venerdì 18 gennaio 2019

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NON SIAMO SOLI....




Italia campo di battaglia dei grandi fondi d’investimento stranieri, alla conquista del risparmio tricolore

Alla conquista dei denari degli italiani, nonostante una congiuntura economica a dir poco asfittica, c’è la fila. E i motivi sono essenzialmente due: il primo è dovuto al fatto che la quota di risparmio privato continua a essere molto appetibile. In base agli ultimi dati di Bankitalia, infatti, nel 2016 la ricchezza finanziaria è salita del 2,2% superando quota 4 mila miliardi di euro (4.117 miliardi) grazie alla rivalutazione delle attività in portafoglio (azioni, bond, fondi e polizze) che hanno beneficiato dell’andamento positivo dei mercati. Il secondo motivo è legato al fatto che nel Paese è in atto una riorganizzazione del sistema bancario e, di conseguenza, dell’attività di private banking, terreno di caccia privilegiato dai grossi asset manager stranieri che nelle nuove strutture ad hoc trovano gli interlocutori più adatti. Nel corso degli anni, i grandi nomi dei fondi di investimento sono arrivati in massa. E l’elenco è lungo. Presenti in Italia ci sono Blackrock, Fidelity International, Franklin Templeton, Invesco, Jp Morgan am, Morgan Stanley, M&G Investments, State Street Global Advisors, Société Générale, Credit Suisse, Allianz, Amundi Group, Axa, Natixis, Pimco, Gruppo Bnp Paribas, Gruppo Deutsche Bank, Pictet asset management, Ubs asset management, Candriam, Bny Mellon, Aviva investors, NN investment Partners, Aberdeen asset management, T.Rowe Price, Columbia Threadneedle Investments. Un esercito di operatori stranieri del risparmio gestito e del wealth management che sono alla conquista di importanti fette del risparmio italiano. Senza considerare che i due terzi dei fondi venduti in Italia sono domiciliati in Lussemburgo o in Irlanda. Asimmetrie legislative, regolamentari e fiscali hanno infatti reso molto più oneroso operare in Italia rispetto ad altri paesi europei. E, per completare il panorama, ci sono anche grandi gruppi dell’investment banking americano che puntano alle pmi italiane. Che, di questi tempi, trattano a sconto.


Donald Trump accoglie il ceo di Wal-Mart Doug McMillon (a sinistra) e il ceo di Blackrock Larry Fink alla casa Bianca. Chip Somodevilla/Getty Images

Obiettivo Italia. Punta a rafforzarsi sul mercato domestico Robeco, gestore patrimoniale internazionale che offre una vasta gamma di investimenti attivi, dalle azioni alle obbligazioni. Il colosso olandese, che ha masse per 137 miliardi di euro ed è presente a Rotterdam, Zurigo, Boston, Mumbai e Hong Kong, ora è sbarcato anche a Milano in via Monte di Pietà 21. La ricerca è al centro del suo approccio agli investimenti e così è stato fin dalla sua fondazione a Rotterdam nel 1929. La società, attiva già da qualche anno sul segmento della clientela istituzionale italiana tra cui assicurazioni, fondi di fondi e banche, ha deciso di avere una presenza fisica con un ufficio che conta su tre professionisti tra cui Fabio Pioppini e Marcello Matranga come country head Italia e punterà anche sulla clientela retail attraverso accordi di distribuzione.


Torre Isozaki, la nuova sede di Allianz Italia. Dino Fracchia / AGF

In Italia anche Lombard Odier, banca privata fondata nel 1789 che a livello globale gestisce un patrimonio di 206 miliardi di franchi svizzeri, ha inaugurato la struttura italiana di private banking, guidata da Massimiliano Sorbi. «L’obiettivo è costituire una squadra snella, che a regime conterà otto senior banker a Milano e sette specialisti in tema di wealth management. A questi si aggiungeranno quattro o cinque professionisti con contratto di agenzia, dedicati a presidiare alcune aree importanti del paese», ha detto Sorbi, entrato in Lombard Odier nel 2010 per dirigere la succursale di Lugano, prima di diventare direttore della branch italiana. Il target di clientela si colloca nella forbice tra i due e i cinque milioni di euro e l’interesse va soprattutto alle imprese. «Sosteniamo gli imprenditori italiani e le loro famiglie da molto tempo. Rimaniamo sempre colpiti dallo spirito imprenditoriale italiano e dalla qualità delle sue aziende manifatturiere», ha precisato Frederic Rochat, managing partner di Lombard Odier Group.



Henri de Castries, storico chairman di Axa, al fianco del suo successore (a sinistra) Denis Duverne e al ceo Thomas Buberl. ERIC PIERMONT/AFP/Getty Images


E la lista continua. A metà giugno 2016, con l’arrivo di Andrea Boggio (ex responsabile del wholesales di Nordea) si è dato avvio alla branch italiana di un altro colosso inglese, Jupiter (46 miliardi di euro di masse in gestione). «L’idea di business è semplice», spiega il country head. «Avendo ottimi prodotti abbiamo una grande facilità nel farci conoscere dai fund buyer. E adesso stiamo cominciando a muoverci sul lato distribuzione in modo selettivo, attraverso qualche veicolo assicurativo (per esempio con le unit linked) o la gestione di fondi. Non puntiamo a essere comunque e dovunque ma a interlocutori elevati, come quelli del private banking. Se parliamo di retail puro, non è l’obiettivo di adesso. Noi abbiamo il privilegio di scegliere i nostri partner e di stare alla finestra. Del resto, con Mifid 2 (la nuova regolamentazione sul profilo di rischio dei clienti) molte cose cambieranno e noi ci riserviamo di vedere cosa succede sul fronte delle reti prima di puntare al retail. Il private è un mondo per noi interessantissimo anche perché in forte evoluzione, segmentazione e specializzazione. Basti vedere alle nuove realtà di Mediobanca pb, Cordusio sim», ha commentato Boggio. E ha concluso: «In questo mondo essere un nome nuovo e brillante vuol dire avere chance da subito. Abbiamo una gamma storica Uk (nelle unit trust) e poi abbiamo una Sicav dove sono state messe tutte le specialità: al momento i comparti sono 19. E non aderiremo ad Assogestioni».



