri volti non dovranno arrossire.
Questo povero grida e il Signore lo ascolta,
lo salva da tutte le sue angosce.

L’angelo del Signore si accampa
attorno a quelli che lo temono, e li libera.
Gustate e vedete com’è buono il Signore;
beato l’uomo che in lui si rifugia.

Temete il Signore, suoi santi:
nulla manca a coloro che lo temono.
I leoni sono miseri e affamati,
ma a chi cerca il Signore non manca alcun bene.


 VANGELO 

Mt 19,27-29
Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Pietro, disse a Gesù: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque ne avremo?».
E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: voi che mi avete seguito, quando il Figlio dell’uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, alla rigenerazione del mondo, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù d’Israele. Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna».

Nuove vittorie contro l’ideologia gender


Non passa settimana, senza che si debbano registrare novità sul fronte gender. Questa volta, provvidenzialmente, si tratta di buone nuove. La Corte d’Appello inglese ha dichiarato, infatti, illegittima l’espulsione di Felix Ngole, uno studente del corso magistrale in Servizi Sociali dell’Università di Sheffield, cristiano, espulsione provocata due anni fa da un suo semplicissimo commento su Facebook, questo: «La Bibbia e Dio definiscono l’omosessualità come un peccato». Così ha scritto il giovane, che, ritenendo giustamente di aver patito un torto, ha portato l’intero Ateneo in tribunale e qui si è visto riconoscere il fatto di esser dalla parte della ragione, per cui i giudici hanno annullato non solo il provvedimento assunto contro di lui, ma anche la precedente sentenza del giudice aggiunto della Corte Suprema, Rowena Collins Rice, a lui sfavorevole, ritenendo indebitamente che le sue personali convinzioni lo squalificassero come assistente sociale. Non è così. In un’intervista alla Bbc, Ngole ha definito «agghiacciante» il messaggio implicito nella sua vicenda: «Se sei un cristiano e se sostieni le tradizioni cristiane, devi stare attento a non esprimerle, poiché potresti perdere il lavoro», ha commentato. Il fatto, ora, che la Corte d’Appello abbia riconosciuto le sue ragioni è, invece, «una grande notizia, non solo per me e per la mia famiglia, ma per tutti coloro che hanno a cuore la libertà di espressione, specialmente per coloro che operano o studiano nel campo professionale della solidarietà. Come cristiani, siamo chiamati a servire gli altri ed a prenderci cura di tutti, tuttavia, pubblicamente ed in privato, dobbiamo anche essere liberi di esprimere le nostre convinzioni e ciò che dice la Bibbia senza paura di perdere i mezzi necessari per la nostra sussistenza».

Ciò nonostante, le minacce non sono ancora finite: il comitato universitario è deciso a tornare in Corte d’Appello, per chiedere se Ngole sia adatto o meno a svolgere lavori in campo sociale. Incredibile! Intanto, comunque, un’importante battaglia è stata vinta.

Un’ulteriore prova, in ogni caso, di come l’opinione pubblica non ne possa più della propaganda Lgbt a senso unico, diffusa soprattutto tramite i media, è giunto dalla Repubblica Dominicana, dove diverse migliaia di famiglie e gente di ogni età, dai bambini agli anziani, sono scese in piazza contro l’imposizione dell’ideologia gender. Due le manifestazioni, promosse dal gruppo «Giù le mani dai miei figli» lo scorso 4 luglio, una a Santo Domingo ed una a Santiago, per esprimere un netto dissenso verso la nuova legge, la n. 33/2019 approvata lo scorso 22 maggio, che cerca di imporre a tutti «come priorità» politiche basate sull’ideologia gender «ai differenti livelli, sistemi e sottosistemi dell’educazione pre-universitaria, nei suoi piani, programmi, progetti, strategie pedagogiche ed attività amministrative». Un lavoro sistematico, organizzato, strutturato e metodico, insomma, per instillare nei giovanissimi l’Lgbt-pensiero, sfruttando la Scuola come grimaldello per le coscienze. Il ministero della Donna ha inoltre aggiunto alla norma anche un periodo di 60 giorni per presentare tale metodologia ed il cronoprogramma relativo in tutte le aule.

