“Rapita per liberarmi” – Nell’intervista, l’ex lupo grigio racconta la sua verità: “Emanuela Orlandi e Mirella Gregori sono state rapite soltanto per ottenere la mia liberazione. Ho prove documentali che dimostrano questa mia affermazione e questo dato di fatto. Da anni, la stampa, soprattutto quella italiana, sta seguendo le menzogne di una tossicodipendente, Sabrina Minardi. Il mondo e l’Italia vengono ingannati con la storia della Banda della Magliana. La verità è che Emanuela Orlandi è stata rapita soltanto per ottenere la mia liberazione.”
“La famiglia sapeva” – Secondo Agca la famiglia Orlandi era a conoscenza di dettagli mai rivelati: “Emanuela Orlandi era la figlia di un uomo che lavorava dentro l’appartamento del Papa, considerato anche un agente dei sevizi segreti Vaticani. La famiglia Orlandi sapeva perfettamente che Emanuela era stata rapita con la complicità di qualcuno in Vaticano. Però l’ordine del rapimento di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori è partito dal governo iraniano.”
L’appello papale – Secondo l’ex terrorista i messaggi di quei giorni di Giovanni Paolo II sarebbero parte di una trattativa: “Dopo pochi giorni, il 3 luglio ’83, il Papa ha parlato al mondo del rapimento di Emanuela Orlandi… un modo per trattare con i rapitori. Altrimenti il più grande Papa della storia non avrebbe mai mentito su un evento così importante. Successivamente, infatti, il Papa ha lanciato otto appelli, tutti durante gli Angelus, davanti al mondo. Questo è un dato di fatto immenso. Una volta, tramite una lettera, i rapitori hanno chiesto al Papa di pregare per Alì, per il suo attentatore, e il Papa ha pregato pubblicamente per me. Questa non è una cosa semplice. Poi i rapitori hanno chiesto di parlare direttamente con il primo ministro del Vaticano, il segretario di Stato Cardinal Agostino Casaroli. È il 19 luglio ’83: il governo Vaticano disposte una linea telefonica speciale attraverso la quale i rapitori di Emanuela possono parlare con il Cardinale Casaroli. È un segreto dello Stato Vaticano di cosa abbiano parlato. Dopo il mio ritorno in Turchia, Emanuela Orlandi è stata liberata, è stata consegnata al governo Vaticano. Adesso, probabilmente, Emanuela Orlandi si trova in un convento di clausura, affinché non riveli questa complicità del Vaticano e del governo iraniano. Quindi, in qualche modo, Iran e Vaticano sono complici nell’omertà, un’omertà incredibile.”
“Accordo tra Vaticano e Iran” – Inoltre, Ali Agca accusa: “Fra il governo Vaticano e il governo iraniano c’è un silenzio concordato per difendere il dialogo interreligioso fra musulmani e cristiani, per evitare grandi conflitti umani e religiosi tra due popoli. Io capisco e rispetto questa posizione del Vaticano, però non posso rispettare questo silenzio su Emanuela Orlandi: quindi il Vaticano deve immediatamente liberare Emanuela.”
Mistero. E’ il titolo del programma di Italia 1 che lo scorso 20 febbraio e’ tornato sul caso di Moana Pozzi: dalle testimonianze risulterebbe che la pornostar, amante di potenti uomini d’affari e politici influenti, avesse il compito di raccogliere informazioni riservate per conto dei servizi segreti. Dubbi anche sulla data della sua morte, che non sarebbe avvenuta il 15 settembre 1994, ma qualche tempo dopo.
Dopo 19 anni di polemiche in cui hanno sempre smentito le mie tesi e le documentazioni fornite nei miei libri, non so quale credibilita’ possano avere i personaggi intervistati, i quali hanno sempre negato che la pornostar potesse essere ancora viva, smentendo le mie ricostruzioni. Di sicuro, pero’, e’ necessario fare luce su episodi oscuri della storia italiana di fine secolo, essendo stata Moana coinvolta in vicende che riguardavano politica, cronache di costume, malavitosi e servizi segreti. Ma c’e’ anche da chiedersi quali manovre nascondano simili affermazioni postume e quali verita’ nascondono queste rivelazioni ad orologeria.
