LA SCONCERTANTE VERITA' DIETRO LA TRAGEDIA: VOGLIONO FAR PASSARE LA LEGGE PRO LGBT
I giornali, Zan, Vendola, l’Arcigay spingono perché si approvi il ddl antiomofobia. Ma il parroco del paese si ribella
«Le bugie non si dicono mai, fanno fare sempre brutta figura e anziché promuovere una battaglia di giustizia e di verità contribuiscono a creare confusione. Ma perché mai quell’associazione sente il bisogno di tirare il ballo il parroco del “Parco Verde” per supportare tesi precostituite?». Ieri su Avvenire don Maurizio Patriciello, parroco al Parco Verde di Caivano (Napoli), il luogo dove si è consumata la tragedia della morte di Paola Gaglione, si è difeso dagli attacchi dell’Arcigay. «Che fare allora? Accapigliarsi? Sparare a zero, dire, stradire e poi smentire? Aggiungere dolore a dolore, sofferenza a sofferenza, o piuttosto armarsi di umana carità e di pazienza, e aspettare che le indagini ci diano informazioni certe che non tengano conto di (pre)giudizi ideologici? Siamo, forse, garantisti a intermittenza, solo quando ci conviene?».
Fatti e versioni
Ieri ci sono stati i funerali della diciottenne, celebrati proprio da don Patriciello che conosce bene la famiglia e che, 17 anni fa, battezzò Paola. Al momento, sull’accaduto esistono alcuni fatti appurati e poi due diverse interpretazioni. Si sa che Paola e Ciro (questo il nomignolo della ragazza trans con cui era andata a convivere abbandonando la famiglia) sono stati inseguiti sul motorino dal fratello di lei, Michele, ora in carcere. Paola è caduta dal motorino ed è morta. Secondo Ciro, Michele, contrario alla loro relazione, li avrebbe colpiti, causando la caduta. Secondo Michele, invece, nulla di tutto questo sarebbe accaduto e li avrebbe inseguiti per convincere la sorella a tornare a casa. La famiglia crede alla versione del figlio.
Le interviste di Vendola e Zan
Il caso è uscito dalle pagine di cronaca nera per approdare su quelle nazionali per via della transessualità di Ciro. Si tratta di un omicidio motivato dall’odio e dall’omofobia, titolano i giornali che sanno bene che alla Camera giace la proposta di legge Zan. Sempre ieri sono apparse due interviste che sposavano questa interpretazione: la prima, sul Manifesto ad Alessandro Zan, relatore (Pd) del testo di legge: «Ormai siamo ripiombati nel delitto d’onore, con una cultura machista e patriarcale che vuole impedire a una donna di scegliere chi amare e di realizzare il proprio progetto di vita». Zan, ovviamente, spinge perché il suo testo sia approvato al più presto: «Una legge che questo paese non può più attendere».
L’altra intervista è stata rilasciata da Nichi Vendola, storico esponente della comunità gay italiana, ex presidente della Regione Puglia, “padre” di un bambini nato tramite utero in affitto, che al Corriere ha parlato di «mentalità medioevale» e «omofobia e transfobia ingredienti tipici della propaganda sovranista e della pubblicistica della destra radicale in ogni parte del mondo». Quindi anche Vendola auspica l’approvazione di una legge che «non mi pare» contenga «norme di criminalizzazione delle opinioni».
Mainstream lgbt
Il giochino è dunque sempre lo stesso: usare un caso di cronaca per spingere una legge che, a conti fatti, è inutile perché non aggiungerebbe altro a quelle già presenti. Se le accuse oggi rivolte a Michele si rivelassero fondate, si arriverebbe a una condanna per omicidio preterintenzionale e violenza personale con l’aggravante dei futili motivi (è il reato di cui ora è accusato). La legge Zan, come abbiamo scritto tante altre volte, non ha come scopo quello di proteggere le persone omosessuali, ma solo quello di limitare la libertà di pensiero e parola di chi non s’adegua al mainstream lgbt.
Morte, dov’è la tua vittoria?
A suo modo, anche questo terribile caso, ne è una conferma, come ha scritto ieri don Patriciello su Avvenire. Egli è stato accusato dall’Arcigay di aver «alimentato la cultura dell’intolleranza» perché non ha voluto sposare a priori il movente dell’omofobia. Il sacerdote ha così dovuto chiarire di essersi limitato a riportare il pensiero della famiglia, ma nei giorni precedenti aveva invitato tutti ad aspettare prima di emettere giudizi sommari. Soprattutto aveva inviato tutti a comprendere meglio la situazione di Paola, che aveva abbandonato la famiglia per andare a convivere con Ciro, pur non avendo una casa né un lavoro.
Tra tante parole, una parola cristiana
Ieri nella omelia alle esequie, il parroco ha evitato ogni commento ai fatti di cronaca (che vanno appurati) e si è rivolto direttamente a Dio per trovare un senso a questa brutta storia. Ha poi così concluso: «Paola, Cristo è risorto e tu risorgerai con lui. O morte dov’è la tua vittoria? Oggi vogliamo pregare per te, Paola, perché il Signore ti tenga stretta tra sue adorabili braccia. E per tutti tutti coloro che su questa terra ti hanno amato e che hanno il cuore trafitto da una spada di fuoco. E tutti insieme, piccoli e grandi, parenti, amici e conoscenti, vogliamo chiederti perdono per non essere stati capaci di custodire la tua fragile e preziosissima vita».