Papa Francesco, il 4 febbraio scorso durante il viaggio negli Emirati Arabi, al termine della Global Conference of Human Fraternity, davanti a 700 capi religiosi ha firmato una dichiarazione insieme al Grande Imam di Al-Azhar, Ahmad Muhammad Ahmad al-Tayyib, massima autorità sunnita. In linea con lo spirito interreligioso del Concilio Vaticano II, che nella dichiarazione del 28 ottobre 1965 Nostra Aetate espresse stima verso i musulmani, secondo Yahya Pallavicini – della Comunità Islamica Italiana – Bergoglio avrebbe “cancellato” lo spazio di ambiguità tra cattolicesimo e islam.
Ahmad al-Tayyib (a destra nella foto) sul terrorismo: “La soluzione al terrore israeliano risiede nella proliferazione degli attacchi suicidi che diffondono terrore nel cuore dei nemici di Allah. I paesi, governanti e sovrani islamici devono sostenere questi attacchi”. E sulla violenza contro le mogli: “Secondo il Corano prima si ammonisce, poi si dorme in letti separati, infine si colpisce”.
Per quanti sono critici su tale documento, il problema sta ab ovo.
Quando la Chiesa Cattolica intraprese il cammino interreligioso, travisò, nella sua nuova collegialità, non solo il suo ruolo di portatrice di Verità, ma la Verità stessa, cioè Cristo: Cristo, Valore non negoziabile in base al quale atti collegiali della Chiesa in nessun modo avrebbero potuto concedere dimensioni di salvezza ad altre forme religiose.
Gli atti di un Concilio non dogmatico (Vaticano II) possono essere sempre sottoposti a giudizi teologici perché, illo tempore, non è scontato che siano stati supportati dallo Spirito Santo, con Cristo parte del Dio Trinità, che guida la Chiesa a patto che questa sia espressione della Verità. Già nel 2000, il documento Dominus Iesus della Congregazione per la Dottrina della Fede – di cui il cardinal Joseph Ratzinger, futuro papa, fu l’ispiratore – ribadì non solo il primato del cattolicesimo sulle altre confessioni cristiane e nei confronti delle altre religioni, ma mise in guardia dal sincretismo e dal relativismo di un dio generico. Atti unilaterali compiuti dalla gerarchia ecclesiastica, con “professioni di fede” che promuovono fuori dal Depositum fideisimulacri di verità concedendo a esse disegni di salvezza, sono parodie della Verità.
Bergoglio, attingendo dal raduno interreligioso di Assisi del 1986, che pur nel sincretismo riconosceva il primato della religione sul secolarismo, fa intendere che la Chiesa Cattolica approva ufficialmente un Dio “comune”. Oltretutto le dichiarazione non rende onore né al Dio dei cristiani né a quello degli islamici, ma a una vacua divinità laica, la “fratellanza umana, che abbraccia tutti gli uomini, li unisce e li rende uguali”. Questo ricorda la “fratellanza universale”, tipico concetto massonico. La fratellanza sostituisce la carità e la comunione dei Santi portando alla distruzione di ogni elemento divisivo tra gli uomini, così come disse Immanuel Kant nelle sue tesi demagogiche sull’unica autorità europea in Per la pace perpetua (1795).
La dichiarazione di Abu Dhabi assume un senso gnostico, frutto di una elaborazione umana che condanna la religione “rivelata” all’irrilevanza. Si tratta di un Dio da cui tutte le religioni sono legittimate ad attingere, in quanto esternazioni umane e storiche di un’esperienza dell’uomo, non di una rivelazione esterna. Nessun accenno a un fondamento metafisico. Come fecero i trovatori provenzali, Bergoglio cerca quei versi gradevoli alle orecchie dei sovrani medievali, oggi l’élite di potere che include gli attenti pasdaran della “democrazia liberale” dei Lumi. Il novello trovatore gesuita, in sei anni di pontificato, pascendo un gregge ecclesiasticamente corretto, facendolo pascolare sopra una faglia tellurica, lo ha costretto al bradisismo dottrinale, a vivere una fede ansiogena.
Detto questo, sull’atto formale assunto insieme ai musulmani e firmato “a nome della Chiesa Cattolica” occorre precisare che, per quanto firmata dal papa, tale dichiarazione non fa parte del Depositum fidei. L’11 aprile scorso in Vaticano, Bergoglio, confermando la “bontà” del documento di Abu Dhabi, ha compiuto un gesto simbolico prostrandosi di fronte a tre leader politici del Sudan, baciando loro i piedi, implorando la pace. Gesto che di fatto esprime la sottomissione al potere politico e il rifiuto della Regalità di Nostro Signore Gesù Cristo. Chi rappresenta Cristo sulla terra, nel cui nome ogni ginocchio si piega nei cieli e sulla terra (Filippesi 2, 10), deve ricevere l’omaggio degli uomini e delle nazioni e non prestare omaggio a nessuno: c’è da chiedersi, dopo questo atto, dove andrà a finire la missione salvifica della Chiesa.
Esistono poi evidenti collegamenti tra tale documento sulla Pace mondiale e l’inarrestabile refrain di Bergoglio che si attarda, ogni dove, sulla strada del consenso che oggi trova nell’immigrazione il suo dogma assoluto. Se è vero che il Signore ha detto: “Ero straniero e non mi avete accolto… Lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno”, è impensabile che si possa attribuire al Signore l’adesione all’imprudenza di certi pastori, in un contesto che ci vede impotenti di fronte all’affluenza verso l’Europa di migliaia di profughi strumentalizzati politicamente e spinti a morire nel Mediterraneo. Fenomeno sul quale non si intravedono soluzioni, anche perché nessuno, al di là della pelosa carità di soggetti economicamente motivati, sembra manifestare la volontà di rimuoverne a monte le cause con interventi a livello internazionale, mentre ONU e UE sono latitanti.