Jamie Dimon, ceo di JP Morgan

Anche Vanguard, il gigante americano dei fondi passivi che controlla Wall Street (si parla di oltre 3.400 miliardi di dollari in gestione), ha voluto far sapere di essere a un passo dal debutto sul mercato italiano, forse con l’intenzione di creare aspettative dato che lo sbarco è stato più volte annunciato ma finora mai avvenuto con il leit motiv di non aver ancora individuato la figura apicale a cui affidare il business italiano. Sta di fatto che la società fondata nel 1975 da John C. Bogle ha già fondi autorizzati alla distribuzione per la clientela istituzionale e che per far crescere la raccolta sembrerebbe pronta ad aggiungere alle sedi di Londra e Parigi anche Milano.

È arrivata in Italia anche BMO Global Asset Management (Bank of Montreal), società globale di gestione degli investimenti con più di 250 miliardi di dollari in gestione, e ha ampliato il team di distribuzione in Europa con la nomina di Giampaolo Giannelli a responsabile per la distribuzione in Italia. Il manager viene da Invesco Asset Management Italia e oggi è responsabile per l’Italia della distribuzione delle soluzioni di investimento della società alla clientela wholesale e istituzionale.



Yves Perrier, direttore generale di Amundi Asset Management Kenzo Triboullard AFP/Getty Images


E a debuttare in Italia ci sono anche i protagonisti dell’investment banking e dell’advisory. Dopo la Lincoln International, che ha accorpato la struttura della Rondelli Advisers e Houlihan Lokey, che si è unito con Leonardo & Co, anche l’americana Jefferies ha deciso di aprire una sede a Milano in via Gastore Pisoni 6 con Mauro Premazzi, banchiere con una lunga esperienza in Bank of America Merrill Lynch, come managing director. Una strategia di crescita nella consulenza alle medie imprese italiane tanto che il gruppo è sempre alla ricerca di bravi professionisti.


L’obiettivo delle società americane che puntano all’Italia è approfittare della debolezza del mercato, andando a competere con altre presenti storicamente nel Paese come Rothschild e Lazard. Tutti pronti a mettere le mani sul variegato mondo delle piccole e medie imprese (spesso a proprietà familiare), oggi a buon mercato o comunque disponibili a cedere o ad aprire il capitale a investitori istituzionali. E a breve potrebbero arrivare altre come William Blair, Robert W. Baird e Harris William. Anche queste americane.

DEDICATO AI GILET GIALLI....

...ET N'OUBLIEZ JAMAIS "PEOPLE HAVE THE POWER"!



