sabato 29 giugno 2019

LITURGIA DEL GIORNO



LITURGIA DEL GIORNO
- Rito Romano -
  
  



 PRIMA LETTURA 

At 12,1-11
Dagli Atti degli Apostoli

In quel tempo il re Erode cominciò a perseguitare alcuni membri della Chiesa. Fece uccidere di spada Giacomo, fratello di Giovanni. Vedendo che ciò era gradito ai Giudei, fece arrestare anche Pietro. Erano quelli i giorni degli Àzzimi. Lo fece catturare e lo gettò in carcere, consegnandolo in custodia a quattro picchetti di quattro soldati ciascuno, col proposito di farlo comparire davanti al popolo dopo la Pasqua.
Mentre Pietro dunque era tenuto in carcere, dalla Chiesa saliva incessantemente a Dio una preghiera per lui. In quella notte, quando Erode stava per farlo comparire davanti al popolo, Pietro, piantonato da due soldati e legato con due catene, stava dormendo, mentre davanti alle porte le sentinelle custodivano il carcere.
Ed ecco, gli si presentò un angelo del Signore e una luce sfolgorò nella cella. Egli toccò il fianco di Pietro, lo destò e disse: «Àlzati, in fretta!». E le catene gli caddero dalle mani. L’angelo gli disse: «Mettiti la cintura e légati i sandali». E così fece. L’angelo disse: «Metti il mantello e seguimi!». Pietro uscì e prese a seguirlo, ma non si rendeva conto che era realtà ciò che stava succedendo per opera dell’angelo: credeva invece di avere una visione.
Essi oltrepassarono il primo posto di guardia e il secondo e arrivarono alla porta di ferro che conduce in città; la porta si aprì da sé davanti a loro. Uscirono, percorsero una strada e a un tratto l’angelo si allontanò da lui.
Pietro allora, rientrato in sé, disse: «Ora so veramente che il Signore ha mandato il suo angelo e mi ha strappato dalla mano di Erode e da tutto ciò che il popolo dei Giudei si attendeva».


 SALMO 

Sal 33
Il Signore mi ha liberato da ogni paura.

Benedirò il Signore in ogni tempo,
sulla mia bocca sempre la sua lode.
Io mi glorio nel Signore:
i poveri ascoltino e si rallegrino.

Magnificate con me il Signore,
esaltiamo insieme il suo nome.
Ho cercato il Signore: mi ha risposto
e da ogni mia paura mi ha liberato.

Guardate a lui e sarete raggianti,
i vostri volti non dovranno arrossire.
Questo povero grida e il Signore lo ascolta,
lo salva da tutte le sue angosce.

L’angelo del Signore si accampa
attorno a quelli che lo temono, e li libera.
Gustate e vedete com’è buono il Signore;
beato l’uomo che in lui si rifugia


 SECONDA LETTURA 

2Tm 4,6-8.17-18
Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo a Timòteo

Figlio mio, io sto già per essere versato in offerta ed è giunto il momento che io lasci questa vita. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede.
Ora mi resta soltanto la corona di giustizia che il Signore, il giudice giusto, mi consegnerà in quel giorno; non solo a me, ma anche a tutti coloro che hanno atteso con amore la sua manifestazione.
Il Signore però mi è stato vicino e mi ha dato forza, perché io potessi portare a compimento l’annuncio del Vangelo e tutte le genti lo ascoltassero: e così fui liberato dalla bocca del leone.
Il Signore mi libererà da ogni male e mi porterà in salvo nei cieli, nel suo regno; a lui la gloria nei secoli dei secoli. Amen.


 VANGELO 

Mt 16,13-19
Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elìa, altri Geremìa o qualcuno dei profeti».
Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente».
E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli».

NIENTE EROI PER L’AFRICA: THOMAS SANKARA



L'AFRICA NON HA BISOGNO DI EROI MITICI O MITIZZATI, MA DI GRANDI FIGURE DI RIFERIMENTO COME SANKARA. THOMAS SANKARA E' MORTO PERCHE' NON E' STATO ABBASTANZA SOSTENUTO E PROTETTO DAGLI AFRICANI. QUEGLI STESSI AFRICANI CHE OGGI PREFERISCONO FARSI ILLUDERE DALLE ONG (NGO) DEL CAPITALE FINANZIARIO INVECE DI RIMANERE IN PATRIA A LOTTARE PER LIBERARE L'AFRICA DAGLI STESSI PADRONI DI QUELLE ONG. LA RINASCITA DELL'AFRICA COMINCIA DALLA LOTTA A CORRUZIONE E SCHIAVITU'. GLI AFRICANI HANNO BISOGNO DI ISTRUZIONE E INFORMAZIONE COME MEZZI FONDAMENTALI PER DIFENDERSI DAL SOPRUSO E DALL'ASSERVIMENTO DEGLI STESSI "SIGNORI" DEL CAPITALE, CHE  NON VOGLIONO ASSOGGETTARE SOLO L'AFRICA, MA IL MONDO INTERO! RICORDATE: L'ALBA DELLA LIBERTA' SI INTRAVEDE SOLO DALLA TRINCEA....  


Immagine tratta dal sito www.leganerd.com (http://leganerd.com/2017/09/28/lora-piu-buia-secondo-trailer/)

di Melinda Forcellati e Tiziano Picca Piccon

Il 15 ottobre 1987 moriva assassinato Thomas Sankara. Aveva 38 anni ed era il presidente del Burkina Faso da soli 4 anni, giusto il tempo di realizzare alcuni di quegli obiettivi che gli stavano a cuore e che tanto fastidio avevano già generato nei nemici, interni ed esterni al suo Paese. Troppi misteri vi sono ancora su quell’attentato che gli costò la vita: fu attuato dal suo amico fidato ed ex compagno d’armi Blaise Compaorè e vide il coinvolgimento della Francia e degli Usa. A tal proposito Macron, nel novembre 2017, durante una visita a Ouagadougou, ha annunciato di voler rendere consultabili “i documenti prodotti dalle amministrazioni francesi durante il regime di Sankara e dopo il suo assassinio, … coperti dal segreto nazionale”. Ufficialmente Sankara è ancora oggi “deceduto per cause naturali”.

La storia africana è costellata di delitti politici come quello di Thomas Sankara o Patrice Lumumba, di esili come quello di Kwame Nkrumah. Negli anni ’60 era la decolonizzazione, poi i precari equilibri del Terzo Mondo nella guerra fredda, oggi sono ancora i grandi interessi economici e la corruzione del vecchio establishment messo al potere da USA e Europa a decidere i destini di molte popolazioni, tra cui quelle africane.

Qual è l’attualità di Sankara, così rivoluzionario da diventare il “Che africano”?

L’attualità di Sankara è nella sua storia, nei suoi discorsi politici e nelle azioni intraprese per risollevare le sorti di uno dei paesi più poveri al mondo, il Burkina Faso.

L’attribuzione del nome all’ex colonia francese, l’ex Alto Volga, si deve a Sankara: fu uno dei suoi primi atti politici, per indicare che la sua terra, la “terra degli uomini integri” (questo è il significato di Burkina Faso in lingua more e bambara, parlate dalle due etnie principali del paese), si doveva risollevare dalla povertà della decolonizzazione, da un destino di schiavitù, cambiando il volto della sua classe politica, smascherando le prassi di ossequio agli interessi stranieri, combattendo la corruzione dei politici e degli uomini d’armi locali, modificando la propria mentalità (per Sankara “lo schiavo che non prende la decisione di lottare per liberarsi merita completamente le sue catene”).

Altre azioni vanno ricordate per aver dato all’Africa una possibilità di cercare una propria via allo sviluppo: la campagna per la vaccinazione (che portò a vaccinare contro il morbillo, la febbre gialla, la rosolia e il tifo ben 2.500.000 bambini), l’aver conseguito l’obiettivo di 2 pasti e di 5 litri di acqua al giorno per ogni burkinabè, la lotta all’infibulazione (emblema della sofferenza femminile a causa dell’oppressione maschile), l’abbassamento degli stipendi ai politici, la sostituzione delle auto Mercedes in uso ai funzionari pubblici con delle ben meno care Renault 5, la creazione di posti di salute primaria in tutti i villaggi del paese, la realizzazione di centinaia di scuole e di farmacie, la lotta alla desertificazione del Sahel con una campagna di imboschimento, la costruzione di centinaia di pozzi per l’acqua. Riforme estremamente innovative per un paese africano dei primi anni Ottanta e che riguardano temi che, oggi, vediamo presenti e urgenti nell’agenda politica mondiale, come lo sviluppo sostenibile, la disparità di genere, la povertà e la mancanza di possibilità di una parte consistente del mondo, con il suo corollario di migrazioni, sfruttamento, oppressione e assenza di diritti umani.

Ma sono soprattutto i suoi discorsi ad aver lasciato un’impronta per la condanna ad uno sviluppo che genera paesi sfruttati, uomini e donne schiacciati dalla miseria e per la ferma volontà per la ricerca di un altro sviluppo, non capitalistico, teso alla collaborazione, non votato alla competizione. Discorsi preveggenti nell’individuare i limiti di uno sviluppo teso alla spoliazione delle risorse africane e del pianeta; discorsi da statista al servizio del suo popolo e degli oppressi nel vedere come prioritaria la lotta all’analfabetismo, alla fame, alle malattie per mutare il destino dell’Africa; chiari nell’individuare le responsabilità delle multinazionali e degli Stati occidentali della povertà e dell’instabilità politica africana; propositivi nel voler mutare la situazione richiamando gli altri paesi africani ad avere un ruolo attivo per sottrarsi al debito estero che strangola i paesi più poveri, per costruire un’Africa per gli africani. Discorsi rivoluzionari e per questo… pericolosi.


Il 4 ottobre 1984 Sankara teneva il suo discorso alle Nazioni Unite, il suo proclama, che lo mise subito in cattiva luce in un Terzo Mondo che ci aveva abituato a dittatori e presidenti-fantoccio, a povertà scontate, a guerre civili o tribali, a sfruttamenti del sottosuolo che le nostre multinazionali davano per acquisiti.

In quel discorso Sankara additava il re nudo, dicendo le cose così come stavano, senza retorica né pietismo. Una bella “sfrontatezza” la sua: affermare di fronte a centinaia di rappresentanti di Paesi, tra cui gli ex colonizzatori, che lo sviluppo e la felicità sono un diritto di tutti, e che le responsabilità della povertà vanno cercate nel mercato dei cosiddetti Paesi ricchi. Ma come si permetteva il presidente del Paese più povero del mondo? Il suo discorso fu un bello smacco e Sankara divenne subito popolare ma anche scomodo e si fece subito molti nemici.

Non scriveva i suoi discorsi, che fossero alle Nazioni Unite, alla conferenza dell’Unione Africana di Addis Abeba o a François Mitterand: parlava a braccio, diceva quello che aveva sempre pensato. Persino i suoi amici più stretti gli facevano notare quanto fossero rischiose le sue affermazioni.

Oggi i suoi discorsi sono diventati storici, nel senso più genuino del termine: hanno fatto e fanno ancora la storia, non solo quella africana, sono ovunque e in forme diverse. Sono raccolti in piccoli volumi, pubblicati da case editrici che a volte portano proprio il suo nome (I discorsi e le idee di Thomas Sankara, a cura di C. De Bernardinis e M. Correggia, Sankara Edizioni, 2006); sono sul web, in riprese sfuocate in b/n degli anni ’80 o in documentari televisivi (E quel giorno uccisero la felicità, di Silvestro Montanari, Rai Tre), in trasmissioni radiofoniche della Radio Svizzera Italiana (Le idee non si possono uccidere. Thomas Sankara: in Burkina Faso inventare l’avvenire dell’Africa di Giovanna Riva), sono diventati comics come Sostiene Sankara, pubblicato nel 2014 da BeccoGiallo. Al giovane presidente burkinabè vengono dedicati siti internet e concerti.

Perché questa diffusione? Forse perché i discorsi di Thomas Sankara, africano, così come quelli di Josè “Pepe” Mujica, uruguayano, esprimono quello che molti pensano sullo “sviluppo” della società mondiale, ma, soprattutto, sono semplici e ci spiegano la verità e il senso di giustizia. O forse perché diventano, grazie alla loro chiarezza (Sankara leggeva molto ma si esprimeva con grande semplicità), punti di riferimento per chi oggi rifiuta o combatte gli stili di vita occidentali. La loro attualità rende necessaria la diffusione virale, come accade sul web ad esempio. Diritto all’istruzione, all’acqua e alla salute, parità di genere: quasi 2/3 della popolazione mondiale non sa cosa vogliono dire queste espressioni. Sankara era già “moderno” nel 1984.

I libri e i documentari rendono giustizia al giovane presidente burkinabè anche grazie all’inquadramento storico-politico dell’epoca: quanti conoscono in effetti i complessi meccanismi alla base della decolonizzazione e le forme di neocolonialismo e imperialismo contro cui lottava Sankara? Indispensabile quindi la contestualizzazione storico-geografica per capire anche quanto di rivoluzionario ci fosse nel giovane “Tom Sank”.


Sostiene Sakara’, l’operazione editoriale di BeccoGiallo, ha un altro taglio e vuole avvicinare un pubblico diverso dagli studiosi di geopolitica sin dal sottotitolo “racconti disegnati di felicità rivoluzionaria”. Il libro è composto dalla raccolta di disegni, fumetti, scritte realizzate da un gruppo ben nutrito ed interessante di grafici e di autori di comics, quali Assia Petricelli e Sergio Riccardi (già autori della graphic Cattive ragazze, che esplora le differenze di genere), Simone Lucciola (disegnatore underground, come ama definirsi), Toni Bruno (che nel 2006 ha pubblicato una graphic sulla storia di Stefano Cucchi, Non mi uccise la morte), Maurizio Boscarol (fumettista, autore satirico di Cuore e Mucchio Selvaggio ). I capitoli monografici come “Il Burkina Faso”, “Il debito”, “La donna”, “Il deserto”, “Essere neri”, con introduzioni e approfondimenti, portano il lettore attraverso temi e forme espressive diverse, a volte accattivanti, altre provocatorie, con toni cupi oppure coloratissimi come l’Africa. Alcuni autori rappresentano l’attualità delle parole di Sankara ambientando le loro storie nella società occidentale: i pericoli per l’ambiente a causa dello sviluppo capitalistico, l’oppressione femminile nelle società occidentale sono temi indagati e rappresentati a partire dall’analisi presente nei discorsi di Sankara. Alcune tavole ricordano che Sankara testimoniò la rivoluzione degli oppressi con l’esempio: si abbassò drasticamente lo stipendio, viveva come gli altri burkinabè, morigerato nel mangiare e nel vestire, indossava solo gli abiti prodotti dalle industrie tessili del suo paese, fedele all’idea che sia necessario consumare quello che produciamo e produrre quello che consumiamo e che nessuno debba vivere al di sopra delle sue possibilità e sfruttando, senza remore, gli altri e il pianeta.

Era così Sankara: colto, umile, sognatore, integro, ma anche sfacciato e ironico. Imprevedibile, come il suo stile di vita, con la casa modesta col mutuo, la Reanult 5 e l’amata chitarra. Un personaggio fuori dagli schemi della politica internazionale diventato, forse per questa sua unicità, conosciuto ben oltre i confini del “Paese degli uomini integri”. La storia glielo consente e glielo deve.

Sankara non voleva trasformarsi in gadget, come invece è successo al Che: ripeteva che un presidente non doveva avere nulla più dei suoi concittadini: “Sono qui di passaggio”, diceva, nessuna celebrità. “Parlo in nome dei burkinabè e del grande popolo dei diseredati”. Niente miti, per favore, né eroi: l’Africa ha bisogno di ben altro.

Franco CFA, retaggio coloniale ma anche garanzia per chi lo adotta

IL FRANCO CFA COME L'EURO: MONETE COLONIALI. L'ITALIA  COME L'AFRICA




Il Franco CFA è come l'Euro: l'Italia è l'Africa dell'Europa - Nicoletta Forcheri



La moneta adottata da 14 Stati africani accusata di fare gli interessi di Parigi e limitare lo sviluppo delle ex colonie. Ma la realtà è più complessa.

di Andrea Barolini





Il franco CFA è adottato da 14 nazioni, ma non si tratta solo di ex colonie. C'è chi lo ha scelto liberamente. E chi dopo averlo abbandonato è tornato sui propri passi. 

Il franco CFA è uno strumento al servizio esclusivo della Francia? È utile solo a Parigi per tutelare i propri interessi a danno dei Paesi africani? Si tratta di una forma di colonialismo iscritta nel solco della “Françafrique”?

Il franco CFA: vantaggi e svantaggi per le nazioni africane

La moneta, adottata oggi da 14 nazioni, è da anni oggetto di polemiche a livello locale così come nella stessa Francia. E da alcuni mesi il dibattito è diventato internazionale, dopo che alcuni esponenti politici italiani hanno gettato benzina sul fuoco.

Ma qual è la realtà? Per comprenderlo, è bene innanzitutto fare un grande passo indietro. Fino al 1945, quando dopo gli accordi di Bretton Woods si decise di creare un’unione monetaria. Le 14 nazioni che ne fanno oggi parte sono ripartite in seno all’Unione economica e monetaria dell’Africa occidentale (UEMOA) e alla Comunità economica e monetaria dell’Africa centrale (CEMAC). Alle quali si aggiungono le Comore. In tutto sono circa 155 milioni di persone ad usare il franco CFA.


L'avenir du franc CFA : un dilemme monétaire, entre stabilité et croissance http://trib.al/DMSXqWS 

Al momento della sua creazione, l’acronimo significava “Franco delle colonie francesi d’Africa”. Oggi invece si parla di “Franco della Comunità finanziaria dell’UEMOA” e di “Franco della Cooperazione finanziaria dei Paesi CEMAC”. La valuta è ancorata all’euro secondo una parità fissa decisa dalla Francia. In cambio, i Paesi che l’adottano sono obbligati a depositare il 50% delle loro riserve valutarie presso il Tesoro di Parigi.Una banconota da mille franchi CFA

La Banque de France paga interessi ai Paesi africani più alto dell’attuale tasso di mercato


Ma numerosi economisti ricordano un fatto certamente non secondario: Parigi non guadagna denaro grazie al 50% delle riserve. Questa somma viene infatti custodita dalla banca centrale francese.

Il governo di Parigi, in altre parole, non può disporne. Inoltre, ogni tre anni la Banque de France versa ai Paesi in questione degli interessi (ad un tasso minimo fissato nel 2013 allo 0,75%).

Il che rappresenta oggi un guadagno non indifferente, dal momento che il tasso di mercato, attualmente, è decisamente più basso.

È sempre nella capitale francese che sono stampate le banconote, che poi vengono inviate migliaia di chilometri più a Sud, alle banche centrali dei singoli stati. Posta in questi termini, sembra si tratti davvero di un retaggio coloniale con vantaggi a senso unico. La verità è però che il sistema garantisce alle nazioni africane la possibilità discambiare il franco con qualsiasi altra divisa.

[@CheckNewsfr] Non, la France ne pille pas chaque année «440 milliards d'euros aux Africains à travers le franc CFA» http://bit.ly/2SaPfhw 



Inoltre, essendo il franco CFA agganciato all’euro, la sua stabilità è garantita. L’indicizzazione fa sì poi che la moneta sia particolarmente forte, il che facilita le importazioni, per le nazioni che la utilizzano. Al contrario, però, sono i prodotti locali esportati all’estero ad essere penalizzati.
L’economista del Benin Kako Nubukpo: «È schiavitù monetaria»

Gli oppositori della moneta – per questa ragione, e non solo – non lesinano critiche. In prima linea, da tempo, c’è l’economista del Benin Kako Nubukpo, che ha parlato senza mezzi termini di «schiavitù valutaria». Puntando il dito proprio contro l’obbligo di trasferire la metà delle riserve al Tesoro francese. «Esso impedisce le trasformazioni strutturali che sarebbero necessarie nel Continente. È per questo che la questione della sovranità monetaria è cruciale», ha spiegato.

Dans le match France Italie sur le CFA qui se joue depuis une semaine, Kako Nubukpo, professeur de Sciences Economiques à l’université de Lomé, craint fort que l’Afrique soit la grande perdante. 


Nubukpo si domanda anche perché le banconote non siano fabbricate direttamente in Africa. «Il meccanismo – ammette però lo stesso esperto – permette di godere di un’assicurazione contro i difetti della governance economica africana».



#Afrique Indépendance économique.Vivement la fin du franc CFA

Anche l’economista guineano Carlos Lopes, quando era vice-segretario generale dell’Onu, aveva criticato aspramente il franco CFA. «Il meccanismo – aveva spiegato in un’intervista alla radio RFI– deve essere dinamico». Al contrario, oggi, è incapace di «rispondere al sistema economico globale». E sebbene gli scambi internazionali siano importanti, «i consumi interni sono ormai la componente più importante della crescita» nei Paesi che adottano la moneta.
Anche per i Paesi CFA vige il tetto del 3% nel rapporto deficit/Pil

Inoltre, il quotidiano economico Les Echos sottolinea quella che definisce «una delle principali aggravanti». Ovvero il fatto che sia stata imposta «in modo arbitrario la disciplina di bilancio in vigore nell’Unione Europea». In altre parole, i paesi membri del franco CFA sono tenuti – ad esempio – a rispettare il vincolo del 3% nel rapporto tra deficit e Pil. Esattamente come disposto per economie decisamente diverse come quelle della Francia, della Germania o dell’Italia.

Qualora i Paesi africani dovessero eccedere tale percentuale, scatterebbero delle sanzioni. «L’imposizione arbitraria di un tetto alla spesa pubblica – prosegue il giornale – frena i finanziamenti alle politiche governative, già esigui. Tutto ciò riduce le capacità di intervento e anche il peso politico, economico e sociale del potere pubblico».

Il vincolo del 3% è stato concepito infatti per nazioni molto sviluppate come la Germania (328,7 miliardi di euro di spese pubbliche nel 2017). Difficile pensare che possa essere applicato in modo identico a nazioni macroeconomicamente quasi agli antipodi. La Costa d’Avorio, ad esempio, è tra i paesi dell’Africa francofona, che presentano i dati finanziari migliori. Eppure, tra i suoi 24 milioni di abitanti il tasso di povertà è ancora del 46,3% (dato del 2015).
Gli interessi francesi (economici e non solo) in Africa: da Total a Bolloré

E allora per quale ragione il sistema è ancora in piedi, a più di 70 annidalla sua introduzione? Secondo i media transalpini, esso permette di garantire un quadro sicuro in una zona nella quale la Francia ha molti interessi economici e legami commerciali. Ciò «facilita gli investimentidelle imprese francesi in Africa».

Per la Francia, in ogni caso, la tutela degli interessi strategici è evidente. Dal punto di vista militare, il giornale La Dépêche sottolinea che «in 30 anni sono stati effettuati circa 50 interventi militari». In termini economici, inoltre, secondo il Consiglio francese degli investitori in Africa (CIAN), sono presenti «mille imprese, con 80mila collaboratori». Il tutto per un giro d’affari pari a 40 miliardi di euro all’anno.

Nel continente, tuttavia, la Francia deve difendersi dalla Cina. La quota di mercato è scesa al 5,5%, mentre quella della nazione asiatica è salita a più del 20%.

Il tutto in un periodo in cui gli investimenti cinesi in Africa sono arrivati a 60 miliardi di dollari. «Infrastrutture, telecomunicazioni, energia, gestione dell’acqua sono i settori in pieno boom sui quali punta Parigi», aggiunge La Dépêche.
Nel franco CFA anche nazioni mai colonizzate. E c’è chi è uscito e rientrato

Basti pensare a grandi gruppi come Total, il cui 31% della produzione proviene proprio dalle nazioni africane. O a Bolloré, colosso del settore dei trasporti e della logistica, che è presente in 45 Paesi del continente.

Il franco CFA, insomma, può essere visto da più angolazioni. E ha vantaggi come svantaggi. E anche l’accusa di rappresentare unicamente un retaggio coloniale non è esatta. Va detto infatti che non tutte le ex colonie o gli ex protettorati francesi hanno concluso accordi di cooperazione monetaria con Parigi.

A partire dalla propria indipendenza, nel 1958, la Guinea ha ad esempio creato il proprio franco. Esattamente come hanno fatto il Marocco(1959) e l’Algeria (1963). Anche il Mali ha fatto la stessa scelta, utilizzando per 22 anni una moneta nazionale. Nel 1984, tuttavia, mentre la sua economia stava crollando il governo di Bamako decise di tornare al franco CFA. Proprio al fine di proteggersi ed evitare il tracollo…


L'Invité Afrique - Hassoumi Massaoudou (Niger): le franc CFA «n'est pas un franc colonial ! » 

La Mauritania e il Madagascar, poi, sono rimasti nell’unione monetaria soltanto fino al 1972 e al 1973. Mentre due Stati che non sono mai stati colonizzati dalla Francia hanno deciso di aderire liberamente alla valuta. Si tratta della Guinea equatoriale, che lo ha fatto nel 1985, e della Guinea-Bissau, nel 1997.

Soros e Gates, soldi sprecati per l'Africa e l'emigrazione

Dell'Africa sappiamo tutto, ma capiamo poco. Lo si deduce anche dalle ultime dichiarazioni di Bill Gates, il fondatore di Microsoft che con la Bill&Melinda Gates Foundation aiuta i paesi in via di sviluppo. Propone un piano di aiuti economici e controllo delle nascite, un progetto che si scontra con la realtà locale ed è destinato al fallimento. Idem per Soros, che aiuta gli africani ad emigrare in Europa, ma non si rende conto che al 90% sono maschi.



“Hic sunt leones” c’era scritto al centro delle carte geografiche dell’Africa una volta, quando di quel continente si conoscevano solo le coste e nulla o quasi si sapeva degli immensi territori interni ancora inesplorati e delle genti che li popolavano. Oggi dell’Africa sappiamo tutto, il percorso di ogni fiume, l’altezza di ogni verde collina, le migrazioni e gli habitat di ogni specie di fauna selvatica, metro per metro, e gli ornamenti, le scarificazioni, i riti di ogni tribù. Abbiamo dati su ogni aspetto della vita economica e sociale: scolarizzazione, speranza di vita alla nascita, Pil, andamenti demografici, situazione sanitaria, budget nazionali, profughi, emigranti. Eppure un numero sorprendentemente elevato di persone che all’Africa, per una ragione o per un’altra, dedicano la vita, o quanto meno una parte consistente delle loro risorse e della loro attenzione, di quel che succede in quel continente e perché non hanno un’idea. Lo provano i loro discorsi e le attività che intraprendono convinti che servano a risolvere i problemi. 

Un esempio clamoroso è quello di Bill Gates che due giorni fa è intervenuto nel dibattito sull’emergenza degli emigranti illegali con due suggerimenti. Il primo è rendere difficile raggiungere l’Europa illegalmente. Il secondo è aumentare gli aiuti allo sviluppo: “la tumultuosa crescita demografica in Africa diventerà un’enorme pressione migratoria sull’Europa – ha detto nel corso di una intervista a un quotidiano tedesco – a meno che gli stati decidano di aumentare in modo consistente gli aiuti allo sviluppo alle terre d’oltremare”. La Germania devolve lo 0,7% del proprio Pil alle nazioni africane e asiatiche in difficoltà – ha aggiunto – gli altri stati europei dovrebbero fare lo stesso.

La Bill & Melinda Gates è la fondazione più grande del mondo. Da 17 anni finanzia progetti in paesi in via di sviluppo, molti dei quali in campo sanitario ed educativo, intesi a migliorare le condizioni di salute e di vita delle popolazioni più povere. Molti progetti sono destinati all’Africa che quindi Bill Gates dovrebbe conoscere bene. 

Invece in 17 anni il fondatore della Microsoft non ha colto due fatti fondamentali. Prima di tutto la scarsità di denaro non è il problema. Nel 2014, ultimo anno per cui si hanno dati complessivi, sono arrivati in Africa 662 miliardi di dollari in investimenti esteri diretti, 135 di aiuti internazionali e 443 di rimesse di emigranti: miliardi che si aggiungono a quelli prodotti dagli africani e ricavati dalla vendita di materie prime, minerali e agricole. Ma la corruzione sottrae al continente il 25% del suo Pil. Tutto l’oro del mondo non darà pace e benessere ai somali se continueranno a intascare due terzi degli aiuti internazionali destinati alla ricostruzione del paese invece di depositarli nelle casse dello stato e se continueranno a dividersi e scontrarsi, ognuno fedele al proprio clan e ostile a tutti gli altri. 

Tanto meno i problemi africani derivano da una “tumultuosa crescita demografica”. Ma, se anche fosse, Gates non capisce, e non è il solo, che gli africani non si convinceranno ad avere meno figli finché le loro tradizioni non saranno del tutto spazzate via e con esse l’imperativo cardinale di non lasciar finire nessuna linea di discendenza: sacro, imprescindibile dovere di ogni uomo e donna. E anche allora continueranno ad avere molti figli, finché non disporranno di sistemi di previdenza sociale sicuri e ben funzionanti, per garantirsi assistenza e cure in vecchiaia e in caso di disgrazie. Fino ad allora Bill Gates continuerà a sprecare miliardi di dollari – suoi e altrui – in programmi per il controllo delle nascite dall’esito deludente. 

Sprecherebbe il suo denaro però anche George Soros che invece "salva" gli emigranti se davvero fosse complice di un piano di cui farebbe parte, e che per l’Europa prevede flussi di immigrazione indotta, destinati a sostituire la popolazione europea autoctona con l’obiettivo di impoverire il continente, indebolire i ceti medi, inquinare e annullare le identità nazionali e religiose. C’è persino gente convinta che si tratti di un complotto ordito per realizzare, a quasi un secolo dalla sua elaborazione, il Piano Kalergi, un progetto paneuropeo che, tramite una immigrazione allogena di massa, si proponeva il genocidio dei popoli europei per creare masse di meticci facilmente manipolabili. 

Se davvero esistesse un "piano" di Soros, qualcosa però sta andando storto. Per prima cosa, quasi il 90% degli immigrati illegali sono maschi e questo rende piuttosto lunghi i tempi della sostituzione. I giovani africani per inondare di figli l’Europa devono o convincere le donne europee a far figli con loro oppure, se sono sposati in patria, farvi ritorno regolarmente per ingravidare le mogli e intanto avviare le pratiche per il ricongiungimento famigliare oppure, se celibi, guadagnare il denaro necessario a pagare prezzo della sposa e nozze e portarsi in Europa alcune mogli. 

Inoltre i flussi migratori si sono ridotti notevolmente. Nel 2016 gli arrivi sono più che dimezzati rispetto al 2015. L’Europa, Italia esclusa, ha reagito: accetta solo profughi, ha chiuso porti e frontiere. Soros dovrà inventarsi qualcos’altro.

Le cinque sorelle Rothschild che affamano il mondo



CARI AMICI AFRICANI RIBELLATEVI A TUTTO QUESTO!! ANCHE IN EUROPA AVETE DEGLI ALLEATI....


Chi? Come? e Perché? Ha ridotto e mantiene alla fame il Mondo? Ovviamente il “main stream” del monopolio mediatico globale non parla mai di chi ha il monopolio del cibo a livello mondiale! …

E perché mai dovrebbe farlo?…

Se lo facesse,… il “main stream” mediatico sarebbe costretto a non poter parlare dei soliti riservati vassalli del solito riservatissimo Jacob Rothschild che è il Signore, Padrino e Padrone supremo di tutti Monopoli possibili ed immaginabili del Mondo intero, compreso appunto il monopolio mediatico globale di cui lo stesso “main stream” è tirannica controllatissima e censuratissima espressione! Se lo facesse,… il “main stream” mediatico sarebbe costretto a non poter parlare del fatto che il monopolio mondiale del cibo, di cui le solite riservate “Cinque Sorelle dei Cereali” sono parte assolutamente determinante, regola in modo ferreo la produzione, la distribuzione ed i prezzi del cibo a livello planetario in modo tale da tenere sotto il costante ricatto della fame ben quattro miliardi di persone su sette miliardi della popolazione complessiva mondiale, in modo cioè da poterli sfruttare per fame fino a livelli schiavistici tali che ogni anno ne muoiono quaranta milioni per fame, e dei quali la metà sono bambini!

“Le cinque Sorelle che affamano il mondo”

di Harm Wulf 

Dall’interessante e, come sempre, documentatissimo saggio Le radici ideologiche dell’invasione di Gianantonio Valli apparso sul numero 52 della rivista l’Uomo libero :

La distruzione alimentare e sociale del Terzomondo

“Non insisterò sul fenomeno” – scrive nel 1911 Werner Sombart- “poco rilevante, del resto, che gli ebrei sono a capo, o almeno per molto tempo sono stati a capo, di parecchi e importantissimi settori commerciali, giungendo a monopolizzarne alcuni: il grano (principalmente nell’Ovest), il tabacco, la lana. Già a prima vista si comprende come si tratti dei tre fasci nervosi principali dell’economia americana, per cui chi detiene il monopolio di questi tre potenti settori dell’economia deve necessariamente svolgere una funzione di predominio nel contesto economico generale. Come ho appena detto, non insisto eccessivamente su tale circostanza proponendomi di fondare la mia tesi del ruolo egemonico degli ebrei su ragioni molto più profonde”.

Nel 2000 le multinazionali con capacità di ricatto mondiale nel commercio di cereali, Cina compresa, sono cinque società per azioni: 4 in mani ebraiche ed una ebreo-controllata, (ben minore è la sesta, l’italiana Ferruzzi, giunta alla ribalta negli anni settanta ad opera di Serafino Ferruzzi e potenziata dal genero Raul Gardini), chiamate in analogia con le compagnie petrolifere “le sorelle del grano”. Nell’ordine:

1) Cargill di Minneapolis, della famiglia amero-scozzese Mc Millan, socio il “bielorusso” Julius Hendel. Prima delle 100 imprese multinazionali agroalimentari elencate da Margherita Scoppola, fatturato totale 1997 di 56.000 milioni di dollari (oltre 100.000 miliardi di lire); con le altre 4 più la Ferruzzi, la Cargill oligopolizza l’80% del mercato mondiale dei cereali e, con Continental Grain, Dreyfuss e Bunge y Born, l’80% di quello dei semi oleosi.
Nel 1978 essa acquista il secondo più grosso produttore statunitense di carne, la MBPXL Corporation di Wichita/ Kansas, mutandone il nome in Excel e trasferendo gli impianti a Dodge City.
Scrive Jeremy Rifkin: “La decicisione di Cargill di aggiungere al proprio portafoglio aziendale attività di lavorazione delle carni bovine rifletteva la tendenza all’integrazione verticale che caratterizzava la scena imprenditoriale degli anni Settanta; segnalava anche il consolidamento finale dell’industria della carne, con il raggruppamento di cerealicoltura, allevamento e macellazione e trasformazione della carne in un unico, grande complesso bovino […].
Oggi, i tre grandi dell’industria della carne esercitano un significativo controllo su quasi tutte le fasi del processo produttivo della carne: posseggono le aziende che producono le sementi utilizzate per le colture di cereali destinati all’alimentazione bovina; producono i fertilizzanti e i prodotti chimici utilizzati sui terreni e sulle colture; sono proprietari di stalle intensive e di mandrie bovine sempre più numerose”.

2)Continental Grain di New York, della famiglia ebraica americana Fribourg. Il capo-casata è Michel, nato ad Anversa nel 1913.
Cento anni prima il bis-bisnonno Simon riforniva di granaglie gli eserciti napoleonici.
La prima filiale oltreoceano viene aperta a New York nel 1922; nel maggio 1940, all’arrivo in Belgio dei tedeschi, Michel si porta negli USA con tutti i suoi beni liquidi.
Il commercio con Mosca si apre nel 1963 con la vendita di 800.000 tonnellate di grano; nel novembre 1971 viene contratta la vendita di 2,9 milioni di tonnellate di cereali, soprattutto grano, orzo ed avena; nel luglio 1972 la cessione all’URSS al prezzo politico di 1,68 dollari a buschel porta ad un rialzo dei prezzi sul mercato americano che giunge a 5,24 dollari, mentre il mais triplica e la soia quadruplica per compensare il basso prezzo applicato all’URSS. Nel 1999 la CG si fonde con la Cargill a formare il supercolosso del settore alimentare.

3) Dreyfus di Stanford e Parigi, della famiglia “francese” Louis-Dreyfus.

4) Bunge y Born di Buenos Aires, della famiglia “argentina” Hirsh (tredicesima nell’elenco Scoppola con fatturato 1997 di 12.000 milioni di dollari).

5) Granac di Chicago e Losanna, fondata nel 1877 dalla famiglia “svizzera” André, la quale, in difficoltà negli ultimi anni Novanta, nel marzo 2001 alza bandiera bianca davanti a 43 banche creditrici, affidandosi a una procedura fallimentare.

Come scrive Giovanni Cesare Bianco, tale pentacipite superlobby economico-politica, mai quotata in borsa e che non pubblica bilanci, è “molto aggressiva e determinata verso potenziali rischi e concorrenti, spregiudicata e rapace nei rapporti con i contraenti, produttori ed acquirenti, quanto illuminata nei rapporti internazionali, votata al superamento della guerra fredda, alla composizione pacifica di ogni tensione locale o mondiale, alla massima apertura dei mercati e ad una politica internazionale molto avanzata e democratica, specie col blocco dei paesi comunisti ed asiatici […]

L’espansione innesca un nuovo ciclo di lotta oligopolistica nello schieramento ricordato, violenta e senza esclusione di colpi, quindi con costi elevati ed esiti incerti, e ciò pur in presenza di una situazione configurabile come oligopolio collusivo su scala mondiale. Conseguenti ripercussioni sono l’esaltazione dei corsi sui mercati, relativa inefficienza e sotto utilizzazione delle capacità produttive, possibilità di operare in termini fortemente speculativi”.

Similmente Tony Spybey: “Le operazioni di queste società sono talmente estese che, considerata l’importanza del grano nella dieta umana, nel loro complesso esse formano il nucleo centrale del sistema alimentare globale.

La portata delle loro operazioni è talmente vasta che esse impiegano la tecnologia satellitare per stimare l’offerta globale quando i cereali stanno ancora crescendo nelle praterie e nelle steppe dei vari continenti.

Morgan [in Merchant of Grain, Viking Press,1979] le presenta in questi termini: “Le società dei cereali furono coinvolte nel caso delle tanto controverse e pubblicizzate vendite di grano americano all’Unione Sovietica nel 1972. Fu solo però nell’anno successivo che, con il quadruplicarsi del prezzo del petrolio, si approfondì la consapevolezza dell’opinione pubblica sull’importanza strategica delle risorse fondamentali”. Come già accennato, infatti, la crisi del petrolio del 1973 portò lo scompiglio nei prezzi delle merci internazionali. Il grano, essendo un alimento di prima necessità, e anche un bene essenziale e strategico a tutti i livelli, eppure il corso delle azioni di queste società non viene quotato in Borsa, esse non pubblicano dei rendiconti e nel complesso sono controllate da un oligarchia di sette famiglie. Si tratta di società che esercitano un impatto certamente transnazionale su una rete integrata di domanda e offerta, che comprende agricoltori, intermediari, spedizionieri, mugnai, fornai, supermercati e consumatori in tutti e cinque i continenti”.

Della potenza delle Cinque Sorelle relaziona anche la Scoppola: “Pur svolgendo un ruolo centrale nel funzionamento dei mercati di alcune commodities [derrate] di base, le sei multinazionali sono rimaste nell’ombra per alcuni decenni. Questo alone di riservatezza, e perfino di segretezza è stato anche favorito dalla struttura proprietaria delle imprese: una sola famiglia, infatti, controlla le quote di maggioranza della casa madre e di quasi tutte le filiali; inoltre i Manager del gruppo provengono frequentemente dalla stessa famiglia o sono comunque legati ad essa attraverso rapporti di parentela. La concentrazione della proprietà e del management nelle mani di una sola famiglia ha consentito alle multinazionali di operare in un clima di estrema riservatezza, non dovendo rendere conto all’esterno delle strategie di impresa”.

La potenza delle Cinque Sorelle si esplica anche in politiche aziendali volte alla diversificazione in sempre nuove attività, tendenzialmente tutte a rischio contenuto, nei settori bancario, assicurativo, immobiliare e industriale. Di converso, confrères attivi in altri campi prendono sotto tutela altri settori alimentari strategici: vedi il superspeculatore ebreo ex- “ungherese” George Soros, che dopo avere investito miliardi di dollari in giganteschi complessi alberghieri e per uffici a Città del Messico, partecipato ai venezuelani Banco Provincial e Fondo de Valores Immobiliaros, a Bogotà al Banco de Colombia, in Brasile a ditte immobiliari e alla telefonica Telebras, a ditte immobiliari guatemalteche e, quanto all’Argentina, ad imprese di costruzione, catene alberghiere, centri sportivi, centri commerciali e primarie ditte immobiliari, prende sotto controllo il più vasto dei parchi-bestiame argentini, comprendente, a fine 1997 oltre 16.000 capi.

E a fine secolo tutti i settori affaristici sono talmente intricati che il mondo assiste, impotente, ai più impensati, ma sempre remunerativi, sconfinamenti. Nessuna sorpresa, quindi, se Arianna Daghino ci avverte – oltre che delle consimili imprese della Virgin dell’ “inglese” Richard Branson e della Monsanto dell’ebreo superamericano Robert Shapiro, che acquista terreni in Africa per sperimentare, indisturbata, le nuove redditizie culture transgenetiche approvate dal confratello ebreo Gary Goldberg, capo dell’American Corn Growers Association, “Associazione dei coltivatori americani di grano” (nel 1999 negli USA sono transgenici il 40% del raccolto di mais e il 60% della soia) – che Soros , “il genio delle speculazioni finanziarie”, punta ora “sull’Africa, sull’agricoltura, sulla natura e su un bene che è destinato a scarseggiare: lo spazio territoriale”:

“Saremo pure all’economia delle idee a alla ricchezza impalpabile dei flussi di informazione, ma la terra, bene fisico per eccellenza, rimane un asset [risorsa]”. E George Soros l’ha capito. Mentre i più fanno a gara per salire sul vascello dell’information technology, alcuni grandi investitori internazionali stanno puntando su ciò che l’Occidente pensava già di dover gettare fuoribordo: la terra. Terra come fornitrice di materie prime, di beni agro-industriali o minerali; terra su cui costruire case e complessi turistici; terra semplicemente come spazio territoriale (un bene che, a differenza delle idee, è limitato e tende sempre più a scarseggiare).

“Ma dove stanno acquistando i finanzieri delle city di New York e Londra? Soprattutto nel continente dimenticato, l’Africa. E’ questa la prospettiva strategica di società di investimenti come la londinese Blakeney Management – specializzata in mercati emergenti e unica, nel suo genere, a focalizzare i propri interessi esclusivamente in Africa e nei Paesi Arabi – che oltre a investire in azioni sulle borse locali ha cominciato ad acquisire società proprietarie di tenute e piantagioni.

Dietro Blakeney Management ha fatto spesso capolino George Soros […] Il Soros Fund Management, infatti, fa parte del consorzio di investitori stranieri che, capeggiato da Blakeney Management, nel 1997 divenne il maggior azionista di African Lakes Corporation, una trading company [da to trade “commerciare/trafficare/approfittare/speculare”, e quindi: compagnia di commercio/speculazione] quotata a Londra e da oltre un secolo attiva nell’Africa subequatoriale, dove è proprietaria, soprattutto in Malawi e Zimbawe, di piantagioni e foreste. La stessa African Lakes ha ora acquistato Automotive Export Supplies, distributore di Land Rover e BMW in dodici paesi africani”.

Inoltre, “la presenza invisibile” di George Soros si fece sentire anche quando nel 1998 Blakeney Management – il cui fondo di investimenti per l’Africa include una coppia di banche newyorkesi e due fra i maggiori fondi pensione inglesi – divenne insieme ad African Lakes il maggior azionista di Lonrho Africa, una delle più importanti trading company del continente , quotata sia a Londra che a Joannesburg. Con sede a Nairobi, Lonrho Africa è proprietaria di grandi piantagioni di cotone, tè, canna da zucchero, enormi fattorie per l’allevamento del bestiame e immense foreste da taglio. I suoi interessi, radicati anche nel turismo e nella distribuzione di auto e macchinari industriali, toccano Ghana, Kenya, Uganda, Mozambico, Sudafrica, Mauritius, Zambia e Malawi. Sempre fra le società con un interessi in Lonrho Africa si trova un altro dei protagonisti di questo nuovo scramble for Africa [lotta per l’Africa]. E’ African Plantation, anch’essa associata a Soros. African Plantations Corporation è costituita da un gruppo di finanziatori lungimiranti, “ convinti che le grandi piantagioni del continente abbiano di fronte a sé un futuro promettente, alla luce della crescente domanda di prodotti agro-industriali sui mercati internazionali e della concomitante riduzione di terre arabili nel resto del mondo2, come recita il profilo aziendale. Ha acquistato grandi piantagioni di tè e caffè di tutta l’Africa, con ramificazioni anche nelle foreste da taglio e nelle piantagioni di alberi della gomma […] D’altronde pur un avveduto e ascoltato international investitor come Jim Rogers, da un anno in giro per il pianete per analizzare di persona i vari mercati, consiglia di puntare sulle materie prime: riso, cotone, lana, prodotti minerari. Tutta ricchezza che si può ancora toccare con mano”.

A causa della politica agricola condotta dall’Occidente, in testa gli USA, nei confronti del Terzomondo, le gigantesche holding multi-transnazionali, in ispecie le Cinque Sorelle dei cereali, sono le responsabili prime di tutta una serie di fenomeni innescati… (segue. Si raccomanda la lettura integrale del saggio.)



SEAWATCH, L’OBIETTIVO DELL’ONG È DISTRUGGERE L’ITALIA SU MANDATO DEI SOROS


E le ong lavorano per il ‘capitale’, non è un caso siano finanziate da multinazionali e speculatori. Come spiega Diego Fusaro, SeaWatch è in missione per ‘eliminare le frontiere’, che è poi il sogno degli speculatori:

Perché, diciamolo chiaramente, le multinazionali hanno un solo problema, un unico ostacolo che si frappone tra loro e un futuro fatto di mega corporazioni che controllano il mondo: gli Stati nazionali.

L’unica forma statuale che garantisce la libertà dei cittadini e la protezione dei loro diritti sociali e democratici. Né troppo piccoli per risultare nani da giardino irrilevanti, come sarebbe un’Europa alla ‘catalana’, né troppo grandi da minacciare l’identità.

E l’immigrazione – oltre alla propaganda Lgbt, non per caso le multinazionali sponsorizzano i Pride – è il fenomeno perfetto per abbattere gli stati attraverso la polverizzazione dei legami etnici: una volta che l’Europa sarà abitata da una sorta di poltiglia multietnica e multiculturale, allora l’esistenza delle nazioni non avrà più senso, semplicemente perché non esisteranno più le differenze che le rendono possibili.

L’obiettivo è chiaro. E le ong fanno parte di un piano evidentemente più grande di loro:

Per questo Salvini deve vincere la guerra con le ong. Perché il loro obiettivo, su mandato di speculatori e globalisti come Soros, il motivo per il quale sono pagate, è distruggere l’Italia. E con l’Italia, l’Europa.

Per questo è essenziale che non passino. E’ in gioco molto di più di qualche decine di clandestini. E’ in gioco il nostro futuro.

L’Italia di Salvini è il baluardo della civiltà europea. Se cade l’Italia, cade la civiltà europea.




Ricordiamo che queste Ong hanno bilanci totalmente opachi, non danno i nomi dei finanziatori per questioni di ‘privacy’.




SALVINI VINCE PER KO. ARRESTATA LA COMANDANTE DI SEA WATCH



CAROLA RAKETE PRELEVATA DALLA FINANZA
DOPO L’ATTRACCO DELLA NAVE CON I MIGRANTI
I LAMPEDUSANI SUL MOLO GRIDANO “VENDUTA”
ORA RISCHIA FINO A 10 ANNI DI CARCERE
I VIDEO DELL’ARRESTO E DELLE CONTESTAZIONI
ALL’ONG FINANZIATA DAI PROTESTANTI TEDESCHI


___di Fabio Giuseppe Carlo Carisio ___

Tanto tuonò che piovve. La frase attribuita a Socrate ben si addice a narrare la saga della Sea Watch che si è conclusa questa notte dopo l’approdo della nave nel porto di Lampedusa con una quarantina di migranti a bordo. Il primo round di questo scontro, che ha assunto le connotazioni di un conflitto socio-politico epocale tra i buonisti del Partito Democratico (con altri esponenti di sinistra) e i fautori della sicurezza delle coste italiane con il Ministro dell’Interno Matteo Salvini in prima linea, è stato vinto per knock-out proprio dal segretario della Lega.



Carola Rakete comandante della Sea Watch 3

Secondo quando riferisce l’Ansa e ha mostrato in diretta video Local Team poco dopo le 3 di notte Carola Rackete, la comandante di Sea Watch 3, nave di una ong tedesca con bandiera olandese, è stata prelevata dal natante e arrestata dalla Guardia di Finanza che l’ha portata via su un’auto del 117. La donna, già indagata nei giorni scorsi per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e rifiuto di obbedienza a nave militare, è accusata di un crimine molto pesante: violazione dell’Articolo 1100 del codice della navigazione per resistenza o violenza contro nave da guerra, un reato che prevede una pena dai tre ai 10 anni di reclusione.

I LAMPEDUSANI GRIDANO VENDUTA ALLA COMANDANTE

«Venduta! Ti devi vergognare» sono le grida con cui i cittadini di Lampedusa hanno inveito contro la donna mentre scendeva nella nave per essere accompagnata dai militari del servizio marittimo delle Fiamme Gialle sulla loto vettura e portata via in caserma a sirene spiegate.


Il momento dell’arresto di Carlo Rakete intono alle 3 di sabato 29 giugno – clicca sull’immagine per il video

La Sea Watch, ferma da tre giorni al largo di Lampedusa, era entrata nel porto dell’isola per decisione della comandante Rackete nonostante la mancanza di autorizzazioni da parte delle autorità. La nave è rimasta per qualche minuto all’esterno del porto, bloccata da una motovedetta della Gdf, e si è poi diretta verso la banchina, dove ha attraccato. “Basta, dopo 16 giorni entriamo in porto”, aveva scritto la ong su Twitter. Una portavoce dell’organizzazione aveva rilasciato un’intervista ringraziando Salvini per la pubblicità involontaria data alla loro attività che gli ha consentito di ricevere moltissime donazioni negli ultimi giorni, aggiu8ntesi a quelle della Chiesa Protestante tedesca che per stessa ammissione dei membri di Sea Watcdh è la principale finanziatrice.

I migranti al momento sono ancora tutti sul ponte superiore della Sea Watch, dove si trovano anche i cinque parlamentari dell’opposizione che due giorni fa erano saliti a bordo. Anche tutto l’equipaggio è a bordo della nave, mentre sul molo sono schierate le forze dell’ordine. I parlamentari a bordo della Sea Watch sono Matteo Orfini, Nicola Fratoianni, Riccardo Magi, Graziano Delrio e Davide Faraone.



IL MINISTRO DEL PONTE MORANDI SULLA SEA WATCH

Il capogruppo del Pd alla Camera, Graziano Del Rio, sulla Sea Watch 3 accanto alla comandante Carola Rakete

L’ex Ministro delle Infrastrutture e Trasporti Del Rio deve aver frainteso le parole del Papa “non costruiamo muri ma ponti” infatti proprio mentre si trovava sulla nave di soccorso sono stati fatti esplodere gli ultimi resti del Ponte Morandi, precipitato per evidenti carenze di manutenzione avvenute proprio nel periodo in cui il piddino ha governato il Ministero competente

«Scontro tra opposte fazioni sul molo di Lampedusa dopo che la Sea Watch ha violato il divieto d’ingresso e ha attraccato: da una parte i sostenitori della ong che hanno applaudito la scelta della comandante, dall’altra un gruppo di lampedusani tra cui l’ex vicesindaco Angela Maraventano, che ha urlato e inveito contro i volontari dell’organizzazione – riferisce l’Anda – “E’ una vergogna – ha urlato Maraventano rivolta verso la nave -. Qui non si può venire a fare quello che si vuole, non venite nelle nostra isola se no succede il finimondo”. E poi, “fate scendere i profughi – ha aggiunto rivolgendosi alle forze dell’ordine – e arrestateli tutti”. All’ex vicesindaco ha risposto l’ex sindaco Giusi Nicolini: “Che vuoi tu, chi sei tu per decidere chi deve venire e chi no”. Prima di attraccare, una motovedetta della Guardia di Finanza ha tentato più volte di impedire l’ormeggio fino a quando si è dovuta sfilare per non rimanere incastrata fra la Sea Watch e la banchina.


L’ONE DI SEA WATCH FINANZIATA DAI PROTESTANTI TEDESCHI

La nave Sea Watch 3 che opera nel Mediterraneo con bandiera olandese

«Non avevamo scelta, al comandante, iscritto nel registro degli indagati, non è stata data nessuna soluzione di fronte a uno stato di necessità dichiarato trentasei ore fa e quindi era sua responsabilità portare queste persone in salvo – ha riferito all’Ansa la portavoce della Sea Watch, Giorgia Linardi – La violazione non è stata del comandante, ma delle autorità che non hanno assistito la nave per sedici giorni».

Ieri, venerdì 28 giugno la nave è stata perquisita dalla Guardia di Finanza, quando era ferma a mezzo miglio al largo di Lampedusa. I finanzieri sono saliti a bordo su disposizione dei pm di Agrigento e stanno notificando al comandante Carola Rackete anche l’iscrizione nel registro degli indagati.

IL MINISTRO SALVINI TUONA CONTRO GLI OLANDESI

Il vicepremier Matteo Salvini, Ministro dell’Interno, tuona contro il silenzio degli olandesi

«il comportamento del governo olandese è disgustoso, se ne strafregano di una nave che batte bandiera olandese. Ho scritto alla collega agli Interni del governo olandese, senza avere uno straccio di risposta» aveva commentato furente il ministro dell’Interno, Matteo Salvini, su Rai Radio1 ad Un giorno da Pecora. 
Ministro degli Affari Esteri Enzo Moavero Milanesi

Fonti della Farnesina avevano fatto sapere che a seguito del lavoro svolto – su istruzioni del ministro Enzo Moavero Milanesi, in stretta correlazione con la Commissione europea – Francia, Germania, Lussemburgo, Portogallo e Finlandia sono disponibili ad accogliere migranti imbarcati sulla nave Sea Watch. La portavoce della Commissione europea, Natasha Bertaud, ha dichiarato che lo “sforzo solidarietà” con la ridistribuzione dei migranti a bordo tra gli Stati membri Ue «può essere messo in atto solo se e quando lo sbarco sarà permesso».

Non va dimenticato che Moavero, già ministro agli Affari Europei nel Governo Monti, era esponente di Scelta Civica, il partito di banchieri e lobbisti dell’alta finanza che sostiene a costo di qualsiasi sacrificio le politiche dei tecnocrati di Bruxelles e della Bce a discapito di ogni sovranità nazionale.

Che il caso Sea Watch 3, anche alla luce delle nuove disposizioni del Decreto Sicurezza bis approvato dal Governo di Lega-5Stelle, avesse preso una piega differente lo si era capito nei giorni scorsi da due importanti segnali di sostegno alla politica di controllo delle acque territoriali italiane.

In primo luogo quando il Cedu, la Corte Europea per i Diritti Umani di Strasburgo, ha rigettato il ricorso della nave che chiedeva tutela umanitaria. Una circostanza eloquente in virtù dei ripetuti pronunciamenti di condanna dell’Italia ad esempio sul carcere duro del 41 nis per gli assassini seriali di mafia.

In secondo luogo proprio quando la Procura di Agrigento ha aperto un fascicolo e indagato la comandante Rakete per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Il procuratore capo è infatti Luigi Patronaggio che mise sotto inchiesta Salvini per con l’accusa pesantissima di sequestro di persona aggravto per il caso dei migranti rimasti vari giorni sulla nave Diciotti della Guardia Costiera, prima in mare e poi nel porto, perchè il Ministro dell’Interno non ne aveva autorizzato lo sbarco.

Ora è stato invece lo stesso Patronaggio ad indagare la comandante in un atto che può avere una sola lettura: quando è troppo è troppo. Va infatti ricordato che alla nave era stato ordinato di scaricare i migranti in Libia o in Tunisia ritenuti dall’ong porti non sicuri nonostante le coste tunisine siano mèta di milioni di turisti stranieri ogni anno.

Come scritto nell’incipit Salvini vince dunque il primo match conto la paladina dei migranti Rakete. Ma resterà da capire quali saranno i reali sviluppi giudiziari nei suoi confronti e nei confronti della nave Sea Watch 3. O se invece, come nel caso dell’ex Sindaco di Riace, Mimmo Lucano, i provvedimento restrittivo non sia soltanto un modo per farne una presunta vittima in quella propaganda di accoglienza indiscriminata, tanto predicata dai buonisti radical chic dalle ville blindate lontane dalle periferie delle gang di clandestini senza diritto di soggiorno e della mafia nigeriana, che nuoce gravemente alla salute prima ancora che agli italiani ai migranti stessi.


Fabio Giuseppe Carlo Carisio
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venerdì 28 giugno 2019

UNA STORIA NEL...CORTILE Emanuela Orlandi? Forse ha ragione padre Amorth


Si fa un gran parlare in questi giorni di colui che è divenuto il quinto indagato per la scomparsa di Emanuela Orlandi, la quindicenne cittadina vaticana sequestrata nel 1983. Oltre ai quattro della banda della Magliana, infatti, nelle indagini figura un insospettabile. Un ecclesiastico: è monsignor Piero Vergari, rettore di Sant’Apollinare all’epoca dei fatti, rimosso dall’incarico nel 1991, un anno dopo aver perorato la causa dell’”indegna sepoltura” in Sant’Apollinare del boss “Renatino” De Pedis con una lettera al cardinal Poletti in cui descrisse il gangster romano come “grande benefattore”.

Ne “L’ultimo esorcista“, il libro che padre Gabriele Amorth ha scritto con Paolo Rodari (in libreria dallo scorso gennaio) Amorth conferma la pista vaticana, così:
NOTA SUL CASO ORLANDI
di padre Gabriele Amorth

Non ci sono prove per dire che in Vaticano ci sia Satana, nel senso che non ci sono prove per dire che ci sono persone che in Vaticano svolgono riti satanici. Persone che sono volutamente schiave di Satana e che lavorano per instaurare il suo regno di buio, morte e distruzione in questo mondo. Io, almeno, non ho prove.
Però voglio dire due cose. La prima riguarda papa Paolo VI. È il 29 giugno 1972. È l’omelia per la festa dei santi Pietro e Paolo. Paolo VI se ne esce con questa terribile denuncia. Dice: «Ho la sensazione che da qualche fessura sia entrato il fumo di Satana nel tempio di Dio. C’è il dubbio, l’incertezza, la problematica, l’inquietudine, l’insoddisfazione, il confronto. Non ci si fida della Chiesa… Si credeva che dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la storia della Chiesa. È venuta invece una giornata di nuvole, di tempesta, di buio, di ricerca, di incertezza… Crediamo in qualche cosa di preternaturale (il Diavolo) venuto nel mondo proprio a turbare, per soffocare, i frutti del Concilio ecumenico e per impedire che la Chiesa prorompesse nell’inno di gioia di aver riavuto in pienezza la coscienza di sé». E ancora, ecco cosa disse il 15 novembre 1972 durante l’udienza generale: «Uno dei bisogni maggiori della Chiesa è la difesa da quel male che chiamiamo demonio. Terribile realtà. Misteriosa e paurosa… Esce dal quadro dell’insegnamento biblico ed ecclesiastico chi si rifiuta di riconoscerla esistente… È il nemico numero uno, è il tentatore per eccellenza. Sappiamo che questo essere oscuro e conturbante esiste davvero e con proditoria astuzia agisce ancora: è il nemico occulto che semina errori e sventure nella storia umana».

Infine il 3 febbraio 1977, ancora durante l’udienza generale: «Non è meraviglia se la scrittura acerbamente ci ammonisce che “tutto il mondo giace sotto il potere del Maligno”».
Paolo VI parla spesso del demonio. E spesso lega la sua figura alla Chiesa. Perché? Forse perché vuole semplicemente ammonire la Chiesa, chiederle di essere prudente, di fuggire le tentazioni di Satana. Ma, a mio avviso, c’è di più. Paolo VI in qualche modo si accorge che Satana è dentro la Chiesa, forse addirittura dentro il Vaticano. E lancia l’allarme.
La seconda cosa che voglio dire riguarda un libro. Nel 1999 è uscito un libro che s’intitola Via col vento in Vaticano. L’autore, anonimo, era un monsignore della curia romana. Presto tutti seppero il suo nome, Luigi Marinelli. Prima della pubblicazione del libro Marinelli venne più volte a confi darsi con me. Era indeciso se pubblicare il libro o meno. Perché questa indecisione? Perché il libro è una collezione di aneddoti piccanti. Storie di carriere, arrivismi, avventure amorose. E anche riti e pratiche poco chiare, che si avvicinano al satanismo.
Certo, non tutto quello che c’è scritto in quel libro è vero, ma in gran parte lo è. Questo è il mio parere. Ora, questo libro, appena uscito, sparì dai banchi delle librerie. Il Vaticano fece comperare tutte le copie. E poi, cosa ancora più curiosa, l’uscita fece pochissimo chiasso sui giornali. Perché? Come fu possibile che rivelazioni così esplosive non scatenassero
il solito can-can dei media? Difficile rispondere. Di certo c’è un fatto: questo libro conferma che quando Paolo VI parlava in qualche modo della presenza del demonio nella Chiesa non aveva tutti i torti. Doveva essere un allarme per la Chiesa, ma non lo fu.

Vorrei, in proposito, fare un esempio. Parlare di una vicenda relativamente recente nella quale, a mio avviso, quella parte minoritaria che dentro le sacre mura lavora per il male e non per il bene può aver preso il sopravvento. È la vicenda che prende il nome di Emanuela Orlandi.
Emanuela Orlandi è una ragazza di quindici anni, figlia di un dipendente del Vaticano, precisamente di un dipendente che lavora nella prefettura della casa pontificia, uno insomma che nel suo lavoro ha occasione spesso di vedere da vicino il Papa. Emanuela è una ragazza solare e vivace.
Improvvisamente il 22 giugno del 1983 scompare. Ancora oggi non è stata trovata. Scompare dopo essere andata a lezione di musica. Emanuela, infatti, suona il fl auto presso la chiesa di Sant’Apollinare in Classe dove c’è una sorta di conservatorio. Secondo le ultime informazioni raccolte prima della sua scomparsa, Emanuela sale su una macchina nera. Ma non è certo. È sicuro che alle 19.15 è stata vista per l’ultima volta da due compagne di scuola, in corso Rinascimento. Dopo di che di Emanuela non si sa più nulla, sparisce.

Pochi giorni dopo appaiono molti manifesti con l’immagine di Emanuela per tutta Roma e con l’appello perché chiunque l’abbia vista nelle ore precedenti o successive alla sua sparizione si faccia avanti.
Nei giorni successivi, e ancora nei mesi e negli anni successivi, si dice di tutto riguardo a questo rapimento.
Le tesi sulla scomparsa della povera Emanuela restano molteplici. Non voglio elencarle. Voglio soltanto dire cosa penso io. Premetto però che non parlo perché sono a conoscenza di fatti, ma parlo riportando quelle che sono le mie sensazioni. Le sensazioni che da subito ho provato quando ho saputo della scomparsa della giovane Emanuela.
Io penso che una ragazza di quindici anni non sale su una macchina se non conosce bene la persona che le chiede di salire. Credo che occorrerebbe indagare dentro il Vaticano e non fuori. O comunque indagare intorno alle persone che in qualche modo conoscevano Emanuela. Perché secondo me solo qualcuno che Emanuela conosce bene può averla indotta a salire su una macchina. Spesso le sette sataniche agiscono così: fanno salire su una macchina una ragazza e poi la fanno sparire.
Il gioco è facile purtroppo. Fanno salire in macchina la loro preda, la narcotizzano con una siringa e poi fanno di questa ragazza ciò che vogliono.
Beninteso, mi auguro che le cose non stiano in questo modo. Mi auguro che se davvero, come penso, di setta satanica si tratta, almeno questa setta non abbia nulla a che vedere con il Vaticano. Mi auguro che questa storia che sembra non finire mai finisca presto. Ma non mi esimo dal dire che spesso in tutto il mondo scompaiono giovani donne in questo modo. Può sparire una ragazza così vicina a un luogo che dovrebbe essere santo come è il Vaticano? Purtroppo sì. Perché Satana è ovunque.