giovedì 15 ottobre 2020

Coronavirus ed eugenetica? L’immunità di gregge, i respiratori negli USA ed i diritti dei disabili

IL CORONAVIRUS E QUEL SENTORE DI EUGENETICA. L'EUGENETICA E' LA STESSA INGEGNERIA DI SELEZIONE GENETICA PRATICATA DURANTE IL NAZISMO, E ANCORA IN AUGE. A VOLTE RITORNANO....



Quando tutto questo sarà passato, ed il coronavirus passerà agli annali della storia, dovremo condurre una seria riflessione sul sistema sanitario nazionale, in materia di diritti dei lavoratori e alla salute del cittadino, soprattutto.

LE “SCELTE” IN ITALIA

Il risultato è che molti medici hanno annunciato ai media di essere costretti, a causa della inadeguatezza strutturale, a “scegliere” chi curare. Cioè a privilegiare nella cura chi viene ritenuto avere maggiori possibilità di sopravvivenza al virus. In futuro le cose dovranno tornare ad essere come furono per decenni, nella patria della legislazione più “alta” e umana (la nostra).

Rifuggendo il benaltrismo, la tendenza cioè a spostare lo sguardo da un problema per trovarne di ben altri ritenuti più gravi, va detto che davvero impressionanti (non nel senso positivo del termine) risultano essere i comportamenti in materia di SARS-CoV-2 adottati in altre parti del mondo, UK e USA su tutte.

CORONAVIRUS IN UK

L’immunità di gregge annunciata dal premier inglese è un concetto scientifico antico (l’immunità di comunità è un meccanismo che si instaura all’interno di una comunità per cui se la grande maggioranza degli individui è vaccinata, limita la circolazione di un agente infettivo, andando in questo modo a proteggere anche coloro che non possono sottoporsi a vaccinazione, magari per particolari problemi di salute. È un meccanismo fondamentale per ridurre la circolazione e la trasmissione di malattie infettive contagiose) utilizzato per piegare la salute pubblica alla necessità di non intaccare gli interessi economici delle aziende, ed è eticamente inaccettabile. Con tutto che, dati alla mano, è ben lungi dal dimostrarsi efficace.

CORONAVIRUS IN USA

Ma a far ancora più pensare è quanto sta accadendo negli USA: al netto delle dichiarazioni di Donald Trump, sempre molto “ruvido”, sono oltre 10 gli stati che “scelgono” a tavolino chi salvare.

Il diritto di accesso ad un respiratore in Minnesota sarà precluso ad affetti di cirrosi epatica, malattie polmonari e scompensi cardiaci, in Tennessee le persone affette da atrofia muscolare spinale verranno escluse dalla terapia intensiva.

Negli stati di Washington, New York, Alabama, Tennessee, Utah, Minnesota, Colorado, Oregon i medici devono valutare l’abilità fisica ed intellettiva generale, prima di dare il placet ad un intervento in caso di positività al coronavirus.

Una decina di Stati hanno già reso noti nei propri elenchi di criteri per l’accesso alle cure limiti in materia di condizioni intellettive.

Il tutto per l’insufficienza generale di posti letto in reparti di terapia intensiva. Senza scomodare il ricordo del dottor Mengele, è però il caso di parlare di una forma di eugenetica?

Bé, se consideriamo che i criteri di esclusione colpiscono in pieno qualsiasi forma di disabilità, non pare particolarmente fuori luogo.

COVID-19 E DISABILITÀ

Quando il covid-19 passerà, saremo chiamati a riflettere su quale tipo di società desideriamo diventare non nei momenti tranquilli, ma nei “tempi di guerra”, ovvero quali diritti sono da considerare davvero inalienabili, per l’Uomo. Disabili su tutti.

Cipro, l’aggressiva escalation militare della Turchia e l’irrilevanza politica della UE

DISTRATTI DAL CORONAVIRUS L'AVANZATA DEI MUSULMANI E' INARRESTABILE PER TERRA E PER MARE. ATTONITA E IRRILEVANTE L'UNIONE EUROPEA. LE MINACCE IN ATTO: COMUNISMO SOVIETICO E ISLAMISMO FONDAMENTALISTA, DUE FACCE DI UNA STESSA MEDAGLIA APPARENTEMENTE IN LOTTA FRA LORO. IN MEZZO L'EUROPA CRISTIANA CHE ARRANCA A CAUSA DI UNA CHIESA E DI UNA FEDE INDEBOLITE....
 


Mai come in questi giorni assume rilevanza politica internazionale la recente ricorrenza della memorabile battaglia di Lepanto, in cui il 7 ottobre 1571 la lungimirante alleanza strategica degli Stati europei permise la definitiva sconfitta dell’ambizioso piano politico militare ottomano di assoggettare il Continente europeo al proprio dominio. Fu una battaglia ed una vittoria prima ancora culturale che militare: le potenze europee, oramai travolte dal vortice rivoluzionario storico del Rinascimento post-medioevale, stavano sperimentando la pericolosissima frammentazione politica della nascita degli Stati nazionali, che tra Riforma luterana e Guerra religiosa dei Trent’anni avrebbe portato l’Europa ad una condizione di conflitto permanente che ha sfregiato il Continente nella storia moderna. Solo la strategica visione di Papa S.Pio V degli assetti conflittuali tra Occidente ed Oriente, dell’inconciliabilità tra fede cristiana ed Islam, tra visione della Respublica Christiana della distinzione tra autorità temporale e spirituale ed il totalitarismo panislamico ottomano permise ad una riottosa Europa di trionfare contro la bellicosa dottrina del Jihad islamico.

Purtroppo la Storia si ripete, e la Turchia, oramai da un decennio sotto il tallone della muscolare quanto pericolosa ideologia panturanica e panislamica del Presidente Recep Erdogan si presenta sempre più spesso come un pericoloso competitor, addirittura un enemy, un nemico dell’Unione europea. Il paradosso politico istituzionale della Turchia contemporanea sta tutto qui: in virtù di una serie di decennali strategici trattati ed accordi di diritto internazionale la Turchia dal secondo dopoguerra è stata una pedina fondamentale dell’Alleanza atlantica, la NATO, e dell’Occidente intero nel contrastare la minaccia dell’ideologia marxista incarnata nel regime sovietico e nel Patto di Varsavia. Forte di una tradizione culturale nazionalista e militarista secolare, che giustifica il feroce anticomunismo del popolo turco, forte della sua posizione a cerniera di Occidente ed Oriente, lo Stato laico turco di Kemal Ataturk, liberatosi del fardello ideologico dell’Islam, è stato per decenni un fedelissimo partner dell’Europa, degli USA, della NATO nel garantire la stabilità delle relazioni internazionali nell’asse del Mediterraneo allargato al Mar Nero ed al Medio Oriente. Tutto ciò non esiste più: in un paio di decenni la Turchia ha subito una radicale involuzione in chiave politico culturale, che l’ha condotta ad essere ora un problema, anzi “il problema” delle Cancellerie europee, USA, nel Mediterraneo. Ma la Turchia è al tempo stesso ancora un membro della NATO, con un esercito potentissimo. Con il crollo dell’Unione Sovietica ed il termine della Guerra Fredda, con la rinascita del mito politico militare islamico del Jihad nel Medio Oriente, la Turchia è divenuta sempre più una potenza regionale impazzita nelle relazioni con l’Occidente, come ha affermato un diplomatico al recente Consiglio degli Affari Esteri della UE. Nel recente vertice del Med7 di Ajaccio, che riunisce i Paesi europei e maghrebini del Mediterraneo, il Presidente francese Macron ha dichiarato espressamente che «la Turchia fa un gioco pericoloso» violando tutti gli impegni assunti alla conferenza di Berlino sulla sicurezza del Mediterraneo. Tre sono le partite geostrategiche che stanno facendo salire la tensione a livello di guardia nei trattati e accordi di diritto internazionale tra UE e Turchia nello scacchiere del Mediterraneo.

La prima e più drammatica è stata l’invio unilaterale, non concordato con UE e NATO di un contin­gente militare turco in assetto di combattimento (quindi non una semplice missione di peacekeeping) in Libia a sostegno del Premier Al-Sarraj in risposta all’offensiva del rivale generale Haf­tar, l’uomo forte della Cire­naica. Una prova di forza che ha permesso ad Ankara di stabilire una presenza strategica nella regione della Tripolitania, ricchissima di risorse energetiche, estromettendo di fatto le aziende petrolifere italiane e francesi: cosa che ha suscitato l’ira del Presidente francese Macron, mentre l’inetto governo italiano, privo da sempre di una muscolare responsabile visione strategica della tutela dei diritti e della sicurezza internazionale ha semplicemente preso atto dell’estromissione dell’Italia dallo scacchiere libico.

Il secondo scenario su cui la minacciosa politica estera del Presidente Erdogan fa leva per garantirsi una forma di ricatto nei confronti dell’Europa, è la presenza sul proprio territorio di centinaia di migliaia di profughi, migranti, terroristi jihadisti scappati in Turchia a causa della guerra civile siriana e del crollo dell’ISIS. Con brutale cinismo ma efficace realpolitik Erdogan negli ultimi mesi ha “consentito” a molti di essi di lasciare la Turchia per approdare nelle isole greche limitrofe alla costa turca, in Bulgaria, nei Balcani, infine nei Paesi UE. Una situazione degenerata in una spada di Damocle sulla testa dell’Europa, che con il Patto sull’immigrazione del 2016 è costretta ad elargizioni miliardarie alla Turchia per evitare che il mare di profughi invada i Paesi della UE. Ma la recentissima questione di Cipro è certamente la più grave crisi diplomatica che rischia di scoperchiare il Vaso di Pandora nelle relazioni internazionali tra NATO, UE e Turchia. La situazione politica internazionale di Cipro è critica da decenni a causa dell’ultimo Muro che divide i greci ciprioti e i turchi ciprioti. Nel 1975 i turchi occuparono militarmente il nord dell’isola e la divisero creando uno Stato fantoccio, la cosidetta Repubblica turca di Cipro del Nord, che a livello di diritto internazionale non è mai stata riconosciuta, se non dalla Turchia. La recente scoperta di importantissimi giacimenti d’idrocarburi al largo delle coste di Cipro, ha fatto salire la tensione nelle acque del Mediterraneo Orientale. La Turchia ha avviato le esplorazioni del tratto di mare grazie all’autorizzazione del governo fantoccio non riconosciuto di Cipro del Nord, mentre in realtà la Repubblica di Cipro, membro della UE, considera quel tratto come propria zona economica esclusiva. Anche la Grecia sostiene che nelle sue esplorazioni la Turchia violi spesso le sue acque, e a fine estate vi sono stati incidenti militari fra la Marina turca e quella greca, due forze armate che in realtà sono alleate all’interno del trattato NATO. Una situazione estremamente tesa a livello di sicurezza NATO e UE, che ha spinto le Marine di Francia, Grecia, Italia e Cipro ad organizzare un’esercitazione congiunta al fine di spingere la Marina militare turca a limitare la sua presenza entro le sei miglia nautiche di competenza dalle proprie coste, come previsto dai trattati internazio­nali. Ora lo spinoso confronto politico con la Turchia è approdato da fine settembre alle riunioni del Consiglio Europeo dei capi di Stato e di governo, la massima autorità UE: nei giorni della settimana scorsa i diplomatici ciprioti hanno assunto una coraggiosa posizione in sede di Consiglio, affermando che non approveranno le sanzioni proposte dalla UE nei confronti del regime veteromarxista del Presidente-dittatore Lukashenko in Bielorussia, a meno che l’Unione non approvi medesime sanzioni anche contro la Turchia per la sua politica espansionista aggressiva nel Mediterraneo. La posizione diplomatica del governo di Cipro è molto coraggiosa, perché mette il dito nella piaga della debolezza della politica estera della UE, incapace di assumere decisioni drastiche di fronte alle palesi ripetute violazioni di trattati di diritti internazionale e minacce alla sicurezza del Mediterraneo causate dalla rinnovata dottrina panturanica e panislamista dell’aggressivo governo turco, che è in aperta rotta di collisione con l’identità culturale e istituzionale della UE. «L’Unione Europa rischia l’irrilevanza: c’è in ballo la nostra credibilità, ha riconosciuto una fonte diplomatica tedesca a Reuters. Gli analisti di politica estera, i consiglieri giuridici delle Cancellerie europee, lo stesso vertice politico della NATO prendono atto e riconoscono mestamente che l’affaire Turchia evidenzi la scarsa efficacia, anzi l’irrilevanza dell’approccio in politica estera dell’Unione Europea: le misure diplomatiche di sanzione assunte arrivano spesso in ritardo e sono spesso il frutto di compromessi al ribasso a favore dell’aggressività turca contro l’Europa.

L’ideologia del Milli Gõruş, ovvero il complesso dottrinario politico che unifica la prospettiva nazionalista del primato turco con i dogmi della civiltà islamica basata sulla giustizia, contro la civiltà occidentale, materialista e immorale, è alla base da sempre dell’azione politica del leader neo-ottomano Erdogan. E’ evidente che l’Europa sia il primo obiettivo di questo nuovo totalitarismo di matrice religiosa-politica: imbattersi in un nemico che nessuno Stato alleato europeo ha ad oggi la volontà di fronteggiare a salvaguardia del Continente richiama fatalmente gli enormi rischi politico-istituzionali che solo la extrema ratio della battaglia di Lepanto risolse.

L’ideologia della fratellanza in Bergoglio

LA FRATELLANZA SECONDO IL "COMPAGNO" BERGOGLIO.... 


“Fratelli tutti” è il manifesto ideologico del bergoglismo. Non c’è più teologia ma ideologia, seppur impregnata di moralismo. Ci sono i suoi temi e i suoi teoremi, e riguardano la cittadinanza universale, il popolo dei migranti e il dovere di accoglierli, il mondo senza muri e senza confini, l’ambiente da salvare. E ci sono i suoi nemici: il nazionalismo, il populismo e il liberismo. Il contagio è attribuito al degrado ambientale e al dissesto ecologico, che è certamente un male da denunciare e da curare, ma col covid c’entra davvero poco. L’accusa di Francesco, in linea con la sua santa Chiara, Greta Thunberg, sottende un solo, grande colpevole: l’egoismo capitalistico e invece mai come in questo caso le responsabilità sono nelle mostruosità alimentari, negli incroci di mercato o di laboratorio, nella spregiudicatezza e nelle omertà di un paese sotto un regime comunista, la Cina. La parola comunismo è dimenticata da Bergoglio, anche se alcune sue eredità appaiono in lui, a cominciare dall’attacco alla proprietà privata. Ed è rimosso il pericolo cinese, una minaccia per la civiltà cristiana e per il mondo, ben più imponente e invasiva dei “nazionalismi” e dei “populismi”.

Ma partiamo dal cuore dell’Enciclica, il tema della fratellanza. Bergoglio si ripara sotto la tonaca di San Francesco, parla in suo nome e battezza la sua enciclica ad Assisi; ma la fratellanza a cui allude Papa Francesco è il terzo principio della Rivoluzione Francese, dopo libertè ed egalitè. È una tesi che sostengo da tempo e che ho ritrovato ieri anche in Massimo Cacciari in un’intervista su la Repubblica. Il Papa si richiama all’illuminismo nella versione rivoluzionaria e usa più volte la triade libertà, uguaglianza e fratellanza, ossia – parola di Cacciari – “il fulcro di quel pensiero laico storicamente opposto alla Chiesa”. L’ideologia di Bergoglio cerca un posto alla Chiesa postcristiana nella modernità laica in nome della fratellanza, col sottinteso che altri movimenti civili, politici e sindacali si siano occupati della libertà e dunque dei diritti civili, e dell’uguaglianza e dunque dei diritti sociali, ma sia rimasto invece trascurato il terzo principio, la fratellanza. E lui la riprende, inserendo la chiesa dentro il mondo moderno, ateo e laicista, disceso dalla Rivoluzione francese e cercando ispirazione anche da altre religioni come l’Islam (la fratellanza islamica ne è una conseguenza politica). Scrive: “mi sono sentito stimolato in modo speciale dal Grande Imam Ahmin Al Tayyeb”. Ma questa consonanza con l’imam sgomenta meno di tutto il resto.

Perché la sua fratellanza ha poco a che vedere con la fraternità francescana? Perché Francesco d’Assisi, mistico e innamorato di Dio, ama nell’uomo e nel creato il riflesso divino, la sua è una fratellanza nel Padre. Bergoglio invece, compie un percorso inverso, partito da Cristo arriva alla religione dell’umanità. Bergoglio rimuove la figura del Padre, converte interamente alla storia e all’umanità la figura del Figlio e vota la Chiesa alla fratellanza universale che il suo esegeta o il suo megafono di Civiltà Cattolica, il gesuita Padre Antonio Spadaro, traduce legittimamente in cittadinanza globale, senza confini. L’esperienza della vita ma anche della storia dimostra che ogni fratellanza priva di un Padre degenera in fratricidio o scema nella retorica: è stato il destino del giacobinismo come del comunismo, e di ogni altra frateria (un discorso a parte la massoneria, di cui il bergoglismo a volte pare la versione pop). È il Padre a garantire l’unità dei fratelli prima che il reciproco riconoscimento, è la Madre a soccorrerli prima che intervenga il diritto di cittadinanza; e dal Padre al figlio scorre il filo d’oro della Tradizione. Che Bergoglio spezza, omette, lascia nel dimenticatoio, ritenendo che il Cristianesimo possa ridursi a tre tappe essenziali: l’avvento di Cristo e dunque il cristianesimo delle origini, Francesco e la sua missione di fraternità, il Concilio Vaticano II e il cedimento al proprio tempo. E in mezzo millenni di oscurantismo, superstizione, sopraffazione o epoche che è meglio tenere nel buio, dimenticare, coi loro santi, papi, martiri e riti, simboli, liturgie.

Per lui “la legge suprema è l’amore fraterno”, per S. Francesco invece, l’amore supremo è Dio. La Fratellanza, separata da Dio, è la fraternité, è lo spirito comunardo. Ideologia umanitaria, laica, rivoluzionaria.

Bergoglio situa poi l’ideologia della sua Chiesa come terza via, nel mezzo tra due finti opposti: liberismo e populismo. Lo rimarca un altro suo esegeta e megafono, Andrea Riccardi, patron della Comunità di Sant’Egidio (“la terza via del papa tra liberismo e populismo”, Corsera). In realtà il sottinteso dell’ideologia bergogliana è l’esatto contrario: liberismo e populismo, capitalismo e nazionalismo non sono opposti ma per lui sono affini; anzi sono la stessa cosa. Da Trump in giù. E a questo proposito la scelta filocinese della Chiesa di Bergoglio conferma il pensiero di Del Noce sui catto-progressisti. Meglio la Cina atea e comunista che l’America cristiana e conservatrice. La Chiesa di Giovanni Paolo II, e di molti suoi predecessori, predicava davvero la terza via ma gli opposti da avversare erano il capitalismo individualistico e il comunismo liberticida ambedue nemici di Dio. E le nazioni, l’amor patrio, rientravano per quel papa a pieno titolo nel legame paterno e materno con la terra dei padri e la madrepatria.

Poi la sua attenzione privilegiata ai migranti, trascurando i restanti che sono miliardi e spesso sono più bisognosi e più poveri di chi ha le risorse per partire e non vogliono lasciare la loro terra, i loro cari, i loro vecchi.

Boutade. Con la scusa del contagio nella Chiesa di Bergoglio si scambieranno il segno della pace col pugno chiuso…

Il PCI compie cento anni ed è al potere in Italia (sotto altro nome). Ecco com’è stato possibile…

IL PRETESTO DEL RISPETTO DELLA SALUTE DEGLI ALTRI PER IMPORRE IL BAVAGLIO (MASCHERINA) E' UN REFRAIN DEL COMUNISMO SOVIETICO, E LA POLITICA ITALIANA C'E' DENTRO FINO AL COLLO. MA PER GETTARE FUMO NEGLI OCCHI CONTINUANO A SPARLARE SOLO DI FASCISMO....





Cent’anni fa, fra l’estate 1920 e il gennaio 1921, nasceva il Partito Comunista Italiano. Non è storia passata. Perché proprio dopo il crollo del Muro di Berlino (1989) e il cambio del nome del partito (1991), la sua classe dirigente è arrivata al potere in Italia e ci resta da anni sebbene minoranza nel Paese e sconfitta alle elezioni.

Al centenario del Pci hanno dedicato un libro Mario Pendinelli e Marcello Sorgi, “Quando c’erano i comunisti” (Marsilio). Stenio Solinas, sul “Giornale”, si è chiesto “come è possibile che, tranne qualche frangia lunatica e qualche intellettuale freak, nessun politico oggi ex o post comunista parli più del come e del perché lo fu convintamente fino a ieri, uno ieri che arriva sino al 1989”.

E’ stato il più grosso Pc d’occidente, ma sembra che in Italia nessuno sia stato comunista. Non è stata fatta nessuna seria revisione autocritica. Quella classe dirigente non si è ritirata e non ha mai riconosciuto il marxismo-leninismo come un’ideologia malefica, né ha ammesso la vergogna di aver appoggiato totalitarismi orribili. Nessuno ha chiesto scusa.

A tutto quel popolo semplice che li aveva seguiti, che si era abbeverato all’Unità, ai milioni di compagni che avevano davvero creduto nei “paradisi” comunisti, nessuno ha dato spiegazioni serie. Nessuno ha detto loro: noi sapevamo, ma non vi abbiamo detto la verità. Nessuno ha riconosciuto, davanti a milioni di lavoratori, che era tutto una menzogna, che il comunismo è stato dovunque un orrore. Nessuno ha chiesto scusa alla propria gente a cui, un tempo, avevano fatto inneggiare perfino a Stalin. Nessuno ha riconosciuto che avevano ragione “gli altri”, gli anticomunisti. Perché?

Di fatto la classe dirigente del Pci si è velocemente autoassolta, ha accantonato la bandiera comunista e l’ideologia marxista, ma non l’arroganza ideologica, la pretesa superiorità morale e la propensione alla demonizzazione degli avversari.

Con il 1989 i comunisti cambiarono nome e in breve passarono dall’allineamento a Mosca all’allineamento a Bruxelles/Berlino e ai Dem americani (Clinton, Obama eccetera). Dal mito del Socialismo a quello del Mercato. Come se fosse ovvio e naturale.

Così – anche per far dimenticare il passato comunista – sono diventati i più affidabili per Bruxelles e Berlino e anche per la Casa Bianca dei Dem. Dunque i (post) comunisti in Italia sono arrivati ai vertici del governo – già con D’Alema nel 1998 – e pure ai vertici dello Stato con Napolitano nel 2006. Ma i conti con la storia non si sono fatti nemmeno dopo il 2000.

