Visualizzazione post con etichetta LA PAGINA DELLA DENUNCIA: ADOLESCENZA PROBLEMATICA. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta LA PAGINA DELLA DENUNCIA: ADOLESCENZA PROBLEMATICA. Mostra tutti i post

mercoledì 21 ottobre 2020

La depressione adolescenziale era già un problema, ma ora il coronavirus sta peggiorando le cose



Come ci si sente ad essere adolescenti ai tempi del coronavirus? Come stanno i nostri ragazzi in questo difficile periodo? La pandemia ha senza dubbio colpito tutti, ma c’è una fascia più debole – quella dei più giovani – che potrebbe risentire di più del peso di un problema sociale ancora difficile da collocare. E gli esperti di salute mentale già avvertono: gli adolescenti soffrono in modo sproporzionato e i tassi di depressione e suicidio sono in aumento.

È il terribile bilancio che emerge da un’analisi dei CDC americani (Centers for Disease Control and Prevention): da un’indagine sulla salute mentale svolta a giugno è infatti venuto fuori che i sintomi di ansia e depressione “aumentavano notevolmente”: l’11% degli intervistati dichiarò di aver “preso seriamente in considerazione” il suicidio negli ultimi 30 giorni; tra i 18 ei 34 anni, il numero era più che raddoppiato, raggiungendo il 25%.

La colpa? L’incertezza sul futuro e sullo stato del mondo, le interruzioni della routine educativa e quotidiana e l’isolamento dai coetanei e dagli adulti premurosi.

“Mentre i giovani sono generalmente fisicamente sani, sono psichiatricamente vulnerabili”, scrisse già lo psichiatra Richard Friedman in un articolo di opinione del New York Times apparso a gennaio scorso, riferendosi a una già esistente “epidemia di depressione e suicidio adolescenziale” che era in gran parte trascurata e sottostimata.

Nell’articolo Friedman ha citato le prove dei Centers for Disease Control and Prevention (CDC) che, dopo essere diminuito per quasi 20 anni, il tasso di suicidi tra gli americani di età compresa tra 10 e 24 anni era aumentato del 56% tra il 2007 e il 2017. Il suicidio è stato ed è ancora seconda causa di morte, dopo gli incidenti, per quella stessa fascia di età.

Ora, in questo momento, secondo i CDC, molti hanno sperimentato un aumento del dolore e della perdita a causa dei “drastici cambiamenti nelle routine quotidiane e negli stili di vita che di solito ci portano conforto e una sensazione di stabilità”.

“Gli adolescenti possono sperimentare cambiamenti significativi nei loro schemi di sonno, isolarsi di più, apparire spesso irritabili o frustrati, ritirarsi dalle normali attività o impegnarsi più frequentemente con la tecnologia. È importante che i genitori o gli operatori sanitari interagiscano con i loro adolescenti sul loro dolore per promuovere un sano adattamento e l’accettazione. I genitori potrebbero anche aver bisogno di ottenere servizi di salute mentale per l’adolescente e la famiglia per affrontare il dolore”.

È fuori di dubbio che gli adolescenti si trovino in uno spazio di sviluppo in cui è di fondamentale importanza un contatto regolare con i loro coetanei e siano in grado di sviluppare relazioni strette e continue con gli adulti fuori casa, come i loro insegnanti o i loro allenatori.

Cosa possiamo fare noi? Cerchiamo di parlare loro e di ascoltarli e facciamoci aiutare a riconoscere la depressione e ad imparare i segni premonitori di atti estremi.

giovedì 20 febbraio 2020

“Le baby squillo di oggi non ci scandalizzano…”



L'ORA DI SATANA DI PADRE LIVIO FANZAGA I PARTE

II PARTE

BABY SQUILLO, MINORENNI ALCOLIZZATI, BULLISMO, PEDOFILIA, PORNOGRAFIA IN CHAT ECC....LA SOCIETA' GIOVANILE MODERNA DEI SENZA DIO. I GIOVANI VULNERABILI E PRIVI DI VALORI SONO LE PRIME VITTIME DEL DEMONIO CHE LI ATTIRA VERSO IL SATANISMO E LA MORTE. 


Siamo dinanzi a dei giovani che hanno ormai perso molti valori morali, nei decenni scorsi indispensabili. Ma qualcuno che continua a mantenere saldi punti di riferimento c’è. Sono i ragazzi che si impegnano e partecipano attivamente alle attività sociali. Ragazzi nei quali albergano ancora il senso e la voglia di aiutare il prossimo, di fare del bene. E noi riponiamo ogni speranza futura su di loro e su genitori ed educatori vigilanti e zelanti nel bene.



“Pornobimbe, cosi ci chiamano i ragazzi”, affermano Caterina e Francesca (pseudonimi di convenienza), quattordicenni romane, mentre sono impegnate a “messaggiare” con il loro telefonino di ultima generazione. Alzano appena lo sguardo, quasi in segno di sfida. Verso chi hanno di fronte e verso il mondo.


Non è il titolo di un nuovo film hard di Tinto Brass. Ma, come racconta una delle giovanissime, “un soprannome ambito”. Appena la smette di martellare il suo cellulare, si scusa dicendo che “avendo postato un selfie su Instagram, volevo controllare il numero di like ottenuti”.

Le vedi a Ponte Milvio, a Vigna Clara e a Piazza Euclide. Riconoscerle è semplice: atteggiamento da donne vissute, truccate in maniera vistosa, tacco 12 cm, borsa firmata, così come tutti i vestiti. Sembrano grandi, a guardarle. Ragazze molto belle, provocanti nella maggior parte dei casi. Donne a tutti gli effetti. Ma ad osservarle meglio, dietro tutto quel mascara e quel fard, sono delle bambine. Bambine che giocano a fare le adulte, con vizi ed atteggiamenti da non credere. Degrado più totale ed abitudini perverse. Dal sesso alla droga, passando per alcool e tatuaggi. Ad aver contribuito a creare questo “mostro” è stata sicuramente la serie di “Romanzo Criminale”. Molte giovani sono così affascinate da quella fiction e da quel modo di vivere, che vogliono a tutti i costi diventare una sorta di giovane Patrizia per farsi conquistare dal Dandi di turno.

Non basta avere l’armadio “giusto” per essere degna di un soprannome del genere: “prima di tutto se sei una porno bimba, sicuramente sarai fighissima, perciò i ragazzi ti chiameranno per fare delle orge. Se vuoi essere una di loro devi accettare e devi fare sesso di gruppo. Di solito due amici più te”. Fa una pausa, quasi per vedere l’espressione sul viso del suo interlocutore. Riparte con lo sconcertante racconto…

Le orge

Partiamo da qui, dalla cosa probabilmente più incredibile e impensabile. Ebbene si, molte ragazze minorenni partecipano a delle orge sessuali. E se domandi loro cosa pensano dello scandalo “baby squillo”, Caterina e Francesca ti rispondono che non ci vedono nulla di così osceno, che di ragazze così ce ne sono moltissime. Che è un fenomeno diffuso.

Il sesso molto spesso lo praticano con ragazzi più grandi, ogni tanto, ma non così di rado maggiorenni. Ed in gruppo. Una ragazzina e due uomini. Due ragazzine e tre uomini…Di tutto, di più. “Si inizia perché la cosa è trasgressiva, accattivante e ci fa sentire più adulti”. La voce poi si inizia a spargere, la cosa piace sempre di più e gli incontri sono più frequenti. “Diventa praticamente un’abitudine”, continuano le giovani. Il tutto accompagnato da cocaina, che si sposa perfettamente con il sesso. “Quella non può mancare mai nei giochi più erotici”. Ma le ragazze sono tutte minorenni? “Nella maggior parte dei casi si. Se non lo sono, hanno compiuto i 18 anni da poco”.

“Al diciottesimo di una mia amica è arrivata una torta incredibile, a forma di fallo gigante”, le parole di una delle due Pornobimbe. “Gliel’abbiamo organizzata noi questa sorpresa, ovviamente i genitori erano d’accordo”, il racconto choc di una di loro. E di fronte allo scetticismo ti danno la prova provata.

Spaccio

Se le orge delle quattordicenni non fossero elemento sufficiente per scandalizzarsi, basta sentirne parlare alcune di queste quattordicenni. Basta fare loro alcune domande, ed il “tema caldo” dello spaccio esce subito fuori. Molte di loro, forse non vendono il corpo, ma certamente spacciano per comprarsi vestiti firmati e apparire più grandi. Altre lo fanno “perché fa figo”, o perché “tanto siamo donne e a noi non ci beccano mai”. E quando chiedi se i genitori sanno qualcosa ti rispondono di no, che non sanno nulla. Allora viene spontaneo domandare come facciano i familiari, sapendo che la loro figlia non lavora, e di conseguenza nemmeno guadagna, a non sospettare nulla. “Se lo sanno non chiedono, fanno finta di nulla”. Preferiscono non fare domande, dunque. Molti di questi genitori hanno problemi a relazionarsi con i loro ragazzi. Adulti piegati da una evidente sudditanza psicologica nei confronti di chi è appena adolescente. Non riescono ad imporsi e a dettare delle regole. “In quel momento capiamo che abbiamo la situazione in pugno”, raccontano le ragazzine intervistate.

Slogan

Usano i termini più incredibili, più stravaganti, più assurdi ed incomprensibili. Forse è lì che capisci la loro giovane età. E ci rimani di stucco. “Ti devo dire una cosa full”, lo usano quando bisogna comunicare tra loro una cosa importante. Oppure “quel ragazzo è proprio un taps”, indica un giovane troppo preso e innamorato di una ragazza. Poi ci sono i vari “sei una scesa” e “scialla”. Come non menzionare, inoltre, la celebre frase “stasera se tiramo pellaria” (rigorosamente tutto attaccato) per indicare le intenzioni “bellicose” della pariolina di turno di fare serata, con droga e alcool. Sembra davvero una storia di fantasia, ma purtroppo è la realtà. Un contesto di degrado sociale dove i genitori assistono da spettatori passivi alle abitudini devastanti dei propri figli. Senza far nulla, un po’ impotenti e un po’ ignavi.

