Sono passati più di 400 anni da quando William Gilbert pubblicò il suo ‘De Magnete, Magneticisque Corporibus, et de Magno Magnete Tellure’ (Sul magnete, i corpi magnetici e sul grande magnete Terra), nel quale si concludeva che il magnetismo della Terra era una proprietà planetaria permanente e che proveniva dal suo interno. Pochi decenni più tardi Henry Gellibrand mostrò che il campo magnetico terrestre mostrava anche una lenta variazione temporale, detta in seguito variazione secolare.
Oggi le nostre conoscenze sul magnetismo, in generale, e sul magnetismo terrestre in particolare, sono notevolmente accresciute ma, come spesso accade, più si conosce e più problemi si aprono.
Infatti oggi sappiamo che il campo magnetico terrestre è generato nel profondo interno della Terra, nel nucleo fluido e che, oltre ad essere soggetto alla variazione secolare, è anche soggetto a moltissime altre variazioni temporali che sono connesse all’ambiente nel quale siamo immersi. Un ambiente permeato da segnali EM, per la maggior parte originanti dall’interazione tra Sole e Terra, ma anche nell’atmosfera (ad esempio dai fulmini) o comunque nello spazio circum-terrestre (vedi ad es.: Bianchi and Meloni, 2007). In breve un ambito molto ricco di segnali EM al quale, da circa un secolo o poco più, abbiamo aggiunto anche quelli di origine artificiale (TV, radio, linee di alta tensione, etc.).
Densità spettrale del Rumore EM naturale sulla Terra in funzione della frequenza f. L’intervallo di frequenza da 10E-4 to 10E4 Hz è caratterizzato da un rumore che decresce in ampiezza in modo evidente. Questa decrescita può bene essere confinata tra due linee rette rispettivamente in caduta esponenziale come fE-1 and fE-1.5.
Quindi, un’indagine sui fenomeni sismo-magnetici non può essere correttamente effettuata prima di aver “isolato” l’eventuale contributo tettonico dal segnale EM che vogliamo studiare. Solo una volta separato il segnale di nostro interesse dal fondo EM, possiamo provare a cercare una relazione fra i due fenomeni. Nell’ambito del tema che stiamo trattando è utile anche precisare che le variazioni EM riportate in letteratura, ricadono in una vasta gamma di frequenza (da DC a VHF), e gli effetti osservati sono legati all’intensità del fenomeno, per i terremoti ad esempio dalla Magnitudo M, e dalla distanza tra la sorgente del segnale e le apparecchiature di monitoraggio EM. I fenomeni riportati sono più evidenti se le Magnitudo sono elevate e se l’osservazione EM è effettuata in vicinanza dell’area epicentrale.
Come già accennato, nella letteratura scientifica internazionale si trovano molti esempi di relazioni fra segnali EM e terremoti. Uno dei primi riguarda il terremoto dell’Alaska (M 9.2) del 27 marzo 1964. Questo terremoto è stato il più grande a colpire gli Stati Uniti in epoca moderna e uno dei più grandi mai registrati sulla Terra. Nello stesso anno Moore (1964), in un articolo sorprendentemente poco citato, ha riportato la presenza di perturbazioni del campo magnetico nella banda (ULF; ≤ 10 Hertz) a Kodiak, in Alaska, circa 1 – 2 ore prima del terremoto. A questo lavoro ne sono seguiti molti altri che riportavano la presenza di segnali ULF anomali registrati da magnetometri in occasione di altri terremoti (es.: Fraser-Smith et al., 1990; Molchanov et al., 1992; Hayakawa et al., 2000; Simpson and Taflove, 2005, Bleier et al 2009).
I lavori citati sono stati prodotti da diversi gruppi di ricerca e i risultati pubblicati in riviste scientifiche ‘peer review’ ben note. Esistono quindi prove ragionevoli dell’esistenza di fluttuazioni del campo EM naturale, associabili (addirittura a precedere) grandi terremoti. Dobbiamo comunque anche ricordare che alcuni dei lavori in oggetto sono stati contestati da altri ricercatori, nel pieno spirito del normale dibattito scientifico (si veda ad es.: Campbell, 2009, Thomas et al., 2012, etc.). Tralasciando per ora l’ipotesi, comunque molto interessante, secondo cui le misurazioni indicano che segnali magnetici ULF possono anche essere usate come precursori di un evento sismico, limitiamoci al fatto che questi segnali possano, in determinate circostanze, emergere dall’interno della Terra proprio in associazione a eventi sismici.
Un esempio interessante è proposto in Bleier et al. (2009); questi autori riportano che alla fine dell’ottobre 2007, prima del terremoto di Alumn Rock, California, USA (30 Ottobre, 2007, M5.4) il tasso di impulsi magnetici registrato dalla loro strumentazione, posta in una stazione di misura collocata a 2 km dall’epicentro, è cresciuto ed è rimasto al nuovo livello per circa 2 settimane, per decrescere ai livelli precedenti solo dopo l’evento. La figura sotto riporta questa situazione con un grafico nel quale al passare del tempo (sull’asse delle x) viene mostrata l’evoluzione del numero degli impulsi magnetici (sull’asse delle y). Gli eventi sismici più significativi sono riportati ai tempi ai quali sono avvenuti.
Conteggio degli impulsi magnetici nella direzione E-W registrati a Milipitas, a 2 km dall’epicentro del terremoto di Alumn rock (vedi testo). Nella parte superiore (a) il grafico riporta tutti i conteggi, nella parte inferiore (b) il grafico riporta i conteggi depurati a seguito della rimozione degli effetti antropici, rimuovendo tali effetti si noti anche il cambio di scala.
