Il Giuramento d’Ippocrate
”Giuro di esercitare la medicina in libertà e indipendenza di giudizio e di comportamento; di perseguire come scopi esclusivi la difesa della vita, la tutela della salute fisica e psichica dell’uomo e il sollievo della sofferenza, cui ispirerò con responsabilità e costante impegno scientifico, culturale e sociale, ogni mio atto professionale; di non compiere mai atti idonei a provocare deliberatamente la morte di un paziente; di attenermi nella mia attività ai principi etici della solidarietà umana, contro i quali, nel rispetto della vita e della persona non utilizzerò mai le mie conoscenze; […] ”.
Giuramento d’Ippocrate
Fin dall’antichità, il Giuramento di Ippocrate pone le basi del comportamento professionale del medico, non solo nei confronti del paziente e della scienza, ma soprattutto nei confronti di un’etica morale superiore ad ogni fine e proposito. Scienza, progresso tecnologico, scienza medica hanno lo scopo di difendere, garantire e migliorare l’esistenza dell’uomo, pur sempre nel rispetto del diritto più importante dell’essere umano, il diritto inalienabile alla vita. Niente di più lontano da ciò che si verificò nelle varie Unità di Ishii Shiro e colleghi dal 1932 al 1945. La più totale negazione di ogni morale umana e scientifica venne portata avanti da molte delle menti più brillanti del Giappone in nome di un progresso tecnologico offensivo senza freno. I medici giapponesi operarono nella più assoluta noncuranza del bene e del male. A spregio della sofferenza altrui, utilizzarono le loro conoscenze per mettere a punto armi biologiche e batteriologiche di distruzione di massa. L’agonia di centinaia di migliaia di essere umani venne deliberatamente provocata per fini inumani e come mezzo per creare ulteriori e atroci sofferenze.
A distanza di oltre sessanta anni, la coltre di nebbia che offusca la verità sui fatti concernenti la guerra biologica giapponese non è stata ancora del tutto assottigliata e, cosa ben più grave, nessuno ha mai pagato per i crimini commessi. All’imperatore Hirohito fu garantita l’immunità da qualsiasi processo per crimini di guerra e morì di cancro il 7 gennaio 1989, dopo sessantasette anni di regno. Durante il decorso della sua malattia un quotidiano inglese, il Daily Star, scrisse un articolo intitolato “Let the bastard rot in hell” [che il bastardo marcisca all’inferno], accusando l’imperatore di essere personalmente responsabile della morte di migliaia di persone in esperimenti con microrganismi letali1. Sebbene le decisioni in materia di politica interna ed estera fossero demandate al gabinetto governativo, comunque Hirohito poteva svolgere un ruolo di contenimento nelle questioni di stato. Come egli intervenne il 15 agosto 1945 per costringere il gabinetto a firmare la resa incondizionata agli Alleati, allo stesso modo sarebbe potuto intervenire contro l’inumanità degli esperimenti di guerra biologica. Hirohito conobbe personalmente Ishii Shiro e lo insignì delle più alte decorazioni governative per le azioni di guerra biologica compiute presso il fiume Nomonhan contro l’esercito sovietico e mongolo. Gli ingenti fondi annui (dai 15 ai 20 milioni di yen) diretti alle varie Unità biologiche giapponesi in Cina non potevano certo sfuggire all’attenzione dell’imperatore, continuamente aggiornato su tutto ciò che concerneva l’andamento della guerra e le questioni ad essa connesse. Sebbene non ci siano documenti che attestino il fatto che Hirohito fosse a conoscenza degli esperimenti sugli esseri umani, sicuramente gli erano note le ricerca sulle armi biologiche. Anche alcuni membri della famiglia reale parteciparono al programma di guerra biologica. Un cugino dell’imperatore e fido consigliere lavorò a Pingfan sotto falso nome; due fratelli di Hirohito, appassionati di biologia, conoscevano personalmente Ishii e alcuni importanti esperti delle armi biologiche; il più giovane dei fratelli dell’imperatore, principe Mikasa, visitò l’Unità 731 e molte altre installazioni, come è dimostrato da alcune foto scattate dagli ufficiali dell’Unità Ishii. Nel 1983, il principe Takeda Tsuneyoshi, cugino di Hirohito, in un’intervista riguardo alle attività di guerra biologica giapponesi si giustificò dicendo che era “necessario studiare qualsiasi mezzo per muovere guerra2”.
I membri del gabinetto politico e gli alti vertici militari non furono mai giudicati per i crimini di guerra biologica, anche se alcuni furono condannati a morte o a pene detentive per altri crimini di guerra. Il Comando Supremo era continuamente informato sulle attività di Ishii, Kitano e Wakamatsu fin dal 1932. I Comandanti in Capo dell’Armata del Kwantung, generale Umezu Yoshijiro e il suo successore Yamada Otozoo (giudicato a Khabarovsk) erano a conoscenza dei vari esperimenti ed azioni biologiche, come tutti gli alti gradi dei corpi veterinari e medici dell’Armata.
Il generale di divisione Ishii Shiro, i suoi colleghi e i vari sottoposti non furono mai portati davanti ad una corte giudiziaria, bensì cominciarono una nuova vita da civili, liberi e apparentemente innocenti. I tecnici dell’Unità 731 e 1644 giudicati ad Khabarovsk, ancora detenuti in Unione Sovietica, tornarono nelle loro case in Giappone nel 1956, anche loro liberi e non più penalmente perseguibili. Uno dei dodici, Karasawa Tomio, si suicidò poco dopo essere stato liberato.
Gli Stati Uniti, l’URSS, le dinamiche politiche e geopolitiche della guerra fredda avevano trasformato dei feroci criminali in uomini assolti, senza mai essere stati giudicati. La corsa agli armamenti più efficaci in vista di un’eventuale conflitto tra Est ed Ovest, la volontà di dominio e di potenza avevano sepolto la necessità di rendere giustizia a chi era stato sacrificato e utilizzato dalla crudeltà dei medici del Sol Levante. Questi ultimi, non solo evitarono il giudizio dell’umanità intera, ma, grazie alla collaborazione con le forze d’occupazione statunitensi, ricoprirono incarichi di prestigio all’interno del gabinetto governativo, nelle strutture pubbliche, nelle università e nelle istituzioni o industrie private, come case farmaceutiche e laboratori scientifici.
Ishii Shiro si ritirò nel 1945 nella sua casa nella prefettura di Chiba, nelle vicinanze di Tokyo. Dopo aver ottenuto la più completa immunità da parte degli Stati Uniti d’America in cambio delle sue sterminate conoscenze, condusse una vita tranquilla insieme alla sua famiglia. L’esercito gli garantì un’ingente pensione da generale di divisione e amici ed ex colleghi dell’Unità 731 continuarono per anni a fargli visita, anche se non gli fu mai concesso un lavoro come esperto né in istituzioni private né pubbliche. Il fatto che egli fosse un criminale era risaputo e non poteva, per questo, esporsi in pubblico. E’ possibile che fosse anche controllato dai sovietici e dal Partito Comunista Giapponese. Morì da libero cittadino, all’età di sessantasette anni, di cancro alla gola. Murray Sanders disse nel 1985 di aver sentito che Ishii, negli anni Cinquanta, aveva segretamente tenuto delle conferenze a Camp Detrick sul miglior modo di utilizzare le armi biologiche. Nel 1951, l’agenzia di stampa Reuters, in un dispaccio, asseriva che Ishii, Kitano, Wakamatsu ed altri veterani dell’Unità 731 sarebbero stati mandati in Corea del Sud dagli alti vertici militari degli Stati Uniti, per preziose consulenze sull’uso delle armi biologiche durante la Guerra di Corea3. La figlia di Ishii smentì queste voci che, comunque, non possono essere verificate in alcun documento o testimonianza attendibile.
Il dottor Ishikawa Tachiomaru, ex patologo dell’Unità 731, negli anni Settanta divenne preside dell’Istituto di medicina dell’Università Kanazawa, una delle più illustri istituzioni giapponesi. Ogawa Toru, ex addetto alla selezione dei ceppi più virulenti di tifo e paratifo presso l’Unità 1644 di Nanjing, divenne professore alla Facoltà di medicina di Nagoya. Tabei Kazu, responsabile di molti esperimenti sul tifo a Pingfan, divenne docente di batteriologia a Kyoto. Yoshimura Hisato, esperto degli esperimenti sul congelamento presso l’Unità 731, divenne, nel 1973, presidente della Società di Meteorologia e guidò numerose spedizioni in Antartide per studiare, questa volta su dei volontari, gli effetti del freddo estremo sulla fisiologia umana. Più tardi fu persino consulente per una ditta di pesce surgelato, nonché docente all’Università di Kyoto. Wakamatsu Yujiro, ex capo dell’Unità 100 a Changchun, fu membro scientifico dell’Istituto Nazionale della Salute e lavorò per vari istituti sanitari nella ricerca pediatrica sulle infezioni da streptococco. Alcune patologie equine studiate da Wakamatsu presso la sua Unità in Cina sono dovute allo streptococco. A questo punto, la domanda se il suo lavoro durante la guerra abbia influenzato la sua successiva occupazione in Giappone potrebbe risultare retorica.
Naito Ryoichi, Kitano Masaji e Futagi Hideo, tra i principali pianificatori degli attacchi biologici in Cina e responsabili dei molti esperimenti sugli esseri umani all’Unità 731, nel 1947 fondarono la Japan Blood Plasma Company, una banca del sangue. Nel 1950, si assicurarono un fruttuoso contratto con gli Stati Uniti per le forniture di sangue ai soldati americani impegnati nel conflitto coreano. Più tardi, i tre cambiarono il nome della loro compagnia in Midori Juchi, Croce Verde, dando vita ad una casa farmaceutica con un fatturato annuo di quasi un miliardo di euro. Alla morte di Naito, nel 1982, la Midori Juchi creò la Fondazione Naito per la ricerca degli studi sul sangue, campo di studio del medico giapponese a Pingfan. Nel febbraio del 1988, la Midori subì un fortissimo scandalo: aveva venduto sacche di sangue non sterilizzate a pazienti emofiliaci che contrassero il virus dell’AIDS (oltre 2.000 tra Giappone e USA). Le denunce delle vittime dell’incuria della Midori riportarono a galla il passato dei fondatori della società farmaceutica, che furono costretti a pagare milioni di dollari in risarcimenti. Nel 1998, la Midori Juchi cambiò nome in Midori Pharmerica, nel 1999 in Welfare Corporation e si fuse, nel 2001, al settore farmaceutico della Mitsubishi Corporation. Tuttora esiste come entità distinta all’interno del gruppo Mitsubishi4. Il medico giapponese Yamaguchi Ken’ichiro, che si occupava degli effetti del lavoro dell’Unità 731 sull’attuale scienza medica giapponese, era dell’opinione che la distribuzione di sangue infetto facesse parte di un programma della Midori per il lucroso sviluppo di un vaccino contro l’AIDS5, ma non ci sono prove per confermare la teoria di Yamaguchi.
Molte altri ancora sono gli istituti medici e farmaceutici che assunsero ex membri del personale dell’Unità 731 come la Takeda Pharmaceutical Company e la Hayakawa Medical Company. Le Facoltà di medicina dell’Università di Tokyo, Kyoto, Osaka, Kanazawa, l’Università di farmacologia di Showa, l’Università di medicina della prefettura di Nagoya e molte altri istituti d’istruzione accolsero come docenti ex membri del personale delle Unità antiepidemiche. Altri membri del Distaccamento 731 ebbero ricche e fortunate carriere nella pubblica amministrazione, come Kitano Masaji che divenne Ministro dell’Educazione6.
Il primo a smascherare i legami tra gli Stati Uniti e le Unità di Ishii e a far luce sugli accordi segreti tra gli scienziati giapponesi e gli USA fu John W. Powell che, nell’ottobre del 1981, pubblicò sulla rivista Bulletin of the Atomic Scientists un lungo articolo intitolato “Japan’s Biological Weapons: 1930-1945. A Hidden Chapter in History”[Le armi biologiche del Giappone: 1930-1945 un capitolo segreto nella storia]. Powell scoprì dei memorandum top secret che coinvolgevano il generale Douglas MacArthur, il suo capo dell’intelligence, il generale Charles Willoughby, il capo della sessione legale Alva Carpenter e il Comitato di Coordinamento del Dipartimento di Stato, della Marina e della Difesa (SWNCC). Implicati nell’acquisizione dei dati giapponesi erano il U.S. Chemical Warfare Service (Servizio della Guerra Chimica degli USA), il Capo di Stato Maggiore Congiunto, il Dipartimento di Giustizia e il prosecutore capo statunitense dei crimini di guerra, Joseph Keenan. Powell spiegò come molti civili cinesi fossero stati utilizzati per testare l’efficacia e la virulenza delle armi biologiche, descrisse gli esperimenti, le dissezioni e tutta la serie di infezioni letali che i giapponesi avevano studiato e sviluppato. Anche se, dopo l’uscita dell’articolo di Powell, il governo USA continuò a negare, con continue smentite, la più grande manovra di copertura della storia degli Stati Uniti, il Giappone, nel 1983, ammise l’esistenza del programma di guerra biologica.
