sabato 27 ottobre 2018

VANGELO DEL GIORNO DOMENICA 28 Ottobre 2018

PREGHIERE DEL GIORNO
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Domenica 28 Ottobre 2018


LITURGIA DEL GIORNO
- Rito Romano -







  

 PRIMA LETTURA 

Ger 31,7-9
Dal libro del profeta Geremìa

Così dice il Signore:
«Innalzate canti di gioia per Giacobbe,
esultate per la prima delle nazioni,
fate udire la vostra lode e dite:
“Il Signore ha salvato il suo popolo,
il resto d’Israele”.
Ecco, li riconduco dalla terra del settentrione
e li raduno dalle estremità della terra;
fra loro sono il cieco e lo zoppo,
la donna incinta e la partoriente:
ritorneranno qui in gran folla.
Erano partiti nel pianto,
io li riporterò tra le consolazioni;
li ricondurrò a fiumi ricchi d’acqua
per una strada dritta in cui non inciamperanno,
perché io sono un padre per Israele,
Èfraim è il mio primogenito».

 SALMO 

Sal 125
Grandi cose ha fatto il Signore per noi.

Quando il Signore ristabilì la sorte di Sion,
ci sembrava di sognare.
Allora la nostra bocca si riempì di sorriso,
la nostra lingua di gioia.

Allora si diceva tra le genti:
«Il Signore ha fatto grandi cose per loro».
Grandi cose ha fatto il Signore per noi:
eravamo pieni di gioia.

Ristabilisci, Signore, la nostra sorte,
come i torrenti del Negheb.
Chi semina nelle lacrime
mieterà nella gioia.

Nell’andare, se ne va piangendo,
portando la semente da gettare,
ma nel tornare, viene con gioia,
portando i suoi covoni. 


 SECONDA LETTURA 

Eb 5,1-6
Dalla lettera agli Ebrei

Ogni sommo sacerdote è scelto fra gli uomini e per gli uomini viene costituito tale nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati.
Egli è in grado di sentire giusta compassione per quelli che sono nell’ignoranza e nell’errore, essendo anche lui rivestito di debolezza. A causa di questa egli deve offrire sacrifici per i peccati anche per se stesso, come fa per il popolo.
Nessuno attribuisce a se stesso questo onore, se non chi è chiamato da Dio, come Aronne. Nello stesso modo Cristo non attribuì a se stesso la gloria di sommo sacerdote, ma colui che gli disse: «Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato», gliela conferì come è detto in un altro passo:
«Tu sei sacerdote per sempre,
secondo l’ordine di Melchìsedek». 


 VANGELO 

Mc 10,46-52
Dal Vangelo secondo Marco

In quel tempo, mentre Gesù partiva da Gèrico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!».
Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!».
Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». Chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!». Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù.
Allora Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Va’, la tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada.


COMMENTO AL VANGELO

TRENTESIMA DOMENICA DEL T.O. (Mc 10,46-52)




Un mendicante cieco: l’ultimo della fila, un naufrago della vita, relitto abbandonato al buio nella polvere di una strada di Palestina. 
Poi improvvisamente tutto si mette in moto: passa Gesù ed è come un piccolo turbine, si riaccende il motore della vita, soffia un vento di futuro.
Bartimeo comincia a gridare: Gesù, abbi pietà. È, tra tutte, la preghiera più cristiana ed evangelica, la più umana. Rimasta nelle nostre liturgie, nel suono antico di “Kyrie eleison” o di “Signore, pietà”, confinata purtroppo nell’ambito riduttivo dell’atto penitenziale. Non di perdono si tratta. Quando preghiamo così, come ciechi, donne o lebbrosi del vangelo, dobbiamo liberare in volo tutto lo splendido immaginario che preme sotto questa formula, e che indica grembo di madre, vita generata e partorita di nuovo. La misericordia di Dio comprende tutto ciò che serve alla vita dell’uomo.
Bartimeo non domanda pietà per i suoi peccati, ma per i suoi occhi spenti. Invoca il Donatore di ‘vita in abbondanza’: mostrati padre, sentiti madre di questo figlio che ha fatto naufragio, ridammi alla luce!
La folla fa muro al suo grido: taci! Disturbi! Terribile pensare che davanti a Dio la sofferenza sia fuori luogo, che il dolore possa disturbare. Ma è così ancora, abbiamo ritualizzato la religione e un grido fuori programma disturba. Ma la vita è un fuori programma continuo: la vita non è un rito. C'è nell'uomo un gemito, di cui abbiamo perso l'alfabeto; un grido, su cui non riusciamo a sintonizzarci.
Invece il rabbi ascolta e risponde. E si libera tutta l’energia della vita. Lo notiamo dai gesti, quasi eccessivi: Bartimeo non parla, grida; non si toglie il mantello, lo getta; non si alza da terra, ma balza in piedi.
La fede porta con sé un balzo in avanti, porte che si spalancano, sentieri nel sole, un di più illogico e bello. Credere è acquisire bellezza del vivere.
Bartimeo guarisce come uomo, prima che come cieco. Guarisce in quella voce che lo accarezza: qualcuno si è accorto di lui, qualcuno lo tocca, anche solo con una voce amica, e lui esce dal suo naufragio umano: l'ultimo comincia a riscoprirsi uno come gli altri. 
È chiamato con amore e allora la sua vita si riaccende, si rialza in piedi, si precipita, anche senza vedere, verso una voce, orientato da una parola buona che ancora vibra nell'aria. Sentire che qualcuno ci ama rende fortissimi.
Anche noi ci orientiamo nella vita come il mendicante cieco di Gerico, forse senza vedere chiaro, ma sull’eco della Parola di Dio, ascoltata nel vangelo, nella voce intima che indica la via, negli eventi della storia, nel gemito e nel giubilo del creato. E che continua a seminare occhi nuovi e luce nuova sulla terra.

