venerdì 14 settembre 2018

UNA PROFEZIA DI GUERRA LA RUSSIA PRENDE LA CRIMEA E INVADE ISTAMBUL

E’ stato pubblicato il video sotto, sul sito undergroundnews, molto interessante e forse rivelatore. Si parla di profezie quindi lo riporto senza trarre nessuna conclusione. La profezia è di Vilna Gaon, il genio di Vilna un rabbino del 1700 di Vilnius in Lituania. Vilna Gaon ha lasciato una profezia che è stata divulgata da un suo bis-bis nipote per la prima volta nel 2014 dopo che era stata tenuta accuratamente segreta per più di 200 anni. Qusto rabbino è stato unio delle più considerate autorità in questo campo di tutti i tempi.
La profezia cita:
Quando senti che la Russia ha conquistato la città di Crimea, devi sapere che il tempo del Messia è iniziato, che questi passi sono stati ascoltati. E quando sentirai che i russi hanno raggiunto la città di Costantinopoli (Istanbul), dovrai indossare i vestiti del Shabbath (Sabbath) e non toglierteli più, perchè significa che il Messiah sta per arrivare da un momento all’altro.
Si nota immediatamente come questa profezia del 1700 si adatti perfettamente ai nostri tempi, la Russia ha già conquistato la Crimea e con le tensioni attualmente in atto con la Turchia i presupposti per il secondo segno si stanno profilando all’orizzonte.
La profezia di Vilna Gaon è rafforzata dall’esistenza di altre simili come quella del saggio ebreo Ba’al Shem Tov, fondatore del Giudaismo Hasidico, anche questa del 1800. Questo rabbino ha rafforzato le parole di Vina Gaon dandoci un’altro segno dicendo:
I russi arriveranno, e arriveranno insieme ad i figli di Ishmael.
L’alleanza di Russia e Iran e Siria danno forza a questa profezia vecchia di 75 anni.
Personalmente il credito che do a queste profezie è appunto quello di cronaca e curiosià, se proprio mi volessi spingere oltre direi che potrebbe essere un segnale che la Disclosure è imminente (l’arrivo del Messiah). Si potrebbe anche analizzare questa divulgazione anche come un ennesimo atto della Guerra Psicologica di cui parla Steven Greer nella Parte 5 della nostra serie sul Governo Ombra di prossima pubblicazione.

Fonte:

MOBBING E E DISCRIMINAZIONI SUL LAVORO, CASI IN AUMENTO

Oltre 500 casi di mobbing, 350 segnalazioni di possibili comportamenti discriminatori. Per un totale di quasi 900 casi, nella maggioranza dei casi relativi a lavoratrici, seguiti e “certificati” negli ultimi dieci anni nella sola provincia di Trieste. Numeri che allarmano il sindacato, quelli segnalati da Gerarda Urcioli (punto d’ascolto mobbing) e Gabriella Taddeo (consigliera di parità) in occasione del seminario dedicato a mobbing, discriminazioni e molestie sul lavoro, organizzato questa mattina a Udine dalla Fisac, la categoria Cgil che tutela i lavoratori del credito e delle assicurazioni. «Siamo di fronte a un fenomeno sottostimato – dichiara Orietta Olivo, responsabile welfare, lavoro e pari opportunità della segreteria regionale Cgil – perché i casi segnalati o denunciati, che stimiamo in un numero vicino ai 500 all’anno nella nostra regione, rappresentano soltanto la punta dell’iceberg. È molto più frequente, infatti, che i lavoratori e soprattutto le lavoratrici tacciano, soprattutto quando il loro è un impiego precario, la cui durata e le cui condizioni dipendono dalla discrezionalità del datore di lavoro. Se è vero come è vero che la crisi rende più debole ed esposto chi lavoro, è necessario potenziare gli strumenti di contrasto a questi fenomeni. Strumenti come il protocollo contro le molestie siglato recentemente da Cgil-Cisl-Uil con le organizzazioni imprenditoriali della cooperazione e del lavoro agricolo, e che confidiamo di sottoscrivere nelle prossime settimane, con gli stessi contenuti, con Confcommercio».

Il seminario

Al centro del seminario di Udine, che ha visto anche l’intervento della consigliera regionale di parità Roberta Nunin, non soltanto le ripercussioni individuali, ma anche i “costi sociali” degli atteggiamenti discriminatori e del mobbing in ambiente di lavoro. Con danni non soltanto per il lavoratore, ma anche per l’azienda (in termini di minore produttività, aumento del rischio infortuni e della conflittualità) e per la collettività, viste le ripercussioni sul servizio sanitario (cure, farmaci, ecc) e sul sistema previdenziale (malattie, infortuni, minore gettito contributivo). Guardando alle sole conseguenze economiche, che pure non rappresentano l’aspetto più grave del fenomeno, l’Osservatorio mobbing dell’università di Sapienza ha stimato in una media di 1.894 euro all’anno il costo per ogni persona mobbizzata, da moltiplicare per un numero di casi che, compresi quelli silenti, viene stimato ben oltre i 500mila. Da qui, ha concluso Olivo, «la necessità che le politiche di contrasto al mobbing e alle discriminazioni non siano una prerogativa esclusiva del sindacato e delle istituzioni preposte, ma diventino un obiettivo condiviso anche dalle aziende».


PER IL MOBBING VA DIMOSTRATO L'INTENTO PERSECUTORIO

Con la sentenza 1444/2011 il Tar per la Campania, sezione VII, aveva respinto il ricorso con in quale un dipendente del ministero della Giustizia ha chiesto l’accertamento del diritto al risarcimento del danno professionale, economico, biologico ed esistenziale patito per effetto della condotta vessatoria dell’amministrazione (mobbing) con conseguente condanna dell’amministrazione stessa al pagamento di una congrua somma per la lesione subita.
Il giudice di prime cure ha però ritenuto che gli episodi di conflitto fra il ricorrente e l’amministrazione penitenziaria, neppure se complessivamente considerati, non hanno consentito di individuare un disegno unitariamente persecutorio e discriminante.
Avverso tale sentenza il ricorrente ha proposto appello sottolineando, tra le altre cose, che una lesione permanente della sua integrità psico-fisica avrebbe configurato in capo all’amministrazione resistente un cumulo di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale.