Un progetto su larga, larghissima scala, contro cui l’organizzazione «Giù le mani dai miei figli» ha voluto mettere in guardia anche con questa iniziativa, volutamente organizzata tre giorni prima del Gay Pride nazionale. Peraltro, la legge n. 33/2019 è in aperto contrasto e viola un’altra legge della Repubblica, la n. 66/1997, soprattutto agli articoli nn. 78 e 87. Il corteo ha esposto striscioni con le scritte «No all’ideologia di genere», «Lascia che i bambini siano bambini» e «Maschio e femmina li creò», intonando canti religiosi, essendo molti i cattolici presenti all’evento, al termine del quale, davanti al ministero della Pubblica Istruzione, è stato letto un manifesto, in cui si è denunciato come la nuova normativa sia frutto di un presunto accordo tra governo e Nazioni Unite e venga portato avanti dal ministero della Donna e dal Conavihsida-Consiglio nazionale per l’Hiv e l’Aids: «L’ideologia di genere fa male allo sviluppo dei nostri figli», hanno urlato i tanti manifestanti, pronti a chiedere giustizia e, soprattutto, a pretendere di essere liberi di educare i propri figli secondo i valori di famiglia. Dalla parte dei genitori e dei loro ragazzi, si è schierata pubblicamente già lo scorso 28 maggio, la Conferenza episcopale dominicana, che ha emesso un comunicato, in cui ha dichiarato, tra l’altro: «La politica di genere maschera, in realtà, l’ideologia gender, che sradica la natura umana, ignora la biologia ed evidenze scientifiche inconfutabili». Da qui, la conclusione: l’iniziativa unilateralmente assunta dal ministero della Pubblica Istruzione «non ha i sostegni necessari per la sua applicazione». Le pressioni della Chiesa ufficiale e della piazza hanno già indotto il capo di gabinetto ministeriale, Henry Santos, a difender la legge varata, ma anche a precisare che l’ideologia gender «mai» entrerà nei curriculum scolastici e nei piani d’istruzione in quanto «estranea» ai costumi del Paese, «nemica della famiglia e tale da favorire in nulla l’educazione dominicana».

Insomma, per ora una vittoria parziale, ma già segno comunque di quanto il fermo rifiuto popolare abbia indotto le autorità a frenare ed anche a fare una parziale retromarcia in merito. Il che è già molto ed indice della necessità di insistere, di non abbassare la guardia, di tornare nelle strade. Non solo nella Repubblica Dominicana. Ma in tutto il mondo. (Mauro Faverzani)

Il principio di legalità si estingue nella Chiesa?


Se Papa Francesco dovesse essere accusato di un crimine da qualche giudice, in qualsiasi parte del mondo, dovrebbe spogliarsi della sua carica di Sommo Pontefice della Chiesa cattolica e sottomettersi al giudizio di un tribunale. È questa la conseguenza logica e necessaria della clamorosa decisione con cui la Santa Sede ha privato dell’immunità diplomatica il nunzio apostolico in Francia, mons. Luigi Ventura, accusato di molestie sessuali. La Santa Sede avrebbe potuto dimettere il nunzio dal suo ufficio e, in attesa che la giustizia francese facesse il suo corso, avviare un’indagine canonica nei suoi confronti, anche a sua garanzia. Ma la decisione di consegnare il rappresentante pontificio nelle mani di un tribunale laico, fa saltare l’istituto dell’immunità diplomatica, espressione per eccellenza della sovranità della Chiesa e della sua libertà e indipendenza. Quella stessa immunità diplomatica, sia detto per inciso, che è stata invocata per proteggere i reati commessi in Italia dall’elemosiniere di Papa Francesco, il cardinale Konrad Krajewski.


Quanto accade si inserisce nel quadro di una preoccupante estinzione di ogni principio di legalità all’interno della Chiesa. Il diritto è coessenziale alla Chiesa, che ha una dimensione carismatica e una dimensione giuridica, inscindibilmente legate tra loro, come lo sono l’anima e il corpo. La dimensione giuridica della Chiesa è però ordinata al suo fine soprannaturale ed è al servizio della Verità. Se la Chiesa perde di vista il suo fine soprannaturale, diviene una struttura di potere e la forza della funzione ecclesiastica prevale su ciò che è vero e giusto. Questa concezione “funzionalista” della Chiesa è stata denunciata dal cardinale Gerhard Ludwig Müller,in una recente intervista ad Edward Pentin sul National Catholic Reporter. Il cardinale Müller ha affermato che la cosiddetta riforma della Curia di cui si discute in questi mesi, rischia di trasformare la Curia in un’istituzione in cui tutto il potere è concentrato nella segreteria di Stato, esautorando il collegio cardinalizio e le congregazioni competenti: «Stanno convertendo l’istituzione della Curia in una semplice burocrazia, nel solo funzionalismo e non in una istituzione ecclesiastica».