Carlo Ripa di Meana (il coraggioso promotore della craxiana Biennale del dissenso del 1977) alla morte di Aleksandr Solzenicyn, nel 2008, su “Critica sociale”, firmò un articolo intitolato “Solzenicyn e il silenzio del Quirinale”, dove scriveva:

“Avevo sommessamente suggerito, qualche mese fa, al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che nel 1974, allora responsabile della cultura del PCI, su Rinascita prima e poi sull’Unità, aveva rumorosamente applaudito all’esilio comminato a Solzenicyn che, va ricordato, aveva già passato otto anni nel Gulag nell’immediato dopoguerra, che in una prossima occasione, o in forma privata o nel corso di una visita di Stato, chiedesse un incontro a Solzenicyn, ormai molto in là con gli anni e malato, per chiudere una pagina nera. Così non è stato. In questi ultimi giorni, mentre in tutto il mondo si sono ascoltate voci di statisti, di rimpianto e di riconoscenza per la grandezza di quest’uomo e della sua vita, da Roma–Quirinale è venuto un silenzio arido, privo di umanità. Fausto Carioti di Libero lo ha giustamente segnalato il 5 agosto sul suo giornale”.

Del resto nell’“autobiografia politica” di Napolitano, intitolata “Dal Pci al socialismo europeo”, uscita nel 2005, non veniva neanche menzionato quel Solzenicyn che Raymond Aron aveva giudicato “l’homme du siècle”.

E gli altri? Da parte sua Nicola Zingaretti ha iniziato la sua segreteria nel Pd con il libro “Piazza grande” dove sostiene che l’esistenza dell’Urss “aveva costituito un oggettivo deterrente a costruire un mondo unidimensionale e senza difese rispetto alle forme più estreme di sfruttamento”.

E “probabilmente nel dopoguerra, non ci fosse stata l’Unione Sovietica (…) non sarebbero state possibili le lotte dei partiti di sinistra e democratici né il compromesso sociale che oggi in Europa è un esempio per tutto il mondo civilizzato”.

Espressioni che fecero insorgere pure Claudio Petruccioli: “Zingaretti riporta l’orologio al 1945”.

D’altra parte D’Alema, nel libro uscito quest’anno, “Grande è la confusione sotto il cielo”, elogia il sistema cinese (e asiatico in generale) che “ha saputo fronteggiare questa prova (il Covid) in modo più efficace rispetto a noi”. In quanto “ha fatto la differenza un grado minore di individualismo, una maggior coesione sociale e l’esistenza di reti comunitarie”. E in una recente conferenza ha messo in guardia dal “partito anti-cinese” che “è all’opera anche in Europa, in un clima di nuova guerra fredda”.

I partiti di Zingaretti e D’Alema sono oggi al governo in Italia e non sembra davvero che il Pci sia morto.

Il coronavirus e il Nuovo dis-Ordine Mondiale



L’era del coronavirus vede una nuova fase della lotta cosmica tra le forze celesti e quelle infernali. Nella storia infatti, accanto alla mano di Dio, occorre vedere anche quella del demonio, che sempre si oppone ai piani divini per tentare di realizzare i suoi deformi progetti. Il Regno di Dio è quello dell’ordine, della pace, dell’armonia; quello del demonio è il regno del caos, del conflitto, della perenne rivoluzione. Dio permette, per la sua maggior gloria, che i due regni, il primo sempre vincente, il secondo sempre sconfitto, combattano fino alla fine dei tempi.

Oggi i seguaci del demonio sono gli scienziati che nei loro laboratori cercano di farsi padroni della vita e della morte dell’umanità e gli ingegneri sociali che attraverso tecniche sofisticate manipolano gli umori dell’opinione pubblica. Dopo il fallimento delle grandi illusioni che avevano aperto il secolo ventesimo, le forze rivoluzionarie alimentano uno scenario di profondo caos sociale e mentale. A sei mesi di distanza dalla sua esplosione, la conseguenza più grave che il coronavirus ha finora avuto non è stata né di ordine sanitario, né di ordine economico, ma di ordine psicologico. Nessuno sa che cosa pensare e spesso pensieri opposti si succedono come nei casi di dissonanza cognitiva. In un penetrante articolo su un quotidiano romano, il sociologo Luca Ricolfi scrive che il terreno su cui oggi stanno avvenendo i cambiamenti più radicali è quello del modo di funzionare della nostra mente. Il cambiamento più evidente e l’incertezza, che non è solo la difficoltà di progettare il futuro, ma è «uno stato generalizzato di anarchia mentale». Il regime di anarchia mentale innescato dal Covid, scrive Ricolfi, è pericoloso per la coesione sociale perché la vita sociale si regge su regole comuni e su schemi condivisi di percezione della realtà, «ma è anche pericoloso per l’equilibrio psicologico del singolo, perché un mondo in cui ognuno vede quel che vuol vedere, senza riguardo a quello che vedono gli altri, è altamente ansiogeno conflittuale, destabilizzante» (Come il Covid sta cambiando le nostre vite, in Il Messaggero, 5 settembre 2020)

Il Covid è un virus infido, menzognero, proteiforme, che terrorizza alcuni, paralizzandone le forze e distrugge l’equilibrio di altri, facendo credere loro di essere inesistente. Grazie a queste contraddizioni, il regno di Babele avanza in un’atmosfera di paura e di pessimismo. L’abbandono alla Divina Provvidenza è necessario per resistere, senza perdere la virtù soprannaturale della speranza. E’ privo di speranza chi, vivendo nel terrore di essere contagiato, si sottomette a qualsiasi imposizione dell’autorità civile o ecclesiastica, ma anche chi attribuisce tutto quanto accade a un progetto di distruzione contro cui nulla è possibile fare, se non urlare la propria rabbia.

Chi nell’era del coronavirus vive nella paura, nella rabbia e nella frustrazione, perde la sua battaglia contro il malefico virus. Vince solo chi conserva nel fondo dell’anima la gioia che dà il servizio del Signore. Questa gioia è un dono divino, per chi non chiede questo aiuto, tutto è perduto. Chi confida nell’aiuto della grazia, al contrario, combatte e vince, soprattutto se si affida a Colei che è il canale di tutte le grazie, la Beata Vergine Maria, di cui la Chiesa l’8 settembre ricorda la Natività e il 12 settembre il Santissimo Nome. San Bernardino da Siena oppose alla rivoluzione dei costumi del XV secolo la devozione al nome di Gesù. La devozione al nome di Maria costituisce un’arma preziosa contro la Rivoluzione psico-sociale del XXI secolo. Dopo il nome di Gesù non c’è nome più grande che possa risuonare di quello di Maria, davanti a cui si piega ogni ginocchio nei cieli, sulla terra e nell’inferno (Filippesi 2, 10). Con questo nome sulle labbra e nel cuore, di nulla abbiamo paura.

L’ordine di Dio nel disordine del mondo


San Tommaso: «Anzitutto dobbiamo amare Dio più di ogni altra cosa, poi l’anima nostra, quindi il nostro prossimo, e infine il nostro corpo». Nell’amore evangelico il corpo ha l’ultimo posto. Il Signore stesso, del resto, l’aveva ben spiegato dicendo: «Se la tua mano o il tuo piede ti è occasione di scandalo (cioè di perdizione eterna), taglialo e gettalo via da te; è meglio per te entrare nella vita monco o zoppo, che avere due mani o due piedi ed essere gettato nel fuoco eterno» (Mt 18, 8).

IN TEMPO DI CORONAVIRUS STIAMO CEDENDO IL PRIMO POSTO ALLA PREOCCUPAZIONE PER IL CORPO E ALLA PAURA DELLA MORTE. IN QUESTO MODO ABBIAMO CEDUTO LA SOVRANITA' SULLA NOSTRA VITA A CHI CI STA DEFRAUDANDO DELLE NOSTRE LIBERTA' IN NOME DI UNA PRESUNTA SALVAGUARDIA DELLA SALUTE A SCAPITO DELLE LIBERTA' FONDAMENTALI. MA SENZA LA LIBERTA' VALE ANCORA LA PENA VIVERE? L'OSSIGENO E' SINONIMO DI LIBERTA', TOLTO QUELLO CHE COSA RESTA?....


Deve destare non poca ironia tra i celesti abitatori del cielo l’utopia dell’uomo – creatura decaduta e riscattata, destinata a tornare in polvere nel buio di un sepolcro – che si erge a dio di sé stesso e inizia a sbandierare opportune et inopportune i suoi diritti. Perché il mantra assordante dei cosiddetti “diritti dell’uomo” ammorba la società moderna, ed è penetrato anche nell’insegnamento e nell’agire della Chiesa. Nel tempo di pandemia che viviamo, il principio dei diritti dell’uomo ha iniziato a sgretolarsi, rivelandosi per quello che è: un’insana utopia fondata sulla prometeica illusione di un uomo svincolato dal suo Creatore. Si sono scontrati i diritti dei malati e quelli dei sani; i diritti dello stato e i diritti dei cittadini; i diritti degli insegnanti e i diritti degli studenti e così via dicendo, fino ad arrivare – ed è qui l’apogeo dell’utopia – ai diritti dei sacerdoti che si scontrano con i diritti dei fedeli. Ma nella Chiesa cattolica non può esistere alcun tipo di conflitto, poiché la gerarchia dei valori morali è ben determinata, essendo fondata sul diritto divino, naturale e positivo. Questa gerarchia di valori sembra tristemente dimenticata fin anche da chi dovrebbe non solo conoscerla ma anche legiferare e predicare perché sia rispettata. Conviene allora rivisitarla.

Tutta la morale evangelica si fonda sull’amore di Dio e del prossimo, in un ordine ben stabilito. La causa per cui si ama Dio è Dio stesso, dice san Bernardo. Poi si ama se stessi e il prossimo in vista di Dio. «E perché amiamo noi stessi? – si chiede san Francesco di Sales –. Perché siamo fatti a immagine e somiglianza di Dio. E poiché tutti gli uomini hanno questa dignità, li amiamo come noi stessi, considerandoli vive e sante immagini della divinità». La carità verso il prossimo che ci viene comandata non è dunque nell’ordine naturale ma appartiene essenzialmente a quello soprannaturale. Non è un’allegra fraternità, fosse anche universale, che ci fa amare il prossimo, perché ci diletta o ci fa del bene. Ce lo fa amare perché, come diceva sant’Agostino, o è figlio di Dio o è chiamato a divenirlo. E poiché tutti gli uomini sono tali, dobbiamo amarli tutti. La carità è universale: abbraccia la terra, il cielo e i suoi abitanti, e il purgatorio; si arresta solo alle porte dell’inferno: «solo i dannati – scrive il padre Réginald Garrigou-Lagrange – non possono essere amati di carità», perché non possono più – né vogliono – divenire figli di Dio, e dunque non possono più attirare la nostra compassione. Ecco dunque delinearsi la gerarchia dei valori che un vero figlio di Dio e della Chiesa non può permettersi di ignorare. Il padre Garrigou-Lagrange, attingendo dall’Aquinate, li enumera in successione di importanza: «Anzitutto – scrive – dobbiamo amare Dio più di ogni altra cosa, poi l’anima nostra, quindi il nostro prossimo, e infine il nostro corpo». Nell’amore evangelico il corpo ha l’ultimo posto. Il Signore stesso, del resto, l’aveva ben spiegato dicendo: «Se la tua mano o il tuo piede ti è occasione di scandalo (cioè di perdizione eterna), taglialo e gettalo via da te; è meglio per te entrare nella vita monco o zoppo, che avere due mani o due piedi ed essere gettato nel fuoco eterno» (Mt 18, 8).