LE RIVELAZIONI DI AMORTH
Il dubbio e’ che si cerchi di far passare in secondo piano le rivelazioni fatte a suo tempo da Moana e che coinvolgevano il Vaticano con i suoi scandali sulla pedofilia, sullo Ior, sugli omicidi di Emanuela Orlandi (scomparsa il 22 giugno del 1983 a Roma, a pochi metri dalla sua scuola di musica) e Mirella Gregori, un’altra ragazza scomparsa lo stesso anno. E oggi, con la rapida accelerazione delle indagini su Emanuela, trovano conferma anche le rivelazioni di padre Gabriele Amorth, l’esorcista ufficiale del Vaticano che con le sue dichiarazioni avvalora il quadro di sesso, delitti e misteri “religiosi” nella vicenda di Moana Pozzi.
Si’, perche’ l’esorcista in un suo recente libro fa nomi e cognomi e parla di fonti affidabili, che sono a conoscenza dell’orribile verita’. Emanuela Orlandi sarebbe stata drogata, usata in un’orgia ed uccisa nelle “sacre stanze”. Nell’ultimo volume Amorth getta nuova luce su una pista di cui si era gia’ parlato precedentemente.
Secondo l’esorcista ci sarebbero anche testimoni affidabili, come monsignor Simeone Duca, che aveva gia’ fatto alcune dichiarazioni su presunti “festini” con la presenza di ragazze. «Ho motivo di credere – ha detto testualmente Amorth – che si sia trattato di un caso di sfruttamento sessuale, con conseguente omicidio poco dopo la scomparsa e di occultamento del cadavere».
Secondo quanto scritto nel libro, Emanuela fu drogata, subi’ abusi sessuali e venne uccisa in ambienti vaticani. Tra i nomi salta fuori quello di don Pietro Vergari – ex rettore della Basilica di Sant’Apollinare – perche’ sarebbe stato proprio lui a far sparire il cadavere di Emanuela. E Pietro Orlandi, fratello della ragazza, ha raccontato ai giornalisti: «Le amiche della scuola di musica di Emanuela mi dissero che suor Dolores, la direttrice, non le faceva andare a messa o a cantare nel coro a Sant’Apollinare, ma preferiva che andassero in altre chiese, proprio perche’ aveva una brutta opinione di don Vergari. Che a Sant’Apollinare ci fossero giri strani e gravitasse un pezzo di malavita romana, non solo Renatino De Pedis, con cui don Vergari era in confidenza, e’ qualcosa di risaputo». Alcune fonti confermano che don Vergari e’ stato ascoltato dai magistrati come persona informata dei fatti. Non c’e’ ancora alcuna prova concreta, dunque, ma padre Amorth fa chiaramente i nomi quando parla di questo giro di ragazzine. E la stessa terribile sorte potrebbe inoltre essere capitata anche a Mirella Gregori.
ATTI FRA VIVI DOPO LA MORTE
Cosa sapeva davvero di tutto questo Moana Pozzi, ufficialmente morta il 15 settembre del 1994? Guardiamo intanto le decine di incongruenze sulla sua presunta scomparsa. Cominciando dai movimenti finanziari e immobiliari a suo nome. La Pozzi ottenne con altre persone un mutuo di due miliardi di lire dall’Istituto Fondiario di Roma, ben nove mesi dopo la morte dichiarata (e mai documentata). Se Moana era effettivamente morta, chi ando’ a stipulare un mutuo a suo nome? Chi si presento’ nell’ufficio notarile a firmare la documentazione? Se per il tribunale di Roma c’erano gia’ gli eredi, perche’ non furono loro a firmare tutte le pratiche?
Altri documenti aprono ulteriori interrogativi, come le visure camerali contenenti posizioni aperte presso la Camera di Commercio di Roma delle societa’ di Moana, sigle chiuse d’ufficio solo dopo le nostre denunce giornalistiche. Senza contare quegli strani movimenti economico-finanziari a nome dell’attrice, presenti nei registri immobiliari di Roma come “atti tra vivi” ben dopo la data della morte ufficiale.
Per non parlare, poi, della denuncia di smarrimento a nome di Moana dei documenti delle automobili, ben due mesi dopo la scomparsa. E poi i movimenti economici a nome di Moana registrati al Tribunale di Roma, ufficio immobiliare, fino al 2004; le incursioni presso l’anagrafe tributaria sul suo nome; la posizione ancora aperta in una societa’ di smaltimento di scorie radioattive presso la Camera di commercio di Kiev.
