Vladimir Putin starebbe lavorando per fornire a Donald Trump una via d’uscita dalla Siria. Lo scrive Al Monitor. In più di un’occasione, il presidente americano ha detto di voler ritirare le truppe presenti nel Paese mediorientale. Per ora, però, non c’è stata alcuna azione in questo senso. Anzi: il Pentagono si è duramente scontrato con il tycoon su questa ipotesi.
La guerra in Siria oggi appare chiara dal punto di vista militare, meno da quello diplomatico. Il nodo centrale è la presenza iraniana nel Paese e l’avanzata governativa a sud non fa che rendere questa problematica più evidente. Non a caso, la scorsa settimana, il ministro della Difesa di Tel Aviv Avigdor Lieberman è volato a Mosca per trovare un accordo (e qualche rassicurazione) con Putin.
In questi mesi, complice anche l’uscita dal nucleare iraniano da parte degli Stati Uniti, la Russia ha riaperto i canali diplomatici con l’Occidente. Emmanuel Macron,a San Pietroburgo, ha ricordato che la Francia vuole arrivare a una soluzione del conflitto e non sembra che Parigi sia intenzionato a portare avanti un cambio di regime. Una posizione radicalmente cambiata rispetto al 2011, quando l’ambasciatore francese Eric Chevallier camminava per le strade di Hama assieme ai ribelli. La Francia si allinea alla politica russa in Siria? Certamente no. Eppure, come rileva Igor Delanoe, sempre su Al Monitor, “cercando di ricostruire dei ponti con la Russia sul futuro della Siria, Parigi vuol dimostrare di non essere allineato agli Stati Uniti su tutte le questioni mediorientali. In questo senso, la decisione di Trump di uscire dall’accordo con l’Iran dà alla Francia più spazi di manovra quando si parla di Siria. Distaccarsi dalla politica regionale di Washington rientra nella posizione indipendente della Francia”. Ma non solo.
Due settimane fa, Angela Merkel ha incontrato a Sochi Vladimir Putin. Un incontro molto diverso da quelli passati e il primo in Russia della cancelliera dopo la crisi ucraina. I toni sono stati molto più distesi Berlino ha trovato in Mosca una sponda sul nucleare iraniano. È quindi quasi inevitabile che la Merkel sia più accondiscendente su ciò che sta avvenendo e avverrà in Siria.
Ma c’è un altro attore fondamentale: la Turchia di Recep Tayyip Erdogan. Un attore che già dialoga con Mosca e Teheran ad Astana e che sta cercando di ritagliarsi sempre di più una sfera di influenza in Siria. Idlib è, di fatto, un prolungamento di Ankara che è però difficile da gestire. Al Monitor lo descrive così: “Aumenta la pressione dell’esercito siriano e la regione diventa teatro di feroci scontri tra gruppi rivali. Idlib rimane un luogo turbolento, colpito dalle operazioni dei governativi, da scontri tra gruppi rivali e omicidi per i quali si incolpa lo Stato islamico. Più di 180mila persone, di cui 29mila combattenti, sono state evacuate dalla Ghouta orientale, dal Qalamoun orientale, e più recentemente da Yarmouk”. Di fatto Erdogan, con i suoi punti di osservazione che circondano l’area, controlla totalmente Idlib. E userà questa carta nelle prossime trattative. L’impegno di Ankara in questa guerra è stato tanto costante quanto politicamente ondivago.
La Turchia sta già trattando con gli Stati Uniti per controllare sempre di più la Siria, come dimostra l’allontanamento dei curdi dello Ypg da Manbij. Un accordo che, come ha detto il ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu, rappresenta un punto di svolta nei rapporti tra Washington e Ankara. È chiaro che gli Stati Uniti non sono intenzionati a portare avanti le istanze indipendentiste dei curdi.
Pochi giorni fa, il Wall Street Journal ha fatto sapere che la Casa Bianca sta lavorando a un incontro tra Putin e Trump. Un incontro sul quale si sta lavorando da tempo, ma che non è facile da organizzare (anche perché sul presidente americano è ancora presente lo spauracchio del Russiagate). È però ovvio che in un summit simile uno dei temi centrali sarà quello siriano. Il leader russo dialoga con tutti, sapendo di dover tenere assieme le diverse necessità degli alleati. Mosca dialoga con Tel Aviv e, allo stesso tempo, deve tenere conto della presenza iraniana in Siria.
Insomma, la guerra in Siria può rappresentare un vero e proprio pantano in cui ogni Stato che ha deciso di intervenire potrebbe non uscire più. Con la garanzia del ritorno dei Pasdaran e di Hezbollah in Iran e in Siria, Putin potrebbe fornire a Trump un’ottima opportunità per un’uscita di scena. Ma cosa chiederà in cambio?
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