Con la cosiddetta rivoluzione verde, avvenuta tra gli anni quaranta e settanta del secolo scorso, sono nate le varietà moderne di frumento, più adatte ai nuovi modelli industriali di trasformazione che all’uomo. Nel giro di pochi decenni, ci siamo persi per strada i buoni vecchi sapori e le qualità nutrizionali… e cosa ci stiamo trascinando dietro in questa corsa a produrre sempre di più a scapito della nostra stessa salute e di quella del pianeta?
La storia dei cereali, cominciata con l’agricoltura 13000 anni fa, tra il Tigri e l’Eufrate, è arrivata fino ai giorni nostri senza troppi cambiamenti, ma in pochi decenni siamo riusciti a stravolgere tutto: da frumenti teneri e duri che erano piante alte più di 1 metro e mezzo, siamo arrivati a varietà che a stento raggiungono i 50 cm. Le varietà antiche non rispondono in egual modo alla concimazione azotata, con una reazione paradosso per cui più si concima e meno producono.
Con la spaventosa crescita tecnologica durante la 2° guerra mondiale, vediamo l’industria intenta a migliorare la sintesi di nitrati e fosfati (il fosfato veniva impiegato nelle bombe al fosforo, i nitrati nella nitroglicerina) i quali, finita la guerra, dovevano pur essere utilizzati in qualche modo… e per renderli accessibili agli agricoltori, vennero immessi nel mercato a prezzi irrisori.
Successivamente viene lanciato il progetto ‘Green revolution’ al CIMMYT1 in Messico, dove Norman Borlaug, che nel 1970 vince il Nobel per la pace, comincia ad incrociare il frumento con varietà giapponesi a taglia bassa, prendendo anche molte varietà dalla collezione di frumenti ‘nostrani’ di Nazareno Strampelli2; si attua quindi una selezione drastica, che, riducendo fortemente la base genomica (cioè la ricchezza e variabilità dei geni) ha portato al predominio nel mondo di sole cinque varietà, le quali rispondono talmente bene alle concimazioni, che in 50 anni abbiamo pressoché triplicato le rese, trascurando però qualità organolettiche e nutrizionali. Inoltre, le piante di frumento moderno sono di fatto più basse ed essendo meno competitive hanno bisogno di maggiore controllo sulle erbe infestanti, con gli agricoltori ‘costretti’ ad aumentare drasticamente anche l’impiego di erbicidi.
Abbiamo prodotto negli ultimi 100 anni più che negli ultimi 1000 anni della nostra storia grazie a monocolture, intensa meccanizzazione, fertilizzanti chimici e pesticidi, e nonostante tutto non siamo riusciti ad eliminare la fame nel mondo!
I nostri terreni però diventano sempre più aridi e poveri di sostanza organica, essendo concimati per la stragrande maggioranza con prodotti chimici di sintesi, iniettati nel terreno come delle ‘mega-flebo’ su suoli ormai quasi privi di vita. I suoli agricoli sono talmente stanchi e impestati di parassiti di ogni genere che diventa proibitivo coltivare ogni anno le stesse colture, allora ci siamo inventati l’agricoltura senza suolo, cioè il ‘Fuori-Suolo’… così lasciamo che milioni di ettari perdano la loro fertilità e si inaridiscano o addirittura desertifichino.
Giovanni Dinelli, uno dei pochi accademici che lavorano ‘sul e nel’ campo, con progetti di filiera corta e di recupero di antiche varietà di frumento3, ha paragonato l’agricoltura intensiva e le varietà moderne ad una Ferrari che alla velocità di 300 km/h consuma 1 litro per fare 2 chilometri, mentre un’utilitaria che va al massimo ai 120 km/h, con 1 litro riesce a farne 20 di chilometri.. allora quanta strada vuole fare l’agricoltura… e l’umanità? Ad andare troppo veloci qualche volta ci si schianta!
Articolo di: Francesca Chiarini Commissione Agricoltura e Ambiente
(2) Nazareno Strampelli viene messo a capo della battaglia del grano, durante il ventennio fascista, per rendere l’Italia autosufficiente senza dovere aumentare le superfici coltivate a frumento. Strampelli, per abbassare la taglia dei nostri frumenti e renderli più produttivi, prende una varietà giapponese e la incrocia con le italiane (Mentana, Sanpastore). Attualmente abbiamo decine di varietà a disposizione presso l’Istituto ‘Nazareno Strampelli’ di Lonigo (VI), un patrimonio genetico a cui attingere volendo recuperare caratteri perduti nelle varietà moderne.
(3) “Bio-Pane: progetto di filiera corta per l’agricoltura biologica e biodinamica dell’Emilia Romagna” (Coordinatore: Prof. G. Dinelli, Dipartimento di Scienze Agrarie – Università di Bologna), finanziato nel triennio 2009-2012 dalla Regione Emilia Romagna.
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