La decisione di Palazzo Spada
Il Consiglio di Stato sezione IV con la sentenza n. 4509/2016, respingendo l’appello ha evidenziato che ai fini della configurabilità della condotta lesiva da mobbing, va accertata la presenza di una pluralità di elementi costitutivi, dati in particolare:
a) dalla molteplicità e globalità di comportamenti a carattere persecutorio, illeciti o anche di per sé leciti, posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente secondo un disegno vessatorio;
b) dall’evento lesivo della salute psicofisica del dipendente;
c) dal nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e la lesione dell’integrità psicofisica del lavoratore;
d) dalla prova dell’elemento soggettivo, cioè dell’intento persecutorio unificante i singoli fatti lesivi, che rappresenta elemento costitutivo della fattispecie.
Per il Collegio la sussistenza di condotte cosiddette mobbizzanti deve essere qualificata dall’accertamento di precipue finalità persecutorie o discriminatorie, poiché proprio l’elemento soggettivo finalistico consente di cogliere in uno o più provvedimenti e comportamenti, o anche in una sequenza frammista di provvedimenti e comportamenti, quel disegno unitario teso alla dequalificazione, svalutazione o emarginazione del lavoratore pubblico dal contesto organizzativo nel quale è inserito che è imprescindibile ai fini della configurazione del mobbing.

Le conclusioni del Collegio
Sul punto i giudici di Palazzo Spada rilevano che un singolo atto illegittimo o anche più atti illegittimi di gestione del rapporto in danno del lavoratore, non sono, di per sé soli, sintomatici della presenza di un comportamento mobbizzante.
Nel caso in esame, conclude il Collegio, il ricorrente non ha peraltro replicato all’argomento principale posto a base della decisione impugnata, nel senso che non ha assolto all’onere di dimostrare l’esistenza di quell’intento persecutorio, unificante i singoli eventi, che solo potrebbe giustificare l’accoglimento della domanda sotto il profilo del preteso mobbing, mancando dunque, nella specie, la stessa condotta illecita ascrivibile all’amministrazione intimata.

FONTE IL SOLE 24 ORE

L'ODIOSO FENOMENO SOCIALE DEL MOBBING. COME DIFENDERSI E FARSI RISARCIRE

Il mobbing sul lavoro consiste in un insieme di comportamenti violenti perpetrati da parte di superiori e/o colleghi nei confronti di un lavoratore, prolungato nel tempo e lesivo della dignità personale e professionale nonché della salute psicofisica dello stesso. Il termine mobbing deriva dall’inglese “to mob”, che significa una “folla grande e disordinata”, soprattutto “dedita al vandalismo e alle sommosse”. Il termine venne usato per la primo volta negli anni settanta dall’etologo Lorenz per descrivere un particolare comportamento di alcune specie animali che circondano in gruppo un proprio simile e lo assalgono rumorosamente per allontanarlo dal branco. La pratica del mobbing, consiste nel vessare il dipendente o il collega di lavoro con diversi metodi di violenza psicologica o addirittura fisica, con il fine di indurre la vittima ad abbandonare il posto di lavoro, anziché ricorrere al licenziamento. Sono esempi di mobbing lo svuotamento delle mansioni tale da rendere umiliante il prosieguo del lavoro, i continui rimproveri e richiami espressi in privato ed in pubblico anche per banalità, l’esercizio esasperato ed eccessivo di forme di controllo, oppure l’esclusione reiterata del lavoratore rispetto ad iniziative formative, di riqualificazione e aggiornamento professionale, la mancata assegnazione dei compiti lavorativi, con inattività forzata o, l’interrompere o impedire il flusso di informazioni necessari per l’attività (chiusura della casella di posta elettronica, restrizioni sull’accesso a internet). Per poter parlare di mobbing sul lavoro, l’attività persecutoria deve durare più di 6 mesi e deve essere funzionale alla espulsione del lavoratore, nonché causa di una serie di ripercussioni psico-fisiche che spesso sfociano in specifiche malattie (disturbo da disadattamento lavorativo, disturbo post-traumatico da stress) ad andamento cronico. Esistono diversi tipi di mobbing, ecco qui di seguito alcuni esempi e tipologie:
  • Mobbing dal basso o down-up: Il mobber è in una posizione inferiore rispetto a quella della vittima. Accade quando l’autorità di un capo viene messa in discussione da uno o più sottoposti, in una sorta di ammutinamento professionale generalizzato. I casi di mobbing dal basso sono comunque abbastanza rari, in Italia la percentuale è minore del 10%.
  • Mobbing gerarchico: Il mobber è in una posizione superiore rispetto alla vittima: un dirigente, un capo reparto, un capufficio. Questo tipo di mobbing comprende tutti quegli atteggiamenti riconducibili alla tematica dell’abuso di potere, cioè dell’uso eccessivo, arbitrario o illecito del potere che un ruolo professionale implica.
  • Bossing o mobbing strategico: l’attività è condotta da un superiore al fine di costringere alle dimissioni un dipendente in particolare, ad es. perché antipatico, poco competente o poco produttivo; in questo caso, le attività di mobbing possono estendersi anche ai colleghi, che preferiscono assecondare il superiore, o quantomeno non prendere le difese della vittima, per non inimicarsi il capo. E’ prassi frequente nelle imprese che hanno subito ristrutturazioni, fusioni, cambiamenti che abbiano comportato un esubero di personale difficile da licenziare.
  • Mobbing orizzontale: è quello praticato da parte dei colleghi verso un lavoratore non integrato nell’organizzazione lavorativa per motivi d’incompatibilità ambientale o caratteriale, ad es. per motivi etnici, religiosi, sessuali etc.

