NEL SILENZIO DEI MEDIA
LA RUSSIA ACCUSA GLI USA:
120 VITTIME IN UN MESE
PER GLI ATTACCHI AEREI
CON BOMBE FUORILEGGE.
E L’ISIS TORNA AD UCCIDERE
di Fabio Giuseppe Carlo Carisio
© COPYRIGHT GOSPA NEWS
divieto di riproduzione senza autorizzazione
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Dopo la tregua concordata da Russia e Turchia per creare una zona protetta intorno alla provincia di Idlib, ultima roccaforte di jihadisti di Al Nusra (e in piccola parte Isis) che controllano quasi tuti i centri abitati, dopo l’attacco missilistico franco-israeliano contro le basi degli Hezbollah e il drammatico incidente dell’Ilyushin 20, l’aereo russo da ricognizione abbattuto per errore dalla contraerea siriana con 15 soldati a bordo, l’attenzione dei quotidiani sulla Siria si è affievolita dando spazio solo al rafforzamento militare voluto da Vladimir Putin, proprio in risposta all’aggressione di Israele, con l’installazione di nuovi miciliali sistemi antimissile. All’inizio di ottobre infatti la Russia ha ceduto all’esercito governativo di Bashar al Assad quattro lanciatori S-300PMU-2 Favorit, pari a sedici missili pronti al lancio, con un raggio di intercettazione di 200 km. Ma nei territori del martoriato paese mediorientale il sangue scorre ancora a fiotti: nel silenzio dei media occidentali l’agenzia d’informazione Russia Today ha stilato il bilancio di una guerra tutt’altro che fredda che solo nell’ultimo mese ha mietuto 120 vittime tra i civili «a causa di indiscriminati attacchi della coalizione a guida Usa nella Siria orientale» come sostenuto dal ministero della Difesa russo nel summit di ieri. A questi si aggiungono i 32 civili, tra cui 7 bambini, uccisi in un solo raid a fine settembre. E ciò che rende ancora più drammatico e riprovevole questo spargimento di sangue è che sarebbe avvenuto per mezzo di bombardamenti effettuati con l’uso di «munizioni vietate dalle convenzioni internazionali». Una denuncia che si aggiunge all’allarme per una recrudescenza della pericolosità dell’Isis nell’area vicina all’Irak controllata dagli alleati degli Usa, a dispetto dei proclami di successo degli americani, grazie alle continue tensioni tra le milize curde SDF-YPGY e la Turchia. Un’atmosfera che rischia di diventare incandescente e surriscaldare le complesse relazioni diplomatiche col rischio di nuovi combattimenti anche a causa dell’operazione di pattugliamento congiunto di militari turchi e statunitensi avviato ieri a Manbij, regione settentrionale che vede la forte presenza dei curdi. Quasi una provocazione ai danni di quest’ultimi che potrebbe incrinare l’alleanza con gli americani.
GLI ATTACCHI AEREI SUGLI INSEDIAMENTI SIRIANI
Come riportato da Russia Today il generale Igor Konashenkov, portavoce del ministero della Difesa russo, ha spiegato che il «carattere non selettivo» e la «bassa efficacia» degli attacchi aerei della coalizione facente capo agli Usa sono la causa principale del delle vittime, tra cui si contano anche numerosi combattenti curdi; una circostanza tanto più assurda se si considera che le forze di difesa popolare curde Ypg (emanazione del Partito Democratico Curdo – PYD) guidano le milizie multietniche di arabi, turcomanni e cristiani siriaci delle Forze Democratiche Siriane alleate di Washington e ormai ben radicate nell’ampio territorio settentrionale del Rojava. E’ un quadro inquietante quello tracciato dall’alto ufficiale dell’esercito di Mosca, il quale spiega che la vita nelle aree controllate dagli Stati Uniti è “un macello” e la situazione di Raqqa ne è un esempio lampante: «la città è stata “spazzata via” dagli attacchi aerei e migliaia di corpi sono ancora sotto le macerie degli edifici distrutti». Di particolare gravità il fatto denunciato dal generale Konashenkov dell’uso di «munizioni vietate dalle convenzioni internazionali». Una grave violazione già segnalata il mese scorso dall’agenzia di stampa ITAR-TASS in modo cicostanziato: «L’8 settembre 2018, due aerei da combattimento F-15 della forza aerea statunitense hanno sferrato attacchi aerei sull’insediamento di Hajin con l’uso di bombe al fosforo, provocando gravi incendi e si stanno verificando le informazioni su vittime e danni».
Le organizzazioni per i diritti umani avevano invece ripetutamente lanciato l’allarme sulle conseguenze delle operazioni per la liberazione di Raqqa. A giugno, Amnesty International ha redatto un rapporto schiacciante sulla distruzione e il massivo bilancio di vittime causato dai bombardamenti della coalizione. Ha dichiarato che i civili sono rimasti letteralmente intrappolati nella città mentre le Forze Democratiche Siriane (SDF), appoggiate dagli attacchi aerei americani, erano impegnate nei combattimenti coi terroristi. Non solo: l’organizzazione umanitaria ha anche contestato il fronte a guida Usa per aver diffuso “cifre artificiosamente basse sulle vittime civili accidentali”. In particolare, la Combined Joint Task Force, la coalizione occidentale di matrice Nato responsabile dell’operazione Inherent Resolve in Iraq e in Siria, ha ammesso che il numero di persone “involontariamente uccise” dagli attacchi ha superato il migliaio: gli ultimi dati, forniti dalla stessa missione, riferiscono di almeno 1114 civili morti per i bombardamenti tra l’agosto 2014 e la fine di settembre 2018. Ma secondo l’Ondus (l’Osservatorio per i diritti umani in Siria) nello stesso periodo le vittime civili sono state 3.331: tra i morti anche 826 bambini e 615 donne.
LA STRATEGIA USA STA FACENDO RISORGERE L’ISIS
«A parte le vittime civili, la “povera” strategia di Washington – così come quella dei suoi alleati – ha fatto sì che solo lo Stato islamico (IS, ex ISIS) riconquistasse alcuni dei territori persi in precedenza come Hajin, As-Susah, As Safana e Al Marashda» ha rimarcato il portavoce della Difesa russo evidenziando, senza incolpare direttamente gli Usa, che «i terroristi sono ancora riforniti di armi moderne» e che si sta cercando di rintracciare le rotte di tali forniture. Una situazione paradossale che si riflette come un boomerang sulle stesse truppe alleate della coalizione come ben illustra un altro articolo di Russia Today. Da una parte infatti Washington afferma che lo Stato Islamico è stato completamente eliminato dalla Siria proprio grazie ai suoi sforzi militari, dall’altra i recenti attacchi dell’Isis dimostrano che, nella Siria orientale controllata da Usa ed alleati, il terrorismo è ben lungi dall’essere stato sgominato. «I militanti dello Stato Islamico (IS, precedentemente ISIL / ISIS) hanno colpito nel segno nella provincia orientale di Deir ez-Zour, più vicino al confine con l’Iraq, uccidendo oltre 40 combattenti sostenuti dagli americani in un’offensiva lanciata durante una tempesta di sabbia – scrivono i giornalisti di RT – L’attacco, verificatosi in un’area controllata dalla coalizione guidata dagli Stati Uniti d’America, accade poche settimane dopo che il presidente Donald Trump si era vantato del fatto che il gruppo terroristico fosse stato “decimato». A sottolineare la criticità della situazione è anche un docente statunitense e la sua spiegazione può essere sintetizzata nel concetto proverbiale “tra i due litiganti il terzo gode”. Gran parte del merito della cacciata dell’Isis dal territorio settentrionale siriano va infatti attribuita ai combattenti curdi appoggiati dagli Usa che però da sempre hanno aperto un conflitto latente con la confinante Turchia, alleato NATO di Washington. «Combattere tra fazioni in competizione in Siria ha dato al gruppo terroristico quasi sconfitto un po’ di respiro per “giocare avanti e indietro” – ha dichiarato ai giornalisti di Russia Today il professor Joshua Landis, direttore del Center for Middle East Studies presso l’Università dell’Oklahoma – Tutti i vicini circostanti della Siria, compreso il governo siriano (più volte attaccato da Israele perché aiutato dagli Hezbollah libanesi, sciiti filoiraniani – ndr) hanno avuto altri nemici da combattere e altre preoccupazioni». E grazie alla natura caoitica del conflitto l’autoproclamato Stato Islamico ha trovato la possibilità di mantenere un punto d’appoggio in Siria.
I PATTUGLIAMENTI TURCHIA-USA MINACCIA PER I CURDI
Un ulteriore elemento di tensione in questo clima già arroventato potrebbe derivare dagli ultimi accordi militari stipulati tra Usa e Turchia. A segnalarlo è la redazione del sito Analisi Difesa in un articolo di ieri. «Prende il via oggi l’annunciato pattugliamento congiunto di militari di turchi e statunitensi a Manbij, regione strategica nel nord della Siria dove sono presenti le milizie curde dell’YPG ritenute “terroriste” da Ankara» scrivono gli esperti di strategie belliche. Una mobilitazione che riporta a galla anche le tensioni tra i governi di Assad e di Erdogan in merito all’accordo di pace turco-russo per preservare la provincia di Idlib come zona demilitarizzata; una tregua digerita obtorto collo dall’Esercito Siriano che era già pronto a sferrare l’attacco finale ai teroristi di Al Nusra ed Isis rifugiati nella loro ultima roccaforte accanti agli alleati occasionali, i ribelli della FSA (Free Syrian Army), ma ha dovuto cedere alle pressioni diplomatiche di Mosca intenzionata a mantenere un dialogo aperto e costruttivo con Istanbul e, soprattutto, a non concedere scuse a Washington per avviare nuove rappresaglie missilistiche. Il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, ha precisato che «in questo momento non ci sono problemi nell’implementazione del memorandum su Idlib. Entro la fine dell’anno l’apertura delle strade che collegano Aleppo ad Hama e Latakia sarà completata. Tutto sta andando secondo i programmi». Una dichiarazione con cui Cavusoglu replica alle accuse del suo omologo siriano Walid al Mouallem, secondo cui Ankara non sta rispettando la sua parte dell’accordo, che prevede il ritiro delle armi pesanti e dei gruppi radicali (soprattutto i qaedisti dell’ex Fronte al-Nusra) dalla zona demilitarizzata intorno ad Idlib.
L’OFFENSIVA DELL’ISIS NELLA VALLE DELL’EUFRATE
Queste continue divergenze sotterranee, motivate dal semplice fatto che tutte le fazioni in gioco (americani, turchi, curdi, Sdf e persino israeliani) vogliono portarsi a casa una fetta di territorio siriano come premio quando sarà definitivamente sconfitto lo Stato Islamico, hanno contribuito a mettere in difficoltà i curdi lungo il confine con l’Iraq, nel sud est della Siria. Come spiega sempre Analisi Difesa lì «continuano gli aspri scontri tra le SDF appoggiate dagli USA e le forze dell’Isis che contrattaccando nell’area di Baghuz hanno inflitto severe perdite agli attaccanti, rimpiazzati da nuovi rinforzi giunti da Kobane per tentare di riprendere il controllo del distretto di Hajin, situato tra l’Eufrate e la città di confine di Abukamal. In quell’area la controffensiva dello Stato Islamico, che secondo l’Onu dispone ancora di 30 mila uomini sul posto, è così intensa da aver costretto anche gli iracheni a inviare rinforzi. Il premier iracheno Adel Abdel Mahdi ha ordinato ieri (martedì 30 ottobre) l’invio di rinforzi militari al confine nella regione di al-Anbar, per sostenere le milizie sciite (PMU) impegnate contro i terroristi islamici nella valle dell’Eufrate, sul lato siriano del confine. Media iracheni precisano che nella notte l’Isis ha lanciato un attacco con artiglieria contro postazioni militari irachene sul valico frontaliero di Abukamal/Qaim in cui sarebbero morti quattro soldati iracheni».
In questo panorama di sangue, morti, macerie e continui scontri armati si stagliano sempre più encombiabili le figure di due statisti dal sangue freddo e la mente lucida: Bashar Al Assad e Vladimir Putin, che hanno già vinto la loro guerra scongiurando massacri che i bombardamenti a tappeto avrebbero potuto causare e preservando le aree mediterranee e nevralgiche della Siria, da Damasco al porto russo di Tartus, e cercano di tenersi distanti dai fronti ancora aperti nelle zone controllate dalla coalizione Usa, dai curdi delle Forze Democratiche Siriane, dai turchi e dagli ultimi ribelli di Isis ed Al Nusra. La sensazione è però quella che abbiano ragione sia il generale russo che l’esperto statunitense: il macello infernale creato da Barack Obama e da molti cospiratori anti Assad, tra cui inglesi, francesi e persino George Soros, con supporti logistico-militari e finanziamenti sia ai ribelli che persino ai terroristi dell’Isis, pare ancora ben lontano dalla fine. E l’orizzonte assai lontano da quella pace che possa donare ai vivi la misericordia per commemorare, senza più odio e sete di vendetta, mezzo milione di morti di un’assurda guerra civile: un evitabile olocausto scientificamente studiato dagli occidentali per rovesciare un governo nemico ed imporre una democrazia politicamente più compiacente verso gli affari di Usa, Francia ed Inghilterra e l’integralismo degli arabi sunniti.
Fabio Giuseppe Carlo Carisio
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