Dopo
la velata minaccia di Jens Stoltenberg e della NATO, il neonato governo italico
pare aver assunto subito un atteggiamento più cauto nei riguardi
dell’abolizione delle sanzioni alla Russia. Del resto, il premier Conte aveva
comunque rassicurato lo storico alleato yankee circa la solida alleanza
militare che l’Italia avrebbe continuato a rispettare, nonostante l’apertura
alla Russia di Putin. Ma si sa, il nostro Paese ha una lunga tradizione in
fatto di cerchiobottismo, quell’atteggiamento a metà tra il pavido e il
precauzionale che ci impedisce di essere considerati credibili nei contesti
internazionali. L’aver ceduto il nostro territorio alle basi militari americane
è stata una mossa non certo ascrivibile al governo attuale, ma risale almeno al
dopoguerra in concomitanza con la nascita della NATO. Tuttavia, è stato un atto
palesemente in contrasto con la nostra Costituzione che, come si sa, ripudia la
guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. Le basi
militari americane in Italia sono diventate particolarmente invasive e pericolose,
a causa degli impianti MUOS che non pochi problemi di salute stanno procurando
alla popolazione siciliana, oltre al continuo stoccaggio di ordigni nucleari su
un suolo come quello italiano che già presenta notevoli criticità dal punto di
vista sismico. L’adesione dell’Italia alla NATO, avvenne in circostanze di
particolare vulnerabilità per il nostro Paese e per l’Europa. Il nuovo
governo che si formò dopo le elezioni del '48 dovette prendere atto che
l'Europa era ormai divisa in due blocchi contrapposti, e che la sicurezza di un
paese dipendeva dall'appartenenza all'uno o all'altro schieramento. Era da poco
stata formulata la cosiddetta "dottrina Truman" (marzo 1948), in base
alla quale gli Stati Uniti proponevano di aiutare economicamente i paesi
europei in difficoltà attraverso il Piano Marshall, ed in questo contesto
iniziò una serie di contatti con gli USA per ottenere garanzie di sicurezza in
caso di attacco, essendo le Forze Armate nazionali tuttora lontane da una reale
credibilità. Il governo di Washington, spinto da motivazioni di carattere
politico ma al tempo stesso interessato a mantenere proprie basi nella
penisola, d'importanza strategica per il controllo aeronavale del Mediterraneo,
convinse l'Italia - già incline ad una scelta in senso occidentale -ad
intavolare colloqui per l'inserimento in un'alleanza difensiva. L'Italia aveva
scarse possibilità di partecipare attivamente ad un sistema militare integrato,
a causa dalla precaria situazione economica e delle perduranti clausole restrittive
del Trattato di Pace; la conseguenza più immediata dei contatti con gli Stati
Uniti fu perciò un allentamento dei vincoli del Trattato e l'inserimento delle
forze armate nazionali nel programma MDAP (Mutual Defense Assistance Programme)
di aiuti militari americani. Ma dal 1948 l’Italia, grazie all’assistenza e all’esperienza
militare americana, è riuscita a camminare sulle proprie gambe. Dal 1948 ad
oggi, il nostro Paese è pronto ad emanciparsi da quella sudditanza psicologica
verso i “liberatori” di un’America che si presentava ben diversa da come si
presenta oggi. Grazie alla tecnologia e alla preparazione strategico-militare,
i nostri ufficiali e soldati non hanno più nulla da invidiare ad altre potenze
militari mondiali. Altri paesi europei quali la Francia e la Germania, hanno
cominciato a proiettarsi in un futuro di “sganciamento” dalla NATO e dai suoi
condizionamenti. La ragione principale sembra essere stato il cambio di
leadership alla Casa Bianca con Trump. Le cancellerie europee hanno iniziato a
comprendere che il futuro delle relazioni bilaterali fra Stati europei e
Washington è giunta a un bivio. Trump non è uscito dal cilindro come in un
gioco di prestigio, ma è il frutto di un’idea che da anni si cerca di
concretizzare negli Stati Uniti, e cioè liberarsi da un
eccesso di impegno delle forze americane in ogni settore del mondo
concentrandosi esclusivamente sugli interessi degli Stati Uniti. Si dirà che in fondo questo è stato