Tenendo presente questa gerarchia della carità, vediamo quanto essa sia stata ribaltata dal sentire dell’uomo (e anche del cattolico) moderno. Nella recente pandemia, se n’è avuta una prova incontrovertibile. I diritti di Dio (come la messa domenica o la comunione in mano) sono stati subordinati alla fobia del contagio Covid. L’amore che si deve prima all’anima che al corpo è stata ribaltata con le comode messe in streaming e la rinuncia ai sacramenti per lunghi mesi al fine di evitare il virus. L’amore che dobbiamo alla nostra anima prima che al nostro prossimo è stato soppiantato da un disordinato amore al prossimo che, per evitare di contagiare gli altri, spinge fino ad astenersi dalle pratiche religiose ancora possibili. In tutto questo non vi è nulla di evangelico. Pur dovendo usare la virtù di prudenza, non si può rovesciare l’ordine della carità stabilito da Dio.
L’Aquinate fa consistere la perfezione cristiana appunto nella carità, perché la carità unisce l’anima a Dio, che ne è il suo fine ultimo: senza la carità l’uomo è come un nulla nell’ordine spirituale. Ora – continua l’Angelico –, noi sappiamo che i precetti della carità sono due: l’amore di Dio e l’amor del prossimo, dove il primo si trova ad un livello superiore all’altro in quanto il primo è l’amore di carità proprio dei beati, mentre il secondo è quello che fa sì che rispetto «al prossimo dobbiamo amare e desiderare con amore di carità che anch’esso giunga con noi alla beatitudine». Il fine dell’amore del prossimo è, dunque, la sua eterna beatitudine, non il prolungamento del terreno esilio, destinato a finire inesorabilmente con il tramonto di questa vita. Ciascun cristiano è chiamato ad amare Dio e il prossimo con questo amore soprannaturale, secondo l’ordine stabilito da Dio e non dagli uomini: si tratta di un dovere, perché la carità è un precetto e non un consiglio. 

LITURGIA DEL GIORNO: SANTA TERESA D'AVILA




Santa Teresa d'Avila


Grado della Celebrazione: Memoria
Colore liturgico: Bianco

Antifona d'ingresso
Come il cervo anela ai corsi d’acqua,
così l’anima mia anela a te, o Dio:
l’anima mia ha sete di Dio,
del Dio vivente. (Sal 42,2-3)

Colletta
O Padre, che per mezzo del tuo Spirito
hai suscitato nella Chiesa santa Teresa di Gesù
per indicare una via nuova
nella ricerca della perfezione,
concedi a noi, tuoi fedeli,
di nutrirci spiritualmente della sua dottrina
e di essere infiammati da un vivo desiderio di santità.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...

PRIMA LETTURA (Ef 1,1-10)
In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo.


Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesìni

Paolo, apostolo di Cristo Gesù per volontà di Dio, ai santi che sono a Èfeso credenti in Cristo Gesù: grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo.
Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo,
che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo.
In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo
per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità,
predestinandoci a essere per lui figli adottivi
mediante Gesù Cristo,
secondo il disegno d’amore della sua volontà,
a lode dello splendore della sua grazia,
di cui ci ha gratificati nel Figlio amato.
In lui, mediante il suo sangue,
abbiamo la redenzione, il perdono delle colpe,
secondo la ricchezza della sua grazia.
Egli l’ha riversata in abbondanza su di noi
con ogni sapienza e intelligenza,
facendoci conoscere il mistero della sua volontà,
secondo la benevolenza che in lui si era proposto
per il governo della pienezza dei tempi:
ricondurre al Cristo, unico capo, tutte le cose,
quelle nei cieli e quelle sulla terra.

Parola di Dio

SALMO RESPONSORIALE (Sal 97)
Rit: Il Signore ha rivelato la sua giustizia.

Cantate al Signore un canto nuovo,
perché ha compiuto meraviglie.
Gli ha dato vittoria la sua destra
e il suo braccio santo.

Il Signore ha fatto conoscere la sua salvezza,
agli occhi delle genti ha rivelato la sua giustizia.
Egli si è ricordato del suo amore,
della sua fedeltà alla casa d’Israele.

Tutti i confini della terra hanno veduto
la vittoria del nostro Dio.
Acclami il Signore tutta la terra,
gridate, esultate, cantate inni!

Cantate inni al Signore con la cetra,
con la cetra e al suono di strumenti a corde;
con le trombe e al suono del corno
acclamate davanti al re, il Signore.

Canto al Vangelo (Gv 14,6)
Alleluia, alleluia.
Io sono la via, la verità e la vita, dice il Signore.
Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me.
Alleluia.

VANGELO (Lc 11,47-54)
Sarà chiesto conto del sangue di tutti i profeti: dal sangue di Abele fino al sangue di Zaccarìa.


+ Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, il Signore disse: «Guai a voi, che costruite i sepolcri dei profeti, e i vostri padri li hanno uccisi. Così voi testimoniate e approvate le opere dei vostri padri: essi li uccisero e voi costruite.
Per questo la sapienza di Dio ha detto: “Manderò loro profeti e apostoli ed essi li uccideranno e perseguiteranno”, perché a questa generazione sia chiesto conto del sangue di tutti i profeti, versato fin dall’inizio del mondo: dal sangue di Abele fino al sangue di Zaccarìa, che fu ucciso tra l’altare e il santuario. Sì, io vi dico, ne sarà chiesto conto a questa generazione.
Guai a voi, dottori della Legge, che avete portato via la chiave della conoscenza; voi non siete entrati, e a quelli che volevano entrare voi l’avete impedito».
Quando fu uscito di là, gli scribi e i farisei cominciarono a trattarlo in modo ostile e a farlo parlare su molti argomenti, tendendogli insidie, per sorprenderlo in qualche parola uscita dalla sua stessa bocca.

Parola del Signore

Preghiera dei fedeli
Di fronte alla pesantezza della morte e del peccato, oggi la parola di Dio pone la croce di Cristo, riconciliazione e salvezza per tutti gli uomini. A Dio Padre che manda l'Agnello a togliere il peccato del mondo, rivolgiamo la nostra preghiera:
Liberaci, o Signore, da tutti i mali.

Signore, tu mandi sempre nuovi profeti alla tua Chiesa: aiutala a riconoscere il cammino che tu le indichi e a percorrerlo con fiducia e serenità. Preghiamo:
O Padre, hai fatto della croce di Cristo il cuore del mondo: riunisci in quel legno benedetto la sofferenza e le prove di chi, anche oggi, dà la vita per il tuo nome. Preghiamo:
O Dio, sei sempre stato accanto al cammino e alla ricerca dell'uomo: rafforza l'impegno di chi si prodiga nel combattere i mali del nostro tempo. Preghiamo:
O Signore, il nostro orgoglio spesso ci impedisce di vedere il male dentro di noi: purifica il nostro cuore perché confessiamo il nostro peccato e ci riconciliamo con te. Preghiamo:
Signore, il tuo volto è misericordioso e pieno di amore: lava le mani dei violenti e dona loro un cuore di carne. Preghiamo:
Per chi, nella nostra comunità, esercita il ministro della parola.
Perché gli organi di partecipazione della nostra comunità ricerchino il contributo di tutti.

O Dio, che ci hai benedetti in Cristo e in lui ci hai scelti per essere santi nella carità, aiutaci a riconoscere questa elezione, per esservi coerenti con la nostra vita. Per Cristo nostro Signore. Amen.

Preghiera sulle offerte
Sia gradita, Signore, alla tua maestà
l’offerta del popolo cristiano,
come ti piacque la consacrazione verginale
di santa Teresa.
Per Cristo nostro Signore.




Antifona di comunione
Canterò in eterno le grazie del Signore;
di generazione in generazione
annunzierò la tua fedeltà. (Sal 89,2)


Preghiera dopo la comunione
Signore Dio nostro,
che ci hai nutriti con il corpo e sangue del tuo Figlio,
fa’ che sull’esempio di santa Teresa
questa famiglia a te consacrata
canti in eterno il tuo amore misericordioso.
Per Cristo nostro Signore.



Commento
Santa Teresa è stata riconosciuta dottore della Chiesa perché nei suoi scritti ha saputo esprimere i segreti della vita spirituale e spiegarli agli altri, parlando veramente dall'abbondanza del cuore. E un piacere leggere i suoi scritti, per la spontaneità dello stile che li fa assomigliare non a dei trattati di teologia, ma ad una viva conversazione con una donna colma di Dio e che appunto racconta come ha incontrato Dio su tutte le sue strade, come ha lavorato con Dio per fondare ovunque carmeli che fossero centri di intensa vita spirituale.
Il passo della lettera ai Romani evoca la fecondità interiore della santa e capiamo che tutta la sua dottrina veniva proprio da un cuore formato dallo Spirito Santo. Ella stessa parla della forza delle sue aspirazioni spirituali, della loro profondità; si tratta veramente di gemiti, come dice san Paolo: "Lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, intercede per noi con gemiti inesprimibili". "Salvàti nella speranza", noi gemiamo verso Dio.
Questa vita "spirituale" nel senso più forte del termine, unisce santa Teresa alle tre Persone divine, e lo si comprende meglio leggendo i versetti successivi a quelli riportati, che già parlano dello Spirito di Dio che prega in noi con gemiti inesprimibili. La nostra preghiera è in noi stessi l'attività di Dio, del suo Spirito, se è preghiera autentica, se è preghiera cristiana. Non sono parole di sapienza umana, non sono un'invenzione umana: è l'attività dello Spirito in noi, che cerca di penetrare il nostro essere, di trasformarlo per slanciarci in Dio, per approfondire in noi il desiderio di Dio, per dare uno slancio fortissimo verso il Padre. Questo grido dello Spirito in noi è espresso nel salmo di ingresso: "L'anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente", anela a Dio, perché già abbiamo gustato la vita di Dio, perché siamo abitati da Dio. "E Dio che scruta i cuori sa quali sono i desideri dello Spirito": c'è una corrispondenza tra ciò che Dio vuole per noi e ciò che in noi lo Spirito realizza secondo la volontà di Dio.
Ora tutto questo continua la lettera di Paolo – è affinché diventiamo simili al Figlio, perché "quelli che egli da sempre ha conosciuto li ha anche predestinati ad essere conformi all'immagine del Figlio suo".
Lo Spirito ci è dato per mezzo del Figlio. È per la parola del Figlio che possiamo ricevere in noi lo Spirito; è per il sacrificio del Figlio che otteniamo in noi la vita di Dio, che è vita dello Spirito: l'acqua viva, simbolo dello Spirito Santo, è ormai unita al sangue uscito dal fianco di Cristo; è dunque attraverso Cristo che riceviamo lo Spirito che ci slancia verso il Padre, trasformandoci a immagine del Figlio.
E il nostro cuore diventa un cuore buono perché in esso vive la Trinità. Dice un passo del Vangelo che l'uomo buono estrae cose buone dal suo cuore. Noi non possiamo pretendere che il nostro cuore sia buono: è lo Spirito che venendo vi porta la vita di Dio e lo trasforma, in modo che possiamo estrarre dal suo tesoro cose buone per coloro che avviciniamo. E ciò che ha fatto Teresa d'Avila. Ha spalancato il suo cuore a tutta la forza della vita divina che veniva a lei da Cristo e dallo Spirito e che la lanciava verso Dio e da questo cuore colmo di Dio ha estratto tesori di vita spirituale per tutti quelli che le erano affidati e per le generazioni successive.
Domandiamo al Signore la stessa fiducia di santa Teresa e di aprire il nostro cuore all'azione dello Spirito Santo che ci viene da Gesù e ci conduce al Padre.