Sistema del debito: dall’Antico Testamento ai Rothschild

debito
Eric Roll (1907-2005) in Storia del pensiero economico sostiene che il pensiero antico ci ha fornito poco materiale in materia di teoria economica e nonostante la sua frammentarietà, ci sono dei dati interessanti da tenere in considerazione. Infatti ‹‹La società nella quale vivevano i filosofi greci, o quella ancora precedente descritta nel Vecchio Testamento, possedevano senza dubbio alcune delle caratteristiche del capitalismo moderno. C’erano la proprietà privata, la divisione del lavoro, il mercato e la moneta.››.
Avendo le caratteristiche del capitalismo moderno, in tale società vi erano naturalmente anche i problemi del capitalismo moderno, l’economista britannico parlando dell’Antico Testamento prosegue:
‹‹Il quadro della società di quel periodo, così come appare nei Re, e in modo più accentuato nelle lamentazioni, nelle proteste e nelle visioni dei profeti, mostra una netta divisione tra ricchi e poveri. L’opulenza della corte era basata sullo sviluppo graduale di una classe di schiavi. Le spese della casa reale, le guerre, e le prodigalità nella costruzione di pubblici edifici, furono finanziate dai dazi e dai profitti percepiti mediante il monopolio reale del commercio estero, dal lavoro coatto e da una pesante imposizione fiscale. I risultati di tutto ciò furono un impoverimento delle masse, l’alienazione dalla terra, e lo sviluppo di un proletariato››
Queste poche righe descrivono la società ebraica di tremila anni fa, ma dove troviamo quella che potremmo definire una “teoria economica” nell’Antico Testamento?
Dal Pentateuco (i primi cinque libri dell’Antico Testamento), più precisamente dal libro del Deuteronomio (seconda legge) databile intorno al 622-621 a.C., troviamo dei lineamenti descritti in poche righe, ma che non lasciano spazio ad interpretazioni
Non farai al tuo fratello prestiti a interesse, né di denaro né di viveri né di qualunque cosa che si presta a interesse. Allo straniero potrai prestare a interesse, ma non al tuo fratello, perché il Signore, tuo Dio, ti benedica in tutto ciò a cui metterai mano, nella terra in cui stai per entrare per prenderne possesso.
(Deuteronomio 23,20-21)
La tradizione attribuisce direttamente a Mosè la stesura del Pentateuco, ciò significa che Dio avrebbe rivelato a Mosè come avere il dominio sugli stranieri (i non ebrei) attraverso il prestito di denaro a interesse. In tal senso è ancora più esplicito ciò che si legge in Proverbi 22,7:
Il ricco domina sul povero e chi riceve prestiti è schiavo del suo creditore.
Le parole dell’Antico Testamento sono chiare ed eliminano ogni tipo di pregiudizio infondato; è scritto chiaramente che chi presta denaro detiene il potere sul debitore. Da parte cristiana l’usura viene condannata. Su vari siti cristiani, citando passi dell’Antico Testamento, si dichiara che Dio “è contrario a fare prestiti con usura o interessi verso i fratelli e il nostro prossimo”; bisogna sottolineare un fatto: le parole “prossimo tuo” o “fratelli” non hanno un senso cosmopolita come vorrebbero i cristiani, ma vengono usate nel senso stretto del termine, tant’è che nel passo sopracitato viene fatta una chiara distinzione tra “fratello” e “straniero”. Quando si vieta il prestito a interesse nell’Antico Testamento è sempre in riferimento ai “fratelli” o “al prossimo tuo”, sono esclusi gli stranieri come espressamente scritto in altri passi (Esodo 22,24; Deuteronomio 15,2; Levitico 25,35; Neemia 5,7 e 5,10; Ezechiele 22,12).
L’ascesa del popolo ebraico (sarebbe più corretto dire di un ramo di quella grande famiglia) nell’Antico Testamento è storia di conquista e saccheggi di altri popoli, per sottolineare ancora una volta che non avevano nessuna remora nei confronti dei popoli stranieri e che il concetto di “prossimo tuo” non è da intendere come noi lo intendiamo; occorre rileggere con attenzione questi versetti dal titolo esplicito.
La conquista delle città
10 Quando ti avvicinerai a una città per attaccarla, le offrirai prima la pace. 11 Se accetta la pace e ti apre le sue porte, tutto il popolo che vi si troverà ti sarà tributario e ti servirà. 12 Ma se non vuol far pace con te e vorrà la guerra, allora l’assedierai. 13 Quando il Signore tuo Dio l’avrà data nelle tue mani, ne colpirai a fil di spada tutti i maschi; 14 ma le donne, i bambini, il bestiame e quanto sarà nella città, tutto il suo bottino, li prenderai come tua preda; mangerai il bottino dei tuoi nemici, che il Signore tuo Dio ti avrà dato. 15 Così farai per tutte le città che sono molto lontane da te e che non sono città di queste nazioni.
16 Soltanto nelle città di questi popoli che il Signore tuo Dio ti dà in eredità, non lascerai in vita alcun essere che respiri; 17 ma li voterai allo sterminio: cioè gli Hittiti, gli Amorrei, i Cananei, i Perizziti, gli Evei e i Gebusei, come il Signore tuo Dio ti ha comandato di fare, 18 perché essi non v’insegnino a commettere tutti gli abomini che fanno per i loro dei e voi non pecchiate contro il Signore vostro Dio.
19 Quando cingerai d’assedio una città per lungo tempo, per espugnarla e conquistarla, non ne distruggerai gli alberi colpendoli con la scure; ne mangerai il frutto, ma non li taglierai, perché l’albero della campagna è forse un uomo, per essere coinvolto nell’assedio? 20 Soltanto potrai distruggere e recidere gli alberi che saprai non essere alberi da frutto, per costruire opere d’assedio contro la città che è in guerra con te, finché non sia caduta.
(Deuteronomio 20,10)
Torniamo al sistema del debito. Applicando il principio del prestito a interesse alla macroeconomia, il controllo non è più sul singolo debitore ma si estende su interi stati, soprattutto quando questi stati devolvono il potere di stampare moneta a banche private indebitandosi con esse. Sistema egregiamente riassunto dalla frase del fondatore della dinastia Rothschild, Mayer Amschel Rothschild (1744 – 1812) Datemi il controllo della moneta di una nazione e non mi importa di chi farà le sue leggi.
Mayer Amschel Rothschild (1744 – 1812)  aveva ben compreso questo sistema adottato precedentemente dalla famiglia di banchieri Fugger; Il membro più noto di questa famiglia Jacob II Fugger (1459-1525) detto “il ricco” prestò una grande somma di denaro a Carlo d’Asburgo (1500-1558) che gli consentì di comprarsi il voto dei prìncipi elettori e di diventare imperatore del Sacro Romano Impero col nome di Carlo V. In epoca moderna, la dinastia che meglio incarnò il principio biblico del prestito a interesse e di aiuto ai propri fratelli –nel senso stretto del termine- fu quella dei Rothschild.
Il sopracitato fondatore della dinastia Mayer Bauer Amschel Rothschild discendeva da un’antica famiglia di rabbini ashkenaziti; il nome della famiglia era Hahn-Elkan, cambiò il nome in Rothschild (Rot Schild= scudo rosso) che derivava dall’insegna rossa di una casa in cui viveva la famiglia fin dal 1563. Il giovane ebreo non era interessato agli studi biblici, era più portato per gli affari. Dopo aver lavorato per alcuni anni in una banca, decise di mettersi in proprio dedicandosi a prestito e cambio di denaro e al commercio. Divenne l’uomo di fiducia di Guglielmo IX d’Assia (1743-1821), ultimo Langravio d’Assia-Kassel, diventato primo principe elettore d’Assia col nome di Guglielmo I e con questo fece una grande fortuna in investimenti militari. Scrive Anka Muhlstein:
Il numero degli uomini annualmente assoldati, soprattutto da parte della Gran Bretagna, variava da 12.000 a 17.000. Una parte dei pagamenti restava bloccata in territorio inglese e investita in rendite. Soltanto gli interessi facevano ritorno in patria sotto forma di tratte, poi fatte oggetto di commercio dai banchieri locali. Quanto alla frazione di capitale trasferita a Kassel, confluiva in un fondo monetario cui si attingeva per concedere prestiti (a tassi elevatissimi) in favore di questo o di quel principe tedesco.
Contando sulle conoscenze del principe, Mayer fondò una banca tutta sua a Francoforte. Sposò Gutele Schnapper (1753-1849), figlia di un ricco mercante ebreo da cui ebbe dieci figli, cinque maschi (Amschel, Salomon, Nathan, Karl e Jakob Meyer) e cinque femmine (Schönche Jeanette, Isabella, Babette, Julie e Henriette). I figli proseguirono il lavoro del padre nelle varie capitali europee (Amschel trattenuto a Francoforte, Salomon a Vienna, Nathan a Londra, Karl a Napoli e Jakob diventato famoso con il nome James a Parigi), mentre le figlie vennero fatte sposare con altre famiglie importanti. Ma soprattutto non mancarono i matrimoni in famiglia: James sposò Bettina (che prendeva lezioni di piano da Chopin) figlia del fratello Salomon; per meglio conservare il potere in famiglia si sposavano tra cugini: su 18 matrimoni dei nipoti di Amschel 16 erano tra cugini primi.
