LE ONG PORTANO LA NOMINATA E I TRAFFICANTI FANNO I FATTI.....
Sono passati 12 giorni da quando la nave Sea Watch3 ha cominciato a girare su se stessa a circa 15 miglia dall’isola di Lampedusa. A bordo stremati dalla tensione equipaggio e 42 persone chiamate migranti. 42 vite diverse, 42 persone diverse. Qualcuno forse buono, qualcuno forse cattivo. È in base a quel “forse” che la legge del mare ha stabilito che chi si trova in difficoltà va soccorso e portato nel luogo più vicino e sicuro: poi potrà chiedere asilo e forse ottenerlo oppure no. È questa la legge che il comandante Carola Rakete, poco più che trentenne, ha deciso di seguire senza pensare che questa legge, logica, umana e solidale è stata stravolta con l’intento di chiudere i porti e le porte.
Porti e porte che però restano chiusi solo per le navi umanitarie. Soprattutto per questa nave blu che per la terza volta in un anno prova a forzare la serratura, trovando però stavolta il catenaccio più grosso e resistente del nuovo decreto sicurezza italiano.
Sono giorni che Carola Rakete pensa di superare quel limite delle 12 miglia che la separano dall’Italia e di entrare in porto. Sapendo che rischia lei stessa di dover pagare una multa fino a 50 mila euro e di vedere confiscata la nave. Non si capacita di dover far girare come una trottola quella balena di ferro con a bordo 42 uomini, donne e minori tra cui un bambino di dodici anni che viaggia da solo e che non ha avuto il permesso dal Viminale di scendere con i 10 più vulnerabili.
La beffa più grande per Carola Rakete è sapere che la porta d’Europa lampedusana si apre più volte in questi 12 giorni in cui la Sea Watch3 viene tenuta a debita distanza. Oltre 150 persone partite da Libia e Tunisia sbarcano sull’isola da barche arrivate in autonomia. Perché i trafficanti non sono interessati ai partiti politici che governano i paesi più vicini nel Mediterraneo ma sono interessati ai loro guadagni miliardari (3 miliardi di dolori si stima sia il ricavato annuale del traffico di esseri umani).
In mancanza di navi in soccorso nel Mediterraneo Centrale, come filmato da un aereo Frontex usano navi o pescherecci dove caricano fino a 100 persone. Arrivati a metà strada, li trasbordano e li lasciano andare verso nord. Un modo per evitare che la percentuale di morti in mare aumenti a causa del lungo e incerto viaggio e per far arrivare a destinazione la loro merce. Sapendo che le barche con persone in difficoltà a bordo entrano nei porti senza se e senza ma. Così i trafficanti si fanno beffe degli Stati che vorrebbero chiusi i porti e si fanno beffa delle stesse Ong che sono diventate il centro di tiro delle frecce e degli strali di tutti. “In 12 giorni sarebbero arrivati tranquillamente in Olanda che è lo stato di bandiera o in Germania che è lo stato della Ong” si sente ripetere a raffica sui social sempre più imbevuti di odio e imbeccati da fake news. Falso: perché anche se questa nave ha un’autonomia di tre settimane, un viaggio così lungo con 42 persone che arrivano dai campi libici e sono state per ore in mare su un gommone, è troppo rischioso. Se qualcuno si sente male in alto mare non c’è nessuno che lo viene a prendere. Tant’è che la nave Aquarius l’anno scorso fu scortata a Valencia da due navi della nostra Guardia Costiera e Marina Militare. Con un costo elevatissimo per le tasche del nostro paese.
Non c’è dunque alcuna soluzione in questa ennesima penosa vicenda perché l’attore che deve soccombere è l’organizzazione umanitaria non perché i porti siano realmente chiusi ma perché si vuole vincere una prova di forza verso chi si ostina ad essere solidale.
Sul sagrato della Chiesa solidali restano il parroco e i volontari dell’associazione delle chiese evangeliche e valdesi Mediterranean Hope. In diverse città si organizzano staffette solidali ma nessuno batte colpo da Bruxelles.
“Io non riesco a pensare che un Continente di 500 milioni di abitanti assista senza colpo ferire a 43 profughi disgraziati che ciondolano di fronte a Lampedusa” ha gridato ieri Emma Bonino.
Ancora una volta lascia allibiti il silenzio assordante dell’Europa. Un silenzio addirittura più pesante del catenaccio italiano.
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