Un’espressione di questo funzionalismo è l’uso strumentale del diritto canonico, per sanzionare istituti religiosi e singoli sacerdoti che non sono disposti ad allinearsi al nuovo paradigma di papa Francesco. Nel caso delle comunità religiose l’intervento repressivo avviene in generale attraverso il commissariamento, a cui segue un decreto di soppressione o di completa riforma dell’istituto, senza darne adeguata motivazione e spesso espresso nella cosiddetta “forma specifica”, ovvero con l’approvazione pontificia, senza possibilità di ricorso. Questa procedura, che sta divenendo sempre più diffusa, non contribuisce certo a rasserenare gli animi all’interno di una situazione ecclesiale percorsa da forti tensioni. Anche ammettendo che si riscontrino umane deficienze in alcune comunità religiose, non sarebbe meglio correggerle, piuttosto che distruggerle? Cosa accadrà di giovani sacerdoti e seminaristi che hanno deciso di dedicare la loro vita alla Chiesa e vengono privati del loro carisma di riferimento? Quale misericordia si esercita nei loro confronti? Il caso dei Francescani dell’Immacolata fa scuola in questo senso.


Nel caso dei singoli sacerdoti, l’equivalente della soppressione è l’esclusione dallo stato giuridico clericale, cioè la cosiddetta riduzione allo stato laicale. Non bisogna confonderelo stato clericale, che si riferisce a una condizione giuridica, con l’ordine sacro, che indica una condizione sacramentale e imprime nell’anima del sacerdote un carattere indelebile. La perdita dello stato clericale è un provvedimento problematico, soprattutto per quanto riguarda i vescovi, successori degli apostoli. Molti vescovi nel corso della storia sono caduti in gravi peccati, scismi ed eresie. La Chiesa li ha spesso scomunicati, ma non li ha quasi mai ridotti allo stato laicale, proprio perché a causa dell’indelebilità della loro consacrazione episcopale. Oggi invece si procede con grande facilità alla riduzione allo stato laicale e spesso non attraverso un processo giudiziale, ma utilizzando il processo penale amministrativo introdotto dal nuovo codice del 1983. Nel processo amministrativo c’è un solo grado di giudizio, i poteri discrezionali dei giudici sono molto vasti e l’imputato, a cui talvolta non si concede neppure l’avvocato difensore, è privato dei diritti che gli attribuisce il processo giudiziario. Il prefetto della congregazione competente ha inoltre la possibilità, come nel caso dello scioglimento di un istituto, di richiedere un’approvazione papale in forma specifica che rende impossibile qualsiasi ricorso.


La conseguenza è una prassi giustizialista da parte dell’istituzione più garantista della storia, dimenticando le parole che Pio XII rivolgeva ai giuristi: «La funzione del diritto, la sua dignità e il sentimento di equità, naturale all’uomo, richiedono che l’azione punitiva, dall’inizio alla fine, sia fondata non sull’arbitrio e sulla passione, bensì sopra regole giuridiche chiare e fisse […].Qualora sia impossibile stabilire la colpevolezza con certezza morale si dovrà applicare il principio: “in dubio standum est pro reo”» (Discorso del 3 ottobre 1953 ai partecipanti al Congresso internazionale di Diritto penale, in AAS 45 (1953), pp. 735-737).


A differenza della scomunica, che rimanda all’idea di verità assolute detenute dalla Chiesa, la riduzione allo stato laicale è compresa più facilmente dal mondo, che concepisce la Chiesa come un’azienda, che può “licenziare” i suoi dipendenti, anche senza giusta ragione. Questa concezione funzionalistica dell’autorità vanifica la dimensione penitenziale della Chiesa. Imponendo preghiera e penitenza ai colpevoli, la Chiesa dimostrava di avere a cuore anzitutto le loro anime. Oggi, per compiacere il mondo, che esige punizioni esemplari, ci si disinteressa delle anime dei colpevoli, che vengono mandati a casa, senza che la Chiesa se ne prenda più cura. In un articolo diffuso dal Corriere della Sera l’11 aprile 2019, Benedetto XVI ha addebitato la causa del collasso morale della Chiesa al “garantismo”. Negli anni successivi al Sessantotto, anche nella Chiesa, «dovevano essere garantiti i diritti degli accusati, fino al punto di escludere una condanna». Il problema, in realtà, non è stato quello di un eccesso di garanzia per gli accusati, ma in un eccesso di tolleranza verso il loro crimini, alcuni dei quali, come l’omosessualità, hanno cessato di essere considerati tali fin dagli anni del Concilio Vaticano II, che è venuto prima della Rivoluzione del Sessantotto. Fu negli anni del Concilio e del post-concilio che penetrò nei seminari, nei collegi e nelle università cattoliche, una cultura relativista in cui l’omosessualità era considerata moralmente irrilevante e pacificamente tollerata. Benedetto XVI, che ha invocato “tolleranza zero” contro la pedofilia, non ha mai invocato “tolleranza zero” contro l’omosessualità, piegandosi, come il suo successore, alle leggi del mondo.


