venerdì 14 settembre 2018

L'ODIOSO FENOMENO SOCIALE DEL MOBBING. COME DIFENDERSI E FARSI RISARCIRE

Il mobbing sul lavoro consiste in un insieme di comportamenti violenti perpetrati da parte di superiori e/o colleghi nei confronti di un lavoratore, prolungato nel tempo e lesivo della dignità personale e professionale nonché della salute psicofisica dello stesso. Il termine mobbing deriva dall’inglese “to mob”, che significa una “folla grande e disordinata”, soprattutto “dedita al vandalismo e alle sommosse”. Il termine venne usato per la primo volta negli anni settanta dall’etologo Lorenz per descrivere un particolare comportamento di alcune specie animali che circondano in gruppo un proprio simile e lo assalgono rumorosamente per allontanarlo dal branco. La pratica del mobbing, consiste nel vessare il dipendente o il collega di lavoro con diversi metodi di violenza psicologica o addirittura fisica, con il fine di indurre la vittima ad abbandonare il posto di lavoro, anziché ricorrere al licenziamento. Sono esempi di mobbing lo svuotamento delle mansioni tale da rendere umiliante il prosieguo del lavoro, i continui rimproveri e richiami espressi in privato ed in pubblico anche per banalità, l’esercizio esasperato ed eccessivo di forme di controllo, oppure l’esclusione reiterata del lavoratore rispetto ad iniziative formative, di riqualificazione e aggiornamento professionale, la mancata assegnazione dei compiti lavorativi, con inattività forzata o, l’interrompere o impedire il flusso di informazioni necessari per l’attività (chiusura della casella di posta elettronica, restrizioni sull’accesso a internet). Per poter parlare di mobbing sul lavoro, l’attività persecutoria deve durare più di 6 mesi e deve essere funzionale alla espulsione del lavoratore, nonché causa di una serie di ripercussioni psico-fisiche che spesso sfociano in specifiche malattie (disturbo da disadattamento lavorativo, disturbo post-traumatico da stress) ad andamento cronico. Esistono diversi tipi di mobbing, ecco qui di seguito alcuni esempi e tipologie:
  • Mobbing dal basso o down-up: Il mobber è in una posizione inferiore rispetto a quella della vittima. Accade quando l’autorità di un capo viene messa in discussione da uno o più sottoposti, in una sorta di ammutinamento professionale generalizzato. I casi di mobbing dal basso sono comunque abbastanza rari, in Italia la percentuale è minore del 10%.
  • Mobbing gerarchico: Il mobber è in una posizione superiore rispetto alla vittima: un dirigente, un capo reparto, un capufficio. Questo tipo di mobbing comprende tutti quegli atteggiamenti riconducibili alla tematica dell’abuso di potere, cioè dell’uso eccessivo, arbitrario o illecito del potere che un ruolo professionale implica.
  • Bossing o mobbing strategico: l’attività è condotta da un superiore al fine di costringere alle dimissioni un dipendente in particolare, ad es. perché antipatico, poco competente o poco produttivo; in questo caso, le attività di mobbing possono estendersi anche ai colleghi, che preferiscono assecondare il superiore, o quantomeno non prendere le difese della vittima, per non inimicarsi il capo. E’ prassi frequente nelle imprese che hanno subito ristrutturazioni, fusioni, cambiamenti che abbiano comportato un esubero di personale difficile da licenziare.
  • Mobbing orizzontale: è quello praticato da parte dei colleghi verso un lavoratore non integrato nell’organizzazione lavorativa per motivi d’incompatibilità ambientale o caratteriale, ad es. per motivi etnici, religiosi, sessuali etc.

Patolgie della vittima

Questo odioso fenomeno del mobbing, può rappresentare per la vittima un grave problema, non solo lavorativo ma anche sociale e familiare e, soprattutto può avere gravi ripercussioni sulla salute: la patologia psichiatrica più frequentemente associata al mobbing è il disturbo dell’adattamento; esso si compone di una variegata sintomatologia ansioso-depressiva come reazione all’evento stressogeno. Fra le conseguenze rientrano la perdita d’autostima, depressione, insonnia, isolamento. Inoltre il mobbing è causa di cefalea, annebbiamenti della vista, tremore, tachicardia, sudorazione fredda, gastrite, dermatosi. Le conseguenze maggiori sono i disturbi della socialità: nevrosi, depressione, isolamento sociale e, suicidio in un numero non trascurabile di casi. In Italia il numero di vittime del mobbing è stimato intorno a 1 milione e 200 mila, con prevalenza tra i quadri e i dirigenti, più che altro nel settore pubblico e in quello dei servizi. Negli ultimi dieci anni i casi di mobbing denunciati hanno avuto un incremento esponenziale. Non dimentichiamo poi che proprio per i suoi effetti, il mobbing ha un forte costo sociale, stimato in circa il 190% superiore al salario annuo lordo di un dipendente non mobbizzato. Attualmente in Italia non esiste una legge anti-mobbing, pertanto non è configurato come specifico reato penale a sé stante. Per quanto riguarda l’Europa, esiste una risoluzione del Parlamento europeo sul mobbing sul posto di lavoro (2001/2339) che rappresenta uno dei primi riferimenti normativi in materia; tuttavia il nostro Stato non si è ancora adeguato a tale risoluzione, non essendo ad essa seguita una direttiva che imponga ai paesi membri una legiferazione sul mobbing. Vi sono comunque delle norme nel nostro ordinamento che ci aiutano nella lotta al mobbing; una prima norma, che riguarda i diritti sacrosanti dell’uomo e assurge a rango di principio costituzionale (pertanto inviolabile) è rappresentata dall’art. 32 Costituzione che afferma: “la salute è un diritto dell’individuo e della collettività…”. Ad essa va affiancato il principio stabilito dall’art 40 Cost. secondo il quale “l’iniziativa economica privata è libera, non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”. Dal punto di vista civilistico l’art. 2087 c.c. impone al datore di lavoro “di adottare le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori”. Tale obbligo, fa si che il datore di lavoro possa essere chiamato a risarcire il danno:
  1. sia al patrimonio professionale (c.d. danno da dequalificazione);
  2. sia alla personalità morale e alla salute latamente intesa (c.d. danno biologico e neurobiologico) subito dal lavoratore. Ricordiamo infine che in caso di mobbing sul lavoro il lavoratore potrà dimettersi per giusta causa e eventualmente fare richiesta di disoccupazione NASPI. In questo caso le dimissioni sono date in tronco, non c’è bisogno di dare il preavviso. Il lavoratore dovrà comunque procedere legalmente contro l’azienda per tentare di dimostrare il mobbing.

Vi sono poi una infinità di sentenze della Cassazione in tema di diritto del lavoro che riaffermano l’illegittimità del comportamento del datore di lavoro atto a sminuire e ledere l’integrità psico-fisica del lavoratore e l’obbligo per lo stesso, di risarcire i danni. Non dimentichiamoci poi i principi stabiliti dallo Statuto dei lavoratori (L. 300/70):

  • Art. 9: tutela della salute e dell’integrità fisica;
  • 13: al dipendente non possono essere date mansioni di livello professionale inferiore a quello d’inquadramento;
  • 15: divieto di atti discriminatori per motivi politici o religiosi;
  • 18: reintegrazione nel posto di lavoro in caso di ingiusto licenziamento. 

Uno dei punti più dolenti della materia è come dimostrare di subire il mobbing sul lavoro. Più problematica è quindi la tutela penale dal mobbing. Non vi è nel nostro ordinamento, norme che sanzionano atteggiamenti di vessazione morale o di dequalificazione professionale in quanto tali. Proprio le difficoltà che l’interprete incontra nell’individuare, nell’attuale normativa, un’efficace tutela penale a favore della vittima di mobbing, hanno determinato il proliferare di nuove proposte anche in sede legislativa (tutte che giacciono in Parlamento).

Allo stato attuale, fino a che non si dimostri in modo inequivocabile che il lavoratore mobbizzato si sia ammalato di mobbing, la tutela in ambito penalistico (vale a dire la tutela nell’ambito delle lesioni) non ha concreta praticabilità. Nell’ipotesi (non rara) in cui si verivichi una lesione psico fisica da mobbing, quale è la norma penale di riferimento? E’ importante, in primis accertare il nesso tra mobbing e danneggiamento della salute; successivamente bisogna accertare se la volontà del soggetto agente (il datore di lavoro o il collega) sia frutto di un dolo (ossia coscienza e volontà della condotta e dell’evento offensivo) o di una colpa (ossia sulla coscienza e volontà della condotta ma non dell’evento, che si realizza invece per negligenza, imprudenza, imperizia o violazione di leggi, regolamenti, ordini o discipline specifiche). 

BOSSING

Il Bossing è quella forma di Mobbing compiuto dai superiori o dai dirigenti dell’azienda, con lo scopo preciso di indurre il dipendente alle dimissioni. Generalmente, oggi i diritti dei lavoratori sono molto tutelati, tuttavia, soprattutto in tempi di crisi, molte aziende sono costrette a ridurre il personale. Per questo il Bossing può rivelarsi un'utile strategia aziendale per raggiungere i fini prefissati del licenziamento o della riduzione del personale senza interferenze da parte dei sindacati. 

COME TUTELARSI?

Trasportando questi principi (che poi sono i principi cardine del diritto penale) in tema di mobbing, dobbiamo chiederci: la compromissione dell’integrità psicofisica del lavoratore è riconducibile ad una condotta colposa del datore di lavoro, ovvero ad una condotta dolosa, intenzionalmente e consapevolmente orientata a produrre quel danno in capo al prestatore di lavoro? Pertanto il mobbing potrà sfociare in reati quali ingiuria (offesa all’onore e al decoro) o di diffamazione (offesa della reputazione  pubblica) previsti dal codice penale e sanzionati come delitti contro l’onore. Ma anche in reati di lesione a seconda degli effetti che tali azioni hanno sull’individuo che le subisce: gli abusi lavorativi vengono di fatto equiparati a lesioni personali colpose. Possono giungere addirittura ad integrare ipotesi di omicidio colposo (art.589 c.p.) quando il datore di lavoro determini o rafforzi per colpa nel lavoratore mobbizzato, con la sua condotta reiteratamente vessatoria e/o ingiustificatamente discriminatoria e di emarginazione, una propensione suicidiaria, o reati di molestia e così via. Il discorso sul mobbing sarebbe ancora molto lungo e complesso per le sue implicazioni non solo legali ma anche e soprattutto sociali e familiari. Proprio per questo sarebbe necessario e urgente che il nostro Parlamento si decidesse una volta per tutte, a legiferare su un tema di così forte attualità e gravità. Nel frattempo non dimentichiamo che noi abbiamo un’arma molto forte che è quella della DENUNCIA. Denunciare vuol dire far conoscere a tutti un problema e renderli partecipi; si può denunciare un fatto all’Autorità Giudiziaria (e questo è un conto) ma la denuncia può essere fatta anche con altri mezzi, ad esempio con una pubblicazione su un giornale, attraverso i sindacati, nelle riunioni aziendali, con un volantino appeso in bacheca etc etc. L’importante è rompere il muro di omertà che fa sentire forte il datore di lavoro che ricorre al mobbing e, dall’altro riduce la vittima ad un essere piccolo piccolo, pieno di vergogna o peggio, di terrore e, incapace di reagire. Denunciare il mobbing, non è sempre facile perchè si ha paura di perdere il posto di lavoro, o di essere derisi e umiliati ancor più del normale; ma deve essere fatto! Parlare di mobbing sul lavoro serve alla vittima a “liberarsi” ma serve anche alla collettività, serve a dare coraggio a chi, nella stessa situazione preferisce tacere e sopportare, piuttosto che intraprendere una battaglia con il capo. Serve come esempio per tutti e soprattutto come monito a molti dei datori di lavoro che credono di poter disporre dei propri dipendenti come fossero oggetti da spostare qua e la. Siamo uomini e come tali, nati liberi e con una dignità, che nessuno e per nessun motivo deve mai negarci!

Fonte: 
A CHI RIVOLGERSI? PER DENUNCIARE, TUTELARSI E RICEVERE AIUTO PSICOLOGICO QUESTI I NUMERI UTILI E I LINK DIRETTI:

Nessun commento: