mercoledì 10 luglio 2019

RISERVE AUREE ALLA BCE/ Un trasferimento che non è previsto nei Trattati


L’articolo 30 dello Statuto del Sebc richiede alle banche centrali nazionali di trasferire un certo ammontare di riserve in valuta estera. Ma non si fa cenno all’oro

La sede della Bce a Francoforte (LaPresse)

Il presidente della Camera dei deputati aveva chiesto alla Bce due pareri relativi a due proposte di legge riguardanti, rispettivamente, la tematica della nazionalizzazione della Banca d’Italia e l’interpretazione autentica intesa ad attribuire la proprietà delle riserve auree allo Stato.

La prima proposta è rivolta, tra l’altro, all’abolizione della legge che aveva rivalutato il valore nominale delle quote della Banca d’Italia da 156.000 euro a 7,5 miliardi di euro, causando un danno economico perenne alle entrate del bilancio dello Stato connesso alla distribuzione di dividendi a banche private. La seconda riprende una legge in vigore dal 1988 per fornire un’interpretazione autentica sulla proprietà delle riserve auree affermandone la proprietà in capo allo Stato.

Queste due proposte presentano, a mio parere, elementi di criticità, perché inducono il soggetto che fornisce il parere a fare obiezioni, in quanto formulate in un periodo storico nel quale già la Bce ha preso una posizione contraria all’emissione dei cosiddetti mini-Bot che è priva di qualunque fondamento.

Infatti la Bce non appare lineare nelle sue argomentazioni e si appiglia a possibili risvolti di natura contestativa, come quando – relativamente al primo parere – formula delle riserve di legittimità a causa dell’esproprio conseguente all’obbligo, per i soggetti privati, di essere costretti a cedere al Tesoro le quote possedute a un prezzo irrisorio per avvalorare, e quindi sostenere, altre questioni sulla struttura proprietaria e sull’indipendenza della Banca d’Italia, che invece l’iniziativa legislativa non avrebbe potuto consentire.

Strategicamente, sarebbe stato opportuno – se veramente fosse stato l’obiettivo da raggiungere – farsi promotori di un referendum abrogativo dell’intera legge, che aveva consentito la rivalutazione del valore nominale delle quote della Banca d’Italia, ripristinando, così la situazione precedente. Perciò, si sarebbe potuto semplicemente imporre che lo Statuto della Banca centrale venisse rispettato, obbligando i possessori delle quote a disfarsene perché, essendo soggetti privatistici, non potevano essere proprietari di un organismo di diritto pubblico. In questo modo la Banca d’Italia non sarebbe diventata, di fatto, di proprietà straniera.

Passando alla proposta interpretativa sulla custodia e la gestione delle riserve auree, si fa ulteriore confusione. Infatti, la Banca d’Italia ha sempre detenuto, assieme agli altri istituti di emissione, in particolare quelli meridionali, i valori monetari o i lingotti depositati dai cittadini dei vari Stati confluiti nella Nazione. Lo dimostra la circostanza che, allorquando il ruolo di banca centrale e di istituto di emissione fu accentrato in capo alla sola Banca d’Italia, approfittando dello scandalo della Banca Romana, le disponibilità auree furono assegnate per la gestione al Cambital, poi denominato Ufficio Italiano dei Cambi. Se detti valori fossero stati di proprietà della Banca centrale, non avrebbe avuto senso prevedere che gli stessi fossero gestiti da un diverso organismo.

Eppure, nel parere, la Bce, in maniera surrettizia, effettua un’estensione del concetto di riserve valutarie includendovi le riserve auree, in tal modo consentendo una giustificazione al trasferimento delle stesse alla Bce e lasciando solo all’oro residuato in deposito presso la Banca d’Italia il possibile riconoscimento della proprietà allo Stato, esplicitando, peraltro, che detto riconoscimento potrebbe essere interpretato come illegittimo. Invero, l’articolo 127, paragrafo 2, del Trattato stabilisce che tra i compiti da assolvere tramite il Sebc vi è la detenzione e la gestione delle riserve ufficiali in valuta estera degli Stati membri e non l’oro, che non è valuta estera. Ma per realizzare l’accostamento, il parere ricorre all’articolo 31 dello Statuto del Sebc e alla nota esplicativa predisposta dai proponenti la proposta di legge sulla proprietà delle riserve auree, affermando che si fa riferimento alle attività di riserva in valuta estera che restano alle banche centrali nazionali dopo il trasferimento alla Bce.

A tal proposito, in questo modo le riserve auree diverrebbero surrettiziamente e transitoriamente di proprietà della Banca d’Italia per farle conferire alla Bce e soltanto la parte residua verrebbe lasciata nella disponibilità della disciplina legislativa.

Nel parere espresso dalla Bce, a pagina 9, nota 33, si afferma: “L’articolo 30 richiede a tutte le BCN, compresa la Banca d’Italia, di trasferire un determinato ammontare di riserve in valuta estera, tra cui riserve auree, alla Bce, in proporzione alla loro quota di partecipazione al capitale della Bce”.

Ma il citato articolo 30 non fa alcun riferimento alle riserve auree, bensì alle riserve in valuta. L’estensione alle riserve auree costituisce un’interpretazione attribuibile esclusivamente alla Bce, con la quale si è consentito di procedere a una surrettizia espropriazione delle ricchezze degli italiani per colmare le enormi perdite accumulate, nella fase di costituzione della banca centrale, quando non si era nemmeno sicuri se l’Italia sarebbe stata accolta nell’Unione europea.

Proprio prima di quegli anni fu predisposta in Banca d’Italia una politica di acquisto di oro e fu conferita evidenza contabile all’oro presso di essa depositato, approfittando delle leggi agevolative di rivalutazione degli attivi.

In pratica, le due proposte e il parere inducono a ipotizzare che verosimilmente sia stato avviato un processo preordinato al raggiungimento di uno scopo, per qualche motivo non dichiarabile, volto a modificare per successive tappe la realtà dei fatti.
Del resto, sono numerosi gli approfondimenti sull’operato delle banche centrali che hanno portato a valutazioni negative, soprattutto per l’azione particolarmente penalizzante sui risparmi degli italiani, quelli più sostanziosi in area euro: qualunque emissione di nuovo denaro da parte del Sebc determina una proporzionale appropriazione dei risparmi in euro.
Per far capire questa affermazione ipotizziamo che il valore dei nostri risparmi finanziari sia pari a 10.000 miliardi di euro e che l’emissione monetaria totale della Bce abbia lo stesso importo; qualora la Bce, per i poteri ad essa conferiti, aumentasse la sua emissione tra i vari canali, compreso il Quantitative easing, raddoppiandoli a 20.000 miliardi, ciò causerebbe una riduzione dei nostri risparmi da metà a un terzo del totale.

Questo stillicidio, unito ad altri provvedimenti, come il bail-in, costituisce un elemento fortemente penalizzante del quale nessuno appare consapevole e i soggetti responsabili delle decisioni non fanno nulla per dimostrare che non ci sia una concatenazione tra gli eventi per evitare di alimentare ipotesi di complottismo.

Per dimostrarlo basterebbe restituire pro quota ai risparmiatori italiani quello che “elegantemente” è stato sottratto, ma che invece è stato trasferito ai debitori privati europei, ovviamente non italiani, attraverso il famoso spread a cui siamo sistematicamente sottoposti.

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