venerdì 16 novembre 2018

Centrafrica: uccisi 42 profughi cristiani e due sacerdoti.

L'ORRENDA PERSECUZIONE DEI CRISTIANI CONTINUA... 

 




                                               
ROMA, 16 NOV – Attacco in Centrafrica a un gruppo di rifugiati accolti da una diocesi. Forze ribelli di musulmani Seleka hanno attaccato i rifugiati, quasi tutti cristiani, nel compound della cattedrale della Diocesi di Alindao. Da fonti religiose, il compound è stato dato alle fiamme mentre l’episcopio e la cattedrale sono stati saccheggiati dagli assalitori, forze ribelli ex Seleka.
“Notizie ufficiali parlano di 42 morti, quelle non ufficiali di oltre 100”: lo fa sapere la fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre. Nell’attacco, che si sarebbe verificato ieri, sarebbero stati uccisi anche due sacerdoti.
Oltre alle 42 vittime del bilancio ufficiale, vengono segnalate diverse case saccheggiate e bruciate. Tra i due sacerdoti rimasti uccisi nell’attacco ci sarebbe anche il vicario generale della diocesi di Alindao, padre Blaise Mada.

musulmani seleka

Rivoluzione ai vertici dei servizi. L’Italia cambia strategia in Libia

italia libia

Conclusa la Conferenza di Palermo, ora si attendono le prossime mosse del governo italiano per quanto riguarda il dossier-Libia. Il vertice siciliano ha fatto compiere dei passi in avanti all’Italia in termini di rapporti con tutte le fazioni presenti nel complesso scacchiere libico. Ma ha anche mostrato che la strategia italiana ha dovuto, per forza di cose, cambiare passo. E se un tempo supportavamo soltanto Fayez al-Sarraj, adesso ci troviamo (forse più travolti dal destino che per convinzione) a dover intrecciare rapporti molto più profondi anche con Khalifa Haftar.


In questo gioco di rapporti fra Tripoli, Bengasi, Tobruk e Misurata, un ruolo centrale lo hanno avuto due pilastri della nostra strategia: Eni e servizi segreti. Ed è soprattutto per quanto riguarda questo secondo pilastro che si sta muovendo il governo di Giuseppe Conte che, dopo mesi di stallo, sembra aver deciso di rimettere mano al cambio di vertici dell’intelligence. Le difficoltà italiane in Cirenaica sono state progressivamente ridotte. Ma non sono finite. E la Libia non è secondaria per capire soprattutto chi sarà l’uomo che sostituirà Alberto Manenti alla guida dell’Aise, il servizio segreto esterno.

L’obiettivo dell’esecutivo giallo-verde è ambizioso. Rispetto ai governi precedenti, da Roma è arrivato l’input di tessere una rete di relazioni con Haftar che possa permettere a Eni di entrare in Cirenaica. Programma assolutamente complesso. In quest’area il nostro colosso energetico deve scontrarsi con le bizze del maresciallo ma anche con i terminali Total. E sotto questo profilo, l’importanza di avere alle spalle alleati come British Petroleum e la russa Rosneft aiuta e non poco a convincere il difficile generale libico. Tutto, ovviamente, coinvolgendo la National Oil Corporation (Noc), il gigante del petrolio libico che rappresenta, ad oggi, forse l’unica istituzione che unisce quasi tutto il territorio della Libia. 
In questa difficilissima partita, giocano un ruolo fondamentale i servizi. Ed è stato soprattutto Manenti ad aver assunto una posizione centrale. Secondo quanto appreso da La Verità, il prossimo lunedì il Consiglio dei ministri dovrebbe sostituire il numero uno dell’Aise. E non sarà una scelta priva di conseguenze. Nato a Tarhuna, in Libia, ottima conoscenza dell’arabo. dal 1980 all’interno del Sismi e con ottimi contatti a Tripoli (e non solo), Manenti è stata una vera e propria arma dell’Italia in Libia. E vanta un credito importante con molte parti politiche, nonostante sia stato nominato a Forte Braschi, nel 2014, da Marco Minniti
Sui nomi dei possibili sostituti di Manenti, ci sono ancora ampie discussioni. Secondo La Verità, i papabili sono tre. “Il primo, è Enrico Savio, attuale numero due del Dis, che vanta l’appoggio del presidente di Leonardo, Gianni De Gennaro. Poi c’è Luciano Carta, il severo e marziale generale della Guardia di finanza, che in molti avrebbero voluto al vertice della stessa Gdf. Quindi c’è Gianni Caravelli, il secondo vice dell’Aise, spinto dal ministro della Difesa, Elisabetta Trenta”. Anche se su quest’ultimo, come ricordato già su questa testata, gravano alcuni dubbi. Se molti pensavano che fosse naturale la sua successione alla guida dell’Aise, oggi non appare più così creta. Nominato da Minniti e delegato da Manenti a seguire proprio la Libia, questi due elementi non sembrano essere dei punti di vantaggio, oggi, per essere il prescelto alla guida dei servizi esterni.
L’idea è che il governo voglia dare un cambio di direzione generale alla  nostra strategia in Libia. E dovendo, a questo punto necessariamente, rapportarsi con Haftar e non solo Serraj, l’Italia si trova a dover ricreare le alte sfere dell’intelligence per tentare di non essere esclusivamente legate a un determinato leader o una determinata fazione. Una ricostruzione che però non deve essere l’anticamera di una “damnatio” di Manenti, che invece è stato fondamentale per la buona riuscita della conferenza di Palermo. Prova ne è stata il viaggio a Mosca per convincere Haftar a raggiungere il capoluogo siciliano.
Ma molte cose del duo Manenti-Minniti non piacciono all’attuale esecutivo. Secondo l’attuale esecutivo, aver puntato tutto su Tripoli ha fatto perdere terreno in Cirenaica a favore della Francia. E dopo la caduta di Muhammar Gheddafi, c’è stato quello che viene definito un “disinvestimento” nell’intelligence sul fronte nordafricano. E infatti, dopo alcuni anni dallo scoppio della guerra in Libia, l’Italia si è trovata  a dover gestire ondata di migranti e minaccia terroristica a cose già fatte. Problemi che sono stati ampiamente sottovalutati.