Patolgie della vittima

Questo odioso fenomeno del mobbing, può rappresentare per la vittima un grave problema, non solo lavorativo ma anche sociale e familiare e, soprattutto può avere gravi ripercussioni sulla salute: la patologia psichiatrica più frequentemente associata al mobbing è il disturbo dell’adattamento; esso si compone di una variegata sintomatologia ansioso-depressiva come reazione all’evento stressogeno. Fra le conseguenze rientrano la perdita d’autostima, depressione, insonnia, isolamento. Inoltre il mobbing è causa di cefalea, annebbiamenti della vista, tremore, tachicardia, sudorazione fredda, gastrite, dermatosi. Le conseguenze maggiori sono i disturbi della socialità: nevrosi, depressione, isolamento sociale e, suicidio in un numero non trascurabile di casi. In Italia il numero di vittime del mobbing è stimato intorno a 1 milione e 200 mila, con prevalenza tra i quadri e i dirigenti, più che altro nel settore pubblico e in quello dei servizi. Negli ultimi dieci anni i casi di mobbing denunciati hanno avuto un incremento esponenziale. Non dimentichiamo poi che proprio per i suoi effetti, il mobbing ha un forte costo sociale, stimato in circa il 190% superiore al salario annuo lordo di un dipendente non mobbizzato. Attualmente in Italia non esiste una legge anti-mobbing, pertanto non è configurato come specifico reato penale a sé stante. Per quanto riguarda l’Europa, esiste una risoluzione del Parlamento europeo sul mobbing sul posto di lavoro (2001/2339) che rappresenta uno dei primi riferimenti normativi in materia; tuttavia il nostro Stato non si è ancora adeguato a tale risoluzione, non essendo ad essa seguita una direttiva che imponga ai paesi membri una legiferazione sul mobbing. Vi sono comunque delle norme nel nostro ordinamento che ci aiutano nella lotta al mobbing; una prima norma, che riguarda i diritti sacrosanti dell’uomo e assurge a rango di principio costituzionale (pertanto inviolabile) è rappresentata dall’art. 32 Costituzione che afferma: “la salute è un diritto dell’individuo e della collettività…”. Ad essa va affiancato il principio stabilito dall’art 40 Cost. secondo il quale “l’iniziativa economica privata è libera, non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”. Dal punto di vista civilistico l’art. 2087 c.c. impone al datore di lavoro “di adottare le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori”. Tale obbligo, fa si che il datore di lavoro possa essere chiamato a risarcire il danno:
  1. sia al patrimonio professionale (c.d. danno da dequalificazione);
  2. sia alla personalità morale e alla salute latamente intesa (c.d. danno biologico e neurobiologico) subito dal lavoratore. Ricordiamo infine che in caso di mobbing sul lavoro il lavoratore potrà dimettersi per giusta causa e eventualmente fare richiesta di disoccupazione NASPI. In questo caso le dimissioni sono date in tronco, non c’è bisogno di dare il preavviso. Il lavoratore dovrà comunque procedere legalmente contro l’azienda per tentare di dimostrare il mobbing.

Vi sono poi una infinità di sentenze della Cassazione in tema di diritto del lavoro che riaffermano l’illegittimità del comportamento del datore di lavoro atto a sminuire e ledere l’integrità psico-fisica del lavoratore e l’obbligo per lo stesso, di risarcire i danni. Non dimentichiamoci poi i principi stabiliti dallo Statuto dei lavoratori (L. 300/70):

  • Art. 9: tutela della salute e dell’integrità fisica;
  • 13: al dipendente non possono essere date mansioni di livello professionale inferiore a quello d’inquadramento;
  • 15: divieto di atti discriminatori per motivi politici o religiosi;
  • 18: reintegrazione nel posto di lavoro in caso di ingiusto licenziamento. 

Uno dei punti più dolenti della materia è come dimostrare di subire il mobbing sul lavoro. Più problematica è quindi la tutela penale dal mobbing. Non vi è nel nostro ordinamento, norme che sanzionano atteggiamenti di vessazione morale o di dequalificazione professionale in quanto tali. Proprio le difficoltà che l’interprete incontra nell’individuare, nell’attuale normativa, un’efficace tutela penale a favore della vittima di mobbing, hanno determinato il proliferare di nuove proposte anche in sede legislativa (tutte che giacciono in Parlamento).

Allo stato attuale, fino a che non si dimostri in modo inequivocabile che il lavoratore mobbizzato si sia ammalato di mobbing, la tutela in ambito penalistico (vale a dire la tutela nell’ambito delle lesioni) non ha concreta praticabilità. Nell’ipotesi (non rara) in cui si verivichi una lesione psico fisica da mobbing, quale è la norma penale di riferimento? E’ importante, in primis accertare il nesso tra mobbing e danneggiamento della salute; successivamente bisogna accertare se la volontà del soggetto agente (il datore di lavoro o il collega) sia frutto di un dolo (ossia coscienza e volontà della condotta e dell’evento offensivo) o di una colpa (ossia sulla coscienza e volontà della condotta ma non dell’evento, che si realizza invece per negligenza, imprudenza, imperizia o violazione di leggi, regolamenti, ordini o discipline specifiche). 

BOSSING

Il Bossing è quella forma di Mobbing compiuto dai superiori o dai dirigenti dell’azienda, con lo scopo preciso di indurre il dipendente alle dimissioni. Generalmente, oggi i diritti dei lavoratori sono molto tutelati, tuttavia, soprattutto in tempi di crisi, molte aziende sono costrette a ridurre il personale. Per questo il Bossing può rivelarsi un'utile strategia aziendale per raggiungere i fini prefissati del licenziamento o della riduzione del personale senza interferenze da parte dei sindacati. 

COME TUTELARSI?

Trasportando questi principi (che poi sono i principi cardine del diritto penale) in tema di mobbing, dobbiamo chiederci: la compromissione dell’integrità psicofisica del lavoratore è riconducibile ad una condotta colposa del datore di lavoro, ovvero ad una condotta dolosa, intenzionalmente e consapevolmente orientata a produrre quel danno in capo al prestatore di lavoro? Pertanto il mobbing potrà sfociare in reati quali ingiuria (offesa all’onore e al decoro) o di diffamazione (offesa della reputazione  pubblica) previsti dal codice penale e sanzionati come delitti contro l’onore. Ma anche in reati di lesione a seconda degli effetti che tali azioni hanno sull’individuo che le subisce: gli abusi lavorativi vengono di fatto equiparati a lesioni personali colpose. Possono giungere addirittura ad integrare ipotesi di omicidio colposo (art.589 c.p.) quando il datore di lavoro determini o rafforzi per colpa nel lavoratore mobbizzato, con la sua condotta reiteratamente vessatoria e/o ingiustificatamente discriminatoria e di emarginazione, una propensione suicidiaria, o reati di molestia e così via. Il discorso sul mobbing sarebbe ancora molto lungo e complesso per le sue implicazioni non solo legali ma anche e soprattutto sociali e familiari. Proprio per questo sarebbe necessario e urgente che il nostro Parlamento si decidesse una volta per tutte, a legiferare su un tema di così forte attualità e gravità. Nel frattempo non dimentichiamo che noi abbiamo un’arma molto forte che è quella della DENUNCIA. Denunciare vuol dire far conoscere a tutti un problema e renderli partecipi; si può denunciare un fatto all’Autorità Giudiziaria (e questo è un conto) ma la denuncia può essere fatta anche con altri mezzi, ad esempio con una pubblicazione su un giornale, attraverso i sindacati, nelle riunioni aziendali, con un volantino appeso in bacheca etc etc. L’importante è rompere il muro di omertà che fa sentire forte il datore di lavoro che ricorre al mobbing e, dall’altro riduce la vittima ad un essere piccolo piccolo, pieno di vergogna o peggio, di terrore e, incapace di reagire. Denunciare il mobbing, non è sempre facile perchè si ha paura di perdere il posto di lavoro, o di essere derisi e umiliati ancor più del normale; ma deve essere fatto! Parlare di mobbing sul lavoro serve alla vittima a “liberarsi” ma serve anche alla collettività, serve a dare coraggio a chi, nella stessa situazione preferisce tacere e sopportare, piuttosto che intraprendere una battaglia con il capo. Serve come esempio per tutti e soprattutto come monito a molti dei datori di lavoro che credono di poter disporre dei propri dipendenti come fossero oggetti da spostare qua e la. Siamo uomini e come tali, nati liberi e con una dignità, che nessuno e per nessun motivo deve mai negarci!

Fonte: 
A CHI RIVOLGERSI? PER DENUNCIARE, TUTELARSI E RICEVERE AIUTO PSICOLOGICO QUESTI I NUMERI UTILI E I LINK DIRETTI:

BULLISMO E CYBERBULLISMO. NATURA DEL FENOMENO, TUTELA LEGISLATIVA E NUMERI UTILI

Il bullismo è un fenomeno sociale, che si sviluppa in vari ambienti, quali la scuola o il luogo di lavoro. All’interno del luogo lavorativo (quindi tra adulti)  viene chiamato MOBBING, perché purtroppo non si limita solo al mondo giovanile. Il mobbing solitamente non ha un obiettivo di scherno, ma  induce il soggetto che subisce questi atti a licenziarsi  dal posto di lavoro. E' una forma di stigmatizzazione sociale perpetrata sul luogo di lavoro. Il bullismo è una violenza perpetua, verbale, fisica o anche online, nell’ultimo caso si tratta di CYBERBULLISMO ed è rivolto verso un soggetto solitamente debole. La volontà di sminuire l’altro per sopraffarlo al fine di emergere a discapito del malcapitato è sempre esistita, ma solo negli ultimi anni ha trovato nuovi mezzi per fare ancora più male, come il web. Il cyberbullismo può diventare ancora più insidioso del bullismo ‘dal vivo’, perché spesso diventa una pubblica diffamazione. I numeri sono allarmanti: nell’ambito scolastico nel 2017 ci sono stati 207 episodi di violenza, di cui il 40% ha dichiarato di averne subite anche online, trascorrendo davanti allo schermo, più di 5 ore. I dati allarmavano già dal 2013-2014, anno in cui l’associazione “Telefono Azzurro” aveva calcolato che su 3.330 consulenze sui problemi dei giovani il 14,6% degli intervenuti afferma di essere stata vittima di bullismo. Nel 2014, secondo l’indagine “Osservatorio adolescenti”, presentata da “Telefono Azzurro”, rivolta ad un campione di 1500 studenti tra gli 11 e i 19 anni, il 34% dei ragazzi hanno affermato di aver subito bullismo. Nel 2014 era emerso che il 50% dei ragazzi tra gli 11 e i 17 anni aveva subito episodi di bullismo dai proprio coetanei.  I metodi utilizzati per opprimere psicologicamente la vittima sono stati:
  • 1,2% insulti
  • 6,3% derisioni
  • 5,1% diffamazioni
  • 4,7% esclusioni
  • 3,8% aggressioni fisiche.
Il fenomeno è aumentato in modo esponenziale nell’anno 2015-2016 le percentuali sono aumentate del 10% circa. Infatti il 59%  degli intervistati dichiara di aver subito atti di bullismo, di cui:
  • Il 48% li ha subiti saltuariamente
  • Il 12% li subisce assiduamente
Il bullismo e il cyberbullismo sono reati dal maggio 2017 quando è entrata in vigore la Legge 29 maggio 2017 n. 71 recante "Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo". Vediamo quali sono le principali novità introdotte dal provvedimento:
  • Definizione di «cyberbullismo»: con questa espressione si intende "qualunque forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione, furto d'identità, alterazione, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento illecito di dati personali in danno di minorenni, realizzata per via telematica, nonché la diffusione di contenuti on line aventi ad oggetto anche uno o più componenti della famiglia del minore il cui scopo intenzionale e predominante sia quello di isolare un minore o un gruppo di minori ponendo in atto un serio abuso, un attacco dannoso, o la loro messa in ridicolo".
  • Obiettivo della legge: il provvedimento intende contrastare il fenomeno del cyberbullismo in tutte le sue manifestazioni, con azioni a carattere preventivo e con una strategia di attenzione, tutela ed educazione nei confronti dei minori coinvolti, sia nella posizione di vittime sia in quella di responsabili di illeciti, assicurando l'attuazione degli interventi senza distinzione di età nell'ambito delle istituzioni scolastiche.
  • Gestore del sito internet: si intende il prestatore di servizi della società dell'informazione che, sulla rete internet, cura la gestione dei contenuti di un sito in cui si possono riscontrare le condotte di cyberbullismo; non sono considerati gestori gli access provider, i cache provider e i motori di ricerca.
  • Oscuramento del web: la vittima di cyberbullismo, che abbia compiuto almeno 14 anni, e i genitori o esercenti la responsabilità sul minore, può inoltrare al titolare del trattamento o al gestore del sito internet o del social media un'istanza per l'oscuramento, la rimozione o il blocco di qualsiasi altro dato personale del minore, diffuso nella rete internet. Se non si provvede entro 48 ore, l'interessato può rivolgersi al Garante della Privacy che interviene direttamente entro le successive 48 ore.
  • Ruolo della scuola nel contrasto al cyberbullismo: in ogni istituto tra i professori sarà individuato un referente per le iniziative contro il bullismo e il cyberbullismo. Al preside spetterà informare subito le famiglie dei minori coinvolti in atti di bullismo e, se necessario, convocare tutti gli interessati per adottare misure di assistenza alla vittima e sanzioni e percorsi rieducativi per l'autore. Più in generale, il Miur ha il compito di predisporre linee di orientamento di prevenzione e contrasto puntando, tra l'altro, sulla formazione del personale scolastico e la promozione di un ruolo attivo degli studenti, mentre ai singoli istituti è demandata l'educazione alla legalità e all'uso consapevole di internet. Alle iniziative in ambito scolastico collaboreranno anche polizia postale e associazioni territoriali. Il dirigente scolastico che venga a conoscenza di atti di cyberbullismo (salvo che il fatto costituisca reato) deve informare tempestivamente i soggetti che esercitano la responsabilità genitoriale o i tutori dei minori coinvolti e attivare adeguate azioni di carattere educativo.
  • Ammonimento da parte del questore: è stata estesa al cyberbullismo la procedura di ammonimento prevista in materia di stalking (artt. 612-bis c.p.). In caso di condotte di ingiuria (art. 594 c.p.), diffamazione (art. 595 c.p.), minaccia (art. 612 c.p.) e trattamento illecito di dati personali (art. 167 del codice della privacy) commessi mediante internet da minori ultraquattordicenni nei confronti di altro minorenne, fino a quando non è proposta querela o non è presentata denuncia è applicabile la procedura di ammonimento da parte del questore. A tal fine il questore convoca il minore, insieme ad almeno un genitore o ad altra persona esercente la responsabilità genitoriale; gli effetti dell'ammonimento cessano al compimento della maggiore età.
  • Piano d'azione e monitoraggio: presso la Presidenza del Consiglio è istituito un tavolo tecnico con il compito di redigere un piano di azione integrato per contrastare e prevenire il bullismo e realizzare una banca dati per il monitoraggio del fenomeno.
L’obiettivo della legge è di contrastare il fenomeno con azioni preventive e perseguire i responsabili in modo da tutelare le vittime. Inoltre, questa legge consente di fare richiesta per la cancellazione dei contenuti di bullismo e dati diffamatori diffusi online che violano la privacy. Quando dopo accurate indagini, un bullo viene accusato, e portato di fronte ad un giudice, quest’ultimo dovrà avvalersi della legge civile e penale per poterlo incriminare. Ciò che va analizzata, oltre al reato in sé, è l’età del bullo: se maggiorenne, risponde in maniera diretta dei crimini commessi, invece se minorenne, va confermata la sua capacità di intendere e di volere e solo in seguito si può procedere penalmente. È positivo che si parli sempre di più di questo fenomeno, anche se andrebbero escogitate migliori strategie per poter arginare il problema.