Ma come vengono generati questi impulsi? Se si osservano fenomeni a bassa frequenza (es: ULF) le spiegazioni più supportate per la variazione del campo magnetico locale, che generalmente non supera pochi nanoTesla nel campo magnetico, chiamano in causa gli effetti piezomagnetico e/o elettrocinetico, che possono avere luogo nei volumi di roccia dove avviene la fase di preparazione dell’evento tettonico. Ma sono stati suggeriti anche altri meccanismi. Tra questi, possibili rapporti fra stress e conducibilità elettrica delle rocce e la conseguente ridistribuzione delle correnti telluriche, o processi di separazione di cariche elettriche e conseguente generazione di campo elettrico, fenomeni magneto-idrodinamici, effetti di magnetizzazione e smagnetizzazione termica, e altro ancora. In buona sostanza quindi, almeno finora, spiegazioni variegate e ragionevoli ma non completamente soddisfacenti sui meccanismi fisici collegati ai fenomeni osservati.
Per descrivere gli impulsi magnetici unipolari, Freund (2008, 2009) ha proposto un modello nel quale le rocce vengono assimilate a semiconduttori e il meccanismo si baserebbe su un accoppiamento di drift e diffusione nel semiconduttore associabile alla generazione di campi magnetici in relazione alle correnti elettriche che fluiscono all’interno delle rocce. Tuttavia nel caso di campioni nei quali ci sia saturazione di fluidi, secondo altri autori (come ad esempio Dahlgren et al., 2014) non appare possibile un significativo accumulo di carica elettrica in risposta al lento accumulo di stress che precede i terremoti. Nell’insieme una materia quindi ancora difficile da trattare e sulla quale un’interpretazione univoca sembra ancora difficile da raggiungere.
Negli ultimi decenni l’INGV, in collaborazione in particolare con l’Università dell’Aquila, ha avviato attività di osservazione di segnali elettromagnetici in Italia nell’ambito di diversi programmi di ricerca in geomagnetismo. In alcuni casi i dati rilevati sono anche stati usati nella ricerca di possibili fenomeni tettono-magnetici. Come esempio più rilevante vogliamo ricordare quello del terremoto di L’Aquila. Tutti ricordano che il 6 aprile 2009 alle 01:32 UTC la città dell’Aquila e i suoi dintorni hanno subìto un forte terremoto la cui scossa principale ha fatto registrare una Magnitudo (Mw) 6.3. L’epicentro della scossa principale era a soli 6 km dall’Osservatorio Geomagnetico dell’Aquila, che forniva dati EM in varie bande di frequenza da DC a ULF. Questi dati sono stati utilizzati per indagare su possibili relazioni con il terremoto. Per l’indagine sono stati utilizzati anche i dati di una seconda stazione di osservazione EM situata a Duronia, circa 100 km a SE di L’Aquila.
L’analisi dei dati dei magnetometri nella banda ULF in operazione all’Aquila, ha permesso di raggiungere le seguenti conclusioni (i risultati qui riportati si trovano principalmente nei lavori di Villante et al., 2010 e Di Lorenzo et al., 2011). A) non si è rilevato alcun aumento nel rumore di fondo precedentemente al terremoto in tutta la gamma ULF (questo effetto si era ad esempio trovato in studi analoghi nel caso di terremoti avvenuti a Loma Prieta, Spitak, Guam e Alum rock; vedi bibliografia citata); B) nessun aumento di attività nel campo ≈10-50 mHz a partire poche ore prima del sisma (caso invece riscontrato a Loma Prieta e Spitak). C) nessuna variazione del “parametro di polarizzazione” R2 = PZ/PH prima del terremoto (PZ e PH sono le potenze integrate della componente verticale, Z, e della componente nord/sud magnetica, H, in un intervallo di frequenza ≈10-100 mHz, caso questo riscontrato a Guam e Bovec; vedi bibliografia citata).
Confrontando i dati dei magnetometri ottenuti dalle stazioni dell’Aquila e Duronia, e analizzandone la differenza, si è osservato un effetto cosismico (ossia avvenuto contemporaneamente al o immediamente dopo il sisma) molto debole (100-200 picoTesla, percepibile probabilmente perché l’evento ha avuto luogo di notte e quindi il rumore artificiale era molto basso). Questo effetto può essere attribuibile a un fenomeno di origine sismica. Il decadimento della differenza nel campo magnetico, nel transitorio cosismico, mostra una costante di tempo di 50-100 s, tipico di un’origine elettrocinetica del fenomeno.
Quindi, nell’unica occasione utilizzabile (fortunatamente!) per studi sulle variazioni EM in Italia, in anni nei quali sono disponibili osservazioni magnetiche di dettaglio e eventi sismici, la fenomenologia osservata non consente di affermare di aver rilevato inequivocabilmente una relazione tra questo evento sismico e segnali elettromagnetici (a parte un segnale EM cosismico molto debole in ampiezza).
In conclusione non possiamo al momento pensare di poter considerare i segnali EM come utilizzabili nella previsione dei terremoti, per l’incertezza che ancora esiste in questo campo e comunque per l’incompletezza di informazioni che queste variazioni da sole potrebbero fornire. Rimane tuttavia la necessità di approfondire, al livello di ricerca scientifica, questo campo di indagine. È quindi utile al progresso della conoscenza procedere con le misure EM e con questi studi, includendo, quando possibile, queste misure nel novero dei parametri da tenere sotto controllo in ambito tettonico.
A cura di: Antonio Meloni, Cesidio Bianchi (INGV, Roma) e Paolo Palangio (INGV, L’Aquila)
BIBLIOGRAFIA CITATA
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