Ormai le radiazioni nucleari sono entrate
prepotentemente, ma in sordina, nel mercato alimentare. Questa pratica è nata
negli USA sin dagli anni ’20 in ambito militare per sterilizzare i cibi
destinati ai soldati. Sapere se la banana che compriamo, e la banana è oggi uno
degli alimenti più colpiti dalla “pastorizzazione a freddo”, è bollita o no è
indubbiamente una questione importante ma, se si trattasse di un problema di
semplice cottura in acqua, sappiamo anche che non esistono rischi visto che,
come abbiamo detto, quello che cambia in un alimento cotto, rispetto allo
stesso alimento crudo, sono le caratteristiche nutrizionali, senza altri
possibili effetti dannosi. Nel caso della “pastorizzazione a freddo”, gli
alimenti sono trattati con radiazioni elettromagnetiche ionizzanti, provenienti
dagli isotopi radioattivi Cobalto 60 (radiazione gamma con un’energia di 1,3
MeV), di gran lunga il più usato, e Cesio 137 (radiazione gamma con un’energia
di 0,66 MeV). Oppure con radiazione X di alta energia (10 MeV). Gli alimenti
sono portati presso una stazione di trattamento, posti su un nastro
trasportatore, che passa all’interno di una camera opportunamente schermata,
nella quale vengono irradiati ricevendo una dose di radiazione che dipende dal
tipo di alimento, secondo quanto stabilito da minuziose norme, emesse dalla
Codex Alimentarius Commission. Le motivazioni, apertamente espresse per
giustificare tale orribile procedimento, sono diverse per i diversi prodotti e
riguardano la eliminazione di batteri per le carni, di uova d’insetto e larve
per i prodotti secchi, come spezie, erbe aromatiche, cereali, legumi e frutta
secca, e l’inibizione del germogliamento nei bulbi, nei tuberi e nei frutti
freschi. Anche se l’eliminazione di
pericolosi parassiti e patogeni viene indicata come un grande beneficio per il
consumatore, lo scopo centrale, apertamente dichiarato, per produttori e
distributori è quello di prolungare la vita commercialmente utile del prodotto
(indicata in inglese come shelf life). Poi ci sono naturalmente gli
interessi della opulenta industria nucleare che con questi trattamenti può
invadere un altro appetitoso settore civile, oltre a quello delle centrali a
fissione, delle attrezzature mediche per radioterapia e degli impianti di
“sicurezza” negli aeroporti. E il business degli alimenti sembra essere grande,
perché negli ultimi 10 anni sono nati nel mondo migliaia di nuovi impianti.
Nell’ambito della normativa europea, che consente l’irraggiamento di 60
prodotti alimentari, ci risulta che l’Italia abbia autorizzato soltanto il
trattamento anti-germogliamento per agli, cipolle e patate, oltre alla sterilizzazione
per erbe aromatiche, spezie e condimenti vegetali essiccati. Non ci
aspetteremmo quindi di trovare nei negozi e nei supermercati frutta o fagioli
secchi irradiati. E invece, non solo ne troviamo in grande quantità, perfino
nei negozi che vendono esclusivamente alimenti biologici, ma essi sono
sistematicamente venduti senza la etichettatura prescritta per legge, e quindi
senza che chi compra possa liberamente scegliere fra un prodotto vivo e uno
irradiato. Ma non dobbiamo meravigliarci di trovare tanti alimenti irradiati
dato che, anche ammettendo che i produttori italiani rispettino i limiti
imposti sui prodotti nazionali, l’Italia importa ormai un’altissima percentuale
di prodotti alimentari. E la cosa più allarmante è che questo fenomeno è andato
crescendo fortemente negli ultimi anni, in maniera nettamente visibile nel caso
della frutta importata, e in maniera meno visibile, ma facilmente
riscontrabile, nel caso di legumi secchi importati. È importante a questo punto
cercare di capire quali sono le possibili trasformazioni che l’irraggiamento
può apportare agli alimenti, in particolare a quelli vivi. L’approccio
“scientifico” alla questione è decisamente empirico e riduzionista e, guarda
caso, attento agli interessi delle corporazioni del Big Food: si limita a
controllare la dose di radiazione assorbita e i danni totali causati ai
“nemici” che si vogliono distruggere, quali batteri, insetti ed embrioni
vegetali, sui quali si è usata la stessa precisione e delicatezza che un
bombardiere avrebbe su un obiettivo militare. È probabile che chi legge possa
trovarsi d’accordo sul fatto che i “cattivi” batteri vadano comunque eliminati,
e che si preoccupi principalmente degli effetti collaterali di questo
bombardamento. A questo punto, ci corre l’obbligo di spezzare una lancia a
favore dei tanto vituperati e perseguitati batteri, per la lotta ai quali è
stata addirittura creata la categoria farmacologica degli antibiotici.
L’organismo di una persona adulta sana è costituito da circa 30 mila miliardi di
cellule, e contiene circa 40 mila miliardi di batteri. Questi ultimi,
costituiscono il microbiota umano, indispensabile alla vita dell’organismo,
ogni squilibrio del quale arriva a causare gravi patologie. Siamo ancora sicuri
che i batteri siano così cattivi? L’idea, che il pensiero dominante ha
installato nelle nostre menti, è che si debba dare la caccia al batterio, come
il responsabile di quasi tutte le patologie, così come si deve combattere il
terrorista islamico, responsabile dei mali del pianeta. Il benessere non si
raggiunge con la distruzione dei batteri, ma con il raggiungimento di una
convivenza equilibrata fra le specie, e a questo equilibrio provvedono la
corretta alimentazione e lo stesso organismo. Nel caso poi dell’irraggiamento
finalizzato a ritardare il processo di maturazione nella frutta e di
germogliamento nei bulbi, il fatto che le radiazioni rompano in modo innaturale
e imprevedibile le macromolecole di un sistema biologico, interrompendo i
processi biochimici in corso, è presentato come un fatto privo di conseguenze.
Ma la domanda è: si conoscono le conseguenze per la persona che si ciberà di
quegli alimenti le cui molecole sono state macellate dalle radiazioni,
producendo mostruosi cataboliti che, ammesso che esistano in natura, sono di
certo molto rari, che probabilmente il sistema immunitario del malcapitato
organismo non riconoscerà, e che sarà quindi costretto ad attaccare come corpi
estranei? Dove diavolo è finito il principio di precauzione? A questo punto, ci
si chiede su quale normativa internazionale si basi tutta questa scellerata
operazione. La Codex Alimentarius Commission (CAC), creata nel 1963 da FAO e
OMS allo scopo dichiarato “di proteggere la salute dei consumatori e assicurare
la correttezza degli scambi internazionali di alimenti” ha oltre 20 comitati di
esperti ed emette periodicamente rapporti in cui sono fissate e aggiornate le
normative. Ma tutto lascia intendere che la CAC si preoccupi molto più del
business commerciale che della salute dei consumatori. Invece, quando si tratta
di applicare l’ovvio principio di precauzione su questioni cruciali, quale ad
esempio la presenza di diserbanti e dei loro metaboliti negli alimenti, la CAC
è sistematicamente ancorata alla visione mainstream, a sua volta ampiamente
controllata dalle multinazionali degli alimenti. Questa poca attenzione da
parte della CAC è tanto più sospetta, a fronte di una dilagante pandemia di
disbiosi umana e animale, testimoniata da un aumento vertiginoso di malattie
come Candidosi, Celiachia, Sindrome dell’Intestino Irritabile (IBS), Morbo di
Crohn, Morbo di Alzheimer, Autismo. Inoltre, tutti questi dati epidemiologici
risultano in perfetta correlazione con un mercato dei probiotici in crescita
del 10% l’anno.
In quali paesi si praticano le
irradiazioni nucleari sul cibo?
BelgioIBA Mediris SA – irradiante per gamberi, cosce di rana, erbe, verdure surgelate, formaggi, uova, pollame / selvaggina, carne, pesce, frutta secca, amido, plasma, piatti pronti.
Repubblica Ceca
Nessun dato disponibile sugli impianti esistenti. Alimenti trattati: erbe aromatiche essiccate, spezie e condimenti vegetali, albume d’uovo. Irradiati 460 tonnellate di alimenti.
Germania
Quattro impianti di irradiazione autorizzati: – Gamma Service Produktbestrahlung GmbH, Radeberg irradia legumi secchi, erbe e spezie, altri prodotti alimentari (semi di guaranà), totale di 342 tonnellate. – Beta-Gama Service GmbH & Co.KG, Whiel, irradia granulato di funghi, materie prime vegetali (prezzemolo, aneto, coriandolo), polvere di sedano spinaci in polvere, rafano, prezzemolo. Totale di 24 tonnellate. – Isotron Deutschland GmbH, Allershausen irradia condimenti, erbe, in totale: 429 tonnellate. – Gama-Service GmbH & Co KG, Bruchsal.
Spagna
Due impianti autorizzati per l’irradiazione degli alimenti.
Francia
Ci sono sette impianti autorizzati all’irradiazione di prodotti alimentari: Erbe aromatiche, spezie e condimenti vegetali, erbe surgelati, legumi secchi e frutta, gomma arabica, caseina, caseinati, carni separate meccanicamente di pollame, frattaglie di pollame, cosce di rana congelate, gamberi, per un totale di 1.800 tonn.
Ungheria
Nel 2004 non c’era nessun impianto. Nessuna informazione è stata fornita.
Italia
Nessuna informazione è stata data.
Paesi Bassi
Sono presenti due strutture autorizzate. Uno in Ede e uno a Etten-Leur. Alimenti irradiati nel 2004: Spezie ed erbe aromatiche, verdure disidratate, carne di pollame (congelata) parti rana, albume d’uovo (raffreddato), alimenti destinati all’esportazione verso i paesi terzi. Totale irradiato nel 2004: 768 tonnellate di cibo.
Polonia
Due impianti autorizzati: Istituto di Chimica e tecnologia nucleare di Varsavia, irradiati: spezie, erbe, verdure disidratate e funghi secchi, per un totale nel 2004 di 680 tonnellate. Istituto di radiazioni e Chimica Applicata dell’Università Tecnica di Lodz. Spezie irradiate nel 2004: totale di 47,8 tonnellate.
Il Regno Unito
Dispone di un solo impianto autorizzato. E’ stata approvata la pastorizzazione a freddo o irradiazione anche nei paesi come il Pakistan, la Costa Rica, l’Uruguay, per cui la maggior parte della frutta esotica subisce l’irradiazione prima di raggiungere i nostri supermercati.
Effetti collaterali dell’irradiazione
degli alimenti
L’irresponsabile promozione di questo processo,
oltre alla distruzione di gran parte del contenuto vitaminico, che nelle
verdure e nella frutta è reso già scarso dalla mancata maturazione per
esposizione solare e dallo sfruttamento dei terreni agricoli, produce anche una
serie di sottoprodotti tossici negli alimenti trattati:
– formaldeide,
– benzene,
– acido formico e prodotti
radiolitici come il 2-alklycyclobutanone, sostanze che hanno
dimostrato di essere citotossiche (ovvero danneggiano le cellule), genotossiche
(che danneggiano il DNA), e cancerogene
(provocano il cancro) in provetta e sugli animali.
Inoltre, le radiazioni gamma aumentano l’allergenicità
delle proteine alimentari e questo effetto collaterale è stato riscontrato
anche con radiazioni a basso dosaggio.