LA CHIAVE MISTICA
Ma la chiave di tutto il mistero sta quasi certamente nel percorso mistico e spirituale intrapreso da Moana nel 1994, anno in cui e’ sparita. Un itinerario che va dal “segreto” mai rivelato da padre Giovanni Ferrando, parroco del suo paese natale, Lerma, alla visita in India a Sri Santhy, da Sai Baba alla frequentazione assidua del Centro di Baba a Formello, dove la diva faceva incetta di libri del Maestro e di vibuti (terra-cenere usata nei riti). Ancora, dalla visita al Tempio Taj Mahal (ritenuto una delle meraviglie del mondo, eretto da un re per la sua cortigiana) alla lettura delle Confessioni di Sant’Agostino; dalla frequentazione di alcune chiese romane (dove si confessava e comunicava spesso), alla frequentazione di uomini di fede come il cardinale Michele Giordano, all’epoca arcivescovo di Napoli, ed altri personaggi importanti del Vaticano. Per finire alle cure ed alle preghiere di Milingo, che Moana frequento’ con insistenza nella primavera-estate del ‘94.
Se il cardinale Giordano, la domenica successiva alla “scomparsa”, dal pulpito della Cattedrale durante la cerimonia del miracolo di San Gennaro ne propone la santificazione, monsignor Milingo le aveva assicurato la guarigione dal male e aveva auspicato per lei un percorso mistico religioso, disapprovando la sua condotta ed invitandola ad allontanarsi da quel mondo.
Invito che potrebbe essere stato preso alla lettera dalla pornostar. Un percorso dunque, molto particolare, tale da poter spiegare una scomparsa che potrebbe essere stata, appunto, volontaria. E tutto questo darebbe finalmente una “spiegazione” ai dubbi e misteri che ormai da tredici anni circondano la storia di Moana Pozzi.
Giallo Vaticano
L’ex rettore di Sant’Apollinare, accusato di concorso nel sequestro di Emanuela, si è rinchiuso nella natìa Perugia
Emanuela Orlandi, scomparsa dalla Città del Vaticano il 22 giugno 1983
«Sono assolutamente tranquillo, non ho nulla da nascondere». Poche parole, poi il nulla. Perché, non appena appresa la notizia dell’iscrizione nel registro degli indagati per concorso nel sequestro di Emanuela Orlandi, monsignor Pietro Vergari ha lasciato in tutta fretta la casa di Turania, il paesino del reatino dove vive ormai da anni. Non ha nulla da nascondere l’ex rettore della Basilica di Sant’Apollinare. Eppure, all’indomani dell’avviso di garanzia, è come svanito nel nulla. «Qui non c’è, se n’è andato in macchina, le finestre sono chiuse, è chiaro che non tornerà per adesso», dicono i residenti di piazza Umberto I, indicando il balcone al civico 2. «Sicuramente sarà andato a Sigillo, il suo paese d’origine in provincia di Perugia». E così seguiamo le sue tracce, fino alla piccola cittadina che ha dato i natali al monsignore oggi sotto accusa. Una piccola casa lasciatagli da suo padre, proprio davanti alla chiesa, in via Fazi numero 40. Poco prima di arrivare nel paesino una strada richiama alla mente i misteri che avvolgono il prete: Sant’Apollinaire, come la basilica che Vergari ha amministrato e in cui è tumulato il boss della Banda della Magliana, Enrico De Pedis. «No, non l’abbiamo visto», dicono i sigillani. Al citofono non risponde nessuno, però le persiane sono aperte. «Inutile continuare a suonare», dicono due signore che attendono la messa delle 18. «A Sigillo non c’è». Poi Enzo, un residente, ci avvicina e ci rivela: «Vergari è qui, è chiuso in casa, non apre a nessuno, non vuole parlare». E a riprova della presenza del prete che fugge ci porta in una piazzetta isolata, dove è parcheggiata la Punto targata Roma del monsignore. «Lo conosco da quando avevamo 4 anni», spiega l’anziano, «però non ho più rapporti con lui, perché non mi piace». Alcuni lo dipingono come un tipo controverso, uno che potrebbe tranquillamente celare i segreti del Vaticano.
Per altri, invece, lui è solo il capro espiatorio, uno che ha ricevuto ordini dall’alto e li ha eseguiti. In un caso o nell’altro monsignor Vergari non ha intenzione di parlare, non vuole spiegare, non vuole giustificarsi. Ha 86 anni e preferisce scappare, restare nascosto dietro le tende della casetta di via Fazi. E chissà se si celerà dietro lo stesso silenzio anche quando sarà di fronte ai magistrati che lo interrogheranno in merito alla scomparsa di Emanuela Orlandi, svanita nel nulla il 22 giugno del 1983. Vergari ha 86 anni e, qualora ne sia al corrente, potrebbe portarsi nella tomba i segreti e i misteri di quella sparizione, l’eventuale coinvolgimento della Banda della Magliana nel rapimento della figlia del messo pontificio. Si nasconde dietro un portone perché indagato per concorso nel sequestro di una ragazzina. La porta della sua chiesa, invece, Vergari l’ha aperta a chiunque, anche a Renatino, che da boss è passato per benefattore. «Don Pietro non ha mai fatto mistero dell’amicizia con De Pedis», ha raccontato Marcello, un abitante di Turania, «lui ha sempre detto che la storia non è quella che raccontano». Don Vergari però fugge, e la storia che tutti vorrebbero conoscere non la racconta nemmeno lui, che da parroco di una piccola chiesa romana a Casalbertone negli anni ’70 (quando in cella di esponenti della Banda ce n’erano) è diventato cappellano del carcere e poi rettore di Sant’Apollinare. Nella sua chiesa gli inquirenti, che prima di iscrivere il prete nel registro degli indagati hanno perquisito la casa e sequestrato un computer, hanno scoperto l’ossario con oltre duecento frammenti, proprio a pochi metri dal sarcofago in cui è tumulato De Pedis. Le analisi della polizia scientifica si stanno concentrando su alcune ossa apparentemente di datazione recente. Sui frammenti considerati più interessanti si eseguirà il test del Dna non solo di Emanuela ma anche di Mirella Gregori, l’altra ragazza giovanissima scomparsa sempre nel 1983, quaranta giorni prima della Orlandi. I risultati dovrebbero essere pronti il prossimo mese. Intanto gli inquirenti stanno setacciando il computer di Don Vergari, che sarà ascoltato nei prossimi giorni. Nel frattempo della convocazione dei magistrati, però, si rifugia a Sigillo, lontano dal Roma e dai misteri del Vaticano.
di Rita Cavallaro
Il parroco di Sant’Apollinare, la Basilica dove fu sepolto De Pedis, accusato in concorso nel sequestro di Emanuela
Qual è il tuo stato d’animo?
Svolta nell’inchiesta sulla sparizione di Emanuela Orlandi: monsignor Piero Vergari, ex rettore di Sant’Apollinare a cui si deve la sepoltura del boss della banda della Magliana nella Basilica, è indagato per concorso nel sequestro della ragazzina sparita nel 1983. Per i magistrati romani, questo sacerdote oggi di 86 anni avrebbe avuto un ruolo nel giallo Orlandi su cui da un anno lavorano i magistrati. Finora Vergari, come scrive Gianluigi Nuzzi (autore del libro Sua santità le carte segrete di Benedetto XVI) non ha voluto spiegare la ragione della sepoltura di De Pedis nella Basilica. Ha sempre detto che ai morti bisogna portare rispetto. Nuzzi nel suo articolo spiega anche della svolta che c’è stata in Vaticano. Benedetto XVI non vuole che sul suo Pontificato cadano le ombre di un passato ingombrante.
Un giovane fu vittima di un prof, forse un prete, che insegnò anche alla ragazza scomparsa misteriosamente a Roma il 22 giugno 1983
di Gianluigi Nuzzi
Nell’inchiesta sulla scomparsa di Emanuela Orlandi irrompe una novità che potrebbe condizionare i passi dell’indagine. Una decina di giorni fa infatti sono stati sentiti quattro testimoni che avrebbero tutti confermato come negli anni in cui la giovane frequentava la scuola di musica della basilica di Sant’Apollinare, un loro amico abbia subìto ripetuti abusi sessuali da diverse persone collegate tra loro. Tra questi, un professore della scuola – sembra che si tratti di un sacerdote – che aveva anche insegnato a Emanuela prima che sparisse. Sembra quindi che la pista sessuale assuma, mese dopo mese, sempre più corpo in questo ultimo troncone dell’inchiesta che da trent’anni cerca di trovare verità sulla misteriosa scomparsa. Emanuela sparì dopo la lezione di musica. Venne riaccompagnata nel complesso della basilica, venne portata via in auto? O, forse, mai uscì da Sant’Apollinare? Sono domande che si ripetono. Non abbiamo una risposta certa ma gli inquirenti della squadra mobile della capitale ritengono che di certo la studentessa si fidò di qualcuno che conosceva. Era troppo schiva, attenta e seria per poter accettare inviti da sconosciuti.
I sospetti – Adesso la storia di questo abuso che seppur ormai caduto in prescrizione dà conferma a certi sospetti su chi frequentava la basilica o l’istituto di musica. La procura sta infatti verificando non solo i seminaristi che in quegli anni, per l’accusa, venivano ospitati dal rettori in camerette attigue, ma anche i professori. Tra loro ci sarebbe stato chi «amava le ragazzine – spiega una fonte – i ragazzini per qualche appuntamento inconfessabile». Tra l’altro questa ultima storia è particolarmente drammatica. Sembra infatti che il giovane frequentante della scuola fosse arrivato lì in una situazione di profondo disagio. Il padre lo aveva iscritto al corso di musica per dargli sollievo dopo l’improvvisa morte della fidanzata, rimasta vittima di uno scioccante incidente stradale. Così lo studente e il padre erano convinti che la musica gli avrebbe fatto bene. Il professore avrebbe invece approfittato di questa situazione di bisogno, utilizzando il disagio del minore come leva per ottenere prestazioni sessuali.
Una storia nemmeno commentabile che ha segnato questo uomo per tutta la vita. Ancora oggi ha difficoltà relazioniali. Certo se si tratta di una diabolica coincidenza o di qualcosa di diverso è ancora presto per dirlo. Sarebbe comunque interessante sapere – ad esempio – se don Vergari, appunto il rettore della basilica – era a conoscenza delle perversioni sessuali di almeno un professore, forse persino sacerdote, che frequentava la scuola.
Telefonata erotica – Né bisogna dimenticare la telefonata erotica che qualche anno fa proprio don Vergari ebbe con un ex seminarista che dopo esser arrivato dall’estremo oriente venne ospitato in una struttura nell’alto lazio proprio di Vergari. Nella telefonata, intercettata dagli inquirenti, il giovane sacerdote si masturbava raccontando e descrivendo all’ex rettore di Sant’Apollinare l’autoerotismo, alludendo a «yogurt», «latte» e grossi ortaggi. Vergari cercava di cambiare discorso, non accondiscendendo alle sollecitazioni del suo ex discepolo che insisteva per poter ancora dormire insieme, vicini.
Ancora nessuna novità invece dall’analisi delle ossa, oltre 250 mila frammenti recuperati sotto la cripta di Sant’Apollinare dove si è scavato nel maggio scorso nella speranza di ritrovare segni della Orlandi o di Mirella Grigori, l’altra romana scomparsa nello stesso periodo da casa sempre nella capitale. Dal laboratorio Labanoff dell’istituto di medicina legale di Milano dove si stanno verificando tutti i reperti si aprono i sacchi di ossa compiendo verifiche per sesso, età e periodo storico su quelle che potrebbero appartenere alle due ragazze. Ma purtroppo finora ogni controllo, con approfondimento anche in strutture per la datazione delle ossa americane, ha dato esito negativo.
gianluigi.nuzzi@la7.it
Dietro l’addio di Ratzinger
Mail e telefonate intercettate, messaggi decriptati, telecamere fenomenali: dalla Segreteria di Stato alla Gendarmeria si lavora per evitare fughe di notizie
di Gianluigi Nuzzi
Adesso capisco tante cose. Adesso che i media svelano la storia del Grande Orecchio in Vaticano, di intercettazioni a tappeto su email e cellulari, oltre le mura leonine, capisco le paure a parlare, confidarsi, condividere. Di tutti: dal cardinale all’ultimo impiegato. Capisco quei mille approcci vissuti in questi anni inseguendo da giornalista piste sugli affari tra fede e denaro. Persone che si fanno vive in parte intimorite. Con pseudonimi, anonimi, interfaccia, mediatori ma mai di prima persona. Che quando parlano si guardano in giro, alle spalle, come latitanti braccati. Cercano luoghi defilati, fuorimano, isolati, controllabili. Sussurrano parole lente, accuse. Annuiscono solenni alle tue espressioni di disgusto. Da una parte la gran voglia di bucare con lo spillo della conoscenza la cappa di omertà e di silenzio. Dall’altra la paura di finire emarginati, perseguitati, messi al bando. Adesso capisco quando un laico importante consulente del Vaticano mi ripeteva, magari esagerando, che «Bertone lancia le fatwa. Se non sei con lui, sei contro di lui. Se parli bene di qualcuno caduto in disgrazia anche tu cadi in disgrazia. Ed è la fine». Questo consulente è andato contro un blocco di potere che Bertone ha costruito negli anni da segretario di Stato, nei dicasteri, nei dipartimenti nevralgici della Santa Sede. Ed è finito polverizzato.
Oggi scopriamo che Bertone aveva disposto il controllo capillare di telefonate e email in Vaticano, durato mesi, settimane. Forse anni. E tutto ciò ci dovrebbe far capire come nello Stato Città del Vaticano, monarchia assoluta, ci siano due parole che valgono quanto, e più, che in ogni paese moderno: informazioni e sicurezza.
Il flusso delle informazioni è costante. Si articola su diverse ragnatele che raccolgono e riportano alla Santa Sede quanto accade. A iniziare dalla rete diplomatica nel mondo che condivide con la segreteria di Stato ogni criticità del Paese ospitante e della comunità cattolica locale. I dati si arricchiscono poi attingendo alle numerose banche dati dove vengono raccolti fascicoli tematici su questioni rilevanti per il Vaticano, su soggetti, movimenti, argomenti, questioni aperte, conflittualità. Il cuore pulsante di questa rete è «l’ufficio cifra» della Segreteria di Stato che cripta e decripta le centinaia di messaggi appunto top secret che arrivano e partono dalle nunziature. Il lavoro di analisi avviene in più uffici della segreteria di Stato e di settori della sicurezza vaticana. A seconda della criticità, del rilievo, e dell’argomento trattato. L’ufficio cifra è inaccessibile ai non addetti. Ci sono badge e chiavi d’ingresso particolari. Come un altro centro di ascolto attivo che riguarda una sorta di Echelon virtuale, una macchina capace di analizzare secondo parole-chiave il grande traffico sulla rete. Individua tutti i messaggi, gli interventi, i blog, ogni espressione virtuale che contenga determinate parole. Compatta e seleziona poi la ricerca che serve per stilare analisi che risalgono la gerarchia. Tutto ciò si integra alle investigazioni preventive e giudiziarie operate dalla gendarmeria vaticana che non solo è guidata da un ex appartenente ai servizi segreti italiani, Domenico Giani, ma che con settori dell’intelligence italiana vanta consolidati rapporti. Certo, la relazione tra Giani e Niccolò Pollari, l’ex capo del Sismi, il servizio segreto militare, era pessimo ma si tratta di acqua passata, soprattutto con i governi Berlusconi prima e Monti oggi in Italia, la piccola monarchia ha potuto contare su solide entrature nei sistema di sicurezza e in settori delle polizie italiane.
«Affari riservati» – Una questione, appunto di sicurezza, che è l’altro grande cruccio interno. Nel piccolo Stato ci sono più telecamere accese su ogni strada e portone che a Montecarlo. Nel principato della costa azzurra ogni movimento all’aperto finisce così tracciato da più «occhi». In Vaticano le recenti ultramoderne telecamere – assicurano alcune fonti – avrebbero capacità di ripresa fenomenali, impensabili. Tutti i filmati e il grande occhio rimanda i fotogrammi nella sezione che potremmo chiamare «affari riservati» della gendarmeria vaticana, la polizia interna. Questa sezione non è molto conosciuta. Perché anche qui l’accesso agli uffici è vietato a gran parte degli stessi gendarmi. Esclusi i pochi e selezionati pubblici ufficiali, di assoluta fiducia, del comandante Giani. E quando non si conosce la verità, si rischia di dar credito alle favole. Come quella che indica nelle capacità tecniche di queste telecamere anche quella di potenti zoom in grado di ingrandire le labbra dei soggetti inquadrati al punto da poterne leggere il labiale. Scienza, mitologia o fantascienza? Difficile dirlo. Di certo se non è vero di poco ci si allontana dalla realtà visto che i sistemi di sicurezza, perimetrali e informatici, negli anni si sono perfezionati con la consulenza anche di esperti privati provenienti da Paesi extraeuropei come Israele.
La sicurezza non è dovuta solo ai misteri della fede ma anche a evitare fughe di notizie incontrollabili. Bisogna quindi gestire qualsiasi scandalo, smorzandone la diffusione in anticipo. Così per capire le devianze della Curia tocca a tutti noi salire sulla macchina del tempo ed essere proiettati in sistemi antichi, feudali, come della tirannide, del potere. Ne ho avuto percezione netta una volta proprio chiacchierando con Paolo Gabriele, il maggiordomo del Papa. Si parlava di Curia e lui descrivendomi le gesta di un cardinale mi aggiunse: «E poi ha quel vizio…», facendo come spallucce, rilevando una debolezza, niente di più. Il tono era proprio quello di quando qualcuno ha il vizio di fumare qualche sigaretta di troppo, o un calice di vino in eccesso. Lo guardai curioso, «ma sì… gli piacciono i ragazzini», mi disse passando oltre. Senza soffermarsi sull’enormità del fatto. Come fosse normale, consueto, appunto. Come se fosse qualcosa di diffuso o di una certa anche rara normalità, tollerata e non un’abitudine spaventosa che trasforma in ergastolani degli innocenti. L’inversione della realtà è del resto una variante diffusa. Basta affidarsi ai dettagli e decifrare.
Ior e concordato – Provate a chiedere cosa si pensa in Vaticano di Paul Casimir Marcinkus, il presidente della banca del Papa, lo Ior dei traffici degli anni ’80 con il banchiere Roberto Calvi, ucciso e fatto ritrovare sotto il ponte dei Frati Neri a Londra e le «ingenti somme riciclate» della mafia siciliana come appurarono proprio i giudici della Corte che si occuparono dell’assassinio di Calvi. Il più critico e severo degli intervistati risponderà al massimo che venne tradita la fiducia di Marcinkus, ritagliando per lui così il ruolo di vittima. Mentre altri non si tireranno indietro e ne ricorderanno la statura, le gesta e la generosità: «Marcinkus dava da bere agli operai assetati che vedeva lavorare sui ponteggi dei palazzi in ristrutturazione in Vaticano». Così questo è un Paese dalle apparenti contraddizioni: Marcinkus e due tra i suoi più stretti collaboratori nel 1987 evitarono l’arresto chiesto dalla magistratura italiana nella bancarotta del banco Ambrosiano. Lo Ior dove i tre lavoravano venne considerato un ente centrale del Vaticano. Grazie a questa dizione è respinta qualsiasi richiesta d’arresto. Infatti, si applica il Concordato, ovvero quello storico accordo tra Italia e Santa Sede. Passano gli anni e Paolo Gabriele viene invece messo in carcere per aver fotocopiato dei documenti del Papa. Carte su scandali, su fatti che oggi tornano al centro del dibattito sulle dimissioni di Benedetto XVI. Storie vecchie mai chiarite, storie nuove che a lungo aggiungeranno altri misteri, altri interrogativi destinati a restare senza risposta. A meno che dal conclave non arrivi un segno preciso di voler chiudere con questo passato di intrighi e potere, di una visione geometrica della sicurezza, delle informazioni priva di quella profondità magari attesa, sperata. Un segno di continuità con le riforme di Benedetto XVI, con quelle, soprattutto, mai intraprese o lasciate a metà. Come, ad esempio, la riforma della Curia romana. Che invece, con questo pontefice, sembra quasi essere divenuta ostacolo al pontificato stesso.
Giovedì in piazza San Pietro l’uscita del Papa dalla sua casa, il trasferimento in elicottero è stato addolcito dall’immensa commozione del mondo cattolico, dalla capacità mediatica di addolcire il trauma, tra brevi discorsi, il suono delle campane, la commozione della folla. Ma da domani inizia il conto alla rovescia. Il conclave saprà raccogliere l’eredità pesante lasciata dal Papa con questo suo rivoluzionario gesto? Ogni pronostico verrà puntualmente smentito dai fatti visto che dagli studi sui conclavi quasi mai sono state rispettate le attese e le previsioni fatte prima dell’inizio dei lavori dei cardinali.
gianluigi.nuzzi@la7.it
Brunetto Fantauzzi