L'AFRICA NON HA BISOGNO DI EROI MITICI O MITIZZATI, MA DI GRANDI FIGURE DI RIFERIMENTO COME SANKARA. THOMAS SANKARA E' MORTO PERCHE' NON E' STATO ABBASTANZA SOSTENUTO E PROTETTO DAGLI AFRICANI. QUEGLI STESSI AFRICANI CHE OGGI PREFERISCONO FARSI ILLUDERE DALLE ONG (NGO) DEL CAPITALE FINANZIARIO INVECE DI RIMANERE IN PATRIA A LOTTARE PER LIBERARE L'AFRICA DAGLI STESSI PADRONI DI QUELLE ONG. LA RINASCITA DELL'AFRICA COMINCIA DALLA LOTTA A CORRUZIONE E SCHIAVITU'. GLI AFRICANI HANNO BISOGNO DI ISTRUZIONE E INFORMAZIONE COME MEZZI FONDAMENTALI PER DIFENDERSI DAL SOPRUSO E DALL'ASSERVIMENTO DEGLI STESSI "SIGNORI" DEL CAPITALE, CHE NON VOGLIONO ASSOGGETTARE SOLO L'AFRICA, MA IL MONDO INTERO! RICORDATE: L'ALBA DELLA LIBERTA' SI INTRAVEDE SOLO DALLA TRINCEA....
Immagine tratta dal sito www.leganerd.com (http://leganerd.com/2017/09/28/lora-piu-buia-secondo-trailer/)
di Melinda Forcellati e Tiziano Picca Piccon
Il 15 ottobre 1987 moriva assassinato Thomas Sankara. Aveva 38 anni ed era il presidente del Burkina Faso da soli 4 anni, giusto il tempo di realizzare alcuni di quegli obiettivi che gli stavano a cuore e che tanto fastidio avevano già generato nei nemici, interni ed esterni al suo Paese. Troppi misteri vi sono ancora su quell’attentato che gli costò la vita: fu attuato dal suo amico fidato ed ex compagno d’armi Blaise Compaorè e vide il coinvolgimento della Francia e degli Usa. A tal proposito Macron, nel novembre 2017, durante una visita a Ouagadougou, ha annunciato di voler rendere consultabili “i documenti prodotti dalle amministrazioni francesi durante il regime di Sankara e dopo il suo assassinio, … coperti dal segreto nazionale”. Ufficialmente Sankara è ancora oggi “deceduto per cause naturali”.
La storia africana è costellata di delitti politici come quello di Thomas Sankara o Patrice Lumumba, di esili come quello di Kwame Nkrumah. Negli anni ’60 era la decolonizzazione, poi i precari equilibri del Terzo Mondo nella guerra fredda, oggi sono ancora i grandi interessi economici e la corruzione del vecchio establishment messo al potere da USA e Europa a decidere i destini di molte popolazioni, tra cui quelle africane.
Qual è l’attualità di Sankara, così rivoluzionario da diventare il “Che africano”?
L’attualità di Sankara è nella sua storia, nei suoi discorsi politici e nelle azioni intraprese per risollevare le sorti di uno dei paesi più poveri al mondo, il Burkina Faso.
L’attribuzione del nome all’ex colonia francese, l’ex Alto Volga, si deve a Sankara: fu uno dei suoi primi atti politici, per indicare che la sua terra, la “terra degli uomini integri” (questo è il significato di Burkina Faso in lingua more e bambara, parlate dalle due etnie principali del paese), si doveva risollevare dalla povertà della decolonizzazione, da un destino di schiavitù, cambiando il volto della sua classe politica, smascherando le prassi di ossequio agli interessi stranieri, combattendo la corruzione dei politici e degli uomini d’armi locali, modificando la propria mentalità (per Sankara “lo schiavo che non prende la decisione di lottare per liberarsi merita completamente le sue catene”).
