venerdì 23 agosto 2019

MATTEO RENZI, SIONISTA PRATICANTE AL GOVERNO DI QUESTO PAESE?


Sguardi d’intesa tra due convinti reazionari.

Chiediamo a costoro: che ruolo ha avuto il Mossad, i massosionisti di Firenze e Roma, la loggia massonica P2 del fascista Licio Gelli e dell’agente Cia-Mossad, Michael Ledeen, nella strategia della tensione e nel rapimento e nell’uccisione di Aldo Moro?

Mai come oggi e soprattutto dopo le notizie riportate da il Fatto Quotidiano (sotto allegato), le parole di Karl Marx ne La questione ebraica del 1844, di cui riportiamo i brani principali, e del Manifesto del Partito Comunista si sono dimostrate così lungimiranti. Parole scritte per isolare le nascenti teorie di un particolare movimento politico interno al capitalismo, che aveva il mandato di trasformare le comunità ebraiche nel sionismo, ovvero nello scudo messo a difesa dei vertici del capitalismo.

Uno dei principali ideologhi di questo pensiero razzista e reazionario fu Moses Hess, uno dei fondatori del socialismo ottocentesco. Tra i sui principali scritti troviamo Storia sacra dell’umanità del 1837, La triarchia europea del 1841 in cui propose la costituzione degli Stati Uniti d’Europa e Roma e Gerusalemmedel 1862 in cui sosteneva che il problema ebraico poteva risolversi, appunto, solo con un reinsediamento degli ebrei in Palestina. Hess si persuase non solo che l’assimilazione ebraica era impossibile, ma anche che nell’esistenza umana la lotta di razza era primaria e quella di classe secondaria.

Quando Theodor Herzl, il fondatore del sionismo, lesse per la prima volta Roma e Gerusalemme, scrisse di Hess: “Da Spinoza gli ebrei non avevano un pensatore più grande di questo Moses Hess dimenticato” e dichiarò che non avrebbe scritto la sua opera Der Judenstaat (Lo stato ebraico), se non avesse prima conosciuto Roma e Gerusalemme.

L’obiettivo di questo movimento, in linea con i desideri dei loro padroni, era quello di far fallire i processi di assimilazione degli ebrei nelle varie nazioni europee, per spingerli a occupare la Palestina, collocata in un’area ricca di petrolio e a ridosso del Canale di Suez.

Un movimento, quello sionista sospinto, come tutti i movimenti reazionari di fine Ottocento e del Novecento, da quei massocapitalisti che hanno voluto trasformare, avendone i mezzi economici e politici e tramite mirate repressioni – di cui il nazismo guidato dall’ebreo massone Hitler (*) (*) ne fu il più fedele interprete – le comunità ebraiche in fedeli servitrici dei disegni politici del vertice del capitalismo: Rothschild, Warburg, Goldman, Schiff, Kuhn, Loeb, Lazard, Baruch, Morghentau, Perkins e i loro agenti Morgan, Aldrich, Strong, Venderlip, House.

Quindi tornando a Marx la questione ebraica non è scindibile dalla funzione sociale svolta dal giudaismo, come del resto ogni religione organizzata, dalle dinamiche sociopolitiche messe in essere dai detentori della proprietà privata, soprattutto nella sua evoluzione capitalistica e dalle sue dinamiche monetarie.

Quindi non si tratta di una critica a presunte particolarità razziali, in quanto, come ha dimostrato la ricerca scientifica, tutti gli esseri umani di questo pianeta, appartengono ad un’unica razza. Anche se gli ebrei religiosi con le loro pratiche tendono, assurdamente, a mantenersi separati dal resto dell’umanità, per mantenere una certa “purezza”.

Ma la questione della purezza religiosa, di razza, o di censo continua a creare problemi alla maggior parte dell’umanità. “Purezza” che si manifesta con una particolare fascistica ferocia nei confronti dei semiti palestinesi, dei comunisti ebrei e non. Tutto questo non è più tollerabile.

Saluti comunisti

Andrea Montella

KARL MARX – LA QUESTIONE EBRAICA


“Noi cerchiamo di rompere la formulazione teologica della questione. La questione della capacità dell’ebreo ad emanciparsi si trasforma per noi nella questione di quale particolare elemento sociale sia da superare per sopprimere il giudaismo. Infatti la capacità ad emanciparsi dell’ebreo d’oggi è il rapporto del giudaismo verso l’emancipazione del mondo di oggi. Tale rapporto risulta necessariamente dalla posizione particolare del giudaismo nell’asservito mondo odierno.

Consideriamo l’ebreo reale mondano, non l’ebreo del Sabbath, come fa Bauer, ma l’ebreo di tutti i giorni.

Cerchiamo il segreto dell’ebreo non nella sua religione, bensì cerchiamo il segreto della religione nell’ebreo reale.

Qual è il fondamento mondano del giudaismo? Il bisogno pratico, l’egoismo.

Qual è il culto mondano dell’ebreo? Il traffico. Qual è il suo Dio mondano? Il denaro.

Ebbene. L’emancipazione dal traffico e dal denaro, dunque dal giudaismo pratico, reale, sarebbe l’autoemancipazione del nostro tempo.

Un’organizzazione della società che eliminasse i presupposti del traffico, dunque la possibilità del traffico, renderebbe impossibile l’ebreo. La sua coscienza religiosa si dissolverebbe come un vapore inconsistente nella vitale atmosfera reale della società. D’altro lato: se l’ebreo riconosce come non valida questa sua essenza pratica e lavora per la sua eliminazione, egli si svincola dal suo sviluppo passato verso l’emancipazione umana senz’altro, e si volge contro la più alta espressione pratica dell’autoestraneazione umana.

Noi riconosciamo dunque nel giudaismo un universale elemento attuale antisociale, il quale, attraverso lo sviluppo storico, cui gli ebrei per questo lato cattivo hanno collaborato con zelo, venne sospinto fino al sua presente vertice, un vertice sul quale deve necessariamente dissolversi.

L’emancipazione degli ebrei nel suo significato ultimo è la emancipazione dell’umanità dal giudaismo.

L’ebreo si è già emancipato in modo giudaico. “L’ebreo che, ad es. a Vienna, è solo tollerato, con la sua potenza finanziaria determina il destino di tutto l’Impero. L’ebreo, che nel più piccolo Stato tedesco può essere privo di diritti, decide delle sorti dell’Europa.

“Mentre le corporazioni e i mestieri sono chiusi all’ebreo o non gli sono ancora favorevoli, l’arditezza dell’industria si fa beffe della ostinatezza degli istituti medioevali” (B. Bauer, Judenfrage, p. 114).

Questo non è un fatto isolato. L’ebreo si è emancipato in modo giudaico non solo in quanto si è appropriato della potenza del denaro, ma altresì in quanto il denaro per mezzo di lui e senza di lui è diventato una potenza mondiale, e lo spirito pratico dell’ebreo, lo spirito pratico dei popoli cristiani. Gli ebrei si sono emancipati nella misura in cui i cristiani sono diventati ebrei.

Il pio e politicamente libero abitante della Nuova Inghilterra, riferisce ad es. il colonnello Hamilton, “è una specie di Laocoonte, il quale non fa neppure il più piccolo sforzo per liberarsi dai serpenti che lo avvincono. Mammona è il loro idolo, essi lo pregano non soltanto con le loro labbra, ma con tutte le forze del loro corpo e del loro animo. La terra ai loro occhi altro non è se non una Borsa, ed essi sono convinti di non avere quaggiù altra destinazione che quella di diventare più ricchi dei loro vicini. Il traffico si è impossessato di tutti i loro pensieri, lo scambio degli oggetti forma il loro unico svago. Quando viaggiano, si portano in giro, per così dire, le loro merci e il loro banco sulla schiena, e non parlano che di interessi e di guadagno. Se per un istante perdono d’occhio i loro affari ciò avviene soltanto per ficcare il naso in quelli degli altri”.

Invero la signoria pratica del giudaismo sul mondo cristiano ha raggiunto nel Nordamerica l’espressione non equivoca, normale, così che l’annunzio stesso dei Vangelo, la predicazione cristiana è divenuto un articolo di commercio, e il commerciante fallito traffica in Vangelo come l’evangelista arricchito traffica negli affari. “Tel que vous voyez à la tête d’une congrégation respectable a commencé par être marchand; son commerce étant tombé, il s’est fait ministre; cet autre a débuté par le sacerdoce, -mais dès qu’il a eu quelque somme d’argent à sa disposition, il a laissé la chaire pour le negoce. Aux yeux d’un grand nombre, le ministère religieux est une véritable carrière industrielle” (Beaumont, op. cit., pp. 185, 186).

Secondo Bauer, è una situazione ipocrita, che in teoria all’ebreo vengano rifiutati i diritti politici, mentre in pratica egli possiede un potere enorme ed esercita en gros la sua influenza politica, che en détail gli viene ridotta (Judenfrage, p. 114).

La contraddizione in cui si trova la potenza politica pratica dell’ebreo con i suoi diritti politici, è la contraddizione della politica e della potenza del denaro in generale. Mentre la prima sta idealmente al di sopra della seconda, nel fatto ne è divenuta la serva.

Il giudaismo si è mantenuto a lato del cristianesimo non soltanto come critica religiosa del cristianesimo, non soltanto come dubbio vivente sulla nascita religiosa del cristianesimo, ma parimenti perché lo spirito pratico-giudaico, perché il giudaismo si è mantenuto nella società cristiana, anzi vi ha ottenuto la sua massima perfezione. L’ebreo, che sta nella società civile come membro particolare, è solo la manifestazione particolare dei giudaismo della società civile.

Il giudaismo si è conservato non già malgrado la storia, bensì per la storia.

Dalle sue proprie viscere la società civile genera continuamente l’ebreo.

Qual era in sé e per sé il fondamento della religione ebraica? Il bisogno pratico, l’egoismo.

Il monoteismo dell’ebreo è perciò, nella realtà, il politeismo dei molti bisogni, un politeismo che persino della latrina fa un oggetto della legge divina. Il bisogno pratico, l’egoismo, è il principio della società civile, ed emerge come tale puramente, non appena la società civile abbia completamente partorito lo Stato politico. Il Dio del bisogno pratico e dell’egoismo è il denaro.

Il denaro è il geloso Dio d’Israele, di fronte al quale nessun altro Dio può esistere. Il denaro avvilisce tutti gli Dei dell’uomo e li trasforma in una merce. Il denaro é il valore universale: per sé costituito, di tutte le cose. Esso ha perciò spogliato il mondo intero, il mondo dell’uomo come la natura, del valore loro proprio. Il denaro è l’essenza, fatta estranea all’uomo, del suo lavoro e della sua esistenza, e questa essenza estranea lo domina, ed egli l’adora.

Il Dio degli ebrei si è mondanizzato, è divenuto un Dio mondano. La cambiate è il Dio reale dell’ebreo. Il suo Dio è soltanto la cambiale illusoria.

La concezione che si acquista della natura sotto la signoria della proprietà privata e del denaro, è il reale disprezzo, la pratica degradazione della natura, che esiste bensì nella religione ebraica, ma esiste soltanto nell’immaginazione.

In questo senso Tommaso Münzer dichiara insopportabile “che tutte le creature siano diventate proprietà, i pesci nell’acqua gli uccelli nell’aria, le piante sulla terra: anche la creatura dovrebbe diventar libera”.

Ciò che si trova astrattamente nella religione ebraica, il disprezzo della teoria, dell’arte, della storia, dell’uomo come fine a se stesso, è il reale, consapevole punto di partenza, la virtù dell’uomo del denaro. Lo stesso rapporto sessuale, il rapporto tra uomo e donna ecc., diviene un oggetto di commercio! La donna è oggetto di traffico.

La chimerica nazionalità dell’ebreo è la nazionalità del commerciante, in generale dell’uomo del denaro.

la legge, campata in aria, dell’ebreo è soltanto la caricatura religiosa della moralità campata in aria e del diritto in generale, dei riti soltanto formali, dei quali si circonda il mondo dell’egoismo.

Anche qui il rapporto più alto dell’uomo è il rapporto legale, il rapporto verso le leggi, che per lui valgono non perché siano le leggi della sua propria volontà ed essenza, ma perché esse dominano e perché la loro trasgressione viene punita.

Il gesuitismo giudaico, il medesimo gesuitismo pratico che Bauer indica nel Talmud, è il rapporto del mondo dell’interesse individuale con le leggi che lo dominano, la cui astuta elusione è l’arte suprema di questo mondo.

Invero, il movimento di questo mondo entro le sue leggi è necessariamente una costante soppressione della legge.

Il giudaismo, come religione, non ha potuto, da un punto di vista teorico svilupparsi ulteriormente, poiché la concezione del bisogno pratico è per sua natura limitata e si esaurisce in pochi tratti.

La religione del bisogno pratico, per la sua essenza, poteva trovare il compimento non nella teoria ma soltanto nella prassi, appunto perché la sua verità è la prassi.

Il giudaismo non poteva creare un nuovo mondo; esso poteva solo attirare nell’ambito della propria attività le nuove creazioni ed i nuovi rapporti del mondo, perché il bisogno pratico, il cui intelletto è l’egoismo, si comporta passivamente e non si amplia a piacere, ma si trova ampliato con il progressivo sviluppo delle condizioni sociali.

Il giudaismo raggiunge il suo vertice col perfezionamento della società civile; ma la società civile si compie soltanto nel mondo cristiano. Soltanto sotto la signoria del cristianesimo, che rende esteriori all’uomo tutti i rapporti nazionali, naturali, etici, teoretici, la società civile poteva separarsi completamente dalla vita dello Stato, lacerare tutti i nostri legami dell’uomo con la specie, porre l’egoismo, il bisogno particolaristico, al posto di questi legami con la specie, dissolvere il mondo degli uomini in un mondo di individui atomistici, ostilmente contrapposti gli uni agli altri.

Il cristianesimo è scaturito dal giudaismo. Nel giudaismo esso si è nuovamente dissolto.

Il cristiano era fin da principio l’ebreo teorizzante, l’ebreo è perciò il cristiano pratico, ed il cristiano pratico è diventato nuovamente ebreo.

Solo in apparenza il cristianesimo aveva superato il giudaismo. Esso era troppo nobile, troppo spiritualistico per rimuovere la grossolanità del bisogno pratico in altro modo che mediante l’elevazione nel puro aere.

Il cristianesimo è il pensiero sublime del giudaismo, il giudaismo è la piatta applicazione del cristianesimo, ma questa applicazione poteva diventare universale soltanto dopo che il cristianesimo in quanto religione perfetta avesse compiuto teoricamente l’autoestraneazione dell’uomo da sé e dalla natura.

Appena allora il giudaismo poteva pervenire alla signoria universale e fare dell’uomo espropriato, della natura espropriata oggetti alienabili, vendibili, caduti sotto la schiavitù del bisogno egoistico, del traffico.

L’alienazione è la pratica dell’espropriazione. Come l’uomo, fino a che è impigliato nella religione, sa oggettivare il proprio essere soltanto facendone un estraneo essere fantastico, così sotto il dominio del bisogno egoistico egli può operare praticamente, praticamente produrre oggetti, soltanto ponendo i propri prodotti, come la propria attività, sotto il dominio di un essere estraneo, e conferendo ad essi il significato di un essere estraneo: il denaro.

Il cristiano egoismo della beatitudine nella sua pratica compiuta si capovolge necessariamente nell’egoismo fisico dell’ebreo, il bisogno celeste in quello terreno, il soggettivismo nell’egoismo. Noi spieghiamo la tenacia dell’ebreo non con la sua religione, ma piuttosto col fondamento umano della sua religione, il bisogno pratico, l’egoismo.

Poiché l’essenza reale dell’ebreo nella società civile si è universalmente realizzata, mondanizzata, la società civile non poteva convincere l’ebreo della irrealtà della sua essenza religiosa, che è appunto soltanto la concezione ideale del bisogno pratico. Non quindi nel Pentateuco o nel Talmud, ma nella società odierna noi troviamo l’essenza dell’ebreo odierno, non come essere astratto ma come essere supremamente empirico, non soltanto come limitatezza dell’ebreo, ma come limitatezza giudaica della società.

Non appena la società perverrà a sopprimere l’essenza empirica del giudaismo, il traffico e i suoi presupposti, l’ebreo diventerà impossibile, perché la sua coscienza non avrà più alcun oggetto, perché la base soggettiva dei giudaismo, il bisogno pratico si umanizzerà, perché sarà abolito il conflitto dell’esistenza individuale sensibile con l’esistenza dell’uomo come specie.

L’emancipazione sociale dell’ebreo è l’emancipazione della società dal giudaismo”.


INDAGINE USA

Allontanato da Washington


Sull’americano, in passato accusato di legami con la P2, c’è un’inchiesta del Pentagono che mette in serio imbarazzo 007 e diplomatici italiani
MR. LEDEEN, L’AMICO DI CARRAI
PER LA CIA È “UNA SPIA D’ISRAELE”

ANTONIO MASSARI E DAVIDE VECCHI

Sono legati da anni, si sono frequentati tra Washington e Firenze, scambiandosi visite e conoscenze. Ma ora l’amicizia con Michael Ledeen può mettere in difficoltà Marco Carrai e il suo pros- II terzo uomo Fa parte del “gruppo” anche Naor Gilon, ambasciatore israeliano a Roma dal 2012 situo incarico: la consulenza al Dis (l’organismo di coordinamento dei Servizi segreti) per Palazzo Chigi. Perché se sino a oggi Ledeen era ritenuto vicino all’intelligente statunitense con legami con uomini della P2, adesso un’inchiesta svolta dal Pentagono fotografa nel detta- Washington Noel Koch già ne11988 scrisse: “Voleva mettere le mani su file riservati ai quali non aveva diritto” glio chi è stato echi è davvero Ledeen, definito dalla Cia “spia di Israele” e per questo allontanato da Washington. Il Fatto è entrato in possesso dei fascicoli d’indagine ed è in grado di raccontare perché il legame di amicizia tra i due rischia di mettere in imbarazzo i Servizi segreti, il governo e le diplomazie.


I conflitti di interesse del “fratello Marco”

Non è bastato il no del Colle a fermare Renzi: il premier vuole portare nel Palazzo l’amico Carrai e così, dopo aver tentato di imporlo a capo della cyber-security, gli sta ora cucendo un abito su misura al Dis. E se per avere la licenza da 007 Carrai avrebbe dovuto spogliarsi dei suoi tanti conflitti di interesse, indossando il mantello della consulenza il problema svanisce: Carrai potrebbe portare con sé l’ingombrante bagaglio. Che non contiene solo gli incarichi pubblici come la presidenza di Aeroporti Firenze o le poltrone nei cda tra cui quella nella fondazione Open – la cassaforte del premier – con Luca Lotti e Maria Elena Boschi. Né si limita alle aziende estero-vestite in Lussemburgo e Israele come la Wadi Venture con soci che hanno legami con l’esecutivo tra cui nominati in Finmeccanica e imprenditori con appalti pubblici, come raccontato dal Fatto settimane fa. 1l conflitto di interessi di Carrai si estende anche ai suoi legami, a partire da quello con Ledeen.



Le visite a Firenze pagate dalla Provincia

In Italia di lui si sa poco, nonostante Ledeen abbia superato i 70 anni. Meno ancora si conosce del suo legame con il 40enne Carrai, che definisce il premier “mio fratello”. Si sa che i due sono molto legati. Tanto che Ledeen è arrivato da Washington a Firenze nel settembre 2014 per partecipare al matrim o n i o dell’amico di cui Renzi era testimone. Un rapporto coltivato negli anni. E allargato all’attuale premier nel 2006 quando la Provincia di Firenze pagò un viaggio a Ledeen, da Washington al capoluogo toscano, organizzato da Carrai, all’epoca capo gabinetto di Renzi, per far conoscere a suo “fratello” l’amico statunitense. Nell’autunno 2008, sempre a spese della Provincia, Renzi assieme a Carrai fa il tragitto inverso e ricambia la visita.

In Italia Ledeen ha altri buoni amici, condivisi con l’amico aspirante 007. In particolare Noar Gilon, dal 2012 ambasciatore d’Israele a Roma. Da allora il diplomatico è apparso più volte al fianco del futuro consulente del Dis. Nella Capitale e a Firenze. Insieme hanno organizzato un convegno con Confindustria sponsorizzato anche da Aeroporti Toscani (società presieduta da Carrai). Ma soprattutto hanno pianificato la visita del premier israeliano Ben-jamin Netanyahu a Firenze lo scorso agosto, accogliendolo al suo arrivo a Peretola e presentandolo poi a Renzi con una cerimonia a Palazzo Vecchio.

Carrai ha interessi privati a Tel Aviv, dove sono presenti due società a lui riconducibili con soci pesanti in Israele come Jonathan Pacifici e Reuven Ulmansky, veterano della Nsa, ex Unità 8200, dell’Israel Defence Force. Legami importanti, che porterà con sé sotto il mantello di consulente del Dis.

Ledeen e Gilon si conoscono almeno da11996. Il loro rapporto è nato a Washington. E si è sviluppato e consolidato attraverso l’Aipac, l’American Israeli Public Affaire Committee: la lobby pro Israele negli Stati Uniti, la più potente al mondo, il cui sostegno è ritenuto fondamentale per arrivare alla Casa Bianca. Il 21 marzo sia il repubblicano Donald Trump sia la democratica Hillarv Clinton sono intervenuti al convegno Aipac. Ma per quanto ritenuta determinante dalla politica è temuta dai servizi di sicurezza americani e monitorata perché in due casi sono stati individuati all’interno della lobby uomini dei servizi segreti del Mossad. E per quanto forti siano i rapporti di amicizia tra gli Stati Uniti e Israele, il Pentagono non ama intrusioni straniere nella propria intelligence. Ed è proprio nell’ultima inchiesta, che ha individuato un flusso illegale di informazioni riservate della presidenza statunitense al Mossad, che è emerso il legame tra Ledeen e Gilon.


Rete di spie di Tel Aviv scoperta dagli americani

L’indagine, svolta dall’Fbi, è stata chiamata Aipac. Lawrence Franklin, capo analista dell’allora sottosegretario alla Difesa Douglas Feith, è stato inizialmente condannato a 12 anni di carcere dal tribunale della Virginia per aver trasmesso informazioni top secret a due esponenti della lobby israeliana e a un diplomatico israeliano dell’ambasciata a Washington. Franklin ha confessato che i suoi due referenti nell’Aipac erano il direttore degli affari politici, Steven Rosen, il responsabile del desk iraniano, Keith Wiessman, e il consigliere all’amba *** sciata israeliana a Washington Naor Gilon. Quest’ultimo, all’inizio del processo, è rientrato a Tel Aviv prima di arrivare in Italia come ambasciatore nel 2012.

Proprio a Roma venne organizzato un incontro tra Franklin e Rhode con il faccendiere Manucher Ghorbanifar, già protagonista dello scandalo Iran-Contra. L’incontro nella capitale, ricostruisce l’inchiesta, fu organizzato da Ledeen che, secondo un report dell’Fbi, aveva un profondo legame con Franklin, almeno dal 2001: la Cia ritiene che loro due siano gli ispiratori del falso dossier sull’uranio nel Niger che venne usato dall’Amministrazione Bush per giustificare la guerra in Iraq.

L’inchiesta Aipac è stata avviata a metà anni Novanta e ripresa nel 2001, dopo l’attacco dell’U settembre. Gli uomini dell’Fbi mettono sotto osservazione alcuni americani impegnati in lobby di Paesi del Medio Oriente, tra cui l’Aipac. A inizio 2003, durante un appostamento, gli agenti scoprono un collegamento chiave. Seguendo Steve Rosen e Keith Weissman si fermano fuori da un bistrot dove i due pranzano. A loro si aggiunge Gilon, all’epoca capo degli affari politici presso l’ambasciata israeliana a Washington e definito nel report Fbi “specialista dell’armamento nucleare iraniano”. Poi arriva Franklin, alto funzionario dell’intelligence del Pentagono.


I file “Top Secret” finiti al Mossad

Gli agenti filmano l’intero pranzo. Franklin estrae da una valigetta alcuni documenti e li appoggia sul tavolo. “Ma non vengono consegnati a nessuno”, annota l’Fbi. Lui fa il gesto di consegnarli. “Ma il suo presunto complice è troppo intelligente e si rifiuta di prenderli, chiedendo con ogni probabilità di limitarsi a informarlo sul contenuto”, testimonia un funzionario dell’intelligence, riportato da Newsweek.

A casa di Franklin vengono trovati diciotto documenti top secret e riservati all’ufficio del presidente degli Stati Uniti. Franklin lavorava in uno dei centri del Pentagono che più hanno promosso la guerra all’Iraq, aggirando anche il dipartimento di Stato e la stessa Cia: il segretissimo “Office ofspecial plans” messo in piedi dal vice-ministro della difesa Paul Wolfowitz e dal sottosegretario Douglas Feith. Ufficio che aveva rapporti esclusivi con Donald Rum-sfeld, segretario alla Difesa e consigliere del presidente George W. Bush.

L’inchiesta prosegue per anni. Sottotraccia. Il processo inizierà solo nel 2006 e la prima condanna sarà emessa nel 2009. Durante le indagini gli agenti scoprono molte attività sospette che riguardano Iraq e Iran. E tutte le strade portano all’ufficio del Pentagono di Feith, nel quale Franklin lavora. Una conduce direttamente a un collaboratore di entrambi: Ledeen, definito dal Jerusalem Post “il guru neocon di Washington”. Fbi e Cia aggiungono altro al suo profilo. E svelano l’intero passato di Ledeen.


A Roma per Israele da finto agente della Cia

Alla fine del 1970, Ledeen è a Washington come direttore esecutivo dell’Istituto ebraico per gli affari di Sicurezza Nazionale, un gruppo di lobby specializzato nel fare pressioni al Pentagono e al Congresso per far ottenere soldi e armi a Israele. Nei primi anni 80 viene allontanato e riesce ad avvicinarsi al Pentagono. In particolare a Noel Koch, il principale assistente del segretario alla Difesa per gli affari di sicurezza internazionale. Ledeen chiede a Koch di fargli un contratto di consulenza come esperto di terrorismo dicendosi disposto a essere pagato solo se e quando utilizzato. Koch accetta. Ma se ne pente: agli atti del procedimento è allegata una lettera inviata nel 1988 da Koch al Comitato di giustizia della Camera, l’ufficio che sovrintende al Dipartimento di giustizia e all’Fbi.

Con la missiva Koch accusa Ledeen di essere una spia di Israele e chiede al Comitato di indagare sul suo conto spiegando di aver scoperto che Ledeen gli ha mentito e tentato “con insistenze di acquisire informazioni classificate per le quali non ha legittimo diritto”. Koch inoltre specifica che in più casi Ledeen gli chiese copia di atti “altamente segreti della Cia”. In particolare documenti relativi a spie israeliane. “Qualcuno gli ha detto cosa rubare”, ha scritto Koch ricordando di aver chiesto più volte a l’Fbi di indagare su Ledeen ma che “l’alto funzionario Oliver Revell” a cui si rivolgeva “ha sempre respinto le richieste”. La lettera ha fatto avviare le indagini: Revell era amico di Ledeen, per questo respingeva le richieste di Koch.

Nonostante questi trascorsi la “spia d’Israele” riappare nei Palazzi della sicurezza americana. È Feith ad assumerlo come consulente nel suo Ufficio Piani Speciali. Un incarico che gli viene attribuito nel 2001, dopo 1’11 settembre. Tra le prima cose di cui si occupa è organizzare un incontro a Roma con alcuni dissidenti iraniani e due dipendenti di Feith: Rhode, neoconservatore e tra gli architetti della guerra in Iraq, e Franklin, ritenuto una spia israeliana. Durante il processo a suo carico, Franklin ha indicato tra i suoi referenti anche Gilon che tornò discretamente a Tel Aviv dove, dal 2009, è stato capo gabinetto del Ministro degli Esteri, poi vicedirettore per gli Affari dell’Europa occidentale presso gli Affari Esteri. Infine, da febbraio 2012, è a Roma come ambasciatore d’Israele.

Contattato dal Fatto Quotidiano per avere informazioni sul suo coinvolgimento nell’inchiesta, nonché per sapere quali siano oggi i suoi rapporti con Ledeen e Carrai, l’ambasciatore ha preferito non rispondere e ha affidato al suo braccio destro, Amit Zarouk, questa mail: “L’intera inchiesta (giornalistica, ndr) si basa su frammenti di informazione e su una distorta interpretazione di fatti non corretti. È tutto parte di una teoria del complotto che non merita alcuna seria considerazione”. I tentativi compiuti per contattare Ledeen si protraggono senza alcun esito da oltre un mese. L’inchiesta Aipac ha creato una crisi tra Usa e Israele risolta allontanando da Washington quanti erano sospettati di avere legami con uomini dei servizi di Tel Aviv. Un’operazione di pulizia che ha poi portato il giudice della Virginia Thomas Selby Ellis a ridurre la pena a Franklin prima a otto anni per la sua collaborazione e poi a otto mesi di domiciliari e 100 ore di servizio alla comunità. Servizio, ha detto Ellis, che deve consistere nel “parlare ai giovani dell’importanza per i funzionari pubblici di rispettare la legge del proprio Stato”. Questo accade a Washington. E a Roma?

23 Aprile 2016

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