venerdì 28 settembre 2018

GIOCHI DELLA MORTE IN RETE E SFIDE ASSASSINE. COSA DEVONO FARE I GENITORI E COME POSSONO ACCORGERSI SE I FIGLI SONO IN PERICOLO?

GIOCHI VIRTUALI PERICOLOSI: IL FOCUS DELLO SPECIALISTA, D.SSA MAURA MANCA
Dopo l’allarme Blue Whale Game, adesso è allarme MOMO Game, uno dei tanti giochi pericolosi che ciclicamente vengono lanciati in rete e diffusi tramite chat e social. Chiamati erroneamente giochi, arrivano spesso anche nei telefoni dei bambini invasi dalle immagini che vedono e che non sono in grado di contestualizzare e filtrare. Spesso diventano virali e si cambiano forma, diventano challenge o sfide e solleticano le personalità più deviate che approfittano di questi “giochi” per cambiargli forma e trasformarli in sfide pericolose.
In genere l’allarme viene sempre lanciato tardivamente e non in via preventiva. Ci si accorge del problema quando, forse, troppi adolescenti, sono già caduti nella rete di chi è maestro nel manipolarli e nel plagiarli, inducendoli anche, a fare ciò che in altre condizioni non avrebbero mai fatto.
Si dovrebbe lanciare più frequentemente l’allarme perché in rete sono presenti numerosi spazi in cui vengono indotti gli adolescenti al suicidio, in cui la vita ha un senso e significato che non dovrebbe avere, troppo labile, che diventa quasi un gioco perverso o una condizione “normale”. Ci sono anche tantissimi spazi dedicati all’autolesionismo, dove si creano delle vere e proprie comunità di rinforzo, dove si sollecitano i ragazzi a farsi del male come soluzione ai problemi, ci sono spazi in cui si spiega come tagliarsi le vene senza uccidersi e altri invece sul come fare per ammazzarsi. Ho lanciato l’allarme nel libro L’autolesionismo nell’era digitale e Generazione Hashtag, editi da Alpes, perché vedo ciò che fanno realmente i ragazzi in rete e quanto solo vulnerabili in questa fascia di età.
La tendenza degli adolescenti di cercare il “lato oscuro” del web, di partecipare a giochi online o a challenge di ogni tipo, anche le più pericolose, è consuetudine quasi quotidiana. Loro cercano cose horror, macabre, particolari, leggono, si fanno condizionare, a volte per fortuna spaventare, si spingono oltre e poi purtroppo può scattare, non solo la curiosità tipica adolescenziale, ma anche l’effetto contagio. Questo è il meccanismo alla base di queste challenge o sfide in rete molto pericolose o di questi giochi macabri.
Tanti invece vanno alla ricerca delle parti più nere del web perché vogliono capire le loro parti più profonde, più oscure, vogliono dare un senso alle cose, risposte e tante, anzi troppe, volte trovano dall’altra parte chi è in grado di cogliere questi segnali di vulnerabilità e chi riesce a dargli quello di cui hanno bisogno in quel momento per adescarli, per portarli a sé e poi fargli un lavaggio del cervello. In rete ci sono veramente una miriade di esche lasciate da questa gente malata e distorta che si approfitta delle fragilità adolescenziali. Ci sono sette sataniche, adescatori sessuali, manipolatori mentali, troppi spazi virtuali di perversione e di rischio per i ragazzi che non sono in grado di gestire queste situazioni più grandi di loro perché non hanno ancora gli strumenti adatti. 
Oggi bisogna stare attenti ai tag, quei # che posso essere dei segnali di allarme, delle lampadine che rendono visibili gli adolescenti in rete, dei richiami che li portano piano piano dove non dovrebbero andare. Sono gli adolescenti che man mano che cercano, digitano determinati hashtag, come spiego in maniera più approfondita nel mio libro Generazione Hashtag, che fanno specifiche ricerche, entrano in alcuni profili, gruppi chiusi e mano mano vengono adescati e poi manipolati e condizionati. Sembra un meccanismo complesso ma veramente non lo è. E’ l’adolescente che in qualche modo si rende adescabile e loro sfruttano le vulnerabilità e coltivano purtroppo in un terreno mentale troppo fertile.
A me, comunque oggi, preoccupa maggiormente l’effetto contagio e la curiosità, sono numerosi i ragazzi che vanno alla ricerca di contenuti: “Ho visto persone che si tagliano e si disegnano una balena sul braccio”, “Possono arrivare anche a me?”, “Ho visto un video su Youtube e mi sono spaventata”, “Sono curioso, vorrei scaricarlo per vedere com’è”, “Non ne parlo con i miei, altrimenti vanno in ansia e mi sequestrano tutto, smartphone e pc”.