L’articolo sul Bulletin of the Atomic Scientists aprì anche un altro dibattito: Powell scrisse che probabilmente diversi aviatori statunitensi potevano essere stati usati come cavie da laboratorio dai giapponesi. Un membro del Congresso statunitense, il democratico Pat Williams, il 17 settembre 1986, durante la seconda sessione del novantanovesimo Congresso, disse “ora sappiamo che Mukden [Shenyang] non era solamente un altro campo di prigionia giapponese per soldati alleati. Gestito dagli scienziati giapponesi dell’Unità 731, Mukden era un luogo dove avvenivano mortali esperimenti chimici e biologici tramite iniezioni, dissezioni, analisi del sangue e delle feci, congelamento di parti del corpo, infezioni con antrace, bacillo della peste, colera, dissenteria e tifo. Questo è ciò che accadde a molti aviatori americani sopravvissuti alla marcia della morte di Bataan7. Insieme ai nostri soldati in questi terribili campi c’erano inoltre cinesi, britannici, australiani e sovietici. Non sappiamo quanti ne sopravvissero, ma sicuramente sappiamo che il governo statunitense sapeva degli esperimenti alla fine della guerra8”. Vennero raccolte diverse testimonianze dei sopravvissuti statunitensi al campo di prigionia di Shenyang da parte di un Comitato dei Veterani. Esistono anche molti resoconti dettagliati e diari scritti da statunitensi e britannici sulla loro vita all’interno dei campi di prigionia giapponesi in Asia, che sembrerebbero confermare sia le accuse di Powell sia quelle di Williams, ma le agenzie americane (CIA, FBI, Amministrazione dei Veterani) furono molto evasive sull’argomento dei prigionieri di guerra utilizzati negli esperimenti di guerra biologica nel campo di Shenyang dal novembre del 1942 fino alla liberazione nell’agosto del 1945. Soprattutto non collaborarono nel fornire agli studiosi significative prove sulle condizioni fisiche e psichiche dei loro connazionali liberati, visto che prima di essere rimpatriati ricevettero tutte le cure mediche necessarie. In base alle attuali stime, sembra che siano 1.671 gli individui, di varia nazionalità, sopravvissuti alla prigionia di Shenyang e utilizzati negli esperimenti, ma nessuno di loro, apparentemente, accusò mai il Giappone di tali orrori. A tutt’oggi non è ancora possibile, perciò, stabilire con assoluta certezza se alcuni prigionieri di guerra statunitensi siano stati sottoposti alle “cure” dei giapponesi. Le prove americane sembrano smentire le accuse. Lo stesso Ishii Shiro lo negò categoricamente, anche dopo aver ottenuto la totale immunità nel 1948, ma non smentì di aver utilizzato cavie sovietiche. Inoltre il campo di Shenyang non garantiva le necessarie condizioni di sicurezza, che le altre Unità prevedevano, per portare avanti la sperimentazione sui microrganismi letali. Shenyang era continuamente visitata dai corpi di propaganda giapponese e dai membri della Croce Rossa. Altra prova per confutare le accuse è quella che 1.671 individui sopravvissero; dalle altre Unità di Ishii nessuno uscì vivo. In conclusione, prigionieri di guerra statunitensi potrebbero essere stati utilizzati come cavie umane, ma nessun documento attendibile è aperto all’interesse degli studiosi.
Nel 1997, centottanta querelanti cinesi intentarono una causa al Giappone per chiedere il risarcimento per i loro parenti (2100 persone), vittime del programma di sviluppo e produzione di armi biologiche. Il verdetto venne emesso il 27 agosto 2002, da una corte distrettuale di Tokyo presieduta dal giudice Koji Iwata9: il Giappone era effettivamente colpevole di aver compiuto attacchi biologici in Cina, ma non doveva presentare alcuna scusa formale né tantomeno pagare i risarcimenti richiesti (circa 80.000 euro per ogni querelante). La decisione ha le sue basi legali negli accordi di pace e collaborazione firmati il 29 settembre 1972 tra Repubblica Popolare Cinese e Giappone, in base ai quali la Cina rinunciava alla richiesta di ogni riparazione per i danni di guerra subiti. Il 20 maggio 2003, i centottanta querelanti hanno presentato ricorso all’Alta Corte di Tokyo.
1 Daniela De Palma, Storia del Giappone Contemporaneo 1945-2000, Bulzoni Editore, Roma 2003, pp. 172-173
2 Sheldon H. Harris, Factories of Death, op. cit., p. 143.
3 Daniel Barenblatt, I Medici del Sol Levante, op. cit., p 291.
4 Daniel Barenblatt, I Medici del Sol Levante, op. cit., pp. 300-301.
5 Hal Gold, Unit 731 Testimony, op. cit., pp. 140-141.
6 Sheldon H. Harris, Factories of Death, op. cit., p. 133.
7 Campo di prigionia nelle Filippine dove venivano segregati i prigionieri Alleati. Non meno di 8.000 tra americani e filippini morirono durante la marcia verso il campo. Per un maggiore approfondimento consultare: Lord Russell of Liverpool, I Cavalieri del Bushido, op. cit., pp. 139-144.
8 Sheldon H. Harris, Factories of Death, op. cit., p. 113.
9 Jonathan Watts, “Japan Guilty of Germ Warfare against Thousands of Chinese”, The Guardian, 28 agosto 2002.
CONTINUA.....
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