Questo il testo completo della legge:

LEGGE 29 maggio 2017, n. 71


Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo. (17G00085)

(G.U. n.127 del 3-6-2017) 

Vigente al: 18-6-2017 


La Camera dei deputati ed il Senato della Repubblica hanno approvato;

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Promulga

la seguente legge:

Art. 1. Finalita' e definizioni

1. La presente legge si pone l'obiettivo di contrastare il fenomeno del cyberbullismo in tutte le sue manifestazioni, con azioni a carattere preventivo e con una strategia di attenzione, tutela ed educazione nei confronti dei minori coinvolti, sia nella posizione di vittime sia in quella di responsabili di illeciti, assicurando l'attuazione degli interventi senza distinzione di eta' nell'ambito delle istituzioni scolastiche.

2. Ai fini della presente legge, per «cyberbullismo» si intende qualunque forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione, furto d'identita', alterazione, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento illecito di dati personali in danno di minorenni, realizzata per via telematica, nonche' la diffusione di contenuti on line aventi ad oggetto anche uno o piu' componenti della famiglia del minore il cui scopo intenzionale e predominante sia quello di isolare un minore o un gruppo di minori ponendo in atto un serio abuso, un attacco dannoso, o la loro messa in ridicolo.

3. Ai fini della presente legge, per «gestore del sito internet» si intende il prestatore di servizi della societa' dell'informazione, diverso da quelli di cui agli articoli 14, 15 e 16 del decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70, che, sulla rete internet, cura la gestione dei contenuti di un sito in cui si possono riscontrare le condotte di cui al comma 2.

Art. 2. Tutela della dignita' del minore

1. Ciascun minore ultraquattordicenne, nonche' ciascun genitore o soggetto esercente la responsabilita' del minore che abbia subito taluno degli atti di cui all'articolo 1, comma 2, della presente legge, puo' inoltrare al titolare del trattamento o al gestore del sito internet o del social media un'istanza per l'oscuramento, la rimozione o il blocco di qualsiasi altro dato personale del minore, diffuso nella rete internet, previa conservazione dei dati originali, anche qualora le condotte di cui all'articolo 1, comma 2, della presente legge, da identificare espressamente tramite relativo URL (Uniform resource locator), non integrino le fattispecie previste dall'articolo 167 del codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, ovvero da altre norme incriminatrici.

2. Qualora, entro le ventiquattro ore successive al ricevimento dell'istanza di cui al comma 1, il soggetto responsabile non abbia comunicato di avere assunto l'incarico di provvedere all'oscuramento, alla rimozione o al blocco richiesto, ed entro quarantotto ore non vi abbia provveduto, o comunque nel caso in cui non sia possibile identificare il titolare del trattamento o il gestore del sito internet o del social media, l'interessato puo' rivolgere analoga richiesta, mediante segnalazione o reclamo, al Garante per la protezione dei dati personali, il quale, entro quarantotto ore dal ricevimento della richiesta, provvede ai sensi degli articoli 143 e 144 del citato decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196.

Art. 3. Piano di azione integrato

1. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, e' istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, il tavolo tecnico per la prevenzione e il contrasto del cyberbullismo, del quale fanno parte rappresentanti del Ministero dell'interno, del Ministero dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca, del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, del Ministero della giustizia, del Ministero dello sviluppo economico, del Ministero della salute, della Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, dell'Autorita' per le garanzie nelle comunicazioni, del Garante per l'infanzia e l'adolescenza, del Comitato di applicazione del codice di autoregolamentazione media e minori, del Garante per la protezione dei dati personali, di associazioni con comprovata esperienza nella promozione dei diritti dei minori e degli adolescenti e nelle tematiche di genere, degli operatori che forniscono servizi di social networking e degli altri operatori della rete internet, una rappresentanza delle associazioni studentesche e dei genitori e una rappresentanza delle associazioni attive nel contrasto del bullismo e del cyberbullismo. Ai soggetti che partecipano ai lavori del tavolo non e' corrisposto alcun compenso, indennita', gettone di presenza, rimborso spese o emolumento comunque denominato.

2. Il tavolo tecnico di cui al comma 1, coordinato dal Ministero dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca, redige, entro sessanta giorni dal suo insediamento, un piano di azione integrato per il contrasto e la prevenzione del cyberbullismo, nel rispetto delle direttive europee in materia e nell'ambito del programma pluriennale dell'Unione europea di cui alla decisione 1351/2008/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, e realizza un sistema di raccolta di dati finalizzato al monitoraggio dell'evoluzione dei fenomeni e, anche avvalendosi della collaborazione con la Polizia postale e delle comunicazioni e con altre Forze di polizia, al controllo dei contenuti per la tutela dei minori.

3. Il piano di cui al comma 2 e' integrato, entro il termine previsto dal medesimo comma, con il codice di coregolamentazione per la prevenzione e il contrasto del cyberbullismo, a cui devono attenersi gli operatori che forniscono servizi di social networking e gli altri operatori della rete internet. Con il predetto codice e' istituito un comitato di monitoraggio al quale e' assegnato il compito di identificare procedure e formati standard per l'istanza di cui all'articolo 2, comma 1, nonche' di aggiornare periodicamente, sulla base delle evoluzioni tecnologiche e dei dati raccolti dal tavolo tecnico di cui al comma 1 del presente articolo, la tipologia dei soggetti ai quali e' possibile inoltrare la medesima istanza secondo modalita' disciplinate con il decreto di cui al medesimo comma 1. Ai soggetti che partecipano ai lavori del comitato di monitoraggio non e' corrisposto alcun compenso, indennita', gettone di presenza, rimborso spese o emolumento comunque denominato.

4. Il piano di cui al comma 2 stabilisce, altresi', le iniziative di informazione e di prevenzione del fenomeno del cyberbullismo rivolte ai cittadini, coinvolgendo primariamente i servizi socio-educativi presenti sul territorio in sinergia con le scuole.

5. Nell'ambito del piano di cui al comma 2 la Presidenza del Consiglio dei ministri, in collaborazione con il Ministero dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca e con l'Autorita' per le garanzie nelle comunicazioni, predispone, nei limiti delle risorse di cui al comma 7, primo periodo, periodiche campagne informative di prevenzione e di sensibilizzazione sul fenomeno del cyberbullismo, avvalendosi dei principali media, nonche' degli organi di comunicazione e di stampa e di soggetti privati.

6. A decorrere dall'anno successivo a quello di entrata in vigore della presente legge, il Ministro dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca trasmette alle Camere, entro il 31 dicembre di ogni anno, una relazione sugli esiti delle attivita' svolte dal tavolo tecnico per la prevenzione e il contrasto del cyberbullismo, di cui al comma 1.

7. Ai fini dell'attuazione delle disposizioni di cui al comma 5, e' autorizzata la spesa di euro 50.000 annui a decorrere dall'anno 2017. Al relativo onere si provvede mediante corrispondente riduzione, per gli anni 2017, 2018 e 2019, dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2017-2019, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2017, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al medesimo Ministero.

8. Il Ministro dell'economia e delle finanze e' autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

Art. 4. Linee di orientamento per la prevenzione e il contrasto in ambito scolastico

1. Per l'attuazione delle finalita' di cui all'articolo 1, comma 1, il Ministero dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca, sentito il Ministero della giustizia - Dipartimento per la giustizia minorile e di comunita', entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge adotta linee di orientamento per la prevenzione e il contrasto del cyberbullismo nelle scuole, anche avvalendosi della collaborazione della Polizia postale e delle comunicazioni, e provvede al loro aggiornamento con cadenza biennale.

2. Le linee di orientamento di cui al comma 1, conformemente a quanto previsto alla lettera l) del comma 7 dell'articolo 1 della legge 13 luglio 2015, n. 107, includono per il triennio 2017-2019: la formazione del personale scolastico, prevedendo la partecipazione di un proprio referente per ogni autonomia scolastica; la promozione di un ruolo attivo degli studenti, nonche' di ex studenti che abbiano gia' operato all'interno dell'istituto scolastico in attivita' di peer education, nella prevenzione e nel contrasto del cyberbullismo nelle scuole; la previsione di misure di sostegno e rieducazione dei minori coinvolti; un efficace sistema di governance diretto dal Ministero dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca. Dall'adozione delle linee di orientamento non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

3. Ogni istituto scolastico, nell'ambito della propria autonomia, individua fra i docenti un referente con il compito di coordinare le iniziative di prevenzione e di contrasto del cyberbullismo, anche avvalendosi della collaborazione delle Forze di polizia nonche' delle associazioni e dei centri di aggregazione giovanile presenti sul territorio.

4. Gli uffici scolastici regionali promuovono la pubblicazione di bandi per il finanziamento di progetti di particolare interesse elaborati da reti di scuole, in collaborazione con i servizi minorili dell'Amministrazione della giustizia, le prefetture - Uffici territoriali del Governo, gli enti locali, i servizi territoriali, le Forze di polizia nonche' associazioni ed enti, per promuovere sul territorio azioni integrate di contrasto del cyberbullismo e l'educazione alla legalita' al fine di favorire nei ragazzi comportamenti di salvaguardia e di contrasto, agevolando e valorizzando il coinvolgimento di ogni altra istituzione competente, ente o associazione, operante a livello nazionale o territoriale, nell'ambito delle attivita' di formazione e sensibilizzazione. I bandi per accedere ai finanziamenti, l'entita' dei singoli finanziamenti erogati, i soggetti beneficiari e i dettagli relativi ai progetti finanziati sono pubblicati nel sito internet istituzionale degli uffici scolastici regionali, nel rispetto della trasparenza e dell'evidenza pubblica.

