(di Alfredo De Matteo) A dir poco singolare, soprattutto nelle motivazioni, la sentenza n. 27539/2019 della Cassazione, depositata il 20 giugno scorso, che ha confermato la condanna in primo e secondo grado ad un anno e nove mesi di reclusione per omicidio colposo ad una ostetrica, rea di non aver adeguatamente monitorato il battito cardiaco di un bambino mentre la madre era in travaglio.
Secondo gli Ermellini il feto deve essere considerato persona dall’inizio del travaglio, e non già dal successivo momento del distacco dall’utero materno. In conseguenza di ciò, la morte colposa del bimbo nelle fasi immediatamente precedenti la nascita integra il reato di omicidio, e non quello d’interruzione della gravidanza. Tale disciplina, si legge nella sentenza, rispecchia «un quadro normativo giurisprudenziale italiano ed internazionale di totale ampliamento della tutela della persona e della nozione di soggetto meritevole di tutela, che dal nascituro al concepito si è poi estesa fino all’embrione».
Ora, a noi risulta che il quadro normativo di cui parla la Corte sia il seguente: nel primo trimestre della gravidanza il bambino nel grembo della madre non è considerato una persona meritevole di tutela, tant’è che la legge Italiana consente la sua violenta soppressione per qualsiasi motivo e a spese del servizio sanitario nazionale. Lo stesso bambino comincia a godere di qualche minima protezione improvvisamente, allo scoccare del 91mo giorno, ma è ancora lungi dall’essere considerato un essere umano, tant’è che può essere eliminato in presenza di una diagnosi di malformazione (anche solo presunta) che possa mettere in pericolo l’equilibrio psico fisico della gestante.
Sempre il medesimo bambino, quando sussiste per lui la possibilità di vita autonoma al di fuori dell’utero materno, che non è specificata dalla norma abortista e nemmeno può esserlo viste le innumerevoli variabili che la determinano, può essere ucciso solo in caso di grave pericolo per la vita della madre e comunque il medico che esegue l’intervento deve adottare ogni misura idonea a salvaguardare la sua vita (sic!).
Pertanto, è possibile affermare, senza timore di smentita, che il bambino non ancora nato non sia considerato affatto una persona, ma un oggetto nelle mani della madre e dello Stato che all’aumentare di peso e dimensioni comincia ad acquisire, secondo logiche astratte, qualche precario diritto, ma che sempre tale rimane. È solo quando lo stesso identico bambino cresciuto per nove mesi nel seno della madre viene alla luce che finalmente acquisisce lo status di essere umano per la legge Italiana (almeno fino ad ora …).
La Cassazione, con tale pronunciamento, ha stabilito che anche il bambino che sta transitando dalla vita uterina a quella extrauterina è da considerare un uomo a tutti gli effetti, e di ciò ce ne rallegriamo. Ma occorre prendere atto della totale mancanza di coerenza e logica di chi pretende di stabilire a colpi di sentenze chi debba essere considerato un essere umano e chi no, come se non fosse la natura delle cose a dettare la legge ma la legge stessa a determinare la natura delle cose.
Insomma, che l’essere umano sia tale fin dal concepimento e dunque meritevole di tutela giuridica lo dimostra la scienza, il buon senso, la logica, l’evidenza dei fatti. C’è dunque da aver paura di un sistema che pretende di modificare a piacimento le regole della natura per piegarle al diritto, sia quando si tratta di stabilire a tavolino nuovi e fantasiosi criteri di morte (la cosiddetta morte cerebrale) sia quando si tratta di stabilire una nuova categoria di uomini: i “bambini in transito”.
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