Nelle ultime settimane sono apparse nuove rivelazioni dell’arcivescovo Carlo Maria Viganò, riguardanti gravi crimini contro la morale commessi dall’arcivescovo Edgar Peña Parra, scelto da papa Francesco come Sostituto presso la Segreteria di Stato. Perché le autorità ecclesiastiche, che erano al corrente da anni di queste accuse, non hanno mai avviato indagini, come non le hanno avviate per i crimini compiuti all’interno del pre-seminario Pio X, che forma i chierichetti per le cerimonie papali nella Basilica di San Pietro? Le autorità hanno il dovere di avviare un’indagine: un dovere irrinunciabile, dopo che le parole del coraggioso arcivescovo sono risuonate in tutto il mondo.


Un’altra domanda attende risposta. Il cardinale George Pell, da marzo scorso, è in isolamento nel carcere di massima sicurezza di Melbourne, in attesa di un nuovo giudizio, dopo essere stato condannato in primo grado. Perché le autorità ecclesiastiche lo privano di un processo canonico che ne stabilisca la colpevolezza o l’innocenza non davanti al mondo, ma davanti alla Chiesa? È scandaloso che il cardinale Pell sia in carcere e la Chiesa taccia, attendendo il giudizio del mondo e rifiutando di emettere un proprio giudizio, eventualmente in contrasto con quello del mondo.


Di cosa ha paura la Chiesa? Gesù Cristo non è venuto forse a vincere il mondo? Il diritto che dovrebbe essere strumento di verità è divenuto strumento di potere, da parte di chi oggi governa la Chiesa. Ma una Chiesa in cui si estingue il principio di legalità è una Chiesa senza Verità e una Chiesa senza Verità cessa di essere Chiesa. (Roberto de Mattei)




IN SICILIA ESERCITAZIONI NATO CON PERICOLOSO SOTTOMARINO NUCLEARE


L’ACQUA DEL MARE CONTAMINATA 3 Luglio PROFEZIA San Michele Arcangelo

Ascoltate bene questo messaggio e poi leggete quanto di seguito riportato (anche il video sotto) per avere più elementi di giudizio. Nel nostro mare è in corso una vera "battaglia navale" sottomarina. D'ora in poi tutti noi, comprese le ONG, gli scafisti e gli immigrati, saremo a rischio contaminazione nucleare! 



Scoppia incendio su sottomarino russo, morti 14 marinai


Esercitazioni NATO in Sicilia

C’è un sottomarino a propulsione nucleare tra le unità da guerra impegnate nella vasta esercitazione NATO Dynamic Manta 2019 attualmente in corso nelle acque della Sicilia orientale. Si tratta dell’HMS Ambush (S120), sommergibile della classe “Astute” della Marina del Regno unito. Operativo dal 2013, l’HMS Ambush imbarca due reattori nucleari PWR 2 prodotti dalla Roll Royce e che dovrebbero assicurare piena autonomia energetica all’unità per i prossimi 25 anni. Da più parti tuttavia ne è stata documentata la pericolosità per la sicurezza e l’ambiente. Un report del novembre 2009 sulla tenuta dei sistemi di propulsione PWR 2 del Defence Nuclear Safety Regulator, l’ente del ministero della difesa britannico a cui è demandato il controllo dei dispositivi nucleari in dotazione alle forze armate, aveva segnalato come questi reattori fossero “potenzialmente vulnerabili in caso di guasto strutturale al circuito primario”, con conseguente pericolo per l’equipaggio e la popolazione civile.

Nel gennaio 2012 fu pure documentata l’esistenza di radioattività nell’acqua refrigerante del reattore PWR 2, a seguito di una microscopica breccia nel rivestimento del combustibile. La Royal Navy secretò l’incidente sino al 2014. Il 20 luglio 2016 lo stesso sottomarino HMS Ambush entrò in collisione nelle acque di Gibilterra con il mercantile Andreas battente bandiera panamense, riportando notevoli lesioni alle attrezzature sonar. Subito dopo la collisione la Royal Navy diffuse un comunicato in cui furono negati danni di ogni sorta al sommergibile e al suo equipaggio, ma le riparazioni allo scafo costarono ben 2,1 milioni di sterline all’erario britannico. Imponente il sistema d’arma a disposizione del sottomarino Ambush: una quarantina tra missili da crociera “Tomahawk” con una gittata sino a 1.600 chilometri e siluri pesanti “Spearfish”.



L’esercitazione NATO Dynamic Manta ha preso il via dai porti di Catania ed Augusta (Siracusa) il 26 febbraio scorso e si concluderà giovedì 8 marzo. Vi partecipano dieci nazioni alleate che simulano una vasta operazione di guerra anti-sottomarini nel Mar Ionio, a poche miglia di distanza dalle coste siciliane e calabresi. “L’esercitazione annuale Dynamic Manta rimane una delle maggiori opportunità per le forze navali della NATO nel mettere in pratica e valutare tutte le loro abilità anti-sommergibili in un ambiente altamente stimolante”, ha dichiarato l’ammiraglio Andrew Lennon, comandante delle forze sottomarine dell’Alleanza Atlantica. “Questa esercitazione è un’opportunità unica per potenziare le capacità di combattimento delle unità navali in tutte e tre le dimensioni della guerra anti-sottomarini in un ambiente multinazionale e con minacce multiple. Noi apprezziamo il supporto da parte della Marina militare italiana nell’ospitare e rendere il più proficua questa esercitazione per rafforzare la nostra interoperabilità e le nostre competenze nella guerra ai sottomarini e alle unità di superficie”.



“La particolarità di Dynamic Manta – prosegue il comunicato del Comando delle forze sottomarine della NATO – consiste anche sulla valutazione dal vivo di ogni singola operazione grazie ad un team composto da esperti basati in un apposito comando nella stazione aeronavale di Sigonella, in grado di elaborare e produrre in tempo reale un’analisi dettagliata dell’operato di ogni singola unità, consentendo quindi ad ogni equipaggio di apportare modifiche o mettere a punto le tattiche di combattimento anti-sottomarini adattandole al complesso e mutevole contesto reale; inoltre ogni unità, sia di superficie che subacquea, avrà l’opportunità di condurre una serie di operazioni con la possibilità di essere a turno cacciatore o preda”.

Al Dynamic Manta 2019 sono impegnati circa 3000 militari, cinque sommergibili, nove navi di superficie e otto aerei pattugliatori. I paesi partecipanti sono Italia, Canada, Francia, Grecia, Spagna, Turchia, Germania, Gran Bretagna, Olanda e Stati Uniti. L’Italia assicura il supporto logistico alle forze aeronavali con la base navale della Marina Militare di Augusta (utilizzato in particolare per l’approdo dei sottomarini, compreso l’HMS Ambush), il porto di Catania, la base aerea di Sigonella e la stazione elicotteri di Catania-Fontanarossa, contigua allo scalo aereo civile etneo. Prima di raggiungere la Sicilia, il sottomarino della Royal Navy ha fatto una sosta tecnica da Gibilterra il 13 febbraio, suscitando le vibrate proteste dei pacifisti e degli ecologisti locali che da anni lottano contro gli approdi di unità da guerra a capacità e propulsione nucleare nelle acque antistanti la Rocca-colonia che il Regno Unito possiede nella penisola iberica dal 1713.

La propulsione nucleare navale 

L'uso dell'energia nucleare in ambito militare non si è limitato nel corso degli anni alla produzione di armamenti di potenza devastante, che tuttora insidiano il mondo; l'energia nucleare è stata utilizzata anche per scopi meno distruttivi ma comunque notevolmente pericolosi come la propulsione di navi e sottomarini. Il pericolo consiste nel fatto che, come vedremo, l'uso dell'energia atomica in ambito militare non viene fatto seguendo i criteri di sicurezza e precauzione applicati nel campo civile, con conseguenti gravi rischi per la popolazione e per l'ambiente. 
Senza entrare nel merito della validità del nucleare come fonte di energia, anche i suoi fautori concordano sulla necessità di applicare tutte le misure necessarie a proteggere quanto più possibile l'ambiente e le persone. 
Nel caso specifico della Marina, l'energia nucleare viene utilizzata come sistema di propulsione, però solo le navi e i sottomarini militari ne sono dotati, mentre nel civile questa possibilità è stata utilizzata solo in rarissimi casi (alcuni rompighiaccio russi e qualche sottomarino a scopo scientifico/oceanografico).
Il rilevante svantaggio della propulsione nucleare marina è la sicurezza, ovvero il garantire che non vi siano rischi ambientali dovuti all'emissione di radioattività o ad eventuali incidenti. 
Purtroppo però tali svantaggi vengono fortemente ridimensionati in campo militare, dove non mancano i soldi e dove la sicurezza è subordinata ad altri interessi. 

L'insicurezza intrinseca e i possibili incidenti 

Per sicurezza intendiamo l'applicazione di tutti quei sistemi tecnologici in grado di prevenire o rimediare ai possibili problemi che possono insorgere durante il funzionamento del reattore nucleare e che possono provocare gravi ripercussioni sulle persone e sull'ambiente. 
In campo civile esistono numerosi sistemi di sicurezza e di emergenza obbligatori, però su un sottomarino tutto questo non è fisicamente possibile, per ragioni di spazio e di funzionalità. 
Di conseguenza ci ritroviamo col paradosso che reattori nucleari che non otterrebbero la licenza in nessuno dei paesi che utilizzano l'energia atomica, circolano invece liberamente nei mari. 
Inoltre questi sottomarini affrontano condizioni operative pericolose per via del loro impiego militare anche in tempo di pace (esercitazioni, pattugliamento ecc...) che possono comportare altri incidenti (esplosione di siluri, collisioni, urti col fondale) dalle conseguenze catastrofiche per l'impianto nucleare a bordo.

Rischi di incidenti 

Tutto questo sistema così complesso può subire vari tipi di incidenti. 
Il surriscaldamento del nocciolo (dovuto a un errato controllo con le barre o al mancato funzionamento del circuito di raffreddamento) comporta un danno del nocciolo che renderà meno efficace il reattore e una contaminazione dell'acqua di raffreddamento che poi dovrà essere in qualche modo gestita. Lo stesso reattore diventa poi problematico da gestire una volta ultimato l'uso, al punto che spesso sono stati scartati (sottoterra o sottacqua) perché era troppo costoso o rischioso rimuovere il combustibile dal reattore spento. 
Un eccessivo surriscaldamento del nocciolo può portare all'esplosione del reattore o alla fusione del nocciolo; ambedue questi scenari sono catastrofici perché comporterebbero la diffusione di alti livelli di radioattività nell'ambiente circostante. 
L'avaria all'impianto di raffreddamento (LOCA Loss of Cooling Accident) è un incidente pericoloso perché appunto può generare quanto sopra (il surriscaldamento del reattore) ed è difficile da gestire per via dell'alta pressione dell'acqua nel circuito primario. Per questo nei reattori commerciali di norma viene previsto un sistema di raffreddamento di emergenza (ECCS) che però non può esser implementato nei sottomarini. 

Un esempio tra i tanti: il sottomarino nucleare d'attacco britannico HMS Tireless il 12 maggio scorso, mentre era al largo della Sicilia, ha subito proprio un LOCA, ha spento il reattore e si è diretto verso Gibilterra (pare che abbia chiesto di entrare in un porto italiano ma che ciò gli sia stato negato). Non è stato reso noto nei dettagli quello che è successo, però il fatto che il Tireless venga mantenuto a Gibilterra, provocando proteste da parte della popolazione e una mezza crisi diplomatica con la Spagna, fa pensare che il reattore sia rimasto fortemente danneggiato e che sia impossibile sia ripararlo in loco che trasportarlo in Gran Bretagna. 
Il LOCA è stimato dal MoD britannico con una probabilità di 1 su 10.000 anni di funzionamento del reattore; sembrerebbe più Luckless che Tireless... se non fosse che questo difetto è stato riscontrato su tutti i sottomarini delle calassi Trafalgar e Swiftsure. 
Quindi non è questione di sfortuna, è che gli errori di progettazione sommati alla mancanza di sistemi di emergenza e all'operatività critica, rendo questi reattori delle potenziali bombe ambientali. 
Gli incidenti verificatisi in questi anni sono tanti, se dovessimo raccontarli tutti facciamo notte... . 
Al momento 6 sottomarini nucleari sono in fondo al mare, 2 statunitensi e 4 russi . 
Lo statunitense Tresher per cedimento strutturale mentre l'altro (Scorpion) per motivi ignoti. 
Un russo (K219) è affondato per l'esplosione di un siluro, altri 2 (K8 e K278) per incendi a bordo, l'ultimo russo (K141 Kursk) per motivi ignoti. 
Un altro sottomarino nucleare russo (K27) aveva il reattore danneggiato e impossibile da gestire per cui è stato intenzionalmente affondato nel mare di Kara. 
Ricordiamo che i sottomarini in genere sono progettati per resistere alla pressione del mare non oltre i 500 metri di profondità, quindi possiamo immaginare cosa succede se un sottomarino affonda e finisce a profondità maggiori. 
In alcuni casi i sottomarini trasportavano testate nucleari; in tutti i casi "si dice" che il reattore è stato spento in tempo e fino in fondo 
Occorre a onor del vero raccontare che in alcuni incidenti vari marinai russi hanno sacrificato la propria vita per spingere manualmente le barre di controllo fino in fondo e assicurare lo stop del reattore 
Questi appena elencati sono i casi eclatanti, ma sono molti di più gli incidenti noti che pur senza provocare l'affondamento del sottomarino hanno però provocato una diffusione di radioattività.
Come se ciò non bastasse, la sicurezza operativa delle navi a propulsione nucleare è secondaria ad altre ragioni, strategiche, di produzione e di presenza della flotta. Proprio questa secondarietà della sicurezza rispetto agli interessi militari rappresenta l'aspetto più inquietante e preoccupante.
Alexander Nikitin è un ex ufficiale della marina militare russa che ha fornito molte informazioni sulla produzione dei sottomarini nucleari russi e su come questa fosse condizionata dalle pressanti richieste dei militari; pur di far fronte ai tempi di consegna non venivano svolti i necessari controlli, sia al termine della produzione che durante la manutenzione. 
Specifichiamo che tutto questo succedeva ai tempi della guerra fredda e non solo ora che l'economia russa è in notevole difficoltà e di conseguenza la marina militare ha subito fortissimi tagli. 

I porti in Italia

Il Mediterraneo è da sempre luogo di passaggio anche per la navi militari; negli ultimi anni poi gli eventi nei Balcani hanno ulteriormente aumentato la presenza della varie marine militari a volte impegnate in vere e proprie operazioni da guerra 
Ogni 6 mesi la flotta atlantica statunitense prevede lo schieramento di un gruppo di battaglia nel Mediterraneo, comprensivo di una portaerei, due sottomarini e altre navi da guerra. La portaerei e i sottomarini sono a propulsione nucleare e molto spesso transitano anche nei porti italiani, che per posizione e per motivi operativi sono frequentemente visitati. 
Inoltre nei mari italiani si svolgono spesso esercitazione che coinvolgono tutte le navi da guerra della Nato in quel momento nel Mediterraneo. 

Non è possibile conoscere con precisione i dettagli dei passaggi delle navi e dei sottomarini perché coperti da segreto militare; però sfogliando il sito della US Navy, leggendo i vari bollettini e altre informazioni tutte disponibili su internet siamo riusciti a ricostruire una parte dei passaggi che è già di per sé significativa. 
L'Italia ha concesso 11 porti per l'ingresso di navi a propulsione nucleare[1]; di questi i più visitati sono due: La Maddalena e, per l'appunto, Napoli. 
La Maddalena ha particolare importanza in quanto vi è dislocata permanentemente una nave in grado di effettuare riparazioni e manutenzione (anche all'impianto nucleare) ai sottomarini USA. Napoli invece sembra essere molto gradita per l'aspetto turistico.

I piani di emergenza 

Come conseguenza alla concessione dei porti militari per il transito di navi a propulsione nucleare, sono stati approntati dalla marina militare italiana dei piani di emergenza che dovrebbero prevedere tutte le modalità operative nel caso dei vari tipi di incidenti possibile. 
Sarebbe opportuno che questi piani venissero diffusi preventivamente alla popolazione, almeno parzialmente per quanto riguarda le misure organizzative che non possono certo essere attuate immediatamente, ma purtroppo questi piani sono stati classificati e così ci si trova nella palese contraddizione tra la volontà militare di mantenere il segreto su cosa succede realmente nei porti e nei mari italiani, e la necessità (stabilita dalla legge) di informazione per la sicurezza della popolazione e dell'ambiente. 
Viene spontaneo chiedersi a che servono i militari .... se, secondo la Costituzione, la difesa della patria è il loro compito principale e per patria non si intendono solo i confini ma anche la popolazione che ci vive dentro, com'è che non diffondono intenzionalmente le informazioni necessarie a garantire questa difesa della gente e dell'ambiente? 
Intanto dalle poche pagine dei piani di emergenza che sono state diffuse, a La Spezia occasionalmente e a Taranto su richiesta di PeaceLink, siamo venuti a conoscenza di scenari apocalittici ma sui quali le autorità competenti non sono informate (e quindi diventano incompetenti) e per di più alcune misure previste nel piano sembrerebbero inadeguate. 
La situazione è quindi parecchio sconfortante: sottostima dei reali rischi, militari preoccupati solo di nascondere, disinformazione, violazioni della legge, autorità non competenti.

