martedì 9 luglio 2019

Europa e immigrazione. Come si costruisce il nemico.




1. L’unione oggi. 2. L’unione ieri. 3. Il nazionalismo. 4. Come si costruisce il nemico. 5. Quando il nemico diventa strumento politico.


Premessa. 


Per capire fatti di oggi (l’immigrazione e la reazione xenofoba, la crisi economica, il ritorno del nazionalismo a fronte di un’Europa che avanza sempre più facendo perdere fette di sovranità ai vari stati) occorre avere non solo il quadro d’insieme, ma anche il quadro degli eventi del passato, per capire come la storia si ripeta con modalità sempre identiche.


1. L’Unione oggi.


È il 13 dicembre 2007 quando a Lisbona viene firmato il Trattato che istituisce l’Unione Europea.


Il progetto, il sogno di un nuovo ordine che serva a regolare i conflitti e distribuire equamente le ricchezze tra le nazioni perché non si debbano più ripetere gli orrori e le stragi del passato, pare raggiunto. A più di 50 anni dal primo passo, dalla nascita della CEE, l’Europa è finalmente unita.


Eppure, sin da subito, sono in molti a rilevare come l’Unione Europea appena nata abbia ben poco in comune con il progetto europeo originario[1], mentre insigni economisti, tra cui due premi Nobel[2], avvertono dei pericoli che quell’unione meramente valutaria[3] e fondata sulla «libera concorrenza senza distorsioni», ovvero: «quel libero mercato in cui chi è più forte, in termini commerciali, è libero di annientare il più debole», rappresenta per il futuro dell’Europa. Ma la loro voce resta inascoltata, e l’8 agosto del 2008 il Parlamento italiano ratifica il Trattato e l’Italia è tra i paesi fondatori, ma per lo storico evento, il più rilevante dopo l’Unità d’Italia, nessun festeggiamento, la nuova Europa sembra senz’anima...


Ad aggravare ulteriormente la situazione, nel 2008, la bolla finanziaria esplode in tutta la sua virulenza, il libero mercato mostra in tutta la sua drammaticità, e con i fatti, di non sapersi autoregolamentare, mentre la neonata Unione Europea pare assolutamente inadeguata ad affrontare il problema e le sfide della globalizzazione.


Ma, nonostante ciò, Bruxelles continua nella sua corsa e, in pochi anni, pur di far aderire alla Unione Europea un numero sempre crescente di paesi, al Trattato si aggiungono Protocolli[4] di ogni genere che, nei fatti, stravolgono i concetti base di eguaglianza tra gli stati creando disparità difficili da gestire.[5]


La delusione per una Unione che disattente il progetto originario, i rapidi mutamenti causati da una globalizzazione che pare tutelare più il profitto che gli uomini, la nuova minaccia del terrorismo ed una sempre più imponente immigrazione, portano ad una vera e propria crisi di pensiero nei cittadini europei che, incapaci di far rallentare il ritmo sbalorditivo del cambiamento, si trovano a dover affrontare una realtà che li spaventa.


Nel passato, infatti, dato che le paure erano percepite come locali e concrete, si aveva l’impressione di poter fare qualcosa per prevenirle, oggi la sensazione è di non poter controllare più nulla, da soli, in tanti o collettivamente,[6] con la naturale conseguenza che, in tutta Europa, riconquista consensi il nazionalismo. Perché naturale conseguenza? Perché quando gli individui tendono a perdere i loro punti di riferimento, una delle risposte più frequenti consiste nel ripiegarsi su quella che credono essere la loro identità comune, così da far fronte alla situazione che li disorienta[7]. Nascono numerosi i partiti politici e movimenti a sfondo sociale che formulavano programmi intesi a una trasformazione attiva della società secondo i precetti nazional-patriottici, e i politici vengono accusati dall’elettorato di aver venduto la patria e di aver ceduto la sovranità ad un organismo extraterritoriale, sovranazionale ed indipendente che sta portando il paese allo sfascio.


2. L’Unione ieri.


È il 18 gennaio 1871 quando, nella reggia di Versailles, Bismarck proclama imperatore il re di Prussia. Dopo più di cinquant’anni di tentativi falliti, la Germania è finalmente unita.


Eppure, sin da subito, quell’unificazione meramente politica è fonte di delusione per molti tedeschi, che accusano il cancelliere non essere riuscito a superare la frammentazione sociale a culturale del paese.


L’unificazione non ha portato a quella consapevolezza nazionale cui tanti tedeschi avevano sempre aspirato, né una società accettabile per tutti i cittadini: anzi, vecchi problemi hanno ceduto il posto a nuovi dilemmi, che la neonata e vacillante democrazia appare sin da subito inadeguata ad affrontare[8].


