venerdì 21 settembre 2018

IL GLOBAL COMPACT SULL’IMMIGRAZIONE GIOCA AL RIBASSO CON I DIRITTI UMANI



“Since earliest times, humanity has been on the move. Some people move in search of new economic opportunities and horizons. Others move to escape armed conflict, poverty, food insecurity, persecution, terrorism, or human rights violations and abuses. Still others do so in response to the adverse effects of climate change, natural disasters (some of which may be linked to climate change) or other environmental factors. Many move, indeed, for a combination of these reasons”. Questo è il testo dell'introduzione del documento uscito dal meeting di alto livello sull’immigrazione dei rifugiati (purtroppo non sono tutti rifugiati e la semplificazione è quantomeno sospetta), tenutosi nel settembre 2016 all’ONU. Al punto 1 si legge che sempre più persone emigrano dai loro paesi in cerca di migliori condizioni economiche ed opportunità, sdoganando la figura del "migrante economico" che, a differenza di quelli che fuggono da conflitti, persecuzioni e terrorismo (anche se i terroristi di casa loro ce li ritroviamo anche in Europa), non hanno diritto allo status di rifugiato politico, e dunque non sono autorizzati a restare sul territorio di approdo. Ma la trappola di questo documento, che sarà sottoposto al voto di ratifica in ottobre, è proprio questa: quella di azzerare ogni speranza di poter regolamentare in patria il flusso ormai allarmante di migranti che arrivano sulle nostre coste. E' necessaria un'azione energica di contrasto da parte dell'opinione pubblica e del governo attraverso raccolte di firme o lo strumento democratico del referendum, perché le comunità ospitanti hanno il diritto di decidere ed essere parte attiva nella soluzione di questo annoso problema, che coinvolge gli interessi economici, politici e sociali dei paesi ospitanti. Il Global Compact, sulla carta, si prefigge di concordare i criteri basilari per una migrazione internazionale «disciplinata, sicura, regolare e responsabile». Nella Dichiarazione è posta un’attenzione specifica ai bisogni di donne, bambini e delle persone che necessitano di assistenza sanitaria, il riconoscimento e l’incoraggiamento degli apporti positivi dei migranti e dei rifugiati allo sviluppo sociale, la garanzia che il loro benessere rappresenti la priorità nei progetti di sviluppo, la garanzia di un finanziamento adeguato, flessibile e prestabilito. Il Patto però prevede anche impegni specifici in relazione sia ai rifugiati che ai migranti, con un maggiore sostegno ai Paesi e alle comunità che ospitano il maggior numero di rifugiati. Altri impegni riguardano la creazione di posti di lavoro e di sistemi per favorire l’accesso al reddito per i rifugiati e le comunità ospitanti. Abbiamo capito bene, se ratificato, il Patto prevede anche di occuparsi non solo delle garanzie legittime a favore dei rifugiati, ma anche dei migranti generici, quelli cioè che si riversano sulle nostre coste per i motivi più disparati, ma che con le tutele giuridiche del diritto internazionale e costituzionale dei singoli paesi, hanno poco o nulla a che vedere. Per non parlare dell’accesso al reddito, che diventa sempre più una chimera per i popoli ospitanti che non fanno più figli perché per loro non sono previste politiche di aiuto alla natalità, mentre dei migranti c’è bisogno perché fanno figli al posto nostro e, per giunta, ci pagano pure le pensioni! Intanto, di tasca nostra, li manteniamo nei centri d’accoglienza a 35 euro al giorno, che ormai in Italia non te li guadagni neanche con una giornata di lavoro, quando c’è. Secondo il Global Compact “dobbiamo accogliere” senza se e senza ma. Ma intanto arriva anche il ritiro americano dal Patto globale sui migranti mentre il Consiglio di Sicurezza dell’Onu intensifica le riunioni sulle migrazioni. L’America si muove in direzione opposta al mondo. La direzione del mondo va verso la condivisione delle sfide globali, o meglio, globaliste e “glebaliste” dei servi della gleba pronti a tutto pur di lavorare e campare, pure farsi sfruttare dalle mafie. Perché sono questi i lavori che gli Italiani “non vogliono più fare”, per dirla con alcuni politicanti e mass mediologi. Ma, in fondo, gli Africani illusi poi disillusi che ne sanno dei nostri problemi? A loro se parli di mafia, parli di un’opportunità di sopravvivenza, l’unica che gli resta. L’America che gli promettevano sui barconi è lontana, e anche lei sta chiudendo le frontiere...

CINZIA PALMACCI
     

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