ECCO I SEGNALI A CUI UN GENITORE DEVE STARE ATTENTO PER CAPIRE SE IL FIGLIO HA UN PROBLEMA DI QUESTO TIPO O SI STA INCASTRANDO IN RETE IN SITUAZIONI PERICOLOSE

Non è la condizione di un momento, la manipolazione e l’adescamento sono dei processi più o meno lunghi a seconda della predisposizione del ragazzo stesso per cui nel mentre, se si è dei bravi osservatori si riescono a cogliere i segnali per tempo.
Il vero problema è che la maggior parte dei genitori non conosce realmente i propri figli, non si fermano ad osservarli nella loro quotidianità, a guardarli dentro gli occhi, si va troppo di fretta e si dà peso a troppi aspetti superficiali, meno interiori come la scuola, il disordine, il rispondere male e magari loro nel mentre soffrono, anche se apparentemente non lo fanno vedere. Se un genitore non sa chi è realmente suo figlio non lo sa quantomeno nel web, uno spazio ancora più lontano che crea un profondo gap tra genitori e figli.
1. La prima cosa da fare è imparare a conoscere il figlio e la sua adolescenza, senza paura e senza critiche né giudizi, ma accettazione. Ci sono però delle costanti comportamentali che sono evidenti. Bisogna imparare a conoscere le micro abitudini, non le macro abitudini e nel contempo valutare quando variano nella FREQUENZA e nella TIPOLOGIA, senza allarmarsi per ogni oscillazione tipica e caratteristica della fase adolescenziale. Già riconoscere questi parametri significa andare oltre le apparenze ed essere un passo più vicini ai figli.
2. Non è con il chiedere l’amicizia ad un figlio o fare un profilo finto per spiarlo la soluzione, come credono tanti genitori, anche perché un genitore non ha la stessa logica dei figli e la stessa capacità di filtrare ciò che accade nei social. Per capire se si sono incastrati nel web si deve stare attenti ad altre variabili come cambiamenti nell’uso dei social, per esempio cambia la modalità con cui vengono pubblicati i post, cambia la frequenza, la tipologia di contenuti, anche non in maniera macroscopica e particolarmente evidente.
3. I segnali domestici a cui stare attenti sono legati al fatto che possono diventare più schivi, più isolati, sono più attenti al cellulare, sono più ansiosi, si alza il livello di controllo e di chiusura, si può osservare un cambiamento nelle modalità di utilizzo, per esempio un uso maggiore durante la notte.
4. Cambiamenti nelle abitudini quotidiane, per esempio un po’ più di chiusura anche alle relazioni sociali, assenza in casa, apatia. Cambiamenti nella quantità di tempo che trascorrono con gli amici, nelle uscite con gli altri, nella condivisione nel “reale” e nel rapporto con la scuola. Lamentano di non volerci andare, che sono stanchi, si inventano malattie, cala il rendimento.
5. Richieste che prima non facevano del tipo di andare in determinati posti, di uscire più a lungo, rientrare più tardi senza una ragione particolarmente valida. Attenzione se escono di notte, se non dormono, se cambiano i loro comportamenti anche nel mangiare o nella tipologia di serie o film che guardano e soprattutto come lo fanno. Molti di loro si “abbuffano” per ore e questo è una forma di alienazione che abbassa il loro livello critico e di coscienza.
6. Si devono rilevare anche i cambiamenti nell’umore, ci può essere più irascibilità o irritabilità, nervosismo o apatia, svogliatezza e affaticamento psico-fisico.
7. Si possono presentare maggiori preoccupazioni, possono cambiare anche i discorsi che fanno, porre qualche domanda che prima non facevano su determinati aspetti, chiedere cose che prima non avevano mai chiesto, con contenuti un po’ più particolari a cui è difficile fare caso. Lo fanno a volte, chiedono anche a mezza bocca e cercano di affrontare delle tematiche importanti che non possono essere sminuite e sottovalutate. Magari farci caso e domandargli il perché stanno facendo quel tipo di domande sarebbe decisamente importante. Prima di tutto deve conoscere il figlio e iniziare a guardarlo nel suo contesto e nei suoi movimenti. Non sminuire nessun segnale, contestualizzare però tutto ciò che fa senza creare oppressione, invasione ed inutili allarmismi. Non è un segnale, ma è la somma.
Quando un genitore ha un profondo sospetto che qualcosa non va, può anche rivolgersi in maniera non oppressiva ed invasiva agli amici e chiedere se anche loro hanno notato qualcosa che non va, dei cambiamenti, se hanno qualche sospetto, se secondo loro c’è qualcosa che lo turba, senza possibilmente fare la “spia” ma intervenire da adulti. Tante volte non parlano neanche con gli amici, anche perché spesso non hanno degli amici intimi.
Se i figli vedono che il genitore diventa oppressivo possono innalzare maggiormente il livello di guardia e nascondersi ancora di più e se decidono di farlo per esempio nel web sarà decisamente difficile per un adulto non tecnologico trovarlo, oppure in base al temperamento possono diventare più nervosi o più attenti nel senso che fanno vedere al genitore che va tutto bene e che non si devono preoccupare di niente.
Quando ci si accorge che il figlio è incastrato in rete come intervenire? 
E’ importante rivolgersi agli specialisti in settore e alla Polizia Postale che si occupa di questi aspetti e che ha anche un commissariato online in grado di prendersi carico di queste problematiche.

Denuncia per stalking: quando scatta il reato?

Anche in presenza si telefonate petulanti e continue se il motivo le giustifica non si commette reato di stalking.



Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la numero 38675 del 16 settembre 2016, ha affermato che se l’insistenza delle continue telefonate è giustificata da un motivo valido non si incorre nel reato di stalking.
Quello che generalmente si chiama stalking telefonico è in realtà un reato di molestia alla persona e non vi si incorre se si chiama continuamente l’ex moglie per cercare di parlare con i figli. 

Reato di stalking: che cosa è?
Chi compie reato di stalking? Chi da fastidio o disturba in luogo aperto al pubblico o telefonicamente un’altra persona o chi si comporta in maniera petulante, pressante, ripetitiva con la precisa volontà di interferire nella libertà altrui creando anche turbamento.
Per il reato di stalking oltre all’ammenda pecuniaria che può arrivare fino a 516 euro, è previsto anche l’arresto da 15 giorni a 6 mesi.
Si intendono come molestie tutti quegli atti e comportamenti che creano in chi li subisce disagio, irritazione o tormento interiore sfociando, a volte, anche nella paura.

Quando lo stalking non è reato
Anche se alcuni comportamenti possono essere considerati irritanti e pressanti non sempre sono punibili penalmente. Infatti, un padre che non vede i figli e per poter parlare con loro, o almeno informarsi del loro stato di salute, deve chiamare continuamente sul telefono dell’ex moglie che non risponde mai, non commette reato di stalking. In questo caso, infatti, i numerosi messaggi e le continue chiamate hanno una giustificazione valida e costituiscono lo strumento per far valere un proprio diritto: sentire i propri figli.
In questo caso, appunto, le telefonate non sono volte all’interferire nella sfera privata di qualcuno violando la sua libertà e la sua quiete e proprio per questo, a prescindere dall’insistenza, non vi è alcun reato.

Israele continua l’assedio all’Iran. E adesso punta di nuovo sul Libano


Benjamin Netanyahu ha un solo obiettivo: l’Iran. Ed è disposto a fare qualsiasi cosa per colpireogni possibile mossa di Teheran in Medio Oriente. Lo ha dimostrato con i raid in Siria, ma lo ha fatto anche con le pressione rivolte in ogni angolo del mondo contro l’accordo sul programma nucleare iraniano.
Donald Trump lo ha seguito: e ora gli Stati Uniti sono fuori dall’accordo. Ma per il premier israeliano non basta. Vuole che tutto il mondo si unisca a quella che per lui è una guerra senza esclusione di colpi. E dopo la conferenza di Tel Aviv in cui si presentò con cd e faldoni spiegando che si trattasse di documenti dell’arsenale iraniano rubato dal Mossad in un’operazione segreta, adesso è il turno dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite.
Davanti ai leader del mondo, Netanyahu ha accusato pubblicamente l’Iran di avere un sito segreto di stoccaggio nella capitale, Teheran. “L’Iran non ha abbandonato il suo obiettivo di sviluppare armi nucleari. State sicuri che non succederà”, ha detto il premier israeliano “A maggio abbiamo svelato l’esistenza del sito degli archivi segreti atomici dell’Iran. Oggi rivelo una seconda struttura, il deposito atomico segreto di Teheran”. E ha chiesto all’Agenzia internazionale per l’Energia atomica di avviare un’inchiesta sul sito di stoccaggio.
Ma le accuse rivolte da Netanyahu non si sono fermate al territorio iraniano. Ed è soprattutto una seconda accusa a svelare un’altra area di crisi pronta di nuovo a riaccendersi: il Libano.
Non è un mistero che Israele consideri quello di Siria e Libano un fronte unico. Se l’Iran è l’obiettivo principale, Hezbollah è da sempre considerato dai governi israeliani l’obiettivo immediato per colpire la strategia di Teheran in Medio Oriente. Sono loro a essere considerati l’avamposto al confine di Israele. E l’occhio di Netanyahu è tornato a posarsi sul Libano, tanto da mostrare le foto con una mappa di Beirut in cui sono indicati tre siti missilistici iraniani che il premier dello Stato ebraico ritiene siano stato individuati dalla sua intelligence.
L’annuncio del primo ministro sulla presunta scoperta dei siti iraniani a Beirut non è da sottovalutare. Perché conferma che Hezbollah è tornato di nuovo al centro del mirino israeliano. E con l’ombrello russo posto a protezione della Siria e del Mediterraneo orientale, la difficoltà per le Israel defense forces (Idf) di operare in Siria potrebbe rendere più prossima la decisione di Israele di concentrarsi su Hezbollah in Libano, che proprio ora viene accusato di ospitare missili iraniani nella stessa capitale libanese.
Sotto questo profilo, l’annuncio di Netanyahu va letto in una duplice prospettiva. Da una parte, è chiaro che la pressione sull’Iran è destinata ad aumentare e non accennerà a diminuire nel breve termine. Per Netanyahu è prioritario colpire Teheran e fare in modo che sempre più Paesi si uniscano nell’assedio contro la Repubblica islamica.
Questo annuncio di fronte ai leader del mondo si può leggere anche come la volontà di mettere molti Stati all’angolo, Usa e Russia in testa. L’accusa pubblica è tesa a creare uno spartiacque: a fare in modo che nessuno possa tirarsi indietro senza smentire pubblicamente Israele. E questa è una tattica politica molto astuta, per quanto scivolosa.
Ma dall’altro lato c’è un secondo segnale: che Hezbollah, adesso, può essere di nuovo inserito al primo posto del’agenda israeliana. Non va dimenticato che proprio dopo l’ultimo raid su Latakia, il leader del Partito di Dio, Hassan Nasrallahha tenuto a precisare che il suo movimento avrebbe continuato a rafforzare la sua presenza militare e migliorato le sue capacità “nonostante gli sforzi israeliani”.
Rivolgendosi a Israele, il leader del movimento sciita ha detto che per quanto riguarda il trasporto di armi dall’Iran al Libano, “non importa cosa ha fatto (Israele, ndr) per tagliare il percorso, è finito. È già stato completato“, aggiungendo che Hezbollah adesso “possiede missili di precisione”. Nasrallah ha poi concluso con una frase chiara: “Se Israele impone una guerra al Libano, Israele affronterà un destino e una realtà che non si è mai aspettata”.
Dopo alcuni giorni, ecco arrivare le accuse del premier israeliano sui missili stoccati a Beirut. E se in questo mondo, specialmente in Medio Oriente, le coincidenze non esistono, è chiaro che siamo si fronte a un’escalation per ora verbale, ma che potrebbe trasformarsi anche in qualcosa di molto più reale.
Fino ad ora, Israele ha colpito in Siria in modo da evitare sia di andare direttamente in Iran, sia di compiere operazioni in Libano. Ma se la Siria sarà impossibile da colpire, per raggiungere gli obiettivi di Hezbollah le Idf potrebbero di nuovo puntare sul Paese dei cedri oppure, come già fatto alcune settimane fa, orientarsi in Iraq. Quello che è certo è che Israele non si fermerà: e questo è un monito per tutti gli equilibri regionali.