Infatti l’Unificazione è avvenuta in un periodo di straordinaria trasformazione. 


Nella seconda metà dell’Ottocento si assiste ad uno spettacolare sviluppo delle conoscenze scientifiche e delle connesse conquiste tecnologiche: la ferrovia, la nave a vapore, il telefono, il fonografo, le macchine rotative per la stampa, la fotografia, la macchina per cucire, la mietitrebbia, il sistema di produzione su scala industriale, le corazzate, il siluro, la trasmissione elettrica dell’energia, il tram, la luce elettrica, ecc. Scoperte che, per la prima volta, resero improvvisamente il mondo piccolo e finito, mettendo a contatto, velocemente e senza mediazione, popoli diversissimi e, per questo, chiamata anche “la prima globalizzazione”. In pochi decenni, come ricordò William R. Hearst, potente editore, imprenditore e politico statunitense, erano stati compiuti più progressi materiali che in tutti i secoli precedenti, a partire dall’epoca di Omero[9].


L’impatto con questa prima globalizzazione è devastante.


Industria, tecnologia, urbanizzazione, società di massa, espansione gigantesca di potentati economici che dominano e controllano la produzione di beni materiali, dettando alla collettività bisogni, esigenze, aspirazioni; la burocratizzazione della vita collettiva entro organizzazioni e gerarchie rigide e convenzionali, un conformismo morale di rispettabilità formale, sovrapposto a un’esistenza disordinata, corrotta, violenta: questi i principali aspetti delle forze della modernità, che sconvolgono la popolazione, e un senso di smarrimento e paura si impossessa degli europei. In nessun altro luogo fisico la condizione umana di una vita frantumata e artefatta appare più evidente come nelle grandi città[10].


Ad aggravare ulteriormente la situazione, nel 1873 ha inizio in Europa una lunga crisi economica che si protrae sino al 1896 (La c.d. Grande Depressione).


Se la città la vita appare disumanizzante, nelle campagne - anche causa della crisi agraria iniziata nel 1873 con il massiccio afflusso di merci dagli Stati Uniti e la conseguente caduta dei prezzi - per la gran parte dei contadini diventa difficile anche solo sopravvivere. Tra il 1900 e il 1919 sono 3,5 milioni i cittadini dell’impero asburgico che emigrano verso l’America. Chi non emigra, si riversa nelle città per cercare lavoro nelle fabbriche che, sempre più numerose e fumose, feriscono profondamente l’ambiente ed il paesaggio, mentre crescono velocemente squallide periferie[11]


La delusione per come era avvenuta l’unificazione della Germania, e il rapido, troppo rapido, balzo in avanti giunto con l’industrializzazione ed il suo inaccettabile modernismo, portano ad una crisi del pensiero tedesco.


Destabilizzati dalla rapidissima trasformazione sociale, economica e politica, incapaci di far fronte ai nuovi problemi, i tedeschi ripiegano su quella che credono essere la loro identità comune, il Volk, si rifugiano in atteggiamenti nazionalisti ed iniziarono ad auspicare una «rivoluzione tedesca» che liquidi i nuovi, pericolosi cambiamenti e riporti nella nazione ordine e stabilità.


Nascono numerosi partiti politici e movimenti giovanili a sfondo sociale che formulavano programmi intesi a una trasformazione attiva della società secondo i precetti nazional-patriottici.


Agli occhi di molti giovani, infatti, il nazionalismo sembra offrire l’unica, adeguata soluzione ai tanti problemi sociali ed economici del paese. La loro delusione per i risultati della tanto attesa unità, sommandosi agli effetti della rivoluzione industriale che pare avergli ipotecato il futuro, ha per conseguenza l’aspirazione ad un ritorno al passato.


Mossi dall'impazienza tipica dell’età, i giovani, unitisi in movimento, diventano così l’avanguardia di una rivoluzione che vuole essere «apolitica», perché la politica tradizionale appare l’esemplificazione dei peggiori aspetti del mondo in cui essi vivono. (ironia della sorte, un movimento ideologico definito «apolitico», finì, poi, per definire ciò che era politicamente accettabile)[12].


Trovato qualche analogia con la situazione che stiamo vivendo adesso?


Direi proprio di sì.


I caratteri principali ci sono tutti, riassumiamoli.

Dopo decenni di progetti e speranze finalmente si arriva alla tanto sperata Unione.
L’Unione però delude, si rivela sin da subito inadeguata ed incapace a gestire i problemi.
La situazione viene aggravata da una grave crisi economica, che la neonata unione non riesce a fronteggiare adeguatamente.
L’Unione si realizza in un periodo di straordinario cambiamento (industrializzazione/globalizzazione) che incide profondamente sulla vita sociale, economica e politica del paese.
La popolazione spaventata, destabilizzata, frustrata ed arrabbiata reagisce al cambiamento rifiutandolo e, per far fronte ad una situazione che disorienta, ripiega sulla comune identità.
Rinascono le ideologie nazional-patriottiche.