Nei libri di storia non si menziona mai il nome dei Rothschild, eppure la loro influenza fu una costante nella storia europea. Pietro Ratto nel suo libro sui Rothschild parla del rapporto della famiglia con Napoleone: da un lato James faceva affari con l’imperatore e dall’altra il fratello Nathan con gli inglesi, nemici di Napoleone. James non si limitava a fare affari con il generale corso; infatti:
‹‹Napoleone sapeva pochissimo del resto degli affari di James , il quale, in quella nuove sede, aveva potenziato enormemente il traffico di oro e di effetti bancari tra Inghilterra, Francia e resto d’Europa, facendo trasportare il metallo in vagoni con scomparti segreti e quando risultava impossibile occultare tali traffici, riuscendo a far credere al ministro napoleonico delle Finanze Mollien che il flusso di oro vero a Londra giocasse un ruolo favorevole alla Francia, comportando di fatto un forte indebolimento economico per l’Inghilterra. In pratica, i Rothschild stavano facendo affari con dominati e dominatori, sconfitti e vincitori.››
Non stupisce dunque, che lo stesso James, sconfitto Napoleone, finanziò la salita al trono di Luigi XVIII e nel 1816 la famiglia ricevette persino il titolo di Baroni dall’Imperatore d’Austria. Il connubio Rothschild-politica francese era destinato a durare: la sopracitata Anka Muhlstein ricorda nella sua biografia su James de Rothschild che, all’indomani della rivoluzione del 1830, Carlo X il 30 luglio ‹‹abbandonava il suolo della Francia dopo aver sostato brevemente a Boulogne, in casa di James, per prelevarvi un po’ di denaro.››
Ciò non scoraggiò il banchiere ebreo che subito dopo strinse stretti rapporti con il nuovo Re dei francesi Luigi Filippo che venne spodestato a sua volta con la rivoluzione del 1848. Anche in questo caso la famiglia Rothschild riuscì a salvarsi dalla ferocia della folla che vedeva in loro un ostacolo alla rivoluzione, con la seconda repubblica guidata da Napoleone III; James riuscì a mettere fuori dai giochi la famiglia di banchieri ebrei di origine portoghese Pereire a cui Napoleone III aveva inizialmente riposto le finanze francesi, riconfermando la posizione dei Rothschild, come banchieri di fiducia dello stato francese. Perfino Pio IX dovette ricorrere ai Rothschild per finanziare una spedizione capeggiata dai francesi per ricacciare i repubblicani da Roma.
I Rothschild nell’arco di tre generazioni erano riusciti ad accumulare un capitale immenso che andava dal possesso di miniere di rame, zinco, piombo e ferro (molto importanti in quegli anni) all’acquisto e alla rivendita di azioni, comprese quelle del Canale di Suez che vennero rivendute alla corona inglese.
Con il nuovo secolo la situazione non cambiò: il ramo francese della famiglia allo scoppio della Grande Guerra chiese per conto del governo francese un prestito di 100 milioni di dollari alla Morgan di New York (alla fine accordato per 40 milioni), mentre il ramo inglese faceva pressioni sul governo per incentivare l’emigrazione di ebrei in terra palestinese. La famiglia sostenne la causa sionista.
Le cose non andarono sempre bene per la famiglia. Tralasciando la teoria secondo cui Adolf Hitler avrebbe avuto sangue ebraico nelle vene a causa del padre Alois figlio di una relazione extraconiugale, il partito nazionalsocialista incarnava il sentimento antisemita piuttosto diffuso in quell’epoca, nel programma del N.S.D.A.P. si legge:
L’abolizione della schiavitù dell’interesse è qui il nostro grido di battaglia. So che proprio questo requisito di base non è correttamente colto e capito nella sua fondamentale e immensa importanza nelle nostre stesse fila. Si può osservare, ad esempio, come pochi dei nostri oratori abbiano il coraggio di affrontare questo tema fondamentale. Probabilmente la maggior parte avverte come questa sia la questione centrale poiché appartiene al vocabolario dei nostri membri del Partito: “La lotta contro la borsa e il capitale usuraio”. Cosa sia davvero la “schiavitù dell’interesse”, come si ripercuota nella vita del singolo e della Nazione, quali dinamiche della tecnica finanziaria rendano la popolazione “schiava dell’interesse”, o anche quali siano le misure concrete sufficienti per realizzare l’abbattimento della schiavitù dell’interesse e quali le conseguenze della liberazione per l’intera popolazione – questo è talmente chiaro che i nostri comizianti possono confrontarsi con i singoli termini della questione. Adolf Hitler ha dichiarato nella sua opera fondamentale, il Mein Kampf, volume I, la primaria importanza di tale questione con il seguente commento: “Quando ascoltai la prima relazione di Gottfried Feder sull’abbattimento della schiavitù dell’interesse (giugno 1919), capii subito che si trattava di una verità teorica d’immensa importanza per il futuro del popolo tedesco. […] La lotta contro la finanzia internazionale e il capitale usuraio sono divenuti i punti principali del programma per la lotta della Nazione tedesca per la sua indipendenza e libertà”. Tutti i nazionalsocialisti veramente responsabili condividono questa convinzione, poiché la soluzione di tale problema significa sostanzialmente la soluzione della questione ebraica razionalmente intesa.
Con L’Europa nelle mani di Hitler i Rothschild dovettero abbandonare le loro residenze e affidare i loro capitali a non-ebrei per non perdere le loro ricchezze.
Sconfitto Hitler e tornati in patria, la famiglia si rimise all’opera, Guy de Rothschild mise a capo della sua banca Georges Pompidou che con l’aiuto di Guy divenne inizialmente primo ministro e dopo de Gaulle Presidente della Repubblica Francese. Nel frattempo la famiglia ampliava i suoi possedimenti minerari.
Il ramo francese –da sempre quello più forte della famiglia- ha subito un brusco arresto con l’elezione del socialista Mitterand nel 1981; il nuovo presidente infatti alzò la “soglia minima” delle nazionalizzazioni attaccando l’interesse del casato. Durò poco. Con Chirac ripresero le privatizzazioni a partire dal 1986. Ma facendo un salto, come non pensare a Emmanuel Macron: ‹‹già ispettore delle Finanze, ministro dell’economia nel secondo governo Vallas, ma soprattutto banchiere di casa Rothschild, diventato milionario grazie alla sua intermediazione- per conto della Rothschild & Cie- nell’ambito dell’acquisizione da parte di Nestlé di una filiale di Pfizer›› e adesso Presidente della Repubblica francese?
Questa è solo una piccola parte dell’impero Rothschild e della sua influenza nella politica europea (e non), per approfondire si rimanda ai libri di Pietro Ratto e Anka Muhlstein.
Il sistema del debito è quello che oggi ci governa: uno stato per funzionare ha bisogno di denaro, questo denaro non viene stampato da una banca statale ma da una banca (o un gruppo di banche) privata che stampa moneta che presta con degli interessi allo stato. Uno stato per pagare il suo debito tende a tagliare i servizi e ad aumentare le tasse, chi ci rimette in questo sistema sono i più poveri. C’è qualcosa di più: la moneta in circolazione non basterebbe a pagare il debito, ciò significa che è matematicamente impossibile restituire il debito, anche perché se riuscissimo a restituire il debito, scomparirebbe tutta la moneta in circolazione. Gli stati che devolvono il proprio potere di stampare denaro a banche private sono costretti a vivere in uno stato di sudditanza nei confronti di queste banche.
Il risultato? L’1% della popolazione detiene il 50% della ricchezza mondiale, un altro 9% detiene il 37% della ricchezza mondiale, il 20% della popolazione detiene il 10% della ricchezza mondiale e il 70% della popolazione deve spartirsi il restante 3% della ricchezza. (dati OXFAM 2015)
Chiudo questa breve rassegna con due citazioni, la prima è di Julius Evola:
Se vi è mai stata una civiltà di schiavi in grande, questa è esattamente la civiltà moderna. Nessuna civiltà tradizionale vide mai masse così grandi condannate ad un lavoro buio, disanimato, automatico: schiavitù, che non ha nemmeno per controparte l’alta statura e la realtà tangibile di figure di signori e di dominatori, ma che viene imposta anodinamente attraverso la tirannia del fattore economico.
La seconda è di Friedrich Nietzsche:
L’istinto del grande finanziere è contrario a tutti gli estremi- […]. Non hanno bisogno né di rivoluzioni, né di socialismo, né di militarismo: se vogliono il potere e se ne hanno bisogno, e anche il potere sul partito rivoluzionario, è solo una conseguenza e non una contraddizione di quanto s’è detto prima. Hanno occasionalmente bisogno di destare la paura per altre tendenze estreme, mostrando quante cose si trovino nelle loro mani. Ma il loro istinto è immutabilmente conservatore e “mediocre”… Sanno essere potenti ovunque ci sia un potere: ma lo sfruttamento della loro potenza va sempre in una sola direzione. Il termine onorifico per designare ciò che è mediocre è, notoriamente, la parola “liberale”.