Bestemmie e tatuaggi

Basta assistere ad una telefonata tra amiche per rendersi conto che la situazione è più seria di quanto si possa scrivere. Si comunica con le bestemmie, usate con cadenza regolare quasi fossero segni d’interpunzione tra una frase e l’altra. Sentire una bestemmia in generale può dar fastidio a chiunque, sentirla da una ragazzina è qualcosa di disgustoso. “Si usa tra di noi bestemmiare, anche per le cose più stupide, è da sfigati non farlo”.

Si impreca per ogni cosa, è di moda e fa grande. Come è da sfigati non farsi i tatuaggi quando sei minorenne. Quelli “old school” sono i più frequenti sulla pelle delle pornobimbe, ma è facile imbattersi in una ragazza, come Francesca e Caterina, nate nel 2000 (sic!) con le scritte più assurde incise sulla pelle. Come le lettere “shhh” sul dito, per intendere di dover restare in silenzio. Oppure “iperattiva” sul polso. La domanda a questo punto sorge spontanea. Ma non bisogna essere maggiorenni per tatuarsi? Non serve altrimenti l’autorizzazione di un genitore? Per le ragazze “bene” di Roma Nord, evidentemente no.

Una giornata tipo

Il sabato mattina praticamente non esiste. “Si dorme tutto il giorno e se vai a scuola sei un poraccio”, ti rispondono così. Questo perché il venerdì si fa serata al Goa in discoteca, si beve e di conseguenza il giorno dopo non ci si sveglia. Per la scuola non è un problema, perché nella maggior parte dei casi si è stati bocciati e si “studia” in istituti parificati che ti permettono di fare due, tre, ma anche quattro anni in uno. “Il sabato pomeriggio si va rigorosamente a Villa Ba (intendono Villa Balestra, ndr) a fumare”. Poi si ‘cazzeggia’ fino a sera e si decide in che locale andare a ballare. E, a seconda della serata, come vestirsi. “Tacchi e minigonna se andiamo in qualche discoteca”, “leggins e scarpe “Dr Martens” se decidiamo di stare a Piazza Euclide o Ponte (inteso Ponte Milvio, ndr)”. Qualunque sia la fatidica scelta, l’alcool non può mai mancare. “In alcuni posti la birra costa un euro, quindi con dieci euro sei praticamente ubriaca”. E i documenti? “Ma te quanti anni me dai? Me lo chiederesti mai il documento per prendere un cocktail?”.



giovedì 13 giugno 2019

Social network, l’esercito del killfie che uccide tra i più giovani


Ci sono cifre e numeri che rimangono nascosti sino a quando un meccanismo o una routine non diventano oggetto fenomenologico e orizzonte di analisi. Si prendano a esempio i numeri dell’ultimo Rapporto Italia 2019 dell’Eurispes sulle persone morte nel mondo a causa di un selfie azzardato, quello che in gergo viene chiamato “killfie”, un neologismo, una crasi tra selfie e kill, ovvero morire per un selfie.


Il macabro fenomeno, che sfiora l’idiozia e forme patologico-compulsivo, è in enorme crescita un po’ dappertutto, con picchi di autolesionismo in particolar modo in India. Alcuni casi di cronaca fanno riflettere su una pratica che è a metà strada tra l’autolesionismo, la stupidità e la ricerca di visibilità a ogni costo: tre studenti sono morti dopo essere stati investiti da un treno mentre stavano facendo una foto sui binari; un giovanissimo è morto affogato mentre i suoi “amici” si mettevano in posa pronti a immortalare la scena con un video. I casi di killfie non riguardano più solo l’India e ilr esto dei Paesi cosiddetti emergenti, ma è un caso transnazionale che coinvolge ragazzi di tutto il mondo pronti a filmare, fotografare e rilanciare nel web bravate senza limiti.


Le cause più comuni di decesso causate dalla voglia insana di farsi notare, sono derubricate in annegamento, incidenti legati a mezzi di trasporto e cadute da grandi altezze. Tornando all’indagine Eurispes, la ricerca ha evidenziato come nel mondo in 6 anni, 259 persone siano morte per scattarsi un selfie mentre ci si trova in una situazione estrema o pericolosa solo per rendere pubblica la propria immagine, ovvero postarla sulle piattaforme social. Più del 70% delle vittime sono giovani under 30: 76 avevano tra i 10 e i 19 anni e 106 tra i 20 e i 29 anni, tutte decedute per cause incidentali. L’Eurispes rileva infatti che l’84% degli incidenti sono legati a giovanissimi che non hanno calcolato bene i rischi a cui andavano incontro mentre stavano scattando il selfie. In maggioranza le vittime sono uomini, 106 invece sono donne.


Per chi volesse farsi un’idea di cosa si sta parlando e cosa sia questa pratica ormai comune tra gli adolescenti, basta farsi un giro su Instagram (#extremeselfies) dove vengono fuori quasi 12.000 post di ragazzi in posa o in azione mentre si stanno scattando foto in luoghi e condizioni estreme. Vien da sé che il numero di like e di follower sia direttamente proporzionale al grado di pericolosità raggiunto dall’esibizione. Probabilmente anche questa tendenza, macabra e idiota, potrebbe essere contemplata in una tendenza generale che riguarda il nostro rapporto con le nuove tecnologie. Si tratta di ciò che McLuhan preconizzava oltre 50 anni fa nel suo Gli strumenti del comunicare, ovvero la fine della mente lineare. La fine del monopolio detenuto per secoli da parte del testo sui nostri pensieri era giunta grazie all’avveno dei media elettrici. La fusione magmatica di tanti Sé nell’equivalente globalizzato del villaggio globale. Se il medium è il messaggio, famoso aforisma mcluhaniano, non dobbiamo altresì dimenticare che quando un nuovo medium entra nella nostra quotidianità (Internet compresa) più che sul contenuto che veicola, o meglio, prima che dibattere su ciò che trasmette, dobbiamo ragionare sulla tecnologia del mezzo che veicola quel tipo di informazione.


Ragionando sul lungo periodo il contenuto di un medium ha meno importanza del medium stesso, diceva sempre McLuhan, nell’influenzare le persone; i media, cioè, arrecano danni o meno, agendo sul sistema nervoso degli individui, ma di questo noi non ce ne accorgiamo, troppo presi dalle luci abbacinanti dello show business proposto sui nostri schermi.

mercoledì 3 aprile 2019

L’Importanza delle Arti Marziali Giovanili

MENO TECNOLOGIA PIU' ARTI MARZIALI PER I GIOVANI E I BIMBI

Sempre più ricerche scientifiche condotte da psicologi e pediatri confermano gli effetti benefici che le Arti Marziali hanno sui bambini e ragazzi nell’età dello sviluppo.
Bambini in allenamento
BAMBINI IN ALLENAMENTO
Secondo uno studio condotto dalla University Medical Center di Amsterdam in quanto sport le discipline marziali migliorano il flusso sanguigno e l’ossigenazione del cervello, riducendo lo stress e migliorando l’umore e la propensione ad applicarsi allo studio. Ma questo è solo l’inizio dato che sul piano psicofisico sono numerosi gli effetti benefici che si riscontrano nei bambini e nei ragazzi che praticano il Kung Fu, il Judo, il Ju Jitsu o il Karate, come per esempio il miglioramento delle capacità relazionali e comportamentali.
Gli studi scientifici sull’effetto benefico delle Arti Marziali e degli sport da combattimento nei bambini e nei ragazzi adolescenti vengono condotte da
Wushu / Kung Fu
WUSHU / KUNG FU
alcune tra le più celebri università statunitensi già a partire dagli anni ’50. Queste ricerche hanno dimostrato un incremento della capacità di concentrazione, della disciplina, delle capacità comunicative e relazionali. Ulteriori effetti benefici riguardano l’autostima e la capacita di combattere il bullismo attraverso la pratica di queste discipline.Gli alunni imparano a sviluppare un’organizzazione mentale, che regola importanti sequenze psico-motorie, favorendo, quindi, la propensione ad assumere processi decisionali con differente grado di responsabilità.
E’ stato infatti dimostrato che le Arti Marziali producono una stimolazione celebrale per quelle aree del cervello in cui avvengono i processi di calcolo e di analisi fondamentali nelle materie scientifiche.

Karate
KARATE
Lo sviluppo delle capacità di aggregazione e di socializzazione è l’altro cavallo di battaglia di queste discipline, che stimolano l’interazione collaborativa ed il confronto con i compagni, facendo acquisire coerenti comportamenti ispirati alla sicurezza e al rispetto.
Ulteriori studi universitari sui ritmi cerebrali nel campo delle neuroscienze dimostrano come attraverso queste discipline i ragazzi imparano a controllare gli impulsi che possono essere causa di gravi conflitti a scuola, a metabolizzare l’eccesso di aggressività distruttiva e riutilizzarla in modo positivo.
kids-boxing
BOXE
Ragazzi con comportamenti violenti, sottoposti liberamente a sessioni di allenamenti nelle discipline del Judo, del Ju Jitsu e del Karate, dopo un anno di impegno hanno ottenuto dei risultati lusinghieri sul piano sociale. Miglioramenti sul piano sociale sono stati registrati anche nei ragazzi, vittime del bullismo, che incrementando la sicurezza in se stessi, l’autostima e le capacità relazionali hanno in prima persona contribuito ad abbattere questo fenomeno quanto mai attuale.
Del resto oltre all’importanza nello sviluppo del bambino, il settore giovanile è di estrema importanza anche per le discipline marziali stesse, non caso infatti negli ultimi anni sempre più le federazioni puntano e cercano di promuovere attività indirizzate ai più giovani. Solo partendo a costruire basi solide fin da piccoli si potrà poi portare la disciplina a crescere.
A questo punto una domanda su tutte sorge spontanea: “Come scegliere il corso più appropriato per mio figlio?”
Che sia Kung Fu, Karate, Ju Jitsu, Judo, Muay Thai o Lotta l’importante è che i ragazzi siano guidati da figure carismatiche e preparate sia sotto l’aspetto tecnico che morale.
Muay Thai
MUAY THAI
Secondo una mia opinione puramente personale, questa risulta la caratteristica più importante di un corso di Arti Marziali proprio perché gli istruttori rappresentano un punto di riferimento per i ragazzi che spesso trovano nel proprio maestro un modello di adulto complementare al ruolo dei genitori che può aiutarli nello sviluppo dei delicati cambiamenti psico-fisici.
-Bazinga!-

lunedì 11 marzo 2019

IL NAUFRAGIO DELLE PARANZE

di Domenico Airoma

(in esclusiva per questo sito *)

Le paranze dei camorristi bambini sciamano rumorose per i vicoli di Napoli. Sotto l’effetto di sostanze stupefacenti, ebbri di potere effimero, i baby boss vanno consapevoli verso l’inevitabile naufragio.
Scene da film.
Ed un film è stato fatto, immancabile. Perché il ragazzino in sella allo scooter, arma in pugno, che correndo va incontro alla morte, affascina. Va ripreso, va fatto vedere. In  tutti i suoi dettagli noir. Non importa se altri giovani imiteranno quei centauri morituri. Non interessa chi e cosa naufraga assieme a quelle paranze. Perché è questo che andrebbe raccontato, senza ideologia né decadenti compiacimenti.
E’, innanzitutto, naufragato quel codice d’ “onore” che segnava l’adesione alla criminalità organizzata di stampo mafioso. Un codice che imponeva il rispetto di determinati valori e principi riconosciuti come indispensabili per guadagnarsi il consenso della comunità che si pretendeva di governare; certamente un ossequio di facciata, un “inchino” finalizzato solo al consolidamento dell’egemonia della consorteria mafiosa, del “sistema”; ma pur sempre un “codice” da rispettare e da far rispettare e che, in quanto tale, contribuiva a tracciare i contenuti di un’identità forte –o almeno percepita come tale-, che esercitava un’indubbia forza attrattiva, soprattutto nei confronti delle giovani generazioni.
Ebbene, quel codice non c’è più.
E’ stato dilaniato dalla meccanica del circuito vizioso innescata dalla dissoluzione dei valori e dalla perversione sfrenata, che non poteva non colpire gli stessi sodalizi mafiosi, fra i principali motori di quel processo.
E’ finito, cioè, stritolato in quello stesso ingranaggio che la mentalità e gli interessi mafiosi hanno contribuito ad alimentare.
Si è chiusa, verosimilmente, un’epoca della criminalità organizzata o, almeno, stiamo assistendo al tramonto di uno “stile di vita” di mafioso che intendeva, ostentatamente, porsi in conflitto con un modo di vivere e di pensare “degenerato” e “lassista”.
Ed è proprio lo stile di vita criminale del minore inserito nei circuiti di tipo mafioso che fotografa, più di ogni altra circostanza, il cambiamento profondo che attraversa la criminalità organizzata.
Si tratta di una fase caratterizzata da un narcisismo aggressivo, dove la disgregazione di ogni codice ha lasciato il posto alla ostentata affermazione dei più violenti. Una ricerca di affermazione che costituisce la risposta, tragicamente miope, ad una domanda di identità che, non trovando risposta in un ambiente oramai senza alcuna identità, finisce per rivolgersi al surrogato di più rapida ed efficace impiego, il clan; una scelta di vita che è sentita come l’unica strada per emergere, in tempi brevi, da un buio anonimato o da una condizione di disperante assoggettamento.
Tutto ciò non è, tuttavia, senza conseguenze anche con riferimento ad un altro versante, forse poco esplorato, quello dei minori vittime delle consorterie mafiose.
E sul punto, mentre la mente va senz’altro ai tanti minorenni che cadono sul campo delle guerre fra clan oppure sotto il fuoco delle forze dell’ordine, non possiamo non registrare un dato per tanti aspetti nuovo, quello dello sfruttamento, anche sessuale, dei bambini.
Quante volte nel passato abbiamo assistito alla reazione, immediata, inesorabile, del clan nei confronti di coloro che si erano resi responsabili di crimini ritenuti lesivi di quel codice d’ “onore”; e fra questi, soprattutto, dei colpevoli degli abusi sessuali sui minori, considerati come “intoccabili”.
Quei “mostri” venivano giustiziati e tutti sapevano che erano stati giustiziati dai padrini, senza inutili processi e senza pietà alcuna. Era un modo con cui la consorteria mafiosa manifestava la propria omogeneità rispetto al “sistema” dei valori condivisi dalla comunità.
Oggi dobbiamo registrare una significativa, in quanto sempre più reiterata, assenza di reazione nei confronti di comportamenti di quel tipo. Il dato è verosimilmente sintomatico di un mutamento nella considerazione stessa di tali condotte: in un contesto, sociale e culturale, nel quale non vi è più la condivisione di qualsivoglia regola, nessuno avverte più la necessità di intervenire e di punire condotte “moralmente” ritenute non tollerabili.
Il consenso della comunità si guadagna diversamente; non c’è più ragione di presentarsi come inflessibili “giustizieri” dei comportamenti ritenuti un tempo travalicanti i confini della stessa tolleranza criminale, per la semplice ragione che confini più non ci sono.
Non si intende qui sminuire la portata dei  diversi fattori che contribuiscono a spiegare l’attecchimento e  la sistematicità di determinate condotte in pregiudizio dei minori.
Certo è che si assiste sempre di più alla combinazione di molteplici e convergenti condizioni che fanno sì che gli abusi su minori acquisiscano il carattere di pratiche diffuse e tollerate –se non proprio alimentate- dai sodalizi di tipo mafioso.
Da un lato la disgregazione dei legami familiari, l’assenza di qualsivoglia punto di riferimento protettivo dei minori, non supplito da altre istituzioni, spesso assenti in quartieri scolpiti a tavolino e riempiti con operazioni di deportazione.
Dall’altro il bambino come oggetto di divertimento dell’adulto, talora di divertimento organizzato, messo quindi a disposizione di una cerchia più o meno estesa di adulti; di un divertimento anche sublimato “culturalmente”, presentato comunque come una manifestazione di amore, di tipo “intergenerazionale”, all’insegna dello slogan “love is love”.
Non è un caso, pertanto, se in determinati quartieri, pur sottoposti a controllo della criminalità organizzata, si diffonda sempre più il modello del bambino “adultizzato”, pronto a replicare i comportamenti degli adulti, in campo criminale, come in quello sessuale.
La mafia, la camorra, la ‘ndrangheta –fa parte della loro storia- lucrano sfruttando i vizi; prima ancora del pizzo sulle attività commerciali, la criminalità organizzata ha da sempre tratto lauti guadagni imponendo la tassa sul soddisfacimento delle pulsioni viziose.
E’ accaduto sul traffico di sostanze stupefacenti, sulla prostituzione; ben può accadere sullo sfruttamento sessuale dei bambini. Soprattutto una volta che si è sfaldato quel codice comportamentale che metteva al bando determinate condotte viziose.
Di chi la colpa di tutto questo? Del camorrista che organizza il traffico?
Ancora una volta, occorre fare attenzione a non scambiare chi approfitta di un fenomeno, con le cause, certamente più profonde, culturali e sociali, del fenomeno stesso.
Un po’ come la questione del traffico dei rifiuti. La criminalità organizzata ha dato veste imprenditoriale ad una sistematica aggressione all’ambiente, mettendosi così in condizione di fare più vittime di tutte le guerre di mafia messe insieme. E tuttavia, i mafiosi non hanno fatto altro che rispondere ad una domanda; non hanno creato la domanda, né ne sono stati i primi interessati.
Lo stesso sta accadendo per i minori sfruttati, anche sessualmente.
Se vi è un interesse della criminalità organizzata, è perché vi è una domanda sempre più estesa (basti pensare alla diffusione della pedopornografia in ambienti sempre più “insospettabili”) e sempre più esigente; una domanda a cui ora viene data una risposta anche dalla criminalità organizzata.
Ed allora, se può essere senz’altro utile, anzi consigliabile, allontanare i minori abusati dal contesto familiare e sociale di riferimento e se può essere doveroso separare i figli dai genitori mafiosi per dar loro un futuro diverso, è però necessario interrogarsi su quali ideali e quali modelli di vita vengono poi proposti a quei giovani.
Perché quel che è naufragato assieme alle paranze è proprio quell’antropologia tutta relativistica che, da un lato, porta sul set cinematografico i baby boss, denunciandone la disperante condizione di destinati alla morte, e dall’altro sostiene la legalizzazione delle droghe in nome di un falso contrasto alle mafie, schiava di una concezione mortifera di una libertà senza limiti.
Il naufragio di quelle paranze è allora il naufragio di un mondo che ha voluto fare a meno di valori e principi oggettivi. Possiamo far finta che non sia il nostro mondo e riprenderlo, come un set cinematografico. Ma gli attori protagonisti non sono quei baby boss; sono, in realtà, coloro che li filmano.
Il naufragio non è ineluttabile.
Ma bisogna, innanzitutto, chiedere aiuto. E occorre che qualcuno risponda. Che qualcuno cioè abbia risposte.
Occorre agire per far in modo che questo nostro mondo, inselvatichitosi e resosi subumano, torni a recuperare l’umano; costruendo quinte di vivibilità alternative ai contesti criminali, favorendo la creazione di ambienti e occasioni di incontro, diffondendo modelli e punti di riferimento, rispondendo, insomma, a domande di senso, di ricerca di identità, prima e più che preoccuparsi –come pure è giusto- dei bisogni materiali. Per far questo, è necessario che vi siano persone che intendano non rassegnarsi a quell’inferno né far finta che sia un non-luogo, una città invisibile; è necessario scendere all’inferno, con l’obiettivo di tirarne fuori quanti, giovani in testa, sono stati condannati, senza colpa, ad una dannazione morale e sociale.