Spray al peperoncino gratis per le donne: boom di domande dopo i casi di stupri

Contro gli stupri e la violenza, gratis per le donne lo spray al peperoncino da portare in borsa: ecco dove e come richiederlo.


Non è un caso che in questi ultimi giorni su internet si moltiplichino le ricerche di “spray al peperoncino”. Tantissime donne chiedono se è legale, se è un’arma e come si può ordinare. E in questo clima si inserisce la proposta del sindaco di Cascina, in provincia di Pisa, Susanna Ceccardi (Lega Nord). Il primo cittadino si è fatto fotografare promuovendo lo spray al peperoncino. Cartelli appositi sono stati affissi con la dicitura sia in italiano che in arabo “L’Amministrazione Comunale di Cascina ripudia ogni forma di violenza sulle donne: tratta anche tu le donne con rispetto!”. Spiega Ceccardi che la scritta è stata volutamente tradotta anche in arabo per lanciare un chiaro segnale di ripudio alla violenza sulle donne.
Dopo i casi degli stupri a Rimini, che hanno avuto risonanza mediatica per via della particolare ferocità e per la divulgazione di dettagli intimi e morbosi, l’Italia, partendo da Pisa, si muove per dare un segnale agli stranieri che vengono nel nostro Paese. Dal sindaco Ceccardi la richiesta che “le istituzioni prendano una posizione netta e chiara per far capire che considerare le donne inferiori non è un principio di una differente cultura da rispettare, ma è un vero e proprio reato perseguibile per legge”.
Lezioni di autodifesa personale gratuite
Oltre allo spray al peperoncino gratis, il sindaco di Cascina ha patrocinato “delle lezioni di autodifesa gratuite che partiranno alla fine di settembre rivolte ai cittadini di Cascina. Purtroppo in Italia per la sicurezza si destinano sempre meno risorse e i cittadini in molti casi sono costretti a difendersi da soli. Per questo riteniamo necessario che i cittadini abbiano gli strumenti per potersi difendere in situazioni di pericolo”.

TUZLA IL LAGO CHE UCCIDE



Da Tuzla (Bosnia-Erzegovina)
“Non fronda verde, ma di color fosco; non rami schietti, ma nodosi e ‘nvolti; non pomi v’eran, ma stecchi con tosco”. Così Dante Alighieri, nel XIII canto dell’Inferno, introduce la pena dei violenti contro se stessi: i suicidi. Chi in vita peccò contro il corpo e la salute, per la legge del contrappasso, nell’Ade è destinato a una selva di alberi dove nulla sopravvive.
I versi danteschi ben descriverebbero il lago di ceneri di Tuzla, nella terza città della Bosnia. A pochi chilometri dalla più grande centrale a carbone del Paese sorge un allucinante deposito di rifiuti a cielo aperto, dove per decenni si sono accumulate le scorie derivanti dalla combustione della lignite: decine di ettari di terreno dove galleggiano acqua e ceneri, ricche di metalli pesanti letali per l’uomo e per l’ambiente.
Non vi nuotano pesci, gli arbusti seccano e gli alberi sbianchiscono. La mistura di acqua e ceneri, convogliata dalla centrale attraverso una tubatura quadrupla, viene scaricata nel terreno senza protezione per il suolo né per la falda. 
UNA CENTRALE FUORI CONTROLLO
La prima pietra del grande impianto termoelettrico fu posata nel 1959 ma in quasi sessant’anni poco o nulla è stato fatto per combattere l’inquinamento che ne fuoriesce. Le autorità protestano che si tratta di un’infrastruttura strategica: la Bosnia ha ancora un’elevata dipendenza dal carbone e la centrale di Tuzla, gestita dall’azienda pubblica Elektroprivreda, assicura energia a tutta la regione.
Il prezzo di questo servizio, però, è drammatico. Nell’aria è presente una concentrazione di polveri sottili fuori da ogni norma mentre le ceneri vengono disperse nel lago, contaminando le colture e la fauna locale. Secondo il “Centro per l’ecologia e l’energia” le acque del lago hanno un ph di 11, prossimo a quello dell’ammoniaca: “Qualsiasi forma di vita vi è impossibile – spiega il coordinatore del programma per l’energia e il cambiamento climatico, Denis Žiško – Come non bastasse nel vecchio sito di stoccaggio delle ceneri sono anche stati sotterrati 3mila metri cubi di amianto derivanti dalla demolizione di una torre di raffreddamento.“ A poca distanza dal lago, infatti, sorge un lago prosciugato da cui nei giorni ventosi si alza una polvere velenosa che ricopre i villaggi più vicini.
I METALLI PESANTI PRESENTI NELL’AMBIENTE
Nell’indifferenza quasi totale delle istituzioni, alcune associazioni ambientaliste hanno dato vita ad un’intensa campagna per sensibilizzare l’opinione pubblica, avviando, pur a fatica, i primi studi scientifici sull’inquinamento della regione.
Il professor Abdel Đozić, docente di ingegneria ambientale all’università di Tuzla, convive ogni giorno con l’ostilità di colleghi ed istituzioni proprio per la sua attività di ricerca e di denuncia. In collaborazione con il Cee ha raccolto i dati sull’incidenza di tumori e patologie cardiorespiratorie fra la popolazione. Uno studio del 2018 ha rilevato la presenza di arsenico e cadmio – connessi all’insorgere di diverse forme di tumori – nel terreno, nel particolato, nelle colture e nei pesci. Nei capelli degli abitanti della zona sono state trovate tracce di metilmercurio, un elemento estremamente tossico, oltre che di molti altri metalli pesanti.
LE CONSEGUENZE SULLA SALUTE PUBBLICA
I dati sullo stato di salute della popolazione sono se possibile ancora più eloquenti: se a Solina, località della regione dove il livello di inquinamento è particolarmente basso, solo il 7% degli abitanti è colpito da una patologia cardiovascolare, nei villaggi più vicini alla centrale questa percentuale sfiora il 70%.
A Solina nel 15% delle famiglie si conta almeno un morto di tumore: nei quattro villaggi più vicini alla centrale la percentuale è quasi tripla. Le patologie più frequenti sono il carcinoma ai polmoni e quelle cardiovascolari.  
“La percentuale di incidenza per mortalità e malattie dovute a una lunga esposizione a metalli pesanti contenuti nelle ceneri, nella polvere e nell’aria è in media del 34% fra chi vive vicino alla centrale. Fra gli abitanti di Solina è del 2% – conclude Đozić – Le autorità della centrale non commentano il nostro studio, dicono che io e gli attivisti lavoriamo per gli stranieri. Ma è una menzogna”.
LA RABBIA DEI RESIDENTI
Nel villaggio di Bukinje gli annunci funebri riportano molti nomi di persone non ancora giunte ai sessant’anni. A Divkovici, che si va spopolando, la maggior parte dei bambini soffre di disturbi respiratori. Fra loro anche i figli di Goran Stojak, rappresentante della comunità locale. “Quest’acqua è veleno puro – dice camminando sulle sponde del lago, dove la cenere si è ormai solidificata – Ho provato a chiedere all’ispettorato che dovrebbe proteggere i cittadini ma non fanno niente e non vogliono fare niente. Ci ridicolizzano, ci prendono in giro: li sento dire che di notte vedono la luce verde (delle radiazioni, ndr) che viene dalla nostra zona.”
LE AUTORITA' TACCIONO
Contattata da Gli Occhi della Guerra, la direzione della centrale non ha risposto; le autorità municipali di Tuzla non hanno invece nemmeno voluto ricevere i cronisti. A complicare ulteriormente la situazione è la corruzione e la cronica lottizzazione degli incarichi nella dirigenza della centrale, che rende difficile a questa o a quella forza politica denunciare la situazione. 
L’unico a rispondere alle nostre domande è stato il viceministro federale dell’ambiente, Mehmed Cero. Nel suo ufficio di Sarajevo, però, il viceministro si è trincerato dietro l’incompetenza del proprio ufficio, che pure in linea gerarchica dovrebbe essere il più potente. Candido, spiega che le leggi esistenti sono sufficienti ma che il vero problema è la loro applicazione: tuttavia aggiunge che non è compito del governo farle applicare. Infine non esita a scaricare la responsabilità dei mancati controlli sulle autorità municipali e cantonali di Tuzla, oltre che sull’ispettorato federale e sull’istituto idrometeorologico di Bosnia. Insomma, tutti colpevoli meno il governo di cui è rappresentante.
L’evasione dalle responsabilità delle autorità locali è particolarmente sconfortante se si considera che nel 2017 l’Organizzazione mondiale della sanità ha inserito Tuzla fra le tre città europee con la peggiore qualità dell’aria. Un vero e proprio suicidio, come già Dante aveva capito con profetica lungimiranza.

Germania, quegli agenti immigrati che minacciano il corpo di polizia



IN QUESTO ARTICOLO LA PROVA CHE L'INTEGRAZIONE IN EUROPA DI MIGRANTI APPARTENENTI AD ETNIE DIVERSE E' PURA UTOPIA. ED E' PROPRIO IN GERMANIA CHE LA SITUAZIONE DIVENTA SEMPRE PIU' INSOSTENIBILE, AL LIMITE DELL'IMPLOSIONE. 

I primi campanelli d’allarme sono suonati nell’accademia di polizia di Berlino-Spandau qualche mese fa. La pietra dello scandalo, l’episodio che ha cambiato le prime pagine persino dei giornaloni, è stato un file audio di una segreteria privata. Una registrazione diffusa su vari canali e certificata come autentica dalla polizia stessa. È il Die Welt a riferire tra i primi le indiscrezioni rivelate da un paramedico a cui erano state affidate una serie di lezioni all’accademia di Berlino-Spandau, e quello che è venuto fuori non è che l’ennesima nota stonata di una lunga serie di scandali che stanno coinvolgendo la polizia di Berlino.


«Oggi ho tenuto una lezione all’accademia di polizia, non ho mai provato nulla di simile, l’aula sembrava un porcile, metà della classe erano arabi e turchi, maleducati come mai prima. Stavo per espellere due o tre di loro perché disturbavano la classe, alcuni addirittura dormivano. I colleghi tedeschi mi hanno raccontato di essere stati minacciati. Non parlano neanche tedesco. Sono scioccato, ho paura di loro. Gli insegnanti … credono che se dovessero espellerli, ci sarebbe il rischio che questi distruggano le macchine per strada … Questi non sono i nostri colleghi, questi sono i nostri nemici e sono tra di noi. Non ho mai trovato un simile odio espresso nelle aule». Sono gli estratti del file che ha fatto scandalo. E non sono tardate le reazioni. Come quella del portavoce della polizia, Thomas Neuendorf. «Daremo un’occhiata, parleremo con tirocinanti e studenti per capire se c’è qualcosa che non va», è stata la prima dichiarazione rilasciata alla stampa tedesca. Per poi passare all’ammissione: «Ci sono spesso problemi all’accademia di polizia. Alcuni dei cadetti hanno commesso reati, ma sono immediatamente stati espulsi». 

D’altronde, dall’incrocio dei dati è emerso che le dichiarazioni non solo non rappresentavano niente di nuovo per l’ambiente, ma che persino al Bundesrat – Senato tedesco – erano già a conoscenza degli enormi problemi dei cadetti «di origine migrante». Attualmente è il 30% degli agenti ad avere un «passato migrante», come ama scrivere la stampa a cui piace piacere. Ed è sempre il Die Welt, nei giorni scorsi, a diffondere il resoconto di una riunione agli alti ranghi della polizia di Berlino, in cui il personale lamentava i vari problemi emersi «dall’assumere ex immigrati». Al momento dell’arruolamento sono state diverse le cose su cui si è preferito chiudere entrambi gli occhi in nome forse del mito dell’integrazione. Si è scelto, per esempio, di andare oltre il prerequisito del saper nuotare e, persino circa l’«assenza di etica professionale». Così come, ovviamente, non poteva mancare quell’atteggiamento misogino che ritorna nei verbali degli abusi sessuali che coinvolgono immigrati e donne bianche’- di alcuni candidati e che è stato etichettato come «sufficienza nei confronti delle donne».

E se intanto le fonti confermano che «almeno una persona coinvolta nella criminalità organizzata è attualmente sottoposta all’addestramento della polizia», agenti che chiedono la tutela del proprio anonimato, giurano: «È solo una questione di tempo prima che qualcuno spari il primo colpo a un collega». Troppe le etnie differenti e in contrasto. 


Secondo le indagini il «sentimento di paura» all’interno dell’accademia di polizia di Berlino è quanto mai radicato. Come la paura di ritrovarsi clan criminali infiltrati nella polizia e nell’amministrazione. Niente di lontano dalla realtà. Basti pensare che la Bild a novembre denunciava il caso di una studentessa ventenne della School of Business and Law (HWR), assunta come tirocinante al distretto di Schöneberg a Berlino. Anche qui una stagista dal «passato migrante (arabo)», ma questa volta alla giovinetta non è andata troppo bene: è finita in manette per aver usato i computer della polizia per copiare i dati sulle indagini nei confronti di un clan criminale libanese.

Ma è da tempo che le cose al dipartimento di polizia di Berlino non vanno troppo bene. Anche prima che emergessero i nuovi scandali, infatti, era finito nell’occhio del ciclone per il mancato arresto del jihadista tunisino Anis Amri. L’uomo protagonista dell’attentato al mercatino di Natale di Berlino, il 19 dicembre 2016, dove sono morte 12 persone e 55 sono state ferite, poteva essere messo in gattabuia ben prima della strage. Diverse agenzie governative avevano chiesto alla polizia di Berlino di arrestare Amri con l’accusa di terrorismo e di una serie di altri crimini gravi o di metterlo quantomeno sotto sorveglianza permanente. Ma tutte le richieste restarono lettera morta. Era il febbraio del 2016 ben dieci mesi prima che Amri mettesse a punto la sua strage. A ottobre 2017 il Berliner Morgenpost pubblicava le indagini che rivelavano che ben due ufficiali della LKA avevano falsificato i documenti sulla scia dell’attacco terroristico per coprire ciò che riguardava le attività criminali di Amri. La vicenda è stata, però, presto archiviata con manomissione di documenti’ e l’accusa per gli ufficiali di ostacolo alla giustizia.


Esiste forse un filo rosso che lega tutte queste storie? Questi scandali sono solo la punta dell’iceberg? Sta di fatto che, da qualsiasi punto di vista si osservi la questione, la fotografia denuncia un fallimento della polizia di Berlino.

Nel parlamento statale di Berlino, l’FDP e il partito anti-immigrazione Alternativa per la Germania avevano chiesto una commissione d’inchiesta, ma l’ultimo risultato elettorale non ha giocato a loro favore. I democratici cristiani (CDU) si sono mostrati titubanti, mentre la coalizione di governo dei socialdemocratici (SPD), ex comunisti (Linke) e partito dei Verdi di Berlino ha dichiarato di essere contro ogni ulteriore indagine.

Intanto i dati certificano non soltanto uno stato di salute della polizia malmesso, ma che in aumento sono gli attacchi violenti contro la stessa polizia tedesca. Le statistiche ufficiali mostrano proporzioni epidemiche: la violenza compresi aggressioni verbali e fisiche, e persino omicidi – contro dilaga in tutti i sedici stati federali della Germania. Gli ultimi dati diffusi dal Bundeskriminalamt (BKA) denunciano 36.755 attacchi contro la polizia tedesca nel 2016 – una media di 100 al giorno.

Freddi Lohse, vicepresidente della polizia tedesca di DPolG ad Amburgo, ha dichiarato che molti criminali migranti considerano la clemenza del sistema giudiziario tedesco come un comodo via libera alle loro «abitudini». «Sono abituati a conseguenze più severe nei loro paesi d’origine. Non riescono ad avere alcun tipo di rispetto per noi». 

MARESCIALLO ANTONIO CAUTILLO : IL CORAGGIO DI DENUNCIARE-2015

1000877_578626758845913_2124236812_n

Il maresciallo Antonio Cautillo aveva denunciato abusi da parte di commilitoni. Vive un inferno kafkiano da 23 anni. Inutili appelli ai ministri della Giustizia e della Difesa.
Qualcuno doveva aver calunniato Cautillo perché, una mattina, senza che avesse fatto nulla di male, iniziò un processo contro di lui.
OTTOBRE 2015

ATTO CAMERA

INTERROGAZIONE A RISPOSTA SCRITTA 4/10842

Dati di presentazione dell’atto
Legislatura: 17
Seduta di annuncio: 508 del 22/10/2015
Firmatari
Primo firmatario: COZZOLINO EMANUELE 

Gruppo: MOVIMENTO 5 STELLE
Data firma: 22/10/2015
Destinatari
Ministero destinatario:
  • MINISTERO DELLA DIFESA
  • MINISTERO DELLA GIUSTIZIA
Attuale delegato a rispondere: MINISTERO DELLA DIFESA delegato in data 22/10/2015
Stato iter:
IN CORSO
Atto Camera
Interrogazione a risposta scritta 4-10842
presentato da
COZZOLINO Emanuele
testo di
Giovedì 22 ottobre 2015, seduta n. 508
COZZOLINO. — Al Ministro della difesa, al Ministro della giustizia . — Per sapere – premesso che:

il settimanale Cronaca Vera in data 12 maggio 2015 ha pubblicato l’articolo intitolato «Mi hanno maltrattato in ogni modo» e così ha sintetizzato la vicenda: «Nel corso di un’inchiesta da lui curata, un suo superiore fu indagato per omissioni di atti d’ufficio. È stato forse questo episodio a scatenare nei confronti del maresciallo Antonio Cautillo (vedi Cronaca Vera n. 1961) quella che lo stesso militare definisce una “rappresaglia senza fine”, iniziata nel 1990 e ancora in corso, che ha sottoposto Cautillo a decine di procedimenti disciplinari e penali. Il calvario è iniziato con una graduale emarginazione che si è trasformata ben presto in rapporti sempre più esasperati con superiori e colleghi, fino ad arrivare a boicottaggi, minacce ed altre azioni che Cautillo ha sempre considerato illegali. “Ho sempre denunciato le minacce che, di volta in volta, ho ricevuto”, racconta. “Perseguire i reati è sempre stato il mio compito e l’ho svolto senza compromessi. Proprio per non essere rimasto in silenzio di fronte a gravissime situazioni di cui sono stato testimone, ho subito di tutto: procedimenti disciplinari, punizioni, trasferimenti coatti, continue umiliazioni. A tutto questo si sono aggiunte le denunce nei miei confronti per ipotetiche mancanze in servizio: disobbedienza aggravata e continuata, falsità ideologica, diffamazione, abuso d’ufficio, insubordinazione con ingiuria. Nonostante tutto questo, resisto e resto in servizio. Mi sono opposto a qualsiasi tipo di provvedimento emesso dai miei superiori. Recentemente, per aver documentato un’ingiusta punizione subita, al mio curriculum si sono aggiunti altri due giorni di consegna: per me vale più di un encomio”. VICENDA ALLUCINANTE. In due esposti inviati al ministero della Difesa, il maresciallo definisce “gerarchi” tre superiori. Basta questo per beccarsi una nuova denuncia per diffamazione, l’ultima di una serie di disavventure nel suo disperato tentativo di difendersi da quello che lui percepisce come un vero e proprio accerchiamento. Un noto generale, oggi in pensione, l’aveva preso proprio di petto. “Dopo essere stato assolto da una delle tante accuse di diffamazione fui punito con 10 giorni di consegna di rigore, poi venni sanzionato ‘per aver svolto con apprezzabile continuità attività sindacale’. E infine punito con tre mesi di sospensione dal servizio, dopo un’altra sentenza di assoluzione. Tutti dati in possesso del ministro della Giustizia, che fa finta di niente. Ho subito trattamenti crudeli, inumani, degradanti per mole, ripetitività e durata delle accuse rivolte nei miei confronti. Sono stato costretto a difendermi in 16 processi penali. Tutti questi provvedimenti possono sembrare ineccepibili perché emanati da persone in divisa, ma proprio chi dovrebbe difenderti spesso ti pugnala alle spalle”. Quel generale era amico dell’ex suocero di Cautillo e, infatti, anche nella vita privata il maresciallo è stato al centro di un’altra vicenda allucinante. Dopo un matrimonio in pompa magna, la moglie lo lascia, andandosene con la figlia e ottenendo sia l’annullamento della Sacra Rota per “costrizione morale”, sia l’assegno di mantenimento. Un’altra vicenda che si trascina a lungo nelle aule di giustizia. NESSUNA RISPOSTA. Come se non bastasse, oltre a tutto questo, il maresciallo Cautillo ha dovuto far fronte alle conseguenti cause di pignoramento di beni immobili di cui non era neanche più proprietario e al blocco dello stipendio, sostenendo numerose udienze senza avvocati difensori. “Gli stessi individui da me segnalati mi hanno privato di importanti incentivi concessi a tutti, come il premio di produzione e l’indennità di funzione. Se sei accusato e poi ti assolvono non ti chiedono scusa: ti puniscono, ti bloccano la carriera e, in branco, tentano di licenziarti. Finisci tu stesso sotto accusa”. Sul caso Cautillo sono state presentate 15 interrogazioni in Parlamento, 41 esposti al ministero della Giustizia e 30 al ministero della Difesa. Senza alcuna risposta esaustiva. Della questione sono state investite anche le istituzioni europee. “Sono un sopravvissuto, nessuno può resistere a tutto questo. Non c’è tirannia peggiore di quella esercitata nel nome della giustizia e sotto lo scudo della legge da poteri intoccabili. Con la consapevolezza che questa battaglia giudiziaria e disciplinare capovolta possa andare avanti a vita. Anche questo governo, come i precedenti, non difende chi denuncia la corruzione, protegge le caste militari e giudiziarie, si trincera dietro silenzi e omertà. Ho scritto a tutti, anche alla presidenza del Consiglio, segnalando dove andavano i miei superiori utilizzando l’auto di servizio, con chi s’incontravano e quali tipi di scambi avvenivano. Nessuno è mai intervenuto”»;
il maresciallo sulla vicenda ha sinora presentato 44 esposti al Ministro della giustizia, da cui risulterebbero inquietanti profili meritevoli di approfondimento;
nell’esposto n. 44 inviato al Ministro della giustizia il 25 settembre 2015, atto emblematico e divenuto di dominio pubblico, il carabiniere ha denunciato di essere vittima di ripetuti episodi di malagiustizia;
sulla vicenda che riguarda il militare, sono stati presentati 3 precedenti atti di sindacato ispettivo (4-02661, 4-01366 e 4-00975) al Senato che ad oggi non hanno ricevuto risposta, così come i numerosi atti di sindacato ispettivo presentati nel corso della XVI legislatura –:
se il Governo non ritenga opportuno, affinché si faccia piena luce sulla vicenda, attivare le iniziative ispettive di competenza. (4-10842)
Classificazione EUROVOC:
EUROVOC (Classificazione automatica provvisoria, in attesa di revisione):
trattamento crudele e degradante
delitto contro la persona
istituzione dell’Unione europea