Come ricorda La Verità, “dal 2011 al 2017, quasi sei anni, nei dossier inviati a Camera e Senato non si fa minimo cenno agli sbarchi sulle nostre coste. Se ne inizia a parlare l’anno scorso, quando, si fa cenno a ‘sbarchi occulti’, effettuati sotto costa per eludere la sorveglianza marittima aumentando con ciò, di fatto, la possibilità di infiltrazione di elementi criminali e terroristici”. Questioni cruciali per chi ora governa in Italia, che, unite al fatto di aver ricucito con Haftar (via Mosca), hanno dato il via libera al ricambio degli 007.

MATTARELLA AMMONITORE

di Marcello Veneziani
Non so di quali gravi problemi psicologici io soffra ma ogni volta che vedo in tv il presidente Mattarella mi sento uno straniero in patria. Anzi peggio, sento lui come il commissario, il proconsole inviato dalla Ue nel protettorato dell’Italistan per sedare le popolazioni ribelli. Nel mio stato allucinatorio lo vedo come un regnante assiro-babilonese, frutto di altre epoche e di altri mondi e il suo stile, il suo linguaggio, il suo incedere, il suo sontuoso copricapo bianco mi sembrano confermarlo. Sarà sicuramente una mia debolezza mentale, un trauma infantile o prenatale, ma non riesco mai a riconoscermi in quello che dice. Anzi penso quasi sempre il contrario di quel che dice, a parte il fondo inevitabile di ovvietà atmosferica e istituzionale con cui incarta il tutto e che è retaggio del suo ruolo protocollare.
Ma è possibile, mi chiedo preoccupato, che tutto quel che dice e persino il tono con cui lo dice, mi sembra sempre negare quel che mi sembra la realtà dei fatti, la storia vissuta, la vita reale dei popoli, il sentire comune, il disagio diffuso, la memoria storica, la percezione comune della realtà, oltre che le mie convinzioni ideali? Possibile che anche quando affronta temi che dovrebbero essere condivisi, come l’amor patrio o la celebrazione delle feste nazionali, lui riesca a dire il contrario di quel che mi aspetto da un Capo dello Stato e dal presidente degli italiani? L’Italia per lui non è la nostra patria ma il luogo d’accoglienza universale, una specie di gigantesca tenda da campo predisposta dalle autorità europee. Le identità dei popoli, per lui, sono un cancro da sradicare, un muro da abbattere. Vanno bene le identità individuali o di genere, ma non quelle nazionali, popolari, civili. Le migrazioni per lui vanno accolte e benedette; le diversità culturali e religiose vanno ammesse se riguardano gli stranieri, vanno invece rimosse se ricordano le nostre radici, altrimenti siamo intolleranti. Le nazioni per lui sono solo il preambolo funesto ai nazionalismi che sono la vera piaga del mondo; quando a me pare invece che i mali della nostra epoca siano piuttosto legati al suo contrario, allo sradicamento universale, alla cancellazione forzata delle identità, dei popoli e dei territori, al dominio cinico e apolide del capitale finanziario che non ha patria ma solo profitti; e ai flussi migratori incontrollati che in generale impoveriscono i paesi che lasciano e inguaiano quelli che invadono. Se un gruppo di migranti stupra una ragazza lui tace, se gli italiani dicono una sciocchezza contro i migranti o le donne, lui interviene per condannare. Non si perde mezza celebrazione che riguardi l’antifascismo e l’antirazzismo, è sempre lì a commemorare coi suoi discorsi, mentre salta vagoni di ricorrenze cruciali, di anniversari patriottici, di caduti per l’Italia, di vittime del comunismo, dei bombardamenti alleati, delle dominazioni altrui.
Se gli capita un IV novembre tra i piedi lui non ricorda la Vittoria ma solo la fine della guerra e non commemora l’Italia e i suoi soldati ma l’Europa. E se proprio deve celebrare un patriota, celebra l’eroe nazionale degli albanesi o di chivoletevoi, non un patriota dell’Italia. E sostiene come l’ultimo militante dell’Anpi che il fascismo è il male assoluto e non ha fatto neanche una cosa buona, negando l’evidenza storica: una cosa del genere non riuscirei a dirla neanche di Mao e Stalin che sono i recordman mondiali di sterminio, per giunta dei propri connazionali e per colmo in tempo di pace; notizie che al Quirinale non risultano mai pervenute.
E non c’è giorno che non ci sia una sua dichiarazione ecumenica e curiale nella forma ma velenosa e ostile nella sostanza contro il Demonio Assoluto: il populismo e il sovranismo, ossia il governo in carica, e tutto sommato, il voto maggioritario degli italiani. È una continua allusione polemica a ogni cosa che dice, fa e pensa Salvini. Poco manca che non insignisca la Isoardi di un cavalierato al merito per aver scacciato il drago da casa sua.
Ma possibile che il Capo dello Stato debba essere così opposto al comune sentire? Non mi aspetterei certo che dicesse il contrario di quel che pensa e del materiale bio-storico di cui è composto; non chiedo che si metta a gareggiare in demagogia tribunizia, ma è possibile che il presidente degli italiani la pensa solo come quelli che votano Pd, e sempre dalla parte opposta dei restanti italiani? Non è stato informato che quel Renzi che lo volle al Quirinale nel frattempo è caduto e non lo vogliono neanche nel Pd? Non sa che in Italia, in Europa, nel Mondo, quella visione politica che lui depreca ogni giorno, conquista maggioranze di consensi popolari in libere elezioni democratiche ed esprime i maggiori governi e capi dello stato? Mai uno sforzo, lui che dovrebbe essere l’arbitro super partes, garante di tutti, per capire e riconoscere quell’altra Italia, quell’altro mondo, che non la pensa come lui. Sta lì, nel cuore di Roma, come se il Quirinale fosse uno Stato Vaticano ai tempi del non expedit, rispetto all’Italia che lo circonda.
Naturalmente nei momenti di lucidità capisco che tutto questo è frutto di un mio stato di alterazione mentale, gli italiani invece sono entusiasti di Nuvola Bianca e dei suoi moniti, si bevono come oro colato le sue prediche indispensabili e lo considerano un santo, un sapiente e un oracolo. Però, non capisco perché quella mia allucinazione presidenziale mi fa quell’effetto eversivo-lassativo…
MV, Il Tempo 9 novembre 2018