La misurazione dell’inquinamento


 

Per completare il quadro sconfortante restano da valutare gli effetti di questo andirivieni di sottomarini nucleari. Indipendentemente dai possibili incidenti, il sistema di propulsione dei sottomarini rilascia nel mare dei radionuclidi che aumentano col tempo e sono rilevabili sia nell'acqua che nei sedimenti marini. 
Il valore della loro presenza è spesso ritenuto "al di sotto della soglia". E' però ben difficile stabilire una soglia al di sotto della quale ci si può ritenere tranquilli ma soprattutto non è la presenza puntuale di radionuclidi in un ambito che è pericolosa. La complessità dell'ecosistema marino e costiero, unità alla varietà dell'alimentazione e della vita umana, rendono molto difficile valutare gli effetti molteplici che si hanno sulla salute dell'essere umano, sia perché si tratta di un insieme enormemente complesso sia perché l'ambito temporale è notevole e purtroppo gioca tutto a favore dell'inquinamento radioattivo (i radionuclidi hanno tutti tempi molto lunghi di dimezzamento, ovvero di perdita delle proprietà radioattive). Purtroppo non mancano i casi in campo militare di clamorose sottovalutazioni degli effetti ambientali delle operazioni militari, con gravi rischi sia per la popolazione che per i militari stessi. Si pensi alla sindrome del golfo e a quanto sta succedendo del Kosovo bombardato con uranio impoverito. 
In merito alla misurazione dell'inquinamento, occorre segnalare una grave carenza metodologica. 
L'approccio alla valutazione del rischio ambientale resta fortemente riduzionista, basandosi solo sulla presenza dei radionuclidi nell'acqua o nei sedimenti. 
In realtà si potrebbe avere una valida analisi della situazione ambientale utilizzando dei bioindicatori, ovvero organismi presenti in ambito marino o anche terrestre e che assorbendo i radionuclidi per varie vie possono rappresentare un valido segnale per comprendere come i radionuclidi arrivano poi all'organismo umano. 
Purtroppo però, nonostante questo aspetto sia stato segnalato da tempo[2], sembra persistere una volontà di tranquillizzare la popolazione evitando la diffusione di notizie allarmanti e l'applicazione di metodi efficaci per valutare l'inquinamento.

La situazione a Napoli

Napoli come abbiamo detto è un punto di passaggio "turistico" e quindi non è esposta ai medesimi rischi di porti dove invece vengono effettuate le operazioni di manutenzione dei sottomarini. 
Non può però ritenersi completamente sicura, sia perché gli eventuali incidenti sono imprevedibili e potrebbero capitare anche a un sottomarino ormeggiato nel porto di Napoli (è già successo nel 1968 allo Scorpion, affondato poi dopo pochi giorni), sia perché in ogni caso, di fronte a situazioni di estrema urgenza, il porto di Napoli potrebbe essere utilizzato lo stesso anche se non attrezzato per ospitare un sottomarino in avaria. 
Nell'ambito delle rilevazioni dell'inquinamento che dovrebbero essere effettuate dagli enti preposti osserviamo una grave carenza. Come evidenziato nei grafici allegati, a Napoli (o più in genere nel Meridione, visto che anche Taranto ha una situazione simile) da tempo non vengono effettuate analisi nonostante i valori fossero significativi e richiedessero ulteriori approfondimenti.

Che fare? 

Approfittiamo quindi di questa occasione partenopea del convegno sul nucleare per lanciare qualche proposta pratica. 
Così come è stato fatto in altri porti italiani, sarebbe opportuno presentare anche a Napoli la richiesta di visione del piano di emergenza, così come previsto dalla legge. 
Si tratta di un diritto dei cittadini che viene tuttora ostacolato o negato dai prefetti di varie città in nome del segreto militare, ma è importante mantenere alta la pressione sulle istituzioni per spingerle a chiarire (se necessario in sede parlamentare) questa situazione di cui abbiamo già mostrato la grave contraddizione. 
Un altro diritto dei cittadini napoletani che viene tuttora ignorato sarebbe quello di essere informati sulla presenza di navi a propulsione nucleare nel porto. 
Si tratta di una misura prevista dai piani di emergenza ma che non viene attuata in nome di una segretezza contraddittoria e per di più anche fuori luogo visto che, a quanto ci risulta, non siamo in stato di guerra e non si vede cosa ci sia di così importante da nascondere. 
Allo stesso tempo è assai importante operare i necessari controlli sull'inquinamento ambientale: indipendentemente dal fatto che transitino sottomarini nucleari, è fondamentale che la cittadinanza napoletana sappia lo stato del proprio ambiente.

C.P.

https://www.peacelink.it/disarmo/a/1471.html

http://www.iskrae.eu/sicilia-esercitazioni-nato-pericoloso-sottomarino-nucleare/