3. Il nazionalismo.


La storia ci insegna che, se come movimento culturale il nazionalismo può costruire teorie, arte e letteratura, come movimento politico, però, produce odio e guerra. Perché?


Perché il nazionalismo alimenta il sentimento di orgoglio e di superiorità che induce le civiltà al conflitto, perché suscita arroganza e desiderio di dominio e, soprattutto, si associa sempre al disprezzo per gli altri.


Il nazionalismo infatti, con l’esaltazione del “Noi”, si definisce per contrasto, ed ha quindi bisogno di identificare un “Altro”, un nemico… e caricarlo di ogni responsabilità.


Per costruire un “Altro”, un nemico, i passaggi sono sempre gli stessi (noi abbiamo preso in esame l’Europa del XIX-XX secolo, ma potete prendere in esame anche altri periodi storici, altri continenti, i passaggi sono sempre gli stessi).


4. Come si costruisce un nemico.


Iniziamo subito con il dire che tutto parte, sempre, dagli intellettuali. Sono loro infatti, con il loro lavoro, ad innestare il seme velenoso nella popolazione, attraverso libri, articoli, saggi, oggi trasmissioni, film, ecc.


Abbiamo visto che destabilizzati dalla rapidissima trasformazione sociale, economica e politica, incapaci di far fronte ai nuovi problemi, i tedeschi ripiegano su quella che credono essere la loro identità comune, il Volk. L’opposizione al modernismo, l’odio per la vita di città e l’amore per la natura erano tipiche componenti del pensiero völkisch. Dunque, chi meglio del contadino poteva rappresentare lo spirito del popolo tedesco ed il legame con la terra e la nazione? Nessuno. Ed infatti inizia una vera e propria corrente letteraria che glorifica il contadino, buono, di natura pacifica, tradizioni famigliari importanti, ecc.[13]


E, se da un lato l’eroe nazional-patriottico (il contadino), il “NOI” viene oggettivato con tanta concretezza, lo stesso deve essere fatto con il nemico “L’Altro”, che in questo caso è l’ebreo.


Gli ebrei erano sparsi ovunque in Europa, ma la maggior parte viveva nell'impero dello zar, più di 10 milioni, di cui una buona parte in Polonia (il 13% della popolazione), mentre in Germania erano relativamente pochi, circa 600 mila. Ma, se gli ebrei russi erano poverissimi ed ignoranti, gli ebrei tedeschi, viennesi, praghesi e berlinesi erano raffinati ed intellettuali ed appartenevano alla medio-alta borghesia, dediti alle professioni, al commercio, all'industria e alla finanza[14]. L’ebreo, quindi, veniva visto come l’incarnazione del più nefasto e cinico modernismo e, dunque, nemico del Volk (certo, vi erano anche capitalisti tedeschi non ebrei, ma l’ebreo era considerato straniero, quindi per l’ideologia nazionalista, l’“Altro”).


Non solo vengono pubblicati saggi tesi a dimostrare il nesso tra lo sviluppo del capitalismo e il ruolo degli ebrei (es. Werner Sombart, Die Juden und das Wirtschaftsleben, Gli ebrei e la vita economica), ma la letteratura popolare, soprattutto i romanzi (che tiravano milioni di copie), davano dell’ebreo, dello straniero, un’immagine stereotipa via via più sgradevole (lo speculatore in borsa o il corpulento banchiere, ecc.)[15].


Numerosi, poi, erano i romanzi contadini che, in numero sempre crescente, descrivevano l’ebreo che calava dalla città alla campagna per privare il contadino della sua ricchezza e della sua terra costringendolo al suicidio. (Es. Der Büttnerbauer, Il contadino di Büttner, di Wilhelm von Polenz)[16].


In breve, grazie a questa opera di propaganda, l’ebreo viene identificato con la moderna società industriale, con il banchiere, con lo speculatore di borsa, con l’usuraio che sradica il contadino, lo spoglia della sua terra, ne provoca la morte e, così facendo, distrugge la parte più genuina del Volk[17].