Padre Ermes Maria Ronchi



Craxi: via noi, il regime violento della finanza vi farà a pezzi

Il regime avanza inesorabilmente. Lo fa passo dopo passo, facendosi precedere dalle spedizioni militari del braccio armato. La giustizia politica è sopra ogni altra l’arma preferita. Il resto è affidato all’informazione, in gran parte controllata e condizionata, alla tattica ed alla conquista di aree di influenza. Il regime avanza con la conquista sistematica di cariche, sottocariche, minicariche, e con una invasione nel mondo della informazione, dello spettacolo, della cultura e della sottocultura che è ormai straripante. Non contenti dei risultati disastrosi provocati dal maggioritario, si vorrebbe da qualche parte dare un ulteriore giro di vite, sopprimendo la quota proporzionale per giungere finalmente alla agognata meta di due blocchi disomogenei, multicolorati, forzati ed imposti. Partiti che sono ben lontani dalla maggioranza assoluta pensano in questo modo di potersi imporre con una sorta di violenta normalizzazione. Sono oggi evidentissime le influenze determinanti di alcune lobbies economiche e finanziarie e di gruppi di potere oligarchici.
A ciò si aggiunga la presenza sempre più pressante della finanza internazionale, il pericolo della svendita del patrimonio pubblico, mentre peraltro continua la quotidiana, demagogica esaltazione della privatizzazione. La privatizzazione è Bettino Craxipresentata come una sorta di liberazione dal male, come un passaggio da una sfera infernale ad una sfera paradisiaca. Una falsità che i fatti si sono già incaricati di illustrare, mettendo in luce il contrasto che talvolta si apre non solo con gli interessi del mondo del lavoro ma anche con i più generali interessi della collettività nazionale. La “globalizzazione” non viene affrontata dall’Italia con la forza, la consapevolezza, l’autorità di una vera e grande nazione, ma piuttosto viene subìta in forma subalterna in un contesto di cui è sempre più difficile intravedere un avvenire, che non sia quello di un degrado continuo, di un impoverimento della società, di una sostanziale perdita di indipendenza.
I partiti dipinti come congreghe parassitarie divoratrici del danaro pubblico, sono una caricatura falsa e spregevole di chi ha della democrazia un’idea tutta sua, fatta di sé, del suo clan, dei suoi interessi e della sua ideologia illiberale. Fa meraviglia, invece, come negli anni più recenti ci siano state grandi ruberie sulle quali nessuno ha indagato. Basti pensare che solo in occasione di una svalutazione della lira, dopo una dissennata difesa del livello di cambio compiuta con uno sperpero di risorse enorme ed assurdo dalle autorità competenti, gruppi finanziari collegati alla finanza internazionale, diversi gruppi, speculando sulla lira evidentemente sulla base di informazioni certe, che un’indagine tempestiva e penetrante avrebbe potuto facilmente D'Alema e Prodiindividuare, hanno guadagnato in pochi giorni un numero di miliardi pari alle entrate straordinarie della politica di alcuni anni. Per non dire di tante inchieste finite letteralmente nel nulla.
D’Alema ha detto che con la caduta del Muro di Berlino si aprirono le porte ad un nuovo sistema politico. Noi non abbiamo la memoria corta. Nell’anno della caduta del Muro, nel 1989, venne varata dal Parlamento italiano una amnistia con la quale si cancellavano i reati di finanziamento illegale commessi sino ad allora. La legge venne approvata in tutta fretta e alla chetichella. Non fu neppure richiesta la discussione in aula. Le Commissioni, in sede legislativa, evidentemente senza opposizioni o comunque senza opposizioni rumorose, diedero vita, maggioranza e comunisti d’amore e d’accordo, a un vero e proprio colpo di spugna. La caduta del Muro di Berlino aveva posto l’esigenza di un urgente “colpo di spugna”. Sul sistema di finanziamento illegale dei partiti e delle attività politiche, in funzione dal dopoguerra, e adottato da tutti anche in violazione della legge sul finanziamento dei partiti entrata in vigore nel 1974, veniva posto un coperchio.
La montagna ha partorito il topolino. Anzi il topaccio. Se la Prima Repubblica era una fogna, è in questa fogna che, come amministratore pubblico, il signor Prodi si è fatto le ossa. I parametri di Maastricht non si compongono di regole divine. Non stanno scritti nella Bibbia. Non sono un’appendice ai dieci comandamenti. I criteri con i quali si è oggi alle prese furono adottati in una situazione data, con calcoli e previsioni date. L’andamento di questi anni non ha corrisposto alle previsioni dei sottoscrittori. La situazione odierna è diversa da quella sperata. Più complessa, più spinosa, più difficile da inquadrare se si vogliono evitare fratture e inaccettabili scompensi sociali. Poiché si tratta di un Trattato, la cui applicazione e portata è di Merkel e Montigrande importanza per il futuro dell’Europa Comunitaria, come tutti i Trattati può essere rinegoziato, aggiornato, adattato alle condizioni reali ed alle nuove esigenze di un gran numero ormai di paesi aderenti.
Questa è la regola del buon senso, dell’equilibrio politico, della gestione concreta e pratica della realtà. Su di un altro piano stanno i declamatori retorici dell’Europa, il delirio europeistico che non tiene contro della realtà, la scelta della crisi, della stagnazione e della conseguente disoccupazione. Affidare effetti taumaturgici e miracolose resurrezioni alla moneta unica europea, dopo aver provveduto a isterilire, rinunciare, accrescere i conflitti sociali, è una fantastica illusione che i fatti e le realtà economiche e finanziarie del mondo non tarderanno a mettere in chiaro. La pace si organizza con la cooperazione, la collaborazione, il negoziato, e non con la spericolata globalizzazione forzata. Ogni nazione ha una sua identità, una sua storia, un ruolo geopolitico cui non può rinunciare. Più nazioni possono associarsi, mediante trattati per perseguire fini comuni, economici, sociali, culturali, politici, ambientali. Cancellare il ruolo delle nazioni significa offendere un diritto dei popoli e creare le basi per lo svuotamento, la disintegrazione, secondo processi imprevedibili, delle più ampie unità che si vogliono costruire. Dietro la longa manus della cosiddetta globalizzazione si avverte il respiro di nuovi imperialismi, sofisticati e violenti, di natura essenzialmente finanziaria e militare.
(Bettino Craxi, estratti dal libro “Io parlo, e continuerò a parlare”, ripresi da “Il Blog di Lameduck” il 19 maggio 2015. Il libro, edito da Mondadori nel 2014, cioè 14 anni dopo la morte di Craxi, raccoglie scritti del leader socialista risalenti alla seconda metà degli anni ‘90. Scritti che oggi appaiono assolutamente profetici).

L’ASSE WASHINGTON-ROMA-MOSCA METTERÀ FINE AL NUOVO ORDINE MONDIALE?



Il viaggio di Salvini a Mosca della scorsa settimana, seguito da quello del presidente Conte ieri ha aperto un capitolo inedito nella storia delle relazioni internazionali. 

Un tempo, erano i leader del PCI a recarsi a Mosca in pellegrinaggio per coordinare la strategia di opposizione al blocco atlantico.

Era il tempo della guerra fredda, delle opposte visioni del mondo dove l’Italia aveva un ruolo chiave per spostare l’ago della bilancia verso una delle due superpotenze che si contrapponevano per affermarsi sulla scena mondiale.

Oggi l’Italia riveste un altro ruolo, diverso ma forse ancora più importante. L’Italia oggi è al centro di un’alleanza che vuole arrestare il progetto globalista, e riportare al centro della scena gli stati nazionali, piuttosto che le organizzazioni sovranazionali dominate dalle élite.

Questa alleanza si fonda sull’asse Washington-Roma-Mosca, dove l’Italia ha un ruolo chiave per spostare gli equilibri a favore dell’uno o dell’altro blocco globalista rappresentato da Bruxelles e Pechino.

Per raggiungere il suo obbiettivo, la de-globalizzazione deve necessariamente mirare ad uno smembramento dell’Unione europea, e ad un ritorno alla sovranità degli stati nazionali europei.

L’elezione di Trump: il colpo decisivo contro il globalismo

Il punto di svolta si è avuto nel 2016, quando alla Casa Bianca si è insediato Donald Trump.

Se ci fosse stata Hillary Clinton a Washington, oggi per il governo giallo-verde sarebbe stato praticamente impossibile costruire un qualche tipo di sponda con gli Stati Uniti contro l’UE , né tantomeno rivolgersi al Cremlino per un eventuale sostegno, considerata la totale ostilità dei democratici americani nei confronti della Russia.

La Clinton era sicuramente la garante migliore per continuare verso la realizzazione del nuovo ordine mondiale.

Il nuovo ordine mondiale vede la preminenza delle organizzazioni sovranazionali sugli stati nazionali, fino alla completa esautorazione dei secondi rispetto ai primi.

I no borders e l’immigrazione illimitata rientrano in questa strategia di creare un melting pot indistinto che si sostituisca alle identità nazionali dei popoli, per assoggettare meglio le masse a questo disegno.

Questo progetto sembra essere andato incontro ad una brusca frenata nel 2016, all’alba delle presidenziali americane.

Per la prima volta, dopo molti anni, alla Casa Bianca si è insediato un presidente contrario alla visione globalista, e decisamente convinto di riportare al centro le prerogative dello stato nazionale.

Il naturale interlocutore per Trump è sembrato subito essere Putin, e il presidente USA, seppur tra molte difficoltà, è riuscito ad aprire parzialmente il canale con il Cremlino.

In questa strategia che vuole una fine della globalizzazione, l’Italia assume un ruolo decisivo, un elemento naturale geografico e geopolitico di comunicazione tra due mondi, tra Ovest ed Est.

La posizione di frontiera del Paese ha sempre rappresentato un elemento strategico chiave già dai tempi del dopoguerra al margine della contrapposizione tra la NATO e il blocco sovietico.

Oggi l’Italia invece riveste un ruolo nuovo. Non più un elemento di divisione tra due blocchi, ma un elemento di unione, un ponte tra Washington e Mosca che può aprire un corso nuovo nelle relazioni internazionali.

In questo senso, il viaggio di Conte a Mosca può essere letto come il tentativo di fortificare questo nuovo asse contro il blocco globalista sostenuto dall’UE e dalla Cina.

La strategia dell’UE al momento è quella di provocare una crisi dello spread contro l’Italia per costringerla a capitolare come accaduto nel 2011.

Stavolta il contesto internazionale è però ben diverso. L’Italia all’epoca era isolata e priva di interlocutori forti. Oggi non solo c’è il canale di Washington già aperto, ma se ne è aperto un secondo con Mosca, con Putin che ha già dato la sua disponibilità a comprare i titoli di Stato italiani.

La partita con Bruxelles si gioca quindi con equilibri del tutto diversi da quelli di 7 anni fa. La fase storica attuale delle relazioni internazionali sembra volgere verso una fine del processo di globalizzazione che ha subito una decisa accelerazione negli anni’90, dopo il crollo del muro di Berlino.

Il ministro degli Esteri tedesco Heiko Maas in un suo recente articolo su Handelsblatt, ha parlato della necessità per l’UE di raccogliere il testimone lasciato dagli USA per portare avanti il nuovo ordine mondiale.

Ma come può un’Europa debole e divisa portare avanti un progetto simile alla luce di quanto sta accadendo ora?

Se Bruxelles metterà all’angolo l’Italia, Roma potrebbe staccare la spina all’euro, e il progetto sovranazionale europeo crollare irrimediabilmente.

E’ senz’altro un momento decisivo per la storia delle relazioni internazionali, e l’Italia non è mai stata così importante in questo senso.

Nei prossimi mesi, si deciderà tutto. In qualsiasi caso, e qualsiasi visione geopolitica si imponga, tutto dipende dalla Penisola. Il destino dell’Italia deciderà il destino dell’Europa e del mondo.

IL KILLER SILENZIOSO DEI MILITARI SI CHIAMA URANIO IMPOVERITO E UCCIDE NELL’INDIFFERENZA DELLO STATO: 532 VITTIME ITALIANE HANNO CHIESTO RISARCIMENTI

Luciano Cipriani, maresciallo dell’Aeronautica militare, aveva 47 anni. Nel suo curriculum diverse missioni all’estero, Kosovo, Afghanistan. Aveva respirato a pieni polmoni l’aria di quei luoghi e calpestato le terre avvelenate da uranio impoverito, tutto senza protezioni.

Caschi, maschere, tute, guanti, tutto l’armamentario che in quei teatri di battaglia usano americani e inglesi, ma che i nostri comandi, alti e altissimi, ritengono inutili orpelli. E quel veleno gli era entrato in corpo, lentamente, ma in modo inesorabile. Aveva attaccato il suo fisico possente, lo aveva piegato alle sue ragioni, quelle di un tumore che ha un nome terribile e impronunciabile: glioblastoma multiforme di IV grado. Gli aveva reso la vita impossibile. Chiuso in un letto in attesa della morte. La fine del corpo come liberazione dalle sofferenze.
Luciano ha combattuto per un anno. Sballottato come un pacco postale da un ospedale all’altro. Sempre le stesse diagnosi. Senza speranza. La sua famiglia non si è arresa. È andata in Germania, ha sperimentato nuove cure, si è aggrappata pure all’ultima speranza, ma inutilmente. Da soli. Senza l’aiuto di nessuno. Asl, ministeri, burocrazie, non sono mai stati dallo loro parte. Povero Luciano, vittima dell’indifferenza. Di un Paese sempre uguale a se stesso. Muore Luciano, come tanti altri suoi commilitoni, in un’Italia assuefatta e poco seria, che non vuole saperne di pace e guerra. È affar loro e delle loro famiglie.
E ancora. A gennaio di quest’anno si poteva leggere nella terza-quarta colonna di qualche grossa testata nazionale, la morte dopo una lunga agonia causata da un male incurabile di Gianluca Danise (foto sopra), Maresciallo incursore dell’Aeronautica Militare, veterano di tante missioni all’estero. Questa era la 321a vittima, appena prima di Luciano Cipriani, riconducibile all’esposizione ad uranio impoverito secondo l’Osservatorio militare, materiale usato in abbondanza soprattutto nei proiettili per cannoncini anticarro degli aerei da attacco al suolo degli Usa. Questi, incominciarono ad essere usati massicciamente a partire dalla prima guerra in Iraq, cioè dal 1991. Quest’anno un’altra vittima, Gennaro Giordano, 31 anni. Un tumore fulminante lo ha stroncato in pochi mesi. Il militare italiano ha lasciato la moglie e una figlia di pochi anni.

Numeri impressionanti. Sono circa 4mila, secondo i dati ufficiali ma segreti del ministero della Difesa, i nostri militari colpiti da patologie oncologiche riconducibili all’esposizione a nanoparticelle di metalli pesanti come l’uranio impoverito, cui sono esposti durante le missioni internazionali di guerra, imposte dalla Nato, cui partecipano e a vaccinazioni selvagge eseguite prima e durante le missioni. I dati numerici non mentono, l’uranio impoverito è più micidiale di Al-Qaida, Talebani, stress da zona di combattimento e fuoco amico messi insieme. Non male per una tecnologia militare che dovrebbe in teoria rendere più letali le armi dei nostri soldati. Dal 1991 ad oggi i caduti sono, secondo l’Associazione Nazionale Combattenti, 166.
L’uranio impoverito è composto dall’isotopo U-238, che tende a decadere emettendo fondamentalmente radiazioni di tipo alfa, le quali possono essere fermate da una tuta Nbc e da una maschera antigas di ultima generazione. I militari americani spesso sono stati visti in Kosovo con tali protezioni. Loro avevano l’esperienza della prima guerra contro l’Iraq, sapevano che il pericolo, soprattutto in caso d’ingestione o di inspirazione dell’Uranio impoverito, era reale. Infatti questi proiettili hanno una doppia valenza: anticarro ed incendiari a contatto con le corazze formano una specie di freccia di fuoco che tramite sia l’alta temperatura che l’elevata densità specifica dell’uranio penetra nella corazza del carro, disperdendo un aerosol di uranio impoverito, che rimane in un raggio di 70 metri dal carro merce degli agenti atmosferici che lo spostano nelle vicinanze. Andare nei dintorni di un sito di tal genere, significa correre dei rischi mortali senza adeguata protezione. Ma anche con la tuta Nbc e la maschera antigas non è una passeggiata salutare.
L’uranio è un elemento instabile che si stabilizza dopo un complesso processo di decadimento che prevede diversi stadi intermedi, alcuni dei quali molto più pericolosi dello stesso uranio, come il polonio, estremamente tossico o il radio. I tempi di decadimento tra i vari stadi sono spesso lunghi, ma questo non toglie la pericolosità dell’esposizione e come accertato nel caso dell’uranio impoverito, nell’inspirazione o nell’ingestione. Tutto ciò è accertato anche dalla magistratura, infatti il ministero della Difesa è stato condannato in appello dalla Corte di Roma, secondo la quale “ci sono tutti i requisiti per configurare una responsabilità del ministero della Difesa […] per avere colposamente omesso di adottare tutte le opportune cautele, atte a tutelare i propri militari dalle conseguenze dell’utilizzo dell’uranio impoverito”. A questo proposito c’è da notare che il Presidente Mattarella è stato titolare del Ministero della Difesa sotto i governi D’Alema e Amato da dicembre 1999 fino a giugno 2001.

Il sergente maggiore Andrea Antonacci è morto all’ospedale di Firenze il 12 dicembre 2000. All’epoca il ministero della Difesa rispose così in un comunicato: “La malattia di cui soffre il sergente maggiore non può essere collegata in alcun modo, per ragioni di tempo e di luogo, alla vicenda dell’uso di munizioni a uranio impoverito. Questo tipo di materiale è stato utilizzato in Kosovo, durante le operazioni che si sono svolte tra la fine di marzo del 1999 e i primi giorni di giugno dello stesso anno. Il sergente maggiore Antonacci ha operato nell’ambito dei contingenti di pace, non in Kosovo ma in Bosnia, più precisamente nella città di Sarajevo, dal 30 agosto 1998 al 4 marzo 1999, dunque in periodi precedenti e al di fuori delle zone di operazioni nel corso delle quali i Paesi Alleati hanno utilizzato munizionamento a uranio impoverito contro i carri armati della Federazione Jugoslava” (Ansa: “Difesa: Ministero, caso di Striscia non dipende da uranio”; Roma, 14 novembre 2000).
La Nato ha bombardato con 10.800 ordigni all’uranio impoverito il territorio attorno a Sarajevo, ma non solo. In materia sono stati presentati ben 334 atti parlamentari. Attualmente, secondo i dati ufficiali, più di 4mila militari italiani risultano gravemente ammalati di cancro, secondo contare i numerosi morti, soprattutto giovani. (Ansa, “Uranio: portavoce Nato, uso proiettili mai oggetto contrasti”, Bruxelles, 22 dicembre 2000). Peraltro i velivoli A-10 dell’Us Air Force erano decollati da Aviano.

Il 27 settembre 2000, ecco cosa aveva ribadito il ministro Mattarella: “Desidero anzitutto riaffermare che ad oggi nessun militare del nostro contingente in Kosovo è stato rimpatriato perché affetto da leucemia e che non sono mai emersi casi sospetti di questa malattia. In questo senso, si sono già espressi nei giorni scorsi i comandi competenti e lo stesso procuratore militare di Roma, che dal gennaio scorso ha avviato un monitoraggio in seguito a segnalazioni su possibili rischi di inquinamento e di contaminazione.
Va escluso anche che siano collegabili all’uranio impoverito i due casi letali di leucemia acuta che si sono verificati nelle Forze armate, il primo sei anni fa, il secondo l’anno passato. Nel primo caso, il giovane vittima della malattia non era stato mai impiegato all’estero; nel secondo caso, il giovane militare era stato impiegato in Bosnia, precisamente a Sarajevo, dove non vi è mai stato uso di uranio impoverito.
Sul piano generale, desidero ricordare quanto ho già fatto presente in Parlamento nei mesi scorsi; fin dall’ingresso dei nostri soldati in Kosovo, si sono adottate misure di protezione: monitoraggio ambientale, ampia attività informativa, bonifica con reparti specializzati nella protezione e decontaminazione di persone e di materiali. Sono stati svolti controlli ulteriori approfonditi da parte di esperti in fisica del Centro interforze di studi. Tutte queste misure, come ho già detto l’altra volta in Parlamento, hanno permesso di confermare che i livelli di inquinamento radioattivo nelle aree dove operano i nostri soldati, sono al di sotto dei limiti di sicurezza previsti dalle norme italiane per il nostro territorio”.
“Per quanto mi riguarda non esiste nessun problema legato all’uranio impoverito” parole di Roberta Pinotti, ex ministro della Difesa.
Insomma, la sagra della menzogna. Evidentemente la cospirazione silenziosa continua, e la lista dei morti pure. In 532 hanno richiesto un risarcimento al ministero della Difesa. Nessuno di loro ha ancora visto un euro, ma gli eredi non si fermeranno nella loro sacrosanta voglia di verità e giustizia.
Articolo di Cinzia Palmacci
Da:

DOPO AVER DISTRUTTO LA GRECIA LA LAGARDE ORA PUNTA ALL’ITALIA



Nelle scorse settimane il Fondo Monetario Internazionale ha più volte criticato la manovra economica del governo italiano, con Poul Thomsen, capo del dipartimento europeo dell’Fmi, che ha invitato Roma a ” rispettare le regole dell’Unione europea con la sua legge di bilancio del 2019 e costruire un buffer di liquidità per attutire la prossima crisi economica” e la direttrice Christine Lagarde che ha dichiarato di sperare in “una distanza” tra la “retorica” del governo italiano, che allarma Bruxelles, e “le cifre finali” del bilancio del Paese.

Proprio Christine Lagarde, nei prossimi mesi, potrebbe essere chiamata a un ruolo di maggiore visibilità nel contesto dell’economia internazionale. Negli ultimi tempi eventi come la crisi commerciale sino-americana, il crollo del valore delle valute di diversi Paesi in via di sviluppo (Turchia, Iran, Pakistan, Argentina) e i rischi per una nuova, grande crisi sistemica generata dalle disfunzionalità del mercato bancario non sono stati bilanciati da un’adeguata capacità di reazione da parte del Fmi.
Intrappolato nella ristretta area ideologica che ha sempre influenzato la sua azione, fondata sulla concessione di aiuti a Paesi in difficoltà in cambio di riforme strutturali draconiane nel sistema economico, sociale e previdenziale, il Fmi ha proposto le prime, timide aperture a politiche in sostegno alla domanda nel 2016, ma senza che ciò producesse sostanziali cambiamenti. E il timore per un mancato cambio di direzione dell’ente guidato dalla Lagarde rende necessario considerare con dovuta cautela il suo recente interesse per il nostro Paese.

La Troika “informale” contro l’Italia

Tra l’11 e il 12 ottobre il governo Conte ha ricevuto reprimende da tutti e tre le istituzioni costituenti la famosa “Troika” vista in azione in Grecia: il fatto che Jean-Claude Juncker,presidente della Commissione europea, e Mario Draghi, direttore della Bce, fossero in completo disaccordo con la manovra italiana era però prevedibile. Meno che critiche della stessa intensità arrivassero anche da oltre Atlantico, sede Fmi. Segno che l’allineamento di intenti tra Bce, Commissione e Fmi nei confronti dell’Italia appare simile a quello che caratterizzò il caso greco nel 2011.
Il vicepresidente del Consiglio Luigi Di Maio ha ironizzato sottolineando che all’elenco dei critici della manovra italiana manca “solo la Nasa e qualche ente di qualche altro pianeta”. In ogni caso, la situazione è da tenere monitorata: spiace vedere in questo contesto oppositori del governo italiano di diversa estrazione, dall’ex presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem alla giornalista del Corriere Maria Teresa Meli, invocare il commissariamento del Paese da parte dei custodi dell’austerità senza preoccuparsi di cosa ciò costituirebbe per un Paese che ha già sperimentato, in forma non completa, il rigore imposto da Mario Monti, Elsa Fornero e i tecnici loro accoliti tra il 2011 e il 2013. Il caso greco insegna che la Troika significherebbe, per l’Italia, la rovina.

I disastri del Fmi della Lagarde nella Grecia distrutta dall’austerità

Nel giugno scorso la Troika ha definitivamente tolto la Grecia dal commissariamento economico e finanziario in cui era stata vincolata dal 2011 in avanti. Proprio nel momento in cui la Lagarde ascese alla guida del Fmi, la Troika ampliò la sua esposizione nei confronti di Atene.
“Giunta al Fmi nel 2011, Lagarde esaminò alla lente il Paese di Platone. ‘È in bancarotta’, pontificò”, scrive La Verità. Con l’ Ue, decisero di togliergli la sovranità e governarlo loro. Il torchio è durato sette anni”. Ora, “la Grecia è tornata padrona di sé stessa e ha scoperto che dall’orlo, dove stava prima, era finita nel baratro”.
E di baratro è giusto parlare guardano la dimensione della macelleria sociale imposta al Paese ellenico: “Rispetto a quando stava male e Christine la prese in cura, la Grecia ha perduto il 25% del Pil, un quarto dei 5 milioni di abitanti è in povertà assoluta, 500mila sono emigrati, la disoccupazione è al 22% (43%, tra i giovani), il debito pubblico, che era al 140%, è oggi al 180 sul Pil”.
Atene si è impegnata a spalmare il rimborso dei suoi debiti su un lasso di tempo smodatamente lungo, destinato a protrarsi fino al 2060. Mettere preventivamente in conto quarant’anni di ulteriore austerità significa abdicare a ciò che resta della sovranità politica ed economica del Paese. La svendita di asset pubblici più grande della storia europea (compagnie energetiche, aeroporti, autostrade e così via) non contribuirà ad alleviare una sofferenza oramai indicibile e la perdita di una generazione, distrutta assieme al tessuto sociale del Paese.
Solo di recente l’Fmi ha dichiarato errate le stime effettuate in Grecia nel 2010, quando aveva imposto a 0,5 il cosiddetto moltiplicatore fiscale che, come si può leggere sul blog di Alberto Bagnai, “esprime l’impatto che una manovra di spesa pubblica avrà sul Pil. Moltiplicatore di 0.5 significa che un aumento di spesa pubblica di un euro incrementa il Pil di 0.5 euro, e naturalmente (moltiplicando per meno uno), che una diminuzione di spesa pubblica di un euro decrementa il Pil di 0.5 euro”.
Nella realtà, il moltiplicatore per la Grecia si è dimostrato essere addirittura triplo, come confermato da un crollo del Pil superiore al 25%. La tecnica tiranna, si dirà. Una tecnica che vorremmo si tenesse a lungo lontana dai lidi italiani.

I francesi fuggono in Ungheria per sfuggire agli effetti della migrazione di massa

I cittadini francesi ora si uniscono ai tedeschi e altri che cercano una nuova vita nella capitale ungherese di Budapest per sfuggire agli effetti negativi della migrazione di massa incontrollata.

Sempre più francesi stanno cercando di fuggire a ciò che considerano la sicurezza di Budapest secondo un nuovo documentario chiamato Ungheria: la Terra Promessa che è stata trasmessa dalla televisione francese questa settimana, riferisce France Info.

Il documentario di 20 minuti ha esaminato la vita di diversi cittadini francesi che ora chiamano casa Budapest, tra cui una giovane donna di nome Elsa che è venuta in città due anni fa dopo aver vissuto nei famigerati sobborghi popolati da migranti e popolani.

La giovane donna ha affermato di essersi trasferita dopo essere stata aggredita e derubata in tre diverse occasioni nel suo precedente quartiere. "Penso che quando sei padrone del tuo paese, fondamentalmente, in un'epoca di globalizzazione, entra in gioco il fattore immigrazione", ha detto.

I tedeschi "scappano" in Ungheria per fuggire dalla politica migratoria della Merkel, la "guerra civile" della paura https://t.co/0ecwsqq3bZ pic.twitter.com/fkD9uRsF9z

- Breitbart London (@BreitbartLondon) , 12 agosto 2016


Elsa non è la sola a cercare rifugio dalle migrazioni di massa in Ungheria, mentre altri europei occidentali si sono radunati a Budapest e in altre città ungheresi. Nel 2016 i media tedeschi hanno parlato con un agente immobiliare ungherese che ha notato un'improvvisa ripresa di interesse da parte dei tedeschi "disaffezionati".

Mesi dopo, la televisione tedesca ZDF ha parlato con una coppia tedesca che si era trasferita in Ungheria. Valentin e Jennifer Duräder, una coppia da circa 20 anni, hanno spiegato che avevano paura di allevare il loro bambino non ancora nato in una crisi post-migrante in Germania.

Il numero di europei occidentali che si trasferiscono in Ungheria non è sfuggito all'attenzione del governo ungherese, con il primo ministro Viktor Orban che ha accolto gli europei occidentali nel suo paese in un discorso all'inizio del 2017.


"Faremo entrare i veri rifugiati. Tedeschi, olandesi, francesi e italiani, politici terrorizzati e giornalisti che qui in Ungheria vogliono trovare l'Europa che hanno perso nelle loro terre d'origine", ha detto Orban.

L’elite liberale inglese ancora in diniego rispetto alle gang musulmane di stupratori

MA COSA STA SUCCEDENDO IN EUROPA CON GLI STUPRI? 


Un’altra banda di teppisti pakistani per lo più musulmani nel nord dell’Inghilterra (Huddersfield, questa volta) è stata incarcerata per aver stuprato centinaia di ragazze bianche per lo più minorenni. Ma questa è solo metà della storia.
Quel che è peggio è che, anche dopo la diffusa evidenza che gruppi simili hanno perpetrato queste pratiche barbariche in tutta la Gran Bretagna per decenni, l’establishment liberale di sinistra sta ancora risolutamente cercando di nascondere la verità su ciò che sta accadendo.
Ecco David Lammy, un feroce parlamentare laburista che, se le cose dovessero andare male – ed e` una reale possibilita` – potrebbe diventare un alto membro del governo.
Adoro l’idea che David Lammy impartisca lezioni e voglia far vergognare qualcuno. È un po’ come se Kim Kardashian accusasse qualcuno di prostituirsi per pubblicità.
E ‘ perfettamente ovvio per chiunque abbia anche una conoscenza rudimentale della questione delle violenze sessuali, che la maggior parte dei perpetratori siano musulmani, la maggior parte provenienti da una particolare parte del Pakistan. Questo non è razzismo. Questo è un fatto semplice e verificabile. Lammy non è stupido. (Beh, non cosi` stupido). La sua disonestà qui non è semplicemente spudorata ma pericolosa. È pericoloso perché, come sappiamo da varie indagini sul fenomeno delle violenze sessuali, uno dei motivi principali per cui le autorità non hanno agito era perche` erano terrorizzate dall’essere accusate del razzismo con il quale Lammy sta ora cercando assurdamente di ingannare Javid .
Javid è tuttavia colpevolmente disonesto. Sta usando la parolaccia “asiatico” perché non osa usare i termini politicamente più controversi come “musulmani” o “pakistani”. Questo eufemismo non lo lascia fuori dai guai: è un grave insulto per tutte quelle comunità asiatiche – dai cinesi ai sikh – che sono perfettamente integrate in Gran Bretagna e non vanno in giro a violentare bambini. Davvero, dovremmo aspettarci di meglio da un membro anziano di un governo presumibilmente conservatore, specialmente uno che è tra quelli che hanno la possibilità di sostituire la terrificante Theresa May una volta che è stata finalmente defenestrata.
Se volete vedere della disonesta all’opera, però, è piuttosto difficile battere questo glorioso contributo del corrispondente della BBC per gli affari interni, Dominic Casciani.






This is the case that relates to Tommy Robinson’s Contempt of Court case. The story couldn’t be told at the time because of a risk of damaging a fair trial. We’re reporting it now:
https://www.
d-45918845 


Come sicuramente Casciani dovra sapere – è il suo lavoro, dopotutto – “il capobanda di questo massiccio gruppo di stupratori” NON proviene “da un background sikh”.
Amere Singh Dhaliwal – il cui comportamento è stato descritto dal giudice come “disumano” – è nato musulmano e ha una moglie musulmana (e bambini). Come riporta il Mail, si convertì al sikhismo cinque anni fa – in gran parte, si dice, come un trucco per apparire più degno di fiducia nei confronti delle ragazze che stuprava.
Per dire che il vile leader squattrinato della banda viene “da un background sikh”, quindi, è un orribile insulto ai veri sikh – molti dei quali hanno avuto le loro figlie stuprate da queste bande musulmane.
Peggio ancora, però, c’è qualcosa di perniciosamente offensivo sul tweet di Casciani. È quasi come se stesse deliberatamente cercando di dare l’impressione che il problema delle bande non sia principalmente un problema pakistano musulmano.
Altre notizie che vale la pena menzionare: molti dei resoconti dei media sull’ultimo round di condanne per il processo di stupro hanno come protagonista Tommy Robinson.
Il Telegraph, ad esempio:
“Una serie di processi che sono stati messi a rischio da Tommy Robinson, il fondatore della English Defence League, sono finite con 20 membri di una banda asiatica accusati di abusare e stuprare ragazze di appena 11 anni.”
Vedi cosa sta succedendo qui. La giustapposizione suggerisce tacitamente che esiste un’equivalenza morale tra Tommy Robinson e le bande di stupro musulmani pakistani. Questo è davvero un trucco sporco e disonesto, per almeno due ragioni.
Per prima cosa, fare riprese video di uomini che hanno drogato e violentato bambine non è la stessa cosa di drogare e stuprare bambine. Per nulla.
In secondo luogo, il caso – come viene ripetutamente rappresentato nei media mainstream – ovvero che Tommy Robinson ha realmente messo in pericolo i processi di questi uomini rimane una accusa debole. È del tutto possibile che la minaccia fosse puramente teorica. Il fatto che le condanne siano andate avanti, ad esempio, suggerisce chiaramente che Robinson non ha fatto – per usare l’espressione del Telegraph – “quasi deragliare” il processo.
Potrebbe essere adatto all’élite liberale fingere – per ragioni di vigliaccheria e correttezza politica – che il problema posto dall’estrema destra sia uguale a quello rappresentato da comunità musulmane non assimilate totalmente sprezzanti della cultura britannica. Ma non è così. Chiedete ad una qualsiasi delle migliaia di ragazze in tutto il paese.
Fino a quando la nostra élite liberale non si farà avanti verso la verità, le cose andranno molto, molto peggio prima che migliorino.