giovedì 15 ottobre 2020

L’ordine di Dio nel disordine del mondo


San Tommaso: «Anzitutto dobbiamo amare Dio più di ogni altra cosa, poi l’anima nostra, quindi il nostro prossimo, e infine il nostro corpo». Nell’amore evangelico il corpo ha l’ultimo posto. Il Signore stesso, del resto, l’aveva ben spiegato dicendo: «Se la tua mano o il tuo piede ti è occasione di scandalo (cioè di perdizione eterna), taglialo e gettalo via da te; è meglio per te entrare nella vita monco o zoppo, che avere due mani o due piedi ed essere gettato nel fuoco eterno» (Mt 18, 8).

IN TEMPO DI CORONAVIRUS STIAMO CEDENDO IL PRIMO POSTO ALLA PREOCCUPAZIONE PER IL CORPO E ALLA PAURA DELLA MORTE. IN QUESTO MODO ABBIAMO CEDUTO LA SOVRANITA' SULLA NOSTRA VITA A CHI CI STA DEFRAUDANDO DELLE NOSTRE LIBERTA' IN NOME DI UNA PRESUNTA SALVAGUARDIA DELLA SALUTE A SCAPITO DELLE LIBERTA' FONDAMENTALI. MA SENZA LA LIBERTA' VALE ANCORA LA PENA VIVERE? L'OSSIGENO E' SINONIMO DI LIBERTA', TOLTO QUELLO CHE COSA RESTA?....


Deve destare non poca ironia tra i celesti abitatori del cielo l’utopia dell’uomo – creatura decaduta e riscattata, destinata a tornare in polvere nel buio di un sepolcro – che si erge a dio di sé stesso e inizia a sbandierare opportune et inopportune i suoi diritti. Perché il mantra assordante dei cosiddetti “diritti dell’uomo” ammorba la società moderna, ed è penetrato anche nell’insegnamento e nell’agire della Chiesa. Nel tempo di pandemia che viviamo, il principio dei diritti dell’uomo ha iniziato a sgretolarsi, rivelandosi per quello che è: un’insana utopia fondata sulla prometeica illusione di un uomo svincolato dal suo Creatore. Si sono scontrati i diritti dei malati e quelli dei sani; i diritti dello stato e i diritti dei cittadini; i diritti degli insegnanti e i diritti degli studenti e così via dicendo, fino ad arrivare – ed è qui l’apogeo dell’utopia – ai diritti dei sacerdoti che si scontrano con i diritti dei fedeli. Ma nella Chiesa cattolica non può esistere alcun tipo di conflitto, poiché la gerarchia dei valori morali è ben determinata, essendo fondata sul diritto divino, naturale e positivo. Questa gerarchia di valori sembra tristemente dimenticata fin anche da chi dovrebbe non solo conoscerla ma anche legiferare e predicare perché sia rispettata. Conviene allora rivisitarla.

Tutta la morale evangelica si fonda sull’amore di Dio e del prossimo, in un ordine ben stabilito. La causa per cui si ama Dio è Dio stesso, dice san Bernardo. Poi si ama se stessi e il prossimo in vista di Dio. «E perché amiamo noi stessi? – si chiede san Francesco di Sales –. Perché siamo fatti a immagine e somiglianza di Dio. E poiché tutti gli uomini hanno questa dignità, li amiamo come noi stessi, considerandoli vive e sante immagini della divinità». La carità verso il prossimo che ci viene comandata non è dunque nell’ordine naturale ma appartiene essenzialmente a quello soprannaturale. Non è un’allegra fraternità, fosse anche universale, che ci fa amare il prossimo, perché ci diletta o ci fa del bene. Ce lo fa amare perché, come diceva sant’Agostino, o è figlio di Dio o è chiamato a divenirlo. E poiché tutti gli uomini sono tali, dobbiamo amarli tutti. La carità è universale: abbraccia la terra, il cielo e i suoi abitanti, e il purgatorio; si arresta solo alle porte dell’inferno: «solo i dannati – scrive il padre Réginald Garrigou-Lagrange – non possono essere amati di carità», perché non possono più – né vogliono – divenire figli di Dio, e dunque non possono più attirare la nostra compassione. Ecco dunque delinearsi la gerarchia dei valori che un vero figlio di Dio e della Chiesa non può permettersi di ignorare. Il padre Garrigou-Lagrange, attingendo dall’Aquinate, li enumera in successione di importanza: «Anzitutto – scrive – dobbiamo amare Dio più di ogni altra cosa, poi l’anima nostra, quindi il nostro prossimo, e infine il nostro corpo». Nell’amore evangelico il corpo ha l’ultimo posto. Il Signore stesso, del resto, l’aveva ben spiegato dicendo: «Se la tua mano o il tuo piede ti è occasione di scandalo (cioè di perdizione eterna), taglialo e gettalo via da te; è meglio per te entrare nella vita monco o zoppo, che avere due mani o due piedi ed essere gettato nel fuoco eterno» (Mt 18, 8).

Tenendo presente questa gerarchia della carità, vediamo quanto essa sia stata ribaltata dal sentire dell’uomo (e anche del cattolico) moderno. Nella recente pandemia, se n’è avuta una prova incontrovertibile. I diritti di Dio (come la messa domenica o la comunione in mano) sono stati subordinati alla fobia del contagio Covid. L’amore che si deve prima all’anima che al corpo è stata ribaltata con le comode messe in streaming e la rinuncia ai sacramenti per lunghi mesi al fine di evitare il virus. L’amore che dobbiamo alla nostra anima prima che al nostro prossimo è stato soppiantato da un disordinato amore al prossimo che, per evitare di contagiare gli altri, spinge fino ad astenersi dalle pratiche religiose ancora possibili. In tutto questo non vi è nulla di evangelico. Pur dovendo usare la virtù di prudenza, non si può rovesciare l’ordine della carità stabilito da Dio.
L’Aquinate fa consistere la perfezione cristiana appunto nella carità, perché la carità unisce l’anima a Dio, che ne è il suo fine ultimo: senza la carità l’uomo è come un nulla nell’ordine spirituale. Ora – continua l’Angelico –, noi sappiamo che i precetti della carità sono due: l’amore di Dio e l’amor del prossimo, dove il primo si trova ad un livello superiore all’altro in quanto il primo è l’amore di carità proprio dei beati, mentre il secondo è quello che fa sì che rispetto «al prossimo dobbiamo amare e desiderare con amore di carità che anch’esso giunga con noi alla beatitudine». Il fine dell’amore del prossimo è, dunque, la sua eterna beatitudine, non il prolungamento del terreno esilio, destinato a finire inesorabilmente con il tramonto di questa vita. Ciascun cristiano è chiamato ad amare Dio e il prossimo con questo amore soprannaturale, secondo l’ordine stabilito da Dio e non dagli uomini: si tratta di un dovere, perché la carità è un precetto e non un consiglio. 

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