5. Conformemente a quanto previsto dalla lettera h) del comma 7 dell'articolo 1 della legge 13 luglio 2015, n. 107, le istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado, nell'ambito della propria autonomia e nell'ambito delle risorse disponibili a legislazione vigente, promuovono l'educazione all'uso consapevole della rete internet e ai diritti e doveri connessi all'utilizzo delle tecnologie informatiche, quale elemento trasversale alle diverse discipline curricolari, anche mediante la realizzazione di apposite attivita' progettuali aventi carattere di continuita' tra i diversi gradi di istruzione o di progetti elaborati da reti di scuole in collaborazione con enti locali, servizi territoriali, organi di polizia, associazioni ed enti.

6. I servizi territoriali, con l'ausilio delle associazioni e degli altri enti che perseguono le finalita' della presente legge, promuovono, nell'ambito delle risorse disponibili, specifici progetti personalizzati volti a sostenere i minori vittime di atti di cyberbullismo nonche' a rieducare, anche attraverso l'esercizio di attivita' riparatorie o di utilita' sociale, i minori artefici di tali condotte.

Art. 5. Informativa alle famiglie, sanzioni in ambito scolastico e progetti di sostegno e di recupero

1. Salvo che il fatto costituisca reato, in applicazione della normativa vigente e delle disposizioni di cui al comma 2, il dirigente scolastico che venga a conoscenza di atti di cyberbullismo ne informa tempestivamente i soggetti esercenti la responsabilita' genitoriale ovvero i tutori dei minori coinvolti e attiva adeguate azioni di carattere educativo.

2. I regolamenti delle istituzioni scolastiche di cui all'articolo 4, comma 1, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 24 giugno 1998, n. 249, e successive modificazioni, e il patto educativo di corresponsabilita' di cui all'articolo 5-bis del citato decreto n. 249 del 1998 sono integrati con specifici riferimenti a condotte di cyberbullismo e relative sanzioni disciplinari commisurate alla gravita' degli atti compiuti.

Art. 6. Rifinanziamento del fondo di cui all'articolo 12 della legge 18 marzo 2008, n. 48

1. La Polizia postale e delle comunicazioni relaziona con cadenza annuale al tavolo tecnico di cui all'articolo 3, comma 1, sugli esiti delle misure di contrasto al fenomeno del cyberbullismo. La relazione e' pubblicata in formato di tipo aperto ai sensi dell'articolo 68, comma 3, lettera a), del codice dell'amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82.

2. Per le esigenze connesse allo svolgimento delle attivita' di formazione in ambito scolastico e territoriale finalizzate alla sicurezza dell'utilizzo della rete internet e alla prevenzione e al contrasto del cyberbullismo sono stanziate ulteriori risorse pari a 203.000 euro per ciascuno degli anni 2017, 2018 e 2019, in favore del fondo di cui all'articolo 12 della legge 18 marzo 2008, n. 48.

3. Agli oneri derivanti dal comma 2 del presente articolo, pari a 203.000 euro per ciascuno degli anni 2017, 2018 e 2019, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2017-2019, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2017, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al medesimo Ministero.

4. Il Ministro dell'economia e delle finanze e' autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

Art. 7. Ammonimento

1. Fino a quando non e' proposta querela o non e' presentata denuncia per taluno dei reati di cui agli articoli 594, 595 e 612 del codice penale e all'articolo 167 del codice per la protezione dei dati personali, di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, commessi, mediante la rete internet, da minorenni di eta' superiore agli anni quattordici nei confronti di altro minorenne, e' applicabile la procedura di ammonimento di cui all'articolo 8, commi 1 e 2, del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2009, n. 38, e successive modificazioni.

2. Ai fini dell'ammonimento, il questore convoca il minore, unitamente ad almeno un genitore o ad altra persona esercente la responsabilita' genitoriale.

3. Gli effetti dell'ammonimento di cui al comma 1 cessano al compimento della maggiore eta'.

La presente legge, munita del sigillo dello Stato, sara' inserita nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. E' fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato.

Data a Roma, addi' 29 maggio 2017

MATTARELLA

Gentiloni Silveri, Presidente del Consiglio dei ministri 

Visto, il Guardasigilli: Orlando



A CHI RIVOLGERSI? PER ESSERE AIUTATI IN CASI DI BULLISMO E CYBERBULLISMO FORNIAMO ALCUNI UTILI INDIRIZZI E NUMERI DI TELEFONO:

Gino Fanelli – cell 333 54 44 133

numero verde bullismo 900018018

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http://pinkroma.it/mamma/consigli-per-mamme/cyber-bullismo-il-decalogo-della-polizia-postale-per-giovani-e-genitori/
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IL BULLISMO UN FENOMENO IN CRESCITA