https://guardforangels.altervista.org/blog/2019/01/sistema-del-debito-dallantico-testamento-ai-rothschild/

L’ESERCITO SIRIANO ELIMINA I TERRORISTI ATTORNO AD AL-TANAF E NE CATTURA ALTRI NEL DESERTO DI HOMS



L’esercito arabo siriano (SAA) ha eliminato un gruppo terroristico, che era avanzato dalla zona controllata dagli Stati Uniti intorno al-Tanaf e ha tentato di raggiungere zone residenziali a sud della città di Palmyra, come ha riferito l’agenzia di notizie araba siriana (SANA).


“Come conseguenza del continuo, attento monitoraggio dei gruppi terroristici sostenuti dagli Stati Uniti nell’area di al-Tanaf sul confine siriano-iracheno … Le autorità hanno eliminato un gruppo terroristico che aveva cercato di sgattaiolare da al-Tanaf in auto verso il deserto di al-Hublah, 70 km a sud di Palmyra, di notte “, ha detto il giornalista della SANA nel governatorato di Homs.

La SAA ha preso di mira e distrutto l’auto dei terroristi uccidendone due. Uno dei terroristi morti è stato identificato come “Elias Yuns Hammud Hilal”, un membro dell’ISIS iracheno. I terroristi erano armati con diverse mitragliatrici, granate a propulsione a razzo e una cintura esplosiva.
Un secondo gruppo di terroristi è stato teso un’imboscata e catturato dall’ASA mentre cercava di sgattaiolare fuori dalla tasca dell’ISIS nel deserto di Homs. Il gruppo, che è stato catturato nella zona di al-Taliyah, era composto da tre terroristi armati con una mitragliatrice pesante e un fucile da cecchino.
Il governo di Damasco e i suoi alleati credono che la coalizione guidata dagli Stati Uniti e i suoi delegati locali stiano permettendo alle cellule ISIS di muoversi liberamente all’interno della zona di conflitto di circa 55 km attorno a al-Tanaf. Per fronteggiare questa minaccia, la SAA ha intensificato la sua presenza militare nella parte orientale di Homs e attorno a al-Tanaf, dove le forze russe hanno recentemente stabilito una nuova base.

Ad un secondo gruppo di terroristi è stata tesa un’imboscata e catturato dall’ASA mentre cercava di sgattaiolare fuori dalla tasca dell’ISIS nel deserto di Homs. Il gruppo, che è stato catturato nella zona di al-Taliyah, era composto da tre terroristi armati con una mitragliatrice pesante e un fucile da cecchino.

Il governo di Damasco e i suoi alleati credono che la coalizione guidata dagli Stati Uniti e i suoi delegati locali stiano permettendo alle cellule ISIS di muoversi liberamente all’interno della zona del conflitto di 55 km attorno a al-Tanaf. Per fronteggiare questa minaccia, l’ASA ha intensificato la sua presenza militare nella parte orientale di Homs e attorno a al-Tanaf, dove le forze russe hanno recentemente stabilito una nuova base .

Fonte: Al Masdar News



La nascita e la morte di una neonata che «ha salvato dall’aborto» i bambini e le madri di El Salvador

È nata la figlia di Beatriz, la ragazza 22enne di San Salvador al centro di un caso internazionale. Dopo un parto cesareo è venuta alla luce alle 2 di mattina del 4 giugno, ma ha vissuto solo per cinque ore. La madre sta bene.
«Questa bimba – ha detto Julia Regina de Cardenal, presidente della Fondazione Sì alla vita El Salvador -, in così poco tempo, è venuta al mondo con una missione più grande di quella di molti di noi, perché con la sua breve vita ha salvato chissà quante vite di bambini e delle loro madri, dimostrando che non è medicalmente necessario l’aborto per salvare la vita della madre».

LA VICENDA. Il caso della giovane ragazza – come vi aveva già raccontato da tempi.it – era stato sposato dalle lobby abortiste e da Amnesty International per cercare di introdurre a San Salvador una legge sull’aborto, oggi non prevista. La figlia era anencefalica e Beatriz si era rivolta ad un tribunale del suo paese affinché le fosse concesso di sottoporsi a un aborto terapeutico. Secondo i suoi legali, poiché la ventenne soffre di lupus, la gravidanza l’avrebbe uccisa.
Dopo che la Corte suprema di giustizia, in base alla conclusione dell’Istituto di Medicina Legale di San Salvador, aveva respinto la richiesta di Beatriz, le lobby abortiste avevano cercato di farne un caso mediatico.

Ale e quel figlio malato in pancia. Esiste una ricompensa anche dentro un grande dolore

Il diario di una gravidanza difficile di una diciannovenne paraguaiana, che voleva «solo vedere il mio bambino e conservare le ecografie»

Ale Ortiz, 19 anni, è una bellissima giovane paraguaiana. È una ragazza qualunque della sua età, come si vede dalle foto pubblicate sulla sua pagina di Facebook, che ama la vita, gli amici, le feste. Ale, però, ha fatto una scelta controcorrente, decidendo di portare a termine la gravidanza di un figlio che sapeva sarebbe quasi sicuramente morto alla nascita. Di qui una storia drammatica e di speranza di cui la giovane mamma ha cominciato a parlare attraverso la rete, ripresa poi da diverse tv e radio locali: «Joshua è il mio bambino nato prematuro il 31 maggio del 2012 con un cesareo programmato a 29 settimane di gestazione. Abbiamo scoperto a 12 settimane che nostro figlio aveva l”idrope fetale”».

DOLORE E BATTAGLIA. Prima di andare dal ginecologo per confermare la gravidanza la ragazza ebbe un presentimento: «Dissi a mio marito che qualunque cosa fosse accaduta avremmo dovuto lottare per nostro figlio». Di lì a poco i medici le comunicarono la notizia della malattia del piccolo: «Pensavano che nostro figlio sarebbe morto nel mio grembo, ma il piano di Dio era un altro».
Ed è a Lui che la giovane si affida. A Lui decide di lasciar fare. Come? «Prendevo la forza dall’amore di madre che tutto soffre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta sempre. Perseverare è difficile quando ti capita qualcosa di simile. Ascoltare e vedere oltre cinque fra medici ed ecografisti senza speranza è peggio di dover comprendere un’altra lingua». E poi «fa male all’anima di una madre non poter fare nulla. Perché le cose non sarebbero cambiate, se avessi mangiato di più o di meno o se avessi camminato o fossi stata ferma su una sedia».


CONSERVARE LE ECOGRAFIE. Ale, dopo la prima visita ginecologica in cui la suocera le disse di provare pena senza riuscire a darle forza, decise di andare da sola ad ogni esame clinico: «Volevo solo vedere il mio bambino e conservare le ecografie! Sentire il suo cuore palpitante mi ha spinto a continuare… I medici non capivano perché una mamma con una tale diagnosi voleva portare avanti la sua gravidanza. Ogni volta dovevo discutere per ore con il team spiegando il perché».
La ragazza provò a far capire ai dottori che il piccolo «non è un sacchetto della spazzatura che può smaltire: mi batterò per il mio bambino, non importa che viva un minuto, un’ora, mesi o quaranta anni».
Ale racconta di non aver mai smesso di credere, anche se questo non significava non soffrire: «Non nego i giorni tristi in cui sembrava che la forza e la luce si fossero completamente spente. In cui pareva non ci fossero sbocchi né strade». Ma è lì che ogni volta la ragazza si è ripresa, imparando a concentrarsi solo «sulla bellezza di quella presenza che portavo in grembo».


LA MIA RICOMPENSA. I medici le proposero il cesareo dando per scontato che il figlio sarebbe morto appena nato. La ragazza accettò pregando Dio «per farmi capire se era la scelta giusta: il mio bambino si era mosso tutta la notte, mi accompagna nel mio dolore con l’amore (…)». In sala operatoria Ale era nervosa, «ma tutta la paura e l’angoscia sono sbiadite appena ho avuto Joshua tra le mie braccia, è stato come nascere di nuovo e la mia anima gridava dalla felicità. C’era solo felicità e pace. In quel momento non potevo chiedere di più, solo ringraziare Dio». Fu allora che la giovane chiuse gli occhi e alzò le braccia davanti a tutti, per ringraziare «il Signore di avermi dato questa opportunità» e aver «compiuto il desiderio del mio Cuore».

NUOVA OPPORTUNITA’. È la verità, sottolinea Ale conoscendo lo scetticismo respirato da lei per nove mesi: «Quante lacrime versate e quanto tempo ad aspettare, ma lì c’era la mia ricompensa. Dio mi ha dato il tempo perfetto per godere di mio figlio, per donargli amore sino alla fine! Minuti e ore accanto a lui per dargli il “Benvenuto” e un “Arrivederci figliolo”». La giovane ha spiegato anche quanto quei mesi le abbiano cambiato la vita in meglio: «La lotta di mio figlio per restare aggrappato alla vita mi ha fatto capire quanto ogni momento sia una nuova opportunità».


PIU’ MADRE DI PRIMA. Il giorno dopo il cesareo Joshua è morto, ma Ale non ha perso la certezza di quel che questa esperienza le ha trasmesso: «È andato davanti a Lui non quando i medici hanno detto che stava per morire, ma il giorno in cui Dio lo ha voluto. È morto accanto a noi. Secondi, minuti, ore… valsi tutta una vita». Non solo, perché anche ora la ragazza si sente madre, quasi più di prima, perché «non potrò mai smettere di amarlo, semplicemente l’amore che ci unisce è più forte della distanza che ci separa. So che lui è in ogni cosa buona che mi succede nella mia pelle e nelle vene. Che sta aiutando il mio cuore a battere ogni giorno sostenendolo con il suo meraviglioso amore (…) Figlio: sei sempre nei mie pensieri, nel mio cuore, sei parte della mia vita, io sono la continuazione della tua storia, del tuo amore».
La testimonianza di Ale si conclude con una nuova preghiera: «Chiedo Dio che ci aiutarci a capire che le cose per cui dobbiamo soffrire, sopportare e lottare, sono perché c’è la vita. Che ci insegni ad essere grati per ciò abbiamo e di goderne mentre ci è dato».


Irlanda. «Solo il cinque per cento dei medici accetta di praticare l’aborto»


Solo in 200 si sono iscritti nelle liste dei medici di base disposti a interrompere una gravidanza. Intervista alla dottoressa Fiona O’Hanlon: «L’aborto non è un atto come un altro, non si può fare in ambulatorio»

Dal 2019 in Irlanda l’aborto è legale, ma solo 200 medici di base in tutto il paese, il 5 per cento del totale, si sono iscritti nelle apposite liste dei dottori disponibili a interrompere una gravidanza. La maggior parte di loro si è rifiutata per motivi di coscienza, per mancanza di formazione o di informazione. «Gli ambulatori non sono il posto giusto per fare un aborto», commenta a tempi.it i dati Fiona O’Hanlon, medico di Cootehill, nella contea di Canvan.

La legge sull’aborto è stata approvata in Irlanda il 20 dicembre, dopo che a maggio il 66,4 per cento degli irlandesi ha abrogato via referendum l’ottavo emendamento della Costituzione, che garantiva protezione ai bambini non nati, impedendo l’aborto salvo nei casi in cui la vita della madre fosse «realmente e sostanzialmente» in pericolo. La legge sulla “Regolamentazione dell’interruzione di gravidanza” prevede la possibilità di abortire «per qualunque motivo» fino alla 12esima settimana e, in presenza di rischi per la salute della madre o di disabilità del bambino, fino alla 24esima settimana. Fino alla nona settimana, saranno i medici di base a effettuare l’interruzione di gravidanza; dalla nona in poi le donne dovranno riferirsi agli ospedali o alle cliniche.