Quindi siamo di fronte simultaneamente a:
(1) patologie gravi imputabili ad alterazioni del
microbiota intestinale;
(2) presenza sempre più massiccia nell’ambiente e
in agricoltura di sostanze tossiche che inducono la disbiosi intestinale;
(3) forte crescita del mercato dei probiotici,
come risposta - solo di una parte di consumatori e medici attenti e consapevoli
– alle patologie di cui al punto (2). Ci si aspetterebbe, da una commissione
mondiale di esperti che dice di perseguire la salute dei consumatori, che si
cominciassero a studiare queste correlazioni e a mettere in discussione l’uso
di certe tecniche agricole e di trattamento degli alimenti. Invece, su questi
punti, dalla CAC vengono solo rassicurazioni. Ma, oltre a tutti i rischi citati
e ampiamente sottovalutati dalla CAC, dobbiamo citarne un altro, forse remoto,
ma ancora più grave e terrificante, sul quale la società civile dovrebbe
chiedere alle autorità competenti che venga immediatamente aperta un’indagine e
siano fatte tutte le necessarie verifiche. Parliamo di possibili reazioni di
fissione nucleare negli alimenti trattati, impossibili da verificarsi come
effetto degli irraggiamenti gamma, ma che potrebbero essere indotte dalla
eventuale presenza, nella sorgente, di scorie radioattive che emettano neutroni
ad alta energia. In questo caso, non si avrebbero solamente i danni, pur
gravissimi e ancora tutti da studiare, a livello biochimico, ma si arriverebbe
alla possibile trasmutazione o rottura di nuclei, con la formazione di
radionuclidi, che noi ingeriremmo con gli alimenti. Anche se il fenomeno fosse
di piccolissima entità, vanno tenuti presenti gli effetti letali derivanti
dall’ingestione di quantità, anche infime, di isotopi radioattivi. Sappiamo che
il Cobalto 60 è un radioisotopo artificiale, volutamente prodotto in speciali
reattori dalla trasmutazione del Cobalto 59, ma sappiamo anche che piccole
quantità di Co-60 si trovano nelle scorie dei reattori nucleari, come
sottoprodotto non voluto dell’attivazione di isotopi del ferro. E non possiamo
escludere che, con l’aumento del business delle sorgenti di Co-60, si possa
tendere ad introdurre intenzionalmente del Co-59 in un grande reattore per la
produzione di energia, al fine di avere una produzione a basso costo di questo
radioisotopo. A questo punto, come essere sicuri a priori che un Co-60 così
prodotto sia esente da scorie contenenti radionuclidi che emettono neutroni in
grado di indurre una fissione nei nuclei dell’alimento? Anche se questa ipotesi può apparire eccessiva, non è affatto campata
in aria, visto che a gestire questo traffico di impianti mortiferi sono delle
multinazionali che, notoriamente, per aumentare il fatturato, praticano tutto
il possibile, e spesso anche l’impossibile. Quali speranze abbiamo? Giunti
a questo punto, a chi ci abbia pazientemente seguito fin qui sorge spontanea
una domanda, peraltro ormai sistematicamente ricorrente: di fronte a questo
ennesimo scenario disperante, che fare? Se l’ambizione è quella di risolvere il
problema alla fonte, allora forse non c’è molto da dire e da sperare. Si deve,
anche per questo nuovo attacco contro la società civile, cominciare con tenacia
una lotta dura e difficile ma sacrosanta, così come hanno fatto molti gruppi di
cittadini coraggiosi per la TAV, il MUOS, gli OGM, i vaccini, i diserbanti. Ma in questo caso, potremmo perseguire un
primo obiettivo, efficace e molto meno ambizioso, usando quei residui di
democrazia formale che ancora ci restano a disposizione - e che l’eventuale
entrata di un TTIP domani ci toglierebbe – per chiedere che la normativa
italiana di etichettare i prodotti irradiati sia rigorosamente rispettata. A
quel punto, se riuscissimo a vedere soddisfatte le nostre richieste, certo non
avremo fermato lo scempio sugli alimenti, ma potremmo almeno scegliere cosa
mangiare e non mangiare (o ci resterebbero da mangiare solo gli insetti?). E se, usando i media a nostra disposizione,
saremo stati così bravi da dare il giusto risalto a questa azione,
diffondendola viralmente, in modo da rendere consapevole la società civile su
un problema così cruciale, allora potremo anche sperare che molti consumatori
ci seguano e che il mercato degli alimenti radioattivi abbia una sostanziale
caduta, che scoraggi gli artefici di questi orrori dal continuare il loro
business. Sarebbe una vittoria della democrazia diretta e della ragione sulla
barbarie che le multinazionali ci infliggono con l’appoggio dei nostri
governanti compiacenti. E sarebbe, una volta tanto, una vittoria della mano
invisibile del mercato buono, quello inusuale dei consumatori consapevoli, sul
Washington Consensus. Ma i nostri governanti che ci considerano dei parassiti e
degli “inutili mangiatori” come direbbe l’élite globale, e che autorizzano
l’avvelenamento dei cibi che finiscono anche sulle loro tavole, di che mai si
nutriranno? Di insetti? La domanda sorge spontanea, diceva qualcuno.
CINZIA PALMACCI
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