Sotto il profilo identitario si dice che Bergoglio, in quanto sudamericano, non conosca a fondo la realtà islamica, ma egli non applicando la virtù teologale della prudenza rischia di concorrere al completo disarmo culturale del continente europeo, già debilitato da secoli di laicismo. A questo c’è da aggiungere che egli si dimentica puntualmente di fare i nomi di quelle nazioni, come la Francia, che hanno acceso la miccia, per esempio nella polveriera libica, per motivazioni vetero-coloniali.
L’accoglienza ideologica non ha nessun nesso concreto con la carità. Se una religione esogena, in assenza della difesa dei valori endogeni, trova la sponda ideale per un progetto egemonico attraverso l’occupazione religiosa, contemplerà di fatto anche la sostituzione etnica. Questo bisognerebbe farlo capire a quei vescovi che vendono chiese e terreni alle comunità islamiche, ricevendo di fatto denaro (che sarebbe utile, come diceva Giovannino Guareschi, per i nostri poveri e non per costruire moschee) dalle monarchie arabe, dall’Arabia Saudita, dal Qatar e dagli Emirati Arabi. Moschee e “associazioni culturali” muovono un volume d’affari difficilmente calcolabile, ma che raggiunge, secondo stime riportate da “La Verità”, una cifra di 42 milioni all’anno.
L’effetto Abu Dhabi non ha tardato a manifestarsi. L’inizio del Ramadan, lo scorso 5 maggio, ha visto diocesi e parrocchie partecipare, in nome della fraternità evocata da Bergoglio, a una gara di solidarietà nei confronti dei musulmani. Senza dimenticare una serie di iniziative che sono andate oltre le intenzioni del documento, come quella dell’Ordine dei Frati Minori che si è spinto a sostenere che musulmani e cristiani subiscono le stesse “persecuzioni, guerre e ingiustizie”; tutto ciò in concomitanza con la strage di cristiani per mano di islamisti in Indonesia…
Dietro la foglia di fico del dialogo, come in occasione del mese sacro degli islamici, emerge sempre di più la crisi d’identità del cattolicesimo. Secondo Marcello Veneziani, “con il papato del sudamericano Bergoglio la civiltà cristiana europea si dispone al tramonto”. Monsignor Nicola Bux, liturgista e studioso dell’Oriente fuori dal coro dell’ecclesiasticamente corretto, afferma con preoccupazione:
Non ha alcun senso condividere le celebrazioni del Ramadan con i musulmani, soprattutto se si tratta di preghiere in comune, perché quando prega un cattolico lo fa “per Cristo Signore nostro” che ci ha rivelato il vero Dio. Queste iniziative non fanno che rafforzare negli islamici la convinzione che noialtri siamo apostati della nostra religione e che loro sono più forti di noi.
Nelle più importanti città europee la convivenza è al limite, anche se “La Civiltà Cattolica” si ostina a definirla “narrazione mediatica”. In Francia le banlieue scoppiano, a Marsiglia la popolazione islamica è al 40%. In Belgio abbiamo visto l’esito tragico del quartiere multiculturale di Molenbeeck, alla periferia di Bruxelles, dove è nato un partito maomettano che si propone di introdurre la sharia. In Gran Bretagna c’è quella che viene chiamata Londonistan, città nella città con la sua legge e il suo tribunale. Sono alcuni esempi di una gemmazione musulmana che avviene con il placet dei liberal di sinistra, veri responsabili della catastrofe, che si rifiutano di vedere e che verranno anch’essi travolti da quell’integralismo religioso.
Il rischio di islamizzazione è reale. Dove si crea un vuoto spirituale, questo viene riempito mettendo a rischio le identità autoctone. Monsignor Mariano Crociata, studioso dell’islam, ha pubblicato lo scorso anno un libro dal titolo Cristiani e musulmani nei secoli, dove sconsiglia alla Chiesa un approccio del tutto acritico rispetto al fenomeno migratorio:
Per la Chiesa lo straniero non esiste e siamo tutti uguali davanti a Dio, senza distinzioni. Per cui giustamente la Chiesa ragiona seguendo i suoi postulati. Tuttavia, quello migratorio è un fatto che va guidato dallo Stato e dalle sue leggi e la Chiesa non può e non deve interferire su questo fenomeno, non le compete. Il Catechismo della Chiesa dice espressamente che si fa carità e dunque si accoglie secondo le reali ed effettiva disponibilità. La carità non ha confini, i poveri sono uguali senza distinzioni, ma tale carità deve partire dai vicini per arrivare ai lontani. Lo Stato deve, con grande prudenza, valutare chi entra, chi è, da dove viene e se ne ha diritto, tenendo insieme i valori dell’accoglienza con quelli della sicurezza. Chi bussa in Europa lo faccia, rispettando le leggi, adeguandosi alla cultura e alle abitudini religiose di chi lo ospita.
Purtroppo tutto ciò si scontra con uno dei passaggi del controverso documento di Abu Dhabi riguardante la “diversità delle religioni”, che in sostanza dissuade (anche i cattolici!) dal proselitismo. Se l’attuale Pastore Universale della Chiesa non ci avesse abituato al bradisismo di cui sopra, la prescrizione ci farebbe sobbalzare; ma sappiamo che Bergoglio è tanto chiaro, limpido, cristallino sui temi sociali e politici, quanto è fumoso su quelli religiosi (vedi Amoris et Letitia).
Noi tuttavia ci “ostiniamo” a credere ancora nella conversione dei cuori e nell’evangelizzazione:
Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo.
Matteo 28, 16-20
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