Così Mosca neutralizzerà la minaccia nucleare degli Stati Uniti

Mosca ha sviluppato un modo con cui poter neutralizzare la minaccia nucleare degli Stati Uniti. Per neutralizzare completamente la minaccia dei missili balistici a medio raggio statunitensi in Europa, la Russia deve sviluppare la componente mobile delle forze strategiche missilistiche, secondo uno specialista rispettato. Dopo aver analizzato i punti di forza e di debolezza dei missili a medio raggio, sia balistici che da crociera, l’esperto Konstantin Sivkov, Vicepresidente dell’Accademia Russa dei Missili e Artiglieria, concludeva che l’utilizzo contro complessi missilistici mobili è poco efficiente. Così, secondo l’analista nell’articolo sul Voenno-promyshlennij Kurer, sono necessarie diverse misure per aumentare la capacità mobile delle Forze Strategiche Missilistiche della Russia. Innanzitutto, sottolinea l’autore, con l’apparire di una minaccia è necessario introdurre iln costante pattugliamento aereo col numero massimo di bombardieri strategici e, allo stesso tempo, aumentare radicalmente il sistema strategico dell’Aeronautica creando basi negli aeroporti civili. In secondo luogo, se le tensioni aumentano, una delle misure efficaci potrebbe essere inviare tutti i sottomarini lanciamissili in pattugliamento. Secondo l’autore, è indispensabile preparare una rete stradale per i complessi missilistici strategici, come Topol-M e Jars, per la guerra, perché oggi, secondo il trattato missilistico START, tali missioni sono rigorosamente regolamentate.
Sui complessi per i silos, come R-36TTKH e Sarmat in costruzione, lo specialista proponeva di aumentare la difesa antiaerea e la guerra elettronica nelle aree delle strutture, al fine di difenderle meglio. Inoltre, secondo Sivkov, è necessario prestare attenzione all’idea di ripristinare i complessi ferroviari missilistici per aumentare la mobilità dei missili strategici e medi della Russia. Allo stesso tempo, l’esperto evidenziava la sviluppata rete fluviale russa che, a suo parere, consentirà l’uso di navi speciali come vettori dei missili. Un’altra misura efficace sarebbe aumentare la flotta di aeroplani con sistema di allarme e controllo aero, secondo ivkov, ritenendo che il numero di tali aeromobili russi sia insufficiente. “Tutto ciò sarà indubbiamente costoso, ma la difesa della sovranità nazionale e la protezione dalle minacce occidentali è causa essenzialmente non economica”, concludeva.
Recentemente, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump annunciava che gli Stati Uniti non rispetteranno il trattato INF, poiché Mosca l’avrebbe violato, e lasceranno l’accordo. Il capo degli Stati Uniti aveva anche detto che Washington svilupperà nucleari. Nel frattempo, il portavoce del presidente russo Dmitrij Peskov dichiarava che l’abbandono del trattato INF porterà la Russia a prendere provvedimenti per garantirsi la sicurezza. Negli ultimi anni, Mosca e Washington si sono accusati di violare il Trattato INF. La Russia ha spesso notato di osservare scrupolosamente i propri obblighi, col Ministro degli Esteri Sergei Lavrov affermare che Mosca ha seri interrogativi da porre agli Stati Uniti sull’osservanza dell’accordo. In particolare, il Cremlino indica le attività militari statunitensi, ad esempio nelle basi militari in Romania e Polonia, anche in connessione coll’installazione di complessi per missili come il Tomahawk (vietato dal trattato ). I russi indicano che gli Stati Uniti sviluppano droni d’assalto e finanziano ricerche per creare un missile da crociera terrestre.
Traduzione di Alessandro Lattanzio

Colpi di mano contro la Democrazia in Usa, Regno Unito e Italia


di GianMarco Landi
Con un senso di fastidio, che si sta tramutando sempre più misto a sofferenza, scrivo questo articolo confessandovi di essere sconcertato  e anche un bel po’  spaventato.
Le pagine dei Media di tutto il Mondo raccontano in maniera manipolata e distorta le verità politiche e finanziarie, lo sappiamo ormai tutti, ma in questi giorni i Mainstream raccontano gli epigoni di un disegno di attacco al cuore della Democrazia e dell’Occidente come se stessero accadendo cose normali, risibili e banali.
Partiamo dagli Usa
I Democratici  guidati dalla cupola Liberal al cui vertice c’è il capo dei capi,  George Soros,  avevano perso le elezioni di Midterm essendo confinati ad una maggioranza sulla meno importante House. Attraverso giochetti di prestigio, che in Italia conosciamo bene sin dai tempi del Referendum sulla Repubblica e la Monarchia, gli equilibri del 6 novembre sono stati riaperti in favore dei Dem, anche al Senato e in chiave presidenziali 2020.
Come ho raccontato qui su Imola Oggi, le  tendenze di voto e i risultati riscontrati il 6 di novembre, considerati  stato per stato e proiettati sugli equilibri al Senato e sulle future presidenziali 2020,  avevano premiato massicciamente Trump, infatti la notte del 7 di novembre eravamo andati  a dormire avendo appreso che  l’ala Congressuale competente nel senso di coadiuvare il Presidente nelle materia di impatto geopolitico internazionale, finanziario ed energetico, cioè il Senato, era in mani Repubblicane, insieme a  tutti i governatori dei swing state, cioè gli Stati che storicamente determinano i risultati delle elezioni presidenziali. Oggi non è più così, e sia Trump, sia innumerevoli senatori Repubblicani stanno denunciando pubblicamente  il tentativo, parzialmente compiuto dai Democratici, di ‘rubare’ le elezioni attraverso alcuni scientifici riconteggi dei voti. Queste vicende sottaciute dai Media italiani,  in alcuni Stati americani hanno superato l’assurdo e il paradossale,  assumendo tratti da letteratura distopica di impronta orweliana.
Il 7 novembre mattina i Dem hanno fatto scendere in campo una portentosa schiera di avvocati di derivazione finanziaria, cioè Azzecca Garbugli bravi nella manipolazione di realtà fotografate dai numeri e dal potere, e con artifici giuridici posti in essere nell’alveo della compiacenza di magistrati inquirenti nominati in epoca Obamiana, hanno riaperto i conteggi,  anche dove il candidato sconfitto si era riconosciuto tale facendo la tradizionale telefonata al vincitore. I fatti su cui i Media essenzialmente sorvolano stendendo un velo di compiacimento ‘godimentoso’, sono questi:
qualcuno, non si sa come e perché,  ha tirato improvvisamente fuori il 7 di novembre scatoloni di voti in più che sarebbero arrivati per posta e non sarebbero stati conteggiati il 6 di novembre, e con l’appiglio di norme di carattere eccezionale (come ad esempio il singolo voto che per motivi straordinari, come la morte di una madre o l’incidente stradale,  non fosse stato inviato entro il giorno di scadenza)  hanno sovvertito il senso delle urne del 6 di novembre in alcune cruciali competizioni.  In questo modo è accaduto che  il Senato dell’Arizona ha visto l’attivista gay e bisex  Sinema trionfare sulla donna pilota Mc Sally, che la notte del 7 di novembre, al 100% dello scrutinio,  era stata data 1 punto %  pieno avanti, e che non si sa come e perché, un Giudice ha battuto assegnando l’1,7% di voti in più alla candidata Dem! Stessa identica cosa, guarda tu che combinazione, sarebbe accaduta  sia in Georgia, un swing state dove la riccioluta pupilla di colore di Opra Winfrey era stata battuta di oltre un punto dal candidato Repubblicano,   e in Florida, dove sarebbero comparsi dal nulla  altri innumerevoli scatoloni di voti postali zeppi di voti, guarda caso,   solo per i Democratici. Forse in Florida alla fine il colpo di mano non riuscirà, ma solo perché i Repubblicani hanno schierato antiche sapienze italoamericane, oltre ad una schiera di Azzeca Garbugli  nella contesa non più politica ma tutta fatta di cavilli legali e truffe in guanti di velluto lawerchic.
Trump, dopo aver licenziato in tronco il ministro della Giustizia, un cospiratore connivente con questi giudici eversivi e studi Legali Dem,  e dopo aver  patito il furto in  Arizona causato, in verità, anche dal tradimento di gangli di potere Repubblicano locale legati al deceduto McCain oltre che al cospiratore Ministro della Giustizia (l’Arizona era lo stato di McCain),  ha capito in ritardo  di dover fronteggiare una furia giacobina e truffaldina da parte dei Democratici nominali ma non certo sostanziali, che mai si era vista in America, o meglio si era vista solo nell’America del Sud o in alcuni paesi africani ed europei su cui Soros aveva agito a modo suo. Anche altri membri importanti dello staff  presidenziale hanno cospirato, e per questo si renderà necessaria l’introduzione di una epurazione in guanti rosa attuata da Melania Trump, che i Media hanno maggiori difficoltà ad attaccare rispetto a Trump.
Lo scopo ideologico e politico di Soros  è quello di attuare nel Mondo una mescolanza etnica e culturale forzandola  a suon di colpi di mano, colpi di spread, colpi di stato e colpi di mortaio ove necessario, già  eseguiti in maniera scientifica dall’Amministrazione Usa ai tempi di Barack Obama, il primo cameriere della Finanza Dem.  Wikileakes  trafugando e rendendo pubbliche oltre due anni fa decine di migliaia di e mail dei politici finanziati da Soros, Hillary Clinton in testa, aveva  svelato questi disegni sminuiti dai fan della globalizzazione, dei pusillanimi  con il prosciutto sugli occhi,  come fantasie complottiste a cui non credere per la paura di dover maturare consapevolezze sgradite.
In questo quadro dell’ultima settimana i Democratici  escono  ringalluzziti anche alla luce della fittizia ridiscesa in campo di Hillary, che in realtà è una teatrale pantomima finalizzata alle primarie  nel senso di tirare la volata alla prima futura donna Presidente, a cui Hillary cederà lo scettro di Regina Dem, che non sarà Nancy Pelosi, né Elizabeth Warren e nemmeno  Opra Winfrey, bensì  Michelle Obama.
Che bello!   Finalmente  l’orto della Casa Bianca  sarà ben curato e la nostra Botteri  sarà più tranquilla quando potrà raccontarci la politica  narrandoci innanzi tutto di pomodorini e ravanelli colti con le mani di Michelle.  Ciao ciao Sogno americano di Libertà, Giustizia e Democrazia.
Ancora peggiore è però la situazione nel Regno Unito, che anticipa una identica situazione in Italia.
La May ieri ha partorito un accordo di Brexit con l’UE che ha dell’incredibile, perché di fatto non c’è nessuna Brexit. In pratica  c’è un sostanziale rimando al 2020 che sa tanto di vera e propria presa per il culo, un po’  come il nome Partito Democratico dove sfacciatamente si insegue la non democrazia della oligarchia UE. Questo accordo di sottomissione britannica alla UE svela il disegno strategico a tela di Penelope, nel senso di risolvere il pesante problema politico confidando in un  mutato quadro internazionale, cioè aspettando Ulisse che in questo caso sarebbe il ritorno dell’orto catartico alla Casa Bianca nelle sapienti mani di Michelle Obama, il sogno dei Media Mainstream, per poi  rifare un nuovo referendum in UK magari cercando di importare certi  know how  che i Democratici di Soros stanno sperimentando al termine delle Midterm.  Boris Jonnhson e Farage da un lato,  Corbyn dall’altro, sono sconcertati, ma la strategia della May non è velleitaria, bensì lucidissima, chiarissima e spietata: giocarsi tutto in Parlamento in una logica che prevede il classico  vi mangiate tutti questa minestra, oppure,  le cose le ho messo in un modo tale che ci buttiamo tutti quanti dalla finestra. Cosa faranno? Non lo so, ma forse alla fine chineranno il capo rimandando al 2020 sperando che Ulisse non ritorni.
Ciao Ciao anche alla più antica Democrazia al Mondo.
Perciò, riguardo all’Italia, non facciamoci illusioni di poter stare tranquilli e poterci salvare con la nostra Democrazia,  bensì prepariamoci a difenderla e a salvarla dai sedicenti Democratici. Già in Parlamento stanno iniziando ad accadere  cose strane, con il ventre molle del Governo, l’ala di sinistra comunista dei 5 stelle, che combina pasticci chiedendo cose impossibili sulle infrastrutture e inciuciando in Parlamento. Quello che accade è il portato dei tentativi di stritolare la manovra governativa in una dimensione europea con ciò palesando il desiderio di schiantare un Governo e una piattaforma Parlamentare  dai tratti rivoluzionari. Di Maio e Salvini reggeranno l’urto?
A tutti è chiaro il senso giallo verde  di un allaccio al Popolo e alla Nazione che riflette laribellione verso le elite della Globalizzazione, di cui Brexit e Trump hanno dato quello spessore politico in Occidente che i Dem stanno cercando di erodere anche con qualche risultato ottenuto disprezzando la Democrazia con fatti oltre che parole.  I Dem hanno sempre meno voti ma non sono sconfitti, e  la loro idea di una Democrazia senza coinvolgimento concettuale del popolo, cioè ridotta ad un dato formale patinato e chic senza sudore, carne e sangue,  è viva e vegeta nei Palazzi di governo di Washington e Londra.
Non oso pensare  cosa possa accadere in Italia se Trump e la Brexit fossero sconfitti nel 2020, ma mi preparo a tutto, anche a dover fronteggiare, come dovrebbe farlo ogni italiano Libero e Forte,  il disegno di un Governo di Mattarella con Cottarelli Primo Ministro, Bonino ministro degli Esteri, Monti all’Economia, Fornero al Welfare State e Laura Boldrini agli Interni.  Non so cosa pensiate voi, ma per quanto mi riguarda dico a lorsignori di non farsi illusioni: ciao ciao  Democrazia e  ciao ciao Italia gli italiani non lo diranno mai.


In Italia 1,2 milioni di bambini e adolescenti vivono in povertà assoluta


Sono 1,2 milioni i bambini e gli adolescenti che vivono in povertà assoluta. Ma non sono solo le condizioni economiche del nucleo familiare a pesare sul loro futuro. L’ambiente in cui vivono ha un enorme impatto nel condizionare le loro opportunità di crescita e di futuro. Pochi chilometri di distanza, tra una zona e l’altra, possono significare riscatto sociale o impossibilità di uscire dal circolo vizioso della povertà.
All’interno di una stessa città, l’acquisizione delle competenze scolastiche da parte dei minori segna un divario sconcertante: a Napoli, i 15-52enni senza diploma di scuola secondaria di primo grado sono il 2% al Vomero e quasi il 20% a Scampia, a Palermo il 2,3% a Malaspina-Palagonia e il 23% a Palazzo Reale-Monte di Pietà, mentre nei quartieri benestanti a nord di Roma i laureati (più del 42%) sono 4 volte quelli delle periferie esterne o prossime al Gra nelle aree orientali della città (meno del 10%). Ancora più forte la forbice a Milano, dove a Pagano e Magenta-San Vittore (51,2%) i laureati sono 7 volte quelli di Quarto Oggiaro (7,6%). Questi i dati del IX Atlante dell’infanzia a rischio ‘Le periferie dei bambini’ di Save the Children, pubblicato da Treccani e presentato oggi in anteprima.
L’Atlante è un viaggio senza precedenti attraverso le periferie delle grandi città e del Paese, che sono per i bambini vere e proprie ‘periferie educative’, in termini di mancato accesso all’istruzione, agli spazi ricreativi e culturali. A breve sarà disponibile nelle librerie italiane.
Allargando lo sguardo alle altre risorse educative essenziali per lo sviluppo dei bambini, scopriamo, ad esempio, che i minori che non hanno l’opportunità di navigare su Internet nel Mezzogiorno si concentrano nei capoluoghi delle grandi aree metropolitane (36,6%), e vivono spesso nelle famiglie con maggiori difficoltà economiche (38,8%), così come, nelle stesse zone, i bambini e adolescenti che non svolgono attività ricreative e culturali raggiungono il 77,1%.
I minori in Italia sono soprattutto, e sempre di più, ai margini della ricchezza, se si considera che la povertà assoluta riguarda il 12,1% di loro, non fa distinzioni tra bambini e adolescenti (12,4% fino a 3 anni, 11,4% da 4 a 6 anni, 12,3% 7-13 e 11,8% 14-17) e pesa sul quotidiano di 702.000 famiglie con minori (10,9%). La povertà relativa riguarda 1 minore su 5 e, a conferma di un trend negativo, chi ha oggi meno di 17 anni ha una probabilità di diventare povero cinque volte più alta rispetto ai propri nonni. ADNKRONOS

NON E’ ECONOMIA, MA LOTTA DI LIBERAZIONE.


Dubito che i media ve lo  racconteranno, ma tre giorni fa Mario Draghi ha dovuto difendere  le sue azioni come capo della Banca Centrale Europea davanti al parlamento irlandese.  Le sue auguste, impunibili orecchie hanno dovuto ascoltare accuse come: hai mandato dei “diktat”  ai governi europei, anzi delle”lettere di riscatto”, ransom notes,  “richieste di riscatto”: ossia quelle letterine che i malviventi mandano ai parenti di una persona che hanno rapito: se vuoi che il tuo caro torni,  paga il riscatto.  E’ stato accusato, quando nel 2010 le banche irlandesi sono entrate in crisi, di aver accollato la perdita allo Stato impedendo  che  venisse pagato  dai responsabili, gli “investitori” detentori di azioni  ed obbligazioni bancarie, sottoponendo l’Irlanda ad una troika  di prestatori internazionali che hanno imposto le note condizionalità.
Draghi si è difeso dicendo, fra l’altro, che “i consigli” (diktat) che diede all’Irlanda allora “non erano interamente sbagliati”, not entirely wrong.  Ha  commentato Matthew Klein,  collaboratore del Financial Times: “Non del tutto sbagliato” sarebbe il titolo ideale per  un libro sulla BCE.
E’ altamente improbabile che in Italia le  auguste orecchie  del Banchiere  ex Goldman  (mai che qualcuno osi  eccepire l’incompatibilità di simili “funzionari” che passano da pubblico a privato e ri-ubblico…)  vengano offese da simili rilievi.   La BCE ha l’abitudine che quando ci manda lettere di riscatto, i governi si piegano ed obbediscono  ai  suoi “consigli”  non completamente sbagliati.  Applicati da Mario Monti, com’è noto, sono costati al noi italiani un crollo del Pil di circa 300 miliardi (certificati:  dal ministro Padoan nel 2017),  un calo  del 5% annuo per quattro anni invece dell’1,6%  calcolato dalle “previsioni” UE  e BCE, non completamente sbagliate.
“la manovra di Monti, come certificò il @MEF nel 2017: una perdita di PIL di poco meno  €300miliardi (4,7% medio annuo, 75mld per 4 anni). Si voleva ripetere quell’esperienza”
Tredici trimestri di recessione, la distruzione di industrie e imprese,  un migliaio di suicidi fra gli imprenditori.  Quando qualche giorno   fa all’Eurogruppo Draghi ha recapitato al ministro Tria la solita testa di cavallo, intimandogli davanti agli altri europei  per umiliarlo che il nostro deficit   deve essere ridotto  “oltre quanto richiedono le regole UE”,  ossia non solo dell’2,45%, e nemmeno dell’1,9, bensì ( di quanto?, lo 0,9%?)  ci ha voluto imporre la stessa ricetta  che ordinò a Monti dopo il golpe del 2011.   Evidentemente sapendo – o no? – che avrebbe ottenuto gli stessi risultati.
Tria stavolta ha risposto: le previsioni UE sono sbagliate, tecnicamente sbagliate.  Ha risposto che Francia e Germania hanno sforato i  limiti di deficit (o di surplus), senza che la UE avviasse contro di loro il processo che adesso hanno imbastito contro l’Italia. Che in una fase di recessione mondiale, è folle esigere una riduzione della spesa pubblica, quando la teoria economica, anche mainstream,  consiglia   la sua espansione in deficit.
Poteva dire anche di più, per esempio chiedere che si avviasse una procedura per surplus eccessivo e destabilizzante contro la Germania, che con esso ci rovina i rapporti con gli Stati Uniti. Ma già la risposta è bastata:  improvvisamente, le speranze che Repubblica e gli altri media ponevano su Tria  come quinta  colonna, sono svanite.  Repubblica ha cominciato a scrivere articoli dove tratta Tria come tratta Borghi e  Bagnai.
Ma ovviamente ha ragione Tria, come anche confermano una dozzina e di economisti di fama internazionale. Ma che fa Draghi? Proprio in un contesto di calo aggravato, che preoccupa perfino gli industriali tedeschi ( ormai i concessionari vendono le auto con sconti del 20%)
, egli chiude il quantitative easing, diciamo “la stampa” di centinaia di miliardi con cui ha tenuto in piedi non l’economia italiana, no, ma le banche   della zona euro riempiendole di questo denaro-base, che la banche poi non prestano ma usano per tamponare le loro falle.
L’intero mondo globalizzato   sta cadendo in una nuova  recessione, Cina compresa. L’intera zona euro denuncia vistosi cali delle economie, ed ecco che Draghi sceglie questo  momento per chiudere la stampatrice. Superando  così il geniale intervento di Trichet,  il suo predecessore  alla BCE, che nel 2008,   di fronte alla  crisi mondiale  da subprime, pensò   bene di  rincarare il  costo del denaro in Europa, in modo da mandarci nell’abisso della depressione.
Anche stavolta la banca centrale e Mario Draghi riusciranno forse ad imporci le ricette non totalmente sbagliate: non hanno intelligenza, non hanno .la testa, ma hanno il potere. Il potere di far mancare la liquidità, di  prosciugare il bancomat, di strangolarci facendoci mancare il denaro da un momento all’altro, e far saltare le nostre banche.
Lo ha fatto con la Grecia e sta decidendo se può farlo con noi. Per ora, tiene il governo sotto pressione, mantenendo lo spread fra 290 e 320  – perché “i tassi di interesse li fanno le banche centrali e non i mercati” (Cesaratto). Del resto  è la BCE che finora ha comprato il nostro debito pubblico, e basta che qualcuno con  qualche decina di miliardi sul  “mercato” rovente  ci speculi contro,  per farci alzare il costo del rifinanziamento del debito.     Ovviamente adesso, con questi rendimenti  al 3%, che solo l’Italia  paga, i “mercati” sono ben  felici di prestarci. Allora arrivano i complici di Bankitalia a dire   che “L’aumento dello spread «è già costato al contribuente quasi 1,5 miliardi di interessi in più negli ultimi sei mesi”.  Abbiamo qui il caso mai visto di una banca centrale nazionale  che fa dell’allarmismo sui conti della nazione di cui dovrebbe essere la garante della stabilità monetaria. Una cosa da codice penale – in altri tempi. Prima che i banchieri centrali si rendessero impunibili  per legge dei loro errori.
Visco, un altro competente. http://www.interessicomunjournal.it/economia/banche/%EF%BB%BFbanche-un-vajont-umano-economico/
La banca centrale italiana (ossia Visco) sta dicendo  ai “mercati”  che lo Stato italiano italiano rischia l’insolvenza, se non obbedisce ai diktat e alle “lettere di riscatto” mandate dalla BCE? Pur sapendo che  ciò che esige la banca centrale da noi è “suicida”, e la ricetta di più severa  austerità radicalmente sbagliata  in questa fase?
Perché nessuno spiega che “il PIL dell’italia è cresciuto in media del 2% di meno l’anno di quello che poteva, perchè il 4 o 5% del PIL veniva pagato in interessi e di questo il 2% andava all’estero” (Zibordi),  e il deficit di cui tanto ci fanno colpa “è dovuto solo al pagamento d’interessi..che oggi finiscono in larghissima parte a banche e non residenti, per cui a restare in deficit sono solo famiglie e imprese italiane”:
Allora diciamo sì: l’Italia, che paga da sempre  gli interessi sui debiti, può diventare insolvente da un omento all’altro: basta che Draghi e la BCE le faccia mancare la liquidità.  Ossia faccia il contrario di quel che il dovere assoluto di fare. Spieghiamoci ancor meglio: l’Italia  può essere insolvente in ogni momento, perché ha adottato una moneta estera, gestita da una banca centrale straniera, su cui non ha più alcun controllo.
Lorsignori parlano di “indipendenza  della banca centrale”: ma la banca centrale non esita a rendere  dipendenti alle sue ricette (sbagliate) gli Stati.
La banca centrale ha torto, ma ha questo potere. Di imporci la linea politica, perché altrimenti ci strangola facendoci mancare i soldi, che lei “stampa” dal nulla a volontà.  Senza alcuna giustificazione, magari con l’appoggio degli altri paesi  europei, può far cadere governi e asservirli  ad austerità “suicide”.
Non crediate, cari lettori, che io stia parlando di economia. Sto parlando di libertà e schiavitù. Di libertà politica che abbiamo perso e che ha occupato un ente tecnocratico dittatoriale  e minaccioso. Che oltretutto ha fallito i suoi compiti: infatti suo unico scopo statutario è di mantenere una inflazione attorno al 2%, e  non riesce a farlo, nonostante da ani “stampi” a perdifiato.
Ora cito: “Emettere moneta e ritirarla è un atto politico”, che dà il potere sulle nostre  prosperare o mandarci in miseria e disoccupazione.   Gli Stati hanno ceduto questo  poter politico ad un organo tecnico, nella  convinzione che i politici sono disonesti e “stampano” troppo, mentre i tecnici sono oggettivi, neutrali – ed altamente competenti.
Ora vediamo che la cosca chiamata BCE, che di fatti comanda gli stati europei,   non è composta affatto di competenti: applicano ostinatamente ricette sbagliate,  in base ad una loro ideologia che non vogliono mettere in discussione.  Si tratta togliere a questi incompetenti questo potere, perché  lo hanno fatto diventare uno strumento di dispotismo e di arbitrio, contro il diritto e contro la democrazia.
“Si tratta di lottare perché il governo possa  licenziare i vertici della Banca centrale in qualsiasi momento se non si adeguano all’indirizzo politico: la politica monetaria non può essere fuori controllo democratico”.
E’ una lotta lunga e dura. Di liberazione.