sempre lo scopo di ogni potenza, occuparsi dei propri interessi, e che gli
Stati Uniti lo hanno sempre fatto coinvolgendo i propri alleati, tuttavia, è
cambiato il metodo di approccio: con Trump non c’è più interesse a costruire un
sistema liberale internazionale, ma c’è solo l’idea di salvaguardare il
benessere degli Stati Uniti, quasi perdendo la forza messianica. Questo
concetto è ben diverso da quelli perorati negli ultimi decenni e significa,
traducendolo in concreto, che gli Stati Uniti non garantiscono più per i loro
alleati storici, in particolare per l’Europa. Proprio sotto il profilo militare
Trump ha iniziato a dire in maniera chiara ai suoi alleati che la musica è
cambiata per tutti. La scelta di imporre il versamento di almeno il 2% di spese
militari a favore dell’Alleanza Atlantica va proprio nella direzione di far
comprendere a tutti che è iniziato un nuovo corso nelle relazioni fra Usa e
alleati. In Europa, Francia e Germania hanno immediatamente colto l’occasione
per iniziare a rendere effettiva quella proposta che da tempo latita nelle
cancellerie europee: l’integrazione militare continentale. L’Unione
europea ha fatto affidamento per decenni sulle capacità degli Stati Uniti e nel
Regno Unito evitando di fare alcun passo in avanti per una struttura militare
europea in grado di abbandonare la dipendenza dall’alleanza anglo-americana. La
Francia quantomeno ha mantenuto un proprio arsenale nucleare e una capacità
operativa importante come potenza regionale in grado di confrontarsi con i
conflitti moderni, ma il resto dell’Europa, in primis la Germania, ha un
deficit importante che però colmerebbe con un’eventuale alleanza francese. Il messaggio lanciato da Parigi e
Berlino è abbastanza chiaro ed ha numerosi significati. Innanzitutto, la
rinascita di un asse franco-tedesco comincia a diventare una realtà: l’elezione
di Macron in fondo aveva questo obiettivo. È inoltre una presa d’atto
importante che siamo di fronte ad un cambiamento epocale nelle relazioni atlantiche,
che deve essere compresa e guidata prima di essere travolti dal corso degli
eventi, che nell’ultima decade sembrano accelerarsi verso un mondo di
instabilità e di conflittualità costante e latente. L’Europa, in sostanza, non
può dimenticarsi di dover trattare anche il tema militare, senza pregiudizi ideologici o utopie
umanitarie: anche la difesa è una questione centrale nel dibattito politico.
Infine, altro dato da non sottovalutare, è che la Germania abbia deciso di
essere qualcosa di più di una “semplice” potenza economica, ma di voler
costruirsi anche una sua autonoma forza politica e militare. La Germania è la
quarta potenza mondiale quanto a PIL ed è il nono Stato al mondo quanto a
investimenti nel settore della difesa. Quanto all’Italia, per non essere da
meno, conviene seguire la scia indipendentista intrapresa da Francia e
Germania, magari con uno sguardo verso Est. La superiorità militare della
Russia di Putin rispetto alla NATO è innegabile almeno da un triplice punto di
vista: vantaggio geografico: la Russia è storicamente abituata a
combattere a terra e dato il massiccio dispiegamento delle forze armate nella
parte occidentale del Paese, Mosca può concentrare rapidamente i suoi militari;
difesa aerea: la Russia ha un grande potenziale nella difesa aerea; armi:
le armi russe stanno diventando sempre più potenti e i militari russi sempre più professionali. Non solo. La
Russia ha introdotto diverse armi convenzionali avanzate, mentre gli USA e i
suoi alleati investono poco nelle nuove tecnologie. Considerato inoltre che, in
Europa, sia l’Austria che l’Ungheria sono già orientate pro Russia, l’Italia
potrebbe giocare un ruolo importante nel totale cambiamento di paradigma degli
attuali assetti geopolitici. Il risparmio di 72 milioni di euro al giorno che
destiniamo per restare nella NATO, potremmo impiegarli per il potenziamento e
l’addestramento dei nostri militari, e per recuperare qualche punto di PIL in
più. D’ora in poi, la NATO non provi più a dettare la nostra agenda politica.
CINZIA
PALMACCI