Altre azioni vanno ricordate per aver dato all’Africa una possibilità di cercare una propria via allo sviluppo: la campagna per la vaccinazione (che portò a vaccinare contro il morbillo, la febbre gialla, la rosolia e il tifo ben 2.500.000 bambini), l’aver conseguito l’obiettivo di 2 pasti e di 5 litri di acqua al giorno per ogni burkinabè, la lotta all’infibulazione (emblema della sofferenza femminile a causa dell’oppressione maschile), l’abbassamento degli stipendi ai politici, la sostituzione delle auto Mercedes in uso ai funzionari pubblici con delle ben meno care Renault 5, la creazione di posti di salute primaria in tutti i villaggi del paese, la realizzazione di centinaia di scuole e di farmacie, la lotta alla desertificazione del Sahel con una campagna di imboschimento, la costruzione di centinaia di pozzi per l’acqua. Riforme estremamente innovative per un paese africano dei primi anni Ottanta e che riguardano temi che, oggi, vediamo presenti e urgenti nell’agenda politica mondiale, come lo sviluppo sostenibile, la disparità di genere, la povertà e la mancanza di possibilità di una parte consistente del mondo, con il suo corollario di migrazioni, sfruttamento, oppressione e assenza di diritti umani.
Ma sono soprattutto i suoi discorsi ad aver lasciato un’impronta per la condanna ad uno sviluppo che genera paesi sfruttati, uomini e donne schiacciati dalla miseria e per la ferma volontà per la ricerca di un altro sviluppo, non capitalistico, teso alla collaborazione, non votato alla competizione. Discorsi preveggenti nell’individuare i limiti di uno sviluppo teso alla spoliazione delle risorse africane e del pianeta; discorsi da statista al servizio del suo popolo e degli oppressi nel vedere come prioritaria la lotta all’analfabetismo, alla fame, alle malattie per mutare il destino dell’Africa; chiari nell’individuare le responsabilità delle multinazionali e degli Stati occidentali della povertà e dell’instabilità politica africana; propositivi nel voler mutare la situazione richiamando gli altri paesi africani ad avere un ruolo attivo per sottrarsi al debito estero che strangola i paesi più poveri, per costruire un’Africa per gli africani. Discorsi rivoluzionari e per questo… pericolosi.
Il 4 ottobre 1984 Sankara teneva il suo discorso alle Nazioni Unite, il suo proclama, che lo mise subito in cattiva luce in un Terzo Mondo che ci aveva abituato a dittatori e presidenti-fantoccio, a povertà scontate, a guerre civili o tribali, a sfruttamenti del sottosuolo che le nostre multinazionali davano per acquisiti.
In quel discorso Sankara additava il re nudo, dicendo le cose così come stavano, senza retorica né pietismo. Una bella “sfrontatezza” la sua: affermare di fronte a centinaia di rappresentanti di Paesi, tra cui gli ex colonizzatori, che lo sviluppo e la felicità sono un diritto di tutti, e che le responsabilità della povertà vanno cercate nel mercato dei cosiddetti Paesi ricchi. Ma come si permetteva il presidente del Paese più povero del mondo? Il suo discorso fu un bello smacco e Sankara divenne subito popolare ma anche scomodo e si fece subito molti nemici.
Non scriveva i suoi discorsi, che fossero alle Nazioni Unite, alla conferenza dell’Unione Africana di Addis Abeba o a François Mitterand: parlava a braccio, diceva quello che aveva sempre pensato. Persino i suoi amici più stretti gli facevano notare quanto fossero rischiose le sue affermazioni.
Oggi i suoi discorsi sono diventati storici, nel senso più genuino del termine: hanno fatto e fanno ancora la storia, non solo quella africana, sono ovunque e in forme diverse. Sono raccolti in piccoli volumi, pubblicati da case editrici che a volte portano proprio il suo nome (I discorsi e le idee di Thomas Sankara, a cura di C. De Bernardinis e M. Correggia, Sankara Edizioni, 2006); sono sul web, in riprese sfuocate in b/n degli anni ’80 o in documentari televisivi (E quel giorno uccisero la felicità, di Silvestro Montanari, Rai Tre), in trasmissioni radiofoniche della Radio Svizzera Italiana (Le idee non si possono uccidere. Thomas Sankara: in Burkina Faso inventare l’avvenire dell’Africa di Giovanna Riva), sono diventati comics come Sostiene Sankara, pubblicato nel 2014 da BeccoGiallo. Al giovane presidente burkinabè vengono dedicati siti internet e concerti.
Perché questa diffusione? Forse perché i discorsi di Thomas Sankara, africano, così come quelli di Josè “Pepe” Mujica, uruguayano, esprimono quello che molti pensano sullo “sviluppo” della società mondiale, ma, soprattutto, sono semplici e ci spiegano la verità e il senso di giustizia. O forse perché diventano, grazie alla loro chiarezza (Sankara leggeva molto ma si esprimeva con grande semplicità), punti di riferimento per chi oggi rifiuta o combatte gli stili di vita occidentali. La loro attualità rende necessaria la diffusione virale, come accade sul web ad esempio. Diritto all’istruzione, all’acqua e alla salute, parità di genere: quasi 2/3 della popolazione mondiale non sa cosa vogliono dire queste espressioni. Sankara era già “moderno” nel 1984.
I libri e i documentari rendono giustizia al giovane presidente burkinabè anche grazie all’inquadramento storico-politico dell’epoca: quanti conoscono in effetti i complessi meccanismi alla base della decolonizzazione e le forme di neocolonialismo e imperialismo contro cui lottava Sankara? Indispensabile quindi la contestualizzazione storico-geografica per capire anche quanto di rivoluzionario ci fosse nel giovane “Tom Sank”.
Sostiene Sakara’, l’operazione editoriale di BeccoGiallo, ha un altro taglio e vuole avvicinare un pubblico diverso dagli studiosi di geopolitica sin dal sottotitolo “racconti disegnati di felicità rivoluzionaria”. Il libro è composto dalla raccolta di disegni, fumetti, scritte realizzate da un gruppo ben nutrito ed interessante di grafici e di autori di comics, quali Assia Petricelli e Sergio Riccardi (già autori della graphic Cattive ragazze, che esplora le differenze di genere), Simone Lucciola (disegnatore underground, come ama definirsi), Toni Bruno (che nel 2006 ha pubblicato una graphic sulla storia di Stefano Cucchi, Non mi uccise la morte), Maurizio Boscarol (fumettista, autore satirico di Cuore e Mucchio Selvaggio ). I capitoli monografici come “Il Burkina Faso”, “Il debito”, “La donna”, “Il deserto”, “Essere neri”, con introduzioni e approfondimenti, portano il lettore attraverso temi e forme espressive diverse, a volte accattivanti, altre provocatorie, con toni cupi oppure coloratissimi come l’Africa. Alcuni autori rappresentano l’attualità delle parole di Sankara ambientando le loro storie nella società occidentale: i pericoli per l’ambiente a causa dello sviluppo capitalistico, l’oppressione femminile nelle società occidentale sono temi indagati e rappresentati a partire dall’analisi presente nei discorsi di Sankara. Alcune tavole ricordano che Sankara testimoniò la rivoluzione degli oppressi con l’esempio: si abbassò drasticamente lo stipendio, viveva come gli altri burkinabè, morigerato nel mangiare e nel vestire, indossava solo gli abiti prodotti dalle industrie tessili del suo paese, fedele all’idea che sia necessario consumare quello che produciamo e produrre quello che consumiamo e che nessuno debba vivere al di sopra delle sue possibilità e sfruttando, senza remore, gli altri e il pianeta.
Era così Sankara: colto, umile, sognatore, integro, ma anche sfacciato e ironico. Imprevedibile, come il suo stile di vita, con la casa modesta col mutuo, la Reanult 5 e l’amata chitarra. Un personaggio fuori dagli schemi della politica internazionale diventato, forse per questa sua unicità, conosciuto ben oltre i confini del “Paese degli uomini integri”. La storia glielo consente e glielo deve.
Sankara non voleva trasformarsi in gadget, come invece è successo al Che: ripeteva che un presidente non doveva avere nulla più dei suoi concittadini: “Sono qui di passaggio”, diceva, nessuna celebrità. “Parlo in nome dei burkinabè e del grande popolo dei diseredati”. Niente miti, per favore, né eroi: l’Africa ha bisogno di ben altro.
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