giovedì 13 giugno 2019

Social network, l’esercito del killfie che uccide tra i più giovani


Ci sono cifre e numeri che rimangono nascosti sino a quando un meccanismo o una routine non diventano oggetto fenomenologico e orizzonte di analisi. Si prendano a esempio i numeri dell’ultimo Rapporto Italia 2019 dell’Eurispes sulle persone morte nel mondo a causa di un selfie azzardato, quello che in gergo viene chiamato “killfie”, un neologismo, una crasi tra selfie e kill, ovvero morire per un selfie.


Il macabro fenomeno, che sfiora l’idiozia e forme patologico-compulsivo, è in enorme crescita un po’ dappertutto, con picchi di autolesionismo in particolar modo in India. Alcuni casi di cronaca fanno riflettere su una pratica che è a metà strada tra l’autolesionismo, la stupidità e la ricerca di visibilità a ogni costo: tre studenti sono morti dopo essere stati investiti da un treno mentre stavano facendo una foto sui binari; un giovanissimo è morto affogato mentre i suoi “amici” si mettevano in posa pronti a immortalare la scena con un video. I casi di killfie non riguardano più solo l’India e ilr esto dei Paesi cosiddetti emergenti, ma è un caso transnazionale che coinvolge ragazzi di tutto il mondo pronti a filmare, fotografare e rilanciare nel web bravate senza limiti.


Le cause più comuni di decesso causate dalla voglia insana di farsi notare, sono derubricate in annegamento, incidenti legati a mezzi di trasporto e cadute da grandi altezze. Tornando all’indagine Eurispes, la ricerca ha evidenziato come nel mondo in 6 anni, 259 persone siano morte per scattarsi un selfie mentre ci si trova in una situazione estrema o pericolosa solo per rendere pubblica la propria immagine, ovvero postarla sulle piattaforme social. Più del 70% delle vittime sono giovani under 30: 76 avevano tra i 10 e i 19 anni e 106 tra i 20 e i 29 anni, tutte decedute per cause incidentali. L’Eurispes rileva infatti che l’84% degli incidenti sono legati a giovanissimi che non hanno calcolato bene i rischi a cui andavano incontro mentre stavano scattando il selfie. In maggioranza le vittime sono uomini, 106 invece sono donne.


Per chi volesse farsi un’idea di cosa si sta parlando e cosa sia questa pratica ormai comune tra gli adolescenti, basta farsi un giro su Instagram (#extremeselfies) dove vengono fuori quasi 12.000 post di ragazzi in posa o in azione mentre si stanno scattando foto in luoghi e condizioni estreme. Vien da sé che il numero di like e di follower sia direttamente proporzionale al grado di pericolosità raggiunto dall’esibizione. Probabilmente anche questa tendenza, macabra e idiota, potrebbe essere contemplata in una tendenza generale che riguarda il nostro rapporto con le nuove tecnologie. Si tratta di ciò che McLuhan preconizzava oltre 50 anni fa nel suo Gli strumenti del comunicare, ovvero la fine della mente lineare. La fine del monopolio detenuto per secoli da parte del testo sui nostri pensieri era giunta grazie all’avveno dei media elettrici. La fusione magmatica di tanti Sé nell’equivalente globalizzato del villaggio globale. Se il medium è il messaggio, famoso aforisma mcluhaniano, non dobbiamo altresì dimenticare che quando un nuovo medium entra nella nostra quotidianità (Internet compresa) più che sul contenuto che veicola, o meglio, prima che dibattere su ciò che trasmette, dobbiamo ragionare sulla tecnologia del mezzo che veicola quel tipo di informazione.


Ragionando sul lungo periodo il contenuto di un medium ha meno importanza del medium stesso, diceva sempre McLuhan, nell’influenzare le persone; i media, cioè, arrecano danni o meno, agendo sul sistema nervoso degli individui, ma di questo noi non ce ne accorgiamo, troppo presi dalle luci abbacinanti dello show business proposto sui nostri schermi.

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