Dopo l’unificazione la Germania aveva avuto uno sviluppo economico ed una crescita industriale straordinarie. Berlino, la capitale finanziaria e commerciale degli Stati tedeschi appena unificati, era cresciuta velocemente sui tanti immigrati giunti dai territori vicini a cercare lavoro. Gli ebrei immigrati dalla Russia erano, però, come abbiamo detto, poverissimi ed ignoranti[18]. Così, in un primo momento, i nazionalisti cercarono di operare una distinzione tra ebrei orientali ed ebrei nativi della Germania; questi ultimi potevano assimilarsi, ciò che sarebbe risultato impossibile con gli ebrei stranieri[19] (pare di sentire i nostri politici quando operano differenze tra gli immigrati regolari da tanti anni in Italia, i cui figli sono nati in Italia, ma a cui non vogliono riconoscere la cittadinanza, vedi Ius Soli). E gli ebrei tedeschi, timorosi di perdere i loro privilegi, appoggiarono questa devastante distinzione[20]. Nessuna sorpresa, anche oggi, purtroppo, vediamo questo tipo di comportamento da parte di alcuni immigrati. Ma questo tipo di comportamento non giova mai, perché se una cosa è giusta o sbagliata prima o poi ci riguarda. Ed, infatti, questa distinzione ebbe breve durata, perché i nazionalisti iniziarono a condannare l’ebreo per la sua religione.


Il pregiudizio religioso era della massima importanza, perché forniva una giustificazione all'antisemitismo quando ancora non erano state elaborate le teorie razziali.


E, se in un primo tempo la condanna verteva sul fatto che si trattava di una religione sterile e priva di valore: “Se gli ebrei volevano essere tedeschi, perché non gettavano al macero una fede spiritualmente priva di valore e non si convertivano? Solo così potevano dimostrare di volersi veramente integrare nella nazione” (anche in questo caso come non ricordare le affermazioni di alcuni nostri rappresentanti per quanto concerne la fede islamica, secondo alcuni addirittura incompatibile con la nostra costituzione!), ben presto iniziarono pubblicazioni che accusavano gli ebrei di omicidi rituali (Der Talmudjude, L’ebreo del Talmud di August Rohling)[21]. Anche in questo caso come non riflettere sugli allarmi circa i riti voodoo praticati dagli immigrati?


Giunsero poi le teorie razziste, che portarono acqua al mulino dell’antisemitismo religioso. Iniziò la feroce diffusione di libri[22] e immagini stereotipate del nemico, in cui l’ebreo veniva rappresentato avido di denaro e bramoso di accoppiarsi con una donna ariana. Una raffigurazione che ebbe larghissima diffusione fu quella del grasso banchiere ebreo intento ad accarezzare una donna bionda che gli sta sulle ginocchia. Il messaggio propagandistico era tanto atroce quanto chiaro: l’ebreo non solo depredava i tedeschi della loro ricchezza (l’ebreo cinico ed avido di denaro) e della loro spiritualità (con la loro religione sterile e priva di valori), ma, profanando le loro donne, ne minacciava anche la purezza razziale.


Il timore di contaminazione razziale tramite matrimoni misti divenne una vera e propria ossessione per i nazionalisti, che ritenevano che la mescolanza degli elementi razziali avrebbe comportato un rapido declino della cultura e del valore nazionali, culminante nell'estinzione della razza[23].


Ma ancora non basta. Per spingere ancora di più sulla paura, e dipingere il nemico come mortale per l’intera umanità, non può mancare il complotto per conquistare il mondo.


Il primo romanzo che narra di un complotto giudaico è, pensate, del 1868, Biarritz. Il suo autore, Hermann Goedsche (anche se aveva assunto lo pseudonimo più romantico di Sir John Retcliffe) nel romanzo narra di un complotto contro il mondo dei gentili. I cospiratori ebraici si riuniscono nel «misterioso» cimitero del ghetto di Praga, a complottare per impadronirsi del mondo intero. Il suo romanzo, agli occhi dei nazisti, divenne, poi, prova documentale della cospirazione mondiale degli israeliti (Sic!)[24]. (Gustosissimo, a questo proposito, è il libro di Umberto Eco, Il cimitero di Praga. Protagonista del romanzo è Simone Simonini, notaio, spia, falsario e accanito antisemita. Un libro straordinario, che evidenzia non solo stereotipi e pregiudizi, ma anche le debolezze caratteriali, nonché le carenze culturali, intellettuali, etiche e morali di chi vi presta fede. Peccato che in Italia si legga poco).


Se questo romanzo, però, ebbe poco successo del diffondere la teoria del complotto, diversamente purtroppo accadde con i Protokolle der Weisen von Zion (i Protocolli dei Saggi di Sion) un falso confezionato dall’Okhrana (la polizia segreta zarista).


Perché questo falso, a differenza del romanzo Biarritz, ebbe tanta fortuna?
Per un motivo tanto semplice quanto atroce. Venne costruito su una realtà esistente. È questo che garantisce il successo di un falso. Un po’ come le menzogne: è più difficile scoprire quelle che contengono all'interno anche delle marginali verità.


Quando si costruisce un falso su una realtà esistente - ovviamente dicendo, e trovