Il Mediatore europeo ha aperto una inchiesta su Mario Draghi. Su sollecitazione di Corporate Europe Observatory (l’ONG che si occupa di monitorare le grandi lobby e i conflitti di interesse) è finita sotto torchio l’adesione del Presidente della BCE e il coinvolgimento di alti funzionari dell’Istituto al Gruppo dei Trenta, un gruppo internazionale privato avvolto da assoluta segretezza e opacità che si occupa di questioni economiche, monetarie e finanziarie. Secondo le accuse, la partecipazione di Draghi a questo gruppo mina i requisiti di indipendenza, reputazione e integrità della BCE.
Tra le fila del gruppo dei Trenta vi sono soprattutto le grandi banche di investimento, come JP Morgan, Goldman Sachs, Credit Suisse, Morgan Stanley, Deutsche Bank, Santander, UBS, e anche i fondi che speculano sui crediti deteriorati come Blackrock (qui la lista dei membri) In particolare, il forum si è occupato di individuare le riforme per mettere in sicurezza il sistema bancario e finanziario che ci ha trascinato nella crisi più profonda della storia recente.
La BCE minimizza e in una nota difende Draghi e i suoi funzionari dicendo che partecipano solo per “approfondire la conoscenza delle questioni economiche e finanziarie internazionali” e di non“influenzare il processo decisionale”.
Ma tutta la verità sta venendo a galla. Dietro alla mancata riforma della finanza globale, dietro al ritorno della speculazione finanziaria e al consolidamento delle grandi banche di investimento too-big-to-fail (anziché lo smantellamento che era stato promesso), c’è un enorme “regulatory capture”, ovvero quel fenomeno per cui le grandi banche private e la lobby finanziaria influenzano, secondo i propri interessi privati, gli orientamenti dei regolatori e frenano ogni tentativo di riforma. Siamo dentro un gigantesco conflitto di interessi tra regolatori e banche private che viene naturalmente coltivato e alimentato proprio grazie alla costante interazione degli appuntamenti informali e alla pericolosa contiguità dei controllori con i vigilanti.
Non possiamo quindi stupirci se la riforma della finanza realizzata in questi anni sia molto lontana da quanto era stato promessa dopo lo scoppio della crisi. Nessuna azione contro le mega-banche (la proposta di separazione bancaria è stata addirittura ritirata con il favore della BCE), nessuna misura efficace contro l’eccessiva accumulazione di rischi finanziari, le pericolose interconnessioni nel settore bancario, o contro il rischio sistemico legato alla crescita del sistema bancario ombra che minaccia la stabilità del sistema finanziario globale.
Si è andati invece nella direzione opposta.Le pressioni della vigilanza si sono concentrate in modo asfissiante sul rischio di credito e sul modello più sano e stabile di banca, quello delle banche tradizionali e territoriali concentrate sul finanziamento dell’economia reale. Un approccio che contribuisce all’obiettivo, dichiarato più volte dalla BCE: favorire il processo di consolidamento bancario, ovvero meno banche e più grandi. La BCE sta da tempo incoraggiando le fusioni bancarie e le svendite in massa dei crediti deteriorati a vantaggio dei fondi speculativi. Difficile non sentire l’odore di conflitto di interessi e non vedere dietro queste decisioni l’esigenza di accomodare aspettative e esigenze della potente lobby finanziaria.
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