Poroshenko si prepara a fuggire dall’Ucraina



Secondo il sito web, generalmente affidabile Iarex.ru, Poroshenko sembra sapere che non vincerà le prossime elezioni ucraine. I sondaggi prevedono che un passaggio di potere a favore della “vecchia guardia” degli oligarchi ucraini, guidati da Julija Tymoshenko, attualmente in testa nei sondaggi. Secondo Iarex.ru, Poroshenko ha già avviato la vendita dei beni, così che dopo le elezioni lascerà immediatamente il Paese squattrinato e fatiscente. Petro Poroshenko negozia la vendita dei propri beni in Ucraina. L’obiettivo è chiudere l’affare prima del 1 marzo 2019. Due revisori indipendenti dei Big Five hanno consegnato rapporti a due potenziali acquirenti. Il primo è un consorzio di oligarchi ostracizzati di Federazione Russa, Ucraina e Lituania. Il secondo un gruppo guidato da Dmitrij Firtash e due capi del Partito Democratico degli Stati Uniti, Joe Biden e Michael Pence. Secondo il TG “Neljagar”, i negoziati sono nella fase finale: sono negoziati accordo, forma di pagamento ed estremi del prelievo di capitale. Secondo le informazioni, l’85% dei pagamenti non in contanti andrà in conti speciali nel Tesoro federale degli Stati Uniti e della Chase-Manhattan Bank.
Ciò accade nel peggiore declino economico-sociale dell’Ucraina nella storia. I salari medi sono diminuiti, per chi ancora lavora, da una media di circa 340 dollari al mese a circa 120. Il costo medio del riscaldamento per un appartamento di 45 mq sono raddoppiati, da circa 70 a 140 dollari. Inoltre, il gas è inaccessibile per diverse centinaia di migliaia di ucraini, che dovranno fuggire dall’Ucraina o congelare.
Poroshenko è stato installato dagli Stati Uniti col colpo di Stato provocato dello Stato profondo nordamericano, con un’elezione da cui i partiti di opposizione di sinistra e l’ex-partito di governo furono esclusi. L’esercito ucraino iniziò la pulizia etnica nell’est del Paese dove la maggioranza della popolazione si identifica di etnia russa, e le milizie popolari sorsero in difesa di questa comunità. L’unica carta rimata a Poroshenko è riprendere le ostilità contro le repubbliche dell’est ucraine, la Repubblica popolare di Donetsk e la Repubblica popolare di Lugansk. Le milizie sorsero in loro difesa comprendendo un miscuglio ideologicamente eterogeneo di milizie, alcune comuniste, ed altre nazionaliste od ortodosse. Riaccendendo i combattimenti. potrebbe dichiarare lo stato di emergenza e rinviare le elezioni secondo una disposizione della costituzione. Ciò significherebbe, tuttavia, un accordo per la condivisione del potere con le milizie neonaziste e scioviniste che gli Stati Uniti finanziano da decenni, e che armano apertamente dal 2014. Nelle udienze al Congresso degli Stati Uniti, FRN ricorda ai lettori che Victoria Nuland testimoniò pubblicamente che il dipartimento di Stato degli USA aveva speso almeno 5 miliardi di dollari per inscenare ‘Maidan’, usando una miscela di strategia della tensione ripresa da Gladio, e tattica da rivoluzione colorata impiegata in vari Paesi, dalla Jugoslavia ad Egitto, Siria e altrove.
Che Poroshenko sia indigesto all’est del Paese non sorprende. Ciò che è in discussione è che negli ultimi quattro anni anche il resto dell’Ucraina subisce un enorme impoverimento. La popolazione si dimezzerà entro un decennio, per via dei rifugiati economici che fuggono principalmente verso Russia, Polonia e Germania. Poroshenko è dopo Tymoshenko in vari sondaggi con percentuali a due cifre. Questo è un margine che, in circostanze normali, non può essere superato.

Traduzione di Alessandro Lattanzio

Wikileaks, gli Usa si preparano (forse) a incriminare Julian Assange

Wikileaks, gli Usa si preparano (forse) a incriminare Julian Assange
Secondo alcuni media d'oltreoceano e lo stesso Wikileaks, gli Stati Uniti sarebbero pronti a incriminare (o lo avrebbero già fatto) Julian Assange, il fondatore del sito che ha pubblicato migliaia di documenti riservati. Ma la storia sta già assumendo i connotati di un giallo
Gli Stati Uniti sarebbero pronti a incriminare (o lo avrebbero già fatto) Julian Assange, il fondatore di Wikileaks, il sito che nel 2010 ha pubblicato migliaia di documenti segreti americani. Ma la storia sta già assumendo i connotati di un giallo.
L’ANNUNCIO E LA SMENTITA
A dare la notizia è stato lo stesso Wikileaks, dopo che la circostanza era stata inavvertitamente svelata dal dipartimento di Giustizia.
Il vice procuratore Kellen Dwyer ha presentato un’istanza in un tribunale della Virginia su un altro caso non legato, citando l’incriminazione di Assange come ragione per tenerla sigillata fino all’arresto dell’uomo. Tuttavia, un portavoce del DoJ ha poi precisato che si tratta di un errore e che il procuratore non intendeva fare il nome di Assange nella sua richiesta.

LA TESI DEI MEDIA
Diversi media statunitensi, però, sono convinti che le autorità Usa stiano davvero preparando (o abbiano già formulato) accuse, ancora non note, nei confronti di Assange. D’altronde, si nota oltreoceano, già ad aprile dell’anno passato, l’allora segretario della Giustizia americano Jeff Sessions (al quale la Casa Bianca ha recentemente dato il benservito) aveva definito l’arresto del fondatore di Wikileaks come una priorità per l’amministrazione di Donald Trump.
LE POSSIBILI ACCUSE
Le accuse a carico dell’uomo potrebbero essere svariate. Washington potrebbe decidere di perseguire il fondatore di Wikileaks per le rivelazioni dei cabli diplomatici americani nel 2010 o dell’arsenale cibernetico dell’intelligence nel 2017. O, ancora, per un possibile (e più volte ventilato) ruolo di Assange nel Russiagate, in particolare per aver diffuso le email dei Dem hackerate, secondo gli apparati di sicurezza americani, dai russi (un tema su cui sta indagando da tempo il procuratore speciale Robert Mueller). In pratica gli Stati Uniti potrebbero accusare Assange di cospirazione, furto di proprietà del governo o violazione della legge sullo spionaggio.
CHE TIPO DI PROCESSO
È probabile che il processo avanzi in contumacia. Tuttavia, scrive il Wall Street Journal, il DoJ sarebbe sempre più ottimista circa la possibilità di svolgerlo alla presenza di Assange. Quest’ultimo vive dal 2012 nell’ambasciata ecuadoregna a Londra, dopo aver ricevuto asilo politico dal Paese sudamericano. E non è noto se sul fondatore di Wikileaks siano in corso discussioni di Washington con il Regno Unito o con l’Ecuador. Ma il quotidiano statunitense, citando alcune persone che hanno familiarità con la questione, rileva che il rapporto tra Quito e l’uomo sarebbe peggiorato improvvisamente dopo l’elezione, lo scorso anno, del presidente Lenin Moreno, che non vedrebbe di buon occhio la sua presenza in una sede diplomatica del suo Paese.