«NON SI TRATTA DI PRENDERE UNA PILLOLA E VIA»

Non tutti i medici che si sono rifiutati di praticare aborti in Irlanda ha problemi di coscienza, spiega O’Hanlon, che fa parte dell’associazione “Dottori per la vita”. «L’aborto non è un atto come un altro e i medici hanno bisogno di essere preparati, la legge invece è stata fatta e applicata in fretta e furia. Anche nelle prime nove settimane l’aborto non è una passeggiata, è doloroso e non è semplice farlo in ambulatorio. Non si tratta di prendere una pillola e via». Questo «enorme cambiamento» della sanità, continua, «non è stato preparato e anche gli ospedali non sono pronti: manca completamente il coordinamento».

La legge irlandese, nonostante le promesse dei politici, non riconosce fino in fondo la libertà di coscienza, obbligando i medici che non vogliono interrompere una gravidanza a riferire il paziente a un altro medico. Monsignor Eamon Martin, presidente della Conferenza dei vescovi irlandesi, si è recentemente esposto affermando che «nessuno può essere costretto, contro la sua coscienza, a partecipare a un aborto o a rinviare un paziente ad altri medici». La dottoressa O’Hanlon, come tantissimi altri colleghi, non ha nessuna intenzione di farlo: «Io potrei essere denunciata per questo purtroppo, ma non capisco proprio perché dovrei essere io a organizzare un aborto, se ritengo in coscienza che sia sbagliato», spiega. «Non penso che nessuno verrà mai a tendermi una trappola o a obbligarmi a violare la mia coscienza, anche perché la pratica è sponsorizzata ovunque dai media e non è certo difficile trovare il modo di farlo».

«L’ABORTO DIVENTERÀ BANALE»

Parlando di come si comporterà con le sue pazienti d’ora in poi, aggiunge: «La porta del mio ambulatorio è sempre aperta. Io non giudico nessuno e mi preoccuperei innanzitutto di verificare che la decisione della donna che vuole abortire sia davvero cosciente e libera. Non voglio imbarazzare nessuno né causargli maggiore stress. Le donne vanno aiutate e io non faccio aborti proprio perché penso che sia sbagliato, che non sia sanità, che non si può porre fine a una vita ma anche perché ci sono opzioni migliori». Infatti, continua, «conosco personalmente donne e uomini caduti in depressione dopo un aborto, soprattutto una coppia che poi non è mai più riuscita a concepire. Noi dobbiamo stare vicini alle donne: non è l’aborto ciò che può aiutarle e ne ho viste così tante cambiare idea dopo aver visto nascere il proprio figlio».

O’Hanlon teme però che sarà sempre più difficile aiutare le donne con il passare del tempo: «Come abbiamo visto in tutti i paesi dove l’aborto è stato legalizzato», conclude, «una volta che la legge sdogana la pratica, questa diventa sempre più comune e perde il suo carattere di eccezionalità. Abortire diventerà un atto banale anche qui in Irlanda, temo, e siccome è gratis le donne non saranno neanche invogliate a prevenire le gravidanze con la contraccezione».


LA BCE AFFIDAVA A BLACKROCK GLI STRESS TEST ALLE BANCHE - Valerio Malvezzi

NON SAREBBE PROPRIAMENTE UNO SCOOP....



Soros, Blackrock e il saccheggio dell’Italia: le ragioni della visita da Gentiloni

da un articolo del 2017 su "Il Primato Nazionale"

Roma, 4 mag – Ha tentato di mandare in bancarotta l’Italia negli anni ’90, ma che vuoi che sia, si sa che i nostri governanti non serbano rancore. Ecco quindi che il “filantropo” George Soros può venire accolto a Palazzo Chigi da Paolo Gentiloni con la massima cordialità. Incontro “discreto”, ovviamente, di cui poco si sa. Che c’entri il grande business dell’accoglienza, in cui il magnate è ampiamente coinvolto? Secondo le indiscrezioni giunte alla stampa, in realtà, Gentiloni avrebbe incontrato Soros nel tentativo di “cercare investitori”. Ma certo: come rilanciare l’economia se non rivolgendosi al protagonista delle speculazioni che nel 1992 causarono una svalutazione della lira del 30% e la dissipazione di 40mila miliardi di lire di riserve valutarie della Banca d’Italia? È come invitare un pedofilo per progettare campagne per l’infanzia.

In realtà pensare proprio al 29° uomo più ricco al mondo per Forbes, con un patrimonio di 25,2 miliardi di dollari, è stato naturale, visto il ruolo che ricopre: non solo fondatore di Quantum Group of funds, collegato anche ai Rothschild, ma, soprattutto, advisor di Blackrock, la più grande società di investimento al mondo. BlackRock, fra l’altro, è azionista rilevante della Deutsche Bank e lo era anche nel 2011, quando, annunciando la vendita dei titoli di Stato italiani, l’istituto tedesco fece esplodere lo spread tra Btp e Bund causando la “resa” di Berlusconi e l’avvento di Monti. Non dimentichiamo, poi, che Blackrock è nel capitale di due delle maggiori agenzie di rating, Standard & Poors (5,44%) e Moodys (6,6%), con la possibilità di influire sulla determinazione di titoli sovrani, azioni, e obbligazioni private e di poter incidere su prezzo e valore delle attività che essa stessa acquista o vende.


Se ricordiamo bene il ruolo delle agenzie di rating nella caduta del Cav (in cui, peraltro, a infierire contro l’Italia furono soprattutto Standard& Poors e Moodys, piuttosto che Fitch, la terza agenzia), il puzzle si completa: le stesse persone che fungono da arbitro e da giocatore. E, dopo la crisi indotta, chi fu che venne a “salvare” l’Italia? Ma Blackrock, ovviamente, che oggi ha partecipazioni per quasi 2 miliardi nel sistema bancario italiano, ma anche nelle società quotate sul listino principale, a partire da Eni, Enel, Generali, Telecom Italia, Mediaset e così via. Ecco per conto di chi viene a parlare Soros. E se tutto questo vi sembra anormale, è ovvio che siete dei complottisti…

Giorgio Nigra

La Russia E' In Procinto di Divenire La 5° delle Maggiori Economie Mondiali Entro Il 2020 NONOSTANTE LE SANZIONI

ARROVELLATEVI PURE SULLE CENE DI SALVINI COME DA PEGGIORE ITALIETTA, INTANTO LA RUSSIA.....GRANDE POPOLO FA GRANDE PAESE



MOSCA - Nonostante anni di sanzioni occidentali, l'anno prossimo la Russia diventerà la quinta potenza economica del mondo, superando la Germania e il Regno Unito, secondo le stime della banca britannica Standard Chartered nelle sue previsioni di crescita a lungo termine.

In un rapporto che descrive proiezioni sull'economia mondiale entro il 2030, la banca ha affermato che la Cina probabilmente farà cadere gli Stati Uniti per diventare l'economia più grande del mondo l'anno prossimo quando misurata da una combinazione di parità di potere d'acquisto, tassi di cambio e prodotto interno lordo nominale.

Pechino sarà seguita da Stati Uniti, India, Giappone e Russia tra i primi cinque. I primi 10 paesi includeranno anche Germania, Indonesia, Brasile, Turchia e Regno Unito.

"Entro il 2020, la maggior parte della popolazione mondiale sarà classificata come classe media. L'Asia guiderà l'ascesa delle popolazioni della classe media, anche se le classi medie ristagnano in Occidente ", ha detto il ricercatore di Standard CharteredMadhur Jha.

Il rapporto ha previsto che le economie asiatiche cresceranno significativamente nel prossimo decennio, portando sette dei primi dieci nella lista delle più grandi economie del mondo entro il 2030.


La scorsa settimana, secondo le previsioni economiche della Banca Mondiale, si prevede che il tasso di crescita del PIL della Russia salga all'1,8% nel 2020 e nel 2021. La banca ha detto che l'economia russa è cresciuta dell'1,6% l'anno scorso, registrando "un'inflazione relativamente bassa e stabile e l'aumento della produzione petrolifera", nonostante le sanzioni economiche più restrittive.

Il Fondo Monetario Internazionale (FMI) ha alzato le sue previsioni per la crescita del PIL della Russia nel 2019 all'1,8%. L'impatto positivo dell'aumento dei prezzi del petrolio mondiale sull'economia russa supererebbe l'effetto negativo delle sanzioni di Washington , ha detto il Fondo.


Nel frattempo, i dati ufficiali del Federal Bureau of Statistics hanno mostrato che la maggiore economia europea, la Germania, ha subito un brusco rallentamento nel 2018. L'anno scorso è cresciuto dell'1,5%, il suo tasso più basso dal 2013. A causa di un indebolimento dei problemi dell'economia mondiale nell'industria automobilistica al rallentamento. 

QUESTA DOLCE MELODIA GUARISCE SPIRITO E CORPO

Dal manto della Vergine di Guadalupe esce una dolce musica. Ascoltate e pregate....




La Cina e l'arma del 5G




Il generale degli Stati Uniti in pensione mette in guardia dalla Cina "Città d'armi" attraverso la propria rete 5G 

Un ex funzionario dell'amministrazione Trump ha dipinto un'immagine terrificante della Cina utilizzando le reti mobili per richiamare un'apocalisse nel caso in cui Pechino sviluppasse la propria rete globale 5G.

Alla Cina non deve mai essere permesso di sviluppare una rete globale di 5G, ha dichiarato il generale americano Robert Spalding (in pensione), un ex funzionario dell'amministrazione Trump, che ha prestato servizio nel Consiglio di sicurezza nazionale fino all'anno scorso.

Secondo l'ex generale di brigata dell'Aeronautica militare, la Cina introdurrà una sorveglianza di massa e un controllo diffuso se sarà possibile dominare le reti 5G collegando miliardi di dispositivi connessi all'Internet delle Cose (IoT).

Una volta che la Cina controlla i mercati di produzione e vendita al dettaglio di dispositivi IoT, afferma Spalding, Pechino sarà in grado di "armare le città", citatazione fatta da Fortune.com. 


"Pensa alle auto che guidano da sole che improvvisamente falciano i pedoni ignari, pensa ai droni che volano nelle prese degli aerei di linea" dichiarò il soldato di carriera. 


"Più siamo connessi e il 5G ci renderà di gran lunga il più connessi, più diventiamo vulnerabili", ha aggiunto Spalding.


Non è stato rivelato da Spalding nel suo memeo esattamente come la Cina avrebbe potuto realizzare il suo dominio mondiale dell'IoT, in quanto gli standard 5G sono condivisi a livello globale per la compatibilità dei dispositivi, in modo simile al modo in cui una persona può facilmente trovare informazioni sulle precedenti generazioni di reti wireless online.


L'opinione di Spalding secondo cui le aspirazioni della Cina devono essere neutralizzate da una rete5G proprietaria e sicura solo negli USA, vedrebbe una tecnologia per monitorare i dispositivi di rete integrati nella rete stessa, completa con la capacità di "isolare [un dispositivo Iot] dall'avversario se diventasse virulento."


Spalding non ha definito un ruolo di governo in una rete futura, ma ha affermato che potrebbe essere costruito da una società "con accesso e con abbastanza onde radio", secondo un rapporto Bloomberg. 


Alla fine, qualsiasi rete 5G degli Stati Uniti deve "spingere i ZTE e Huawei fuori da altre democrazie", ha osservato Spaulding, citato dal South China Morning Post (SCMP).


Huawei e ZTE sono due aziende cinesi accusate dagli Stati Uniti di lavorare per conto del governo cinese - accuse che le aziende negano.

Contattato da Bloomberg, Spalding - che non è noto per essere collegato a qualsiasi società di lobbying delle telecomunicazioni di Beltway - ha affermato di aver scritto il promemoria, aggiungendo che è stato distribuito a diversi professionisti della sicurezza nazionale che ha rifiutato di identificare.

Spalding ha offerto un piano analogo lo scorso anno, che è stato divulgato alla stampa, causando proteste da parte di aziende tecnologiche e legislatori repubblicani, i quali hanno affermato che la visione di Spalding potrebbe sminuire il ruolo delle società private.

La rete wireless di quinta generazione, conosciuta popolarmente come 5G, è uno standard di telecomunicazioni wireless in fase di sviluppo da parte di provider commerciali che mirano a realizzare connessioni 10-100 volte più veloci rispetto all'attuale servizio 4G. La rete dovrebbe essere abbastanza veloce da supportare veicoli autonomi, elettrodomestici intelligenti e persino robot chirurgici.