Il fenomeno del bullismo fa registrare ogni giorno casi nuovi e allarmanti in Italia. Ma, contrariamente a ciò che il termine "bullismo" evoca (da bullo: ragazzino sfrontato e violento), il fenomeno non riguarda solo i giovani e gli adolescenti, ma anche agli adulti. Il fenomeno infatti presenta diverse declinazioni: tra studenti, da parte di studenti a danno dei professori, da parte di genitori a danno dei professori, e perfino da parte di genitori a danno di altri studenti. Il caso che ha creato più scalpore è stato quello di un istituto tecnico commerciale di Lucca, dove alcuni studenti hanno ripetutamente minacciato e intimidito un professore di 64 anni, usando violenza verbale, mimando di colpirlo con un casco integrale da motociclista e impilando i cestini della spazzatura sulla cattedra. L’episodio è andato ad aggiungersi a numerosi altri di segno simile a cui è stata data crescente attenzione da parte dei media negli ultimi mesi, come quello della professoressa ferita da uno studente con un coltello in provincia di Caserta, o la professoressa disabile "legata e presa a calci" ad Alessandria. La moltiplicazione delle segnalazioni di questo genere ha creato un clima da allarme sociale, al punto che l’associazione Professione Insegnante ha deciso di lanciare una petizione su change.org indirizzata al presidente Mattarella e al Ministero dell’Istruzione, per chiedere “una legge contro la violenza sugli insegnanti,” mentre l’associazione Presidi Lazio organizza un corso apposito per preparare i docenti a gestire casi di bullismo. Ma, a parte le punizioni esemplari come la bocciatura, andata così per gli studenti di Lucca protagonisti dei video circolati su internet: in sei sono stati indagati e perquisiti per concorso nei reati di violenza privata, minacce e tentato furto del tablet con il registro elettronico,  la sensazione è che portare casi del genere all'attenzione dei media, si rischia di rendere "virale" la piaga del bullismo attraverso la pubblicazione di video shock innescando pericolosi casi di emulazione. Di certo, è che un ecosistema informativo basato su dinamiche tossiche di questo tipo non favorisce un serio dibattito pubblico su un fenomeno complesso e delicato. Secondo gli ultimi dati Istat, gli studenti liceali che dichiaravano di aver subito ripetutamente comportamenti offensivi o violenti erano allora il 19,4%, contro il 18,1% degli istituti professionali e il 16% degli istituti tecnici. I fatti di bullismo risultano più frequenti al Nord che al Sud e nelle isole. La distribuzione pressoché paritetica tra le diverse tipologie di istituto superiore va nella stessa direzione: il bullismo è un fenomeno che travalica le differenze di classe. Sulla base di questi dati, i giornali titolavano “allarme bullismo” già nel 2016, ma non sono tanto diversi da quelli di una ricerca effettuata nel 2001 tra le scuole superiori della Provincia di Trento, in cui il 33% degli intervistati dichiarava di essere vittima ricorrente di bullismo. La prima a prendere in considerazione gli atti di violenza di studenti nei confronti degli insegnanti è una ricerca del 2008, in cui la percentuale di docenti vittima di violenze risulta oscillare tra il 3 e il 5%: ogni dichiarazione della presunta escalation negli ultimi anni deve necessariamente partire da questi dati, e dimostrare che siano andati peggiorando. Questo non significa, ovviamente, negare l’esistenza del fenomeno o minimizzarlo, ma pretendere che una discussione seria parta da una base solida e non dal sentito dire o dal sensazionalismo giornalistico, vada ad affrontare le cause reali del problema — che sono inevitabilmente complesse e non riducibili a un solo fattore — e soprattutto coinvolga gli attori interessati (studenti, insegnanti, genitori). Soprattutto i genitori, la cui figura educativa di riferimento è andata sempre sfumandosi nel tempo, permettendo lo sfociare di questi atti violenti che poco hanno a che fare con le differenze sociali, ma molto con storie di disagio familiare. Un sottobosco ancora poco esplorato.

Fonte:





   


















IL BULLISMO UN FENOMENO IN CRESCITA

Il fenomeno del bullismo fa registrare ogni giorno casi nuovi e allarmanti in Italia. Ma, contrariamente a ciò che il termine "bullismo" evoca (da bullo: ragazzino sfrontato e violento), il fenomeno non riguarda solo i giovani e gli adolescenti, ma anche agli adulti. Il fenomeno infatti presenta diverse declinazioni: tra studenti, da parte di studenti a danno dei professori, da parte di genitori a danno dei professori, e perfino da parte di genitori a danno di altri studenti. Il caso che ha creato più scalpore è stato quello di un istituto tecnico commerciale di Lucca, dove alcuni studenti hanno ripetutamente minacciato e intimidito un professore di 64 anni, usando violenza verbale, mimando di colpirlo con un casco integrale da motociclista e impilando i cestini della spazzatura sulla cattedra. L’episodio è andato ad aggiungersi a numerosi altri di segno simile a cui è stata data crescente attenzione da parte dei media negli ultimi mesi, come quello della professoressa ferita da uno studente con un coltello in provincia di Caserta, o la professoressa disabile "legata e presa a calci" ad Alessandria. La moltiplicazione delle segnalazioni di questo genere ha creato un clima da allarme sociale, al punto che l’associazione Professione Insegnante ha deciso di lanciare una petizione su change.org indirizzata al presidente Mattarella e al Ministero dell’Istruzione, per chiedere “una legge contro la violenza sugli insegnanti,” mentre l’associazione Presidi Lazio organizza un corso apposito per preparare i docenti a gestire casi di bullismo. Ma, a parte le punizioni esemplari come la bocciatura, andata così per gli studenti di Lucca protagonisti dei video circolati su internet: in sei sono stati indagati e perquisiti per concorso nei reati di violenza privata, minacce e tentato furto del tablet con il registro elettronico,  la sensazione è che portare casi del genere all'attenzione dei media, si rischia di rendere "virale" la piaga del bullismo attraverso la pubblicazione di video shock innescando pericolosi casi di emulazione. Di certo, è che un ecosistema informativo basato su dinamiche tossiche di questo tipo non favorisce un serio dibattito pubblico su un fenomeno complesso e delicato. Secondo gli ultimi dati Istat, gli studenti liceali che dichiaravano di aver subito ripetutamente comportamenti offensivi o violenti erano allora il 19,4%, contro il 18,1% degli istituti professionali e il 16% degli istituti tecnici. I fatti di bullismo risultano più frequenti al Nord che al Sud e nelle isole. La distribuzione pressoché paritetica tra le diverse tipologie di istituto superiore va nella stessa direzione: il bullismo è un fenomeno che travalica le differenze di classe. Sulla base di questi dati, i giornali titolavano “allarme bullismo” già nel 2016, ma non sono tanto diversi da quelli di una ricerca effettuata nel 2001 tra le scuole superiori della Provincia di Trento, in cui il 33% degli intervistati dichiarava di essere vittima ricorrente di bullismo. La prima a prendere in considerazione gli atti di violenza di studenti nei confronti degli insegnanti è una ricerca del 2008, in cui la percentuale di docenti vittima di violenze risulta oscillare tra il 3 e il 5%: ogni dichiarazione della presunta escalation negli ultimi anni deve necessariamente partire da questi dati, e dimostrare che siano andati peggiorando. Questo non significa, ovviamente, negare l’esistenza del fenomeno o minimizzarlo, ma pretendere che una discussione seria parta da una base solida e non dal sentito dire o dal sensazionalismo giornalistico, vada ad affrontare le cause reali del problema — che sono inevitabilmente complesse e non riducibili a un solo fattore — e soprattutto coinvolga gli attori interessati (studenti, insegnanti, genitori). Soprattutto i genitori, la cui figura educativa di riferimento è andata sempre sfumandosi nel tempo, permettendo lo sfociare di questi atti violenti che poco hanno a che fare con le differenze sociali, ma molto con storie di disagio familiare. Un sottobosco ancora poco esplorato.

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