lunedì 18 febbraio 2019

"Purple drank", il cocktail viola è la droga dei giovanissimi



Allarme scattato a Napoli. Le influenze della musica trap e il disagio dei ragazzi


Sciroppo per la tosse e una bibita, come la gazzosa. Semplice da preparare, costo basso, effetti immediati: alterazione dello stato psichico per provare euforia, o al contrario per rilassarsi.


È il purple drank, il cocktail violaceo che spopola tra i ragazzini e mette in guardia famiglie e medici.


I nuovi mix che portano a uno sballo light sono a base di codeina, un derivato dell'oppio utilizzato nei medicinali per la tosse. I ragazzi ne mescolano dosi ampie, sicuramente più del cucchiaio che serve a calmare la tosse, con bevande gassate. Il liquido che si crea ha un colore viola. I primi a battezzare il nuovo cocktail sono stati gli americani. Ma la moda è diffusa anche in centro Europa, per esempio in Svizzera: mentre in Italia lo sciroppo alla codeina si ottiene solo su ricetta, nel Paese elvetico non è necessaria prescrizione medica. Ma il medicinale per la tosse è un farmaco comune, per questo molti giovanissimi se lo ritrovano in casa senza bisogno di troppi sforzi.

Sciroppo e musica trap

Il purple drank è associato alla musica trap, che spesso cita nei testi l'uso di droghe leggere. In Italia il manifesto è la canzone Sciroppo di Sfera Ebbasta, il numero uno di questo genere che associa al rap le sonorità dell'elettronica. Il primo verso dice: "Sciroppo cade basso come l'MD", le pasticche più pesanti che alterano la psiche. E poi: "Droga, moda, rosa la mia soda", e ancora: "Sciroppo all'amarena, c'ho la gola secca, ehi". Riferimenti chiari per chi sa di cosa si sta parlando, forse incomprensibili per gli adulti. Tanto che Sfera Ebbasta ha cantato Sciroppo sul palco del concertone romano del primo maggio, in diretta con milioni di giovani collegati. Di recente, proprio per questi e altri riferimenti nei suoi brani, il trapper di Cinisello Balsamo è stato denunciato da due senatori di Forza Italia per istigazione all'uso di sostanze stupefacenti e la procura di Pescara ha deciso di aprire un'inchiesta. Il trapper per ora non ha commentato la notizia.
L'allarme dei medici


L'allarme è scattato negli scorsi giorni a Napoli. Confezioni di sciroppo trovate vuote fuori dalle discoteche e segnalazioni di genitori preoccupati. "Il pericolo" - spiega all'agenzia AdnKronos Vincenzo Santagada, presidente dell'Ordine dei farmacisti di Napoli - "è che per questi mix si usino medicinali di provenienza e composizione dubbia, magari anche associati ad altri farmaci, o all'alcol, con un effetto più potente di perdita dei riflessi o euforizzante. Si tratta di un fenomeno da non sottovalutare". E Federico Tonioni, psichiatra e psicoterapeuta responsabile dell'Area dipendenze del Policlinico Gemelli di Roma, avverte: "Il profilo cognitivo dei giovani che assumono droghe è cambiato: non è più teso alla ricerca del piacere, ma a manipolare i propri stati d'animo". Dietro il consumo di droghe leggere, secondo Tonioni, c'è una spiegazione che risiede nelle paure dei giovanissimi: "Gli adolescenti oggi temono le emozioni, che non si possono controllare. Gli stati emotivi alterati in modo programmato sono surrogati di ciò che fa loro più paura, come ad esempio l'innamoramento".


lunedì 17 settembre 2018

ADOLESCENTI E GIOVANI IN CERCA DI SENSO


Adolescenti e giovani del tempo presente veleggiano nell’incertezza come “navi in gran tempesta”, avendo perso la direzione della loro esistenza. La fatica che attanaglia le nuove generazioni è caratterizzata, molto più che da una frustrazione sessuale o da una frustrazione sociale, da una frustrazione esistenziale. La crisi economica del nostro tempo è senz’altro un indicatore che non può essere omesso nel tentativo di spiegare le esistenze stanche e lacerate di moltissimi adolescenti e giovani. Ma la spiegazione più sottile e profonda è da ricercarsi in una crisi esistenziale che attraversa come una lama affilata mente e cuore di ragazzi e ragazze in cerca del proprio posto nel mondo.


La società ipermoderna ha cercato in tutti i modi di affermare il principio di piacere e la volontà di potenza e prestigio, ma ha dimenticato di riconoscere il motore principale della vita dell’uomo: la volontà di significato. Dare un senso alla propria esistenza precede, e non segue, il principio di piacere o la volontà di potenza. L’uomo infatti ha bisogno di uno scopo che dia direzione alla propria vita, ha bisogno di un perché per poter vivere.
La frustrazione delle giovani generazioni è dunque e primariamente esistenziale. Una fatica nella ricerca del senso della propria vita che spesso finisce per essere rinuncia, resa, abbandono, cedimento sul proprio desiderio. In merito, si rileva troppo superficialmente come la psico-apatia, la noia e la depressione siano i moventi di gesti estremi. Mentre, con maggior coraggio e profondità, si dovrebbe sottolineare che queste manifestazioni dell’esistenza sono originate da un abissale vuoto di senso, che si erge di fronte alla comunità degli adulti come un grido che invoca ascolto. Se esso non viene riconosciuto, se non si presuppone che, anche in un giovane delinquente, in un annoiato, in un depresso, in un tossicodipendente, in un suicida, scorre profonda come una corrente carsica, la volontà di strappare un senso alla vita, allora renderemo giovani uomini e giovani donne eternamente frustrati e apatici. Comprendere nella nostra antropologia anche la volontà di significato implica edificare una filosofia, un’etica, una psicologia e una pedagogia che puntano alla pienezza e alla bellezza dell’esistenza dell’uomo. Fu proprio il poeta Goethe ad affermare:
«SE TRATTI UNA PERSONA PER COME È, RESTERÀ QUELLO CHE È, MA SE LA TRATTI PER CIÒ CHE POTREBBE ESSERE DIVERRÀ CIÒ CHE DOVREBBE E POTREBBE ESSERE».
In linea con questa “antropologia dell’altezza” lo psichiatra viennese Viktor Frankl riteneva opportuno superare ogni tipo di riduzionismo umano in favore di una visione comprensiva e integrativa di tre fondamentali dimensioni: corporea, psichica e noetica. Quest’ultima, è la dimensione attraverso la quale è possibile scoprire quotidianamente il senso della propria esistenza. Essa riguarda il nostro intelletto e il nostro spirito. La personale capacità di deciderci sempre ciò che vogliamo essere, per quale motivo siamo disposti a vivere, soffrire e morire. È questa la dimensione specificatamente umana attraverso la quale anche corpo e psiche possono trovare equilibrio, per questo è fondamentale riconoscerla, alimentarla e non frustrarla. La tensione verso il significato, per quanto impegnativa, è decisiva e indispensabile per la salute e il benessere olistico di ciascuno. Scrive infatti Frankl: «Non c’è nulla al mondo, oserei dire, che può aiutare qualcuno a sopravvivere così efficacemente anche nelle condizioni più diverse come sapere che c’è un significato nella propria vita»1.
Ascoltiamo il disperato grido dei giovani alla ricerca di un perché. Solo avendo un perché potranno sopportare quasi ogni come. Aiutiamoli a scoprire di ora in ora il senso della propria esistenza. Sfidiamoli a realizzare il potenziale significato della loro vita, incentiviamoli a ravvivare il fuoco di questa sana tensione, affinché si muovano da ciò che hanno compiuto verso ciò che ancora attende di essere da loro realizzato nel futuro. È proprio questo desiderio di attuare un valore nel futuro che, secondo Frankl, ha tenuto in vita lui stesso e molti altri internati nel secondo conflitto mondiale.  Egli scrive: «quando fui portato al campo di concentramento di Auschwitz, mi fu confiscato un manoscritto pronto per la pubblicazione. Di certo, il mio profondo desiderio di riscriverlo ex novo mi aiutò a sopravvivere alle difficoltà dei campi dove mi trovavo»2.
Il vuoto interiore delle giovani generazioni non va dunque sottovalutato. È un segnale. È il richiamo ultimo ad affiancarli nella fatica, non per imporre loro il significato, ma per mostrargli che esso si presenta come un appello unico e irripetibile che la vita pone nell’esigenza dell’ora. «Ogni uomo viene interrogato dalla vita; alla vita lui può solo rispondere in modo responsabile»3 afferma Frankl. Scoprendo verso chi o che cosa si sente responsabile, un’altra persona, un alto ideale, la propria coscienza, oppure Dio, l’uomo può inondare di senso la propria esistenza. Il significato è peculiare per ogni uomo, invero «il compito di ciascuno di noi è tanto unico quanto unica è la nostra capacità di raggiungerlo»4.
I giovani, seppure spesso in modo inconsapevole, comunicano questa profonda crisi e reclamano ascolto attivo e partecipe alla loro angoscia esistenziale. Gridano, talvolta con pensieri e comportamenti (solo) in apparenza incomprensibili, per sottolineare agli adulti che il vuoto, non va riempito con oggetti, protezione soffocante, libertà di godimento senza limiti, illusioni a buon mercato, ma con un’attenzione rivolta alla speranza di una vita ricca di significato, nonostante le ombre (o proprio  grazie a esse) che la contraddistinguono. Adolescenti e giovani invocano cura per le loro fragilità e chiedono che si vada alla radice del vuoto che sentono. Solo un ascolto paziente e uno sguardo profondo permettono di riconoscere e raggiungere questa radice, questa fragilità alla quale è sotteso il desiderio ancestrale di una vita piena di senso. Solo se si sentiranno ascoltati e se vedranno riconosciuto e valorizzato il loro primario bisogno di dare significato alla propria esistenza, i giovani potranno ritrovare la rotta della loro “nave in gran tempesta”.

Alessandro Tonon

NOTE:

1. V. E. Frankl, L’uomo in cerca di senso. Uno psicologo nei lager e altri scritti inediti, tr. it di N. S. Sipos e M. Franco, Franco Angeli, Milano, 2017, p.119.
2. Ivi, p. 119.
3. Ivi, p. 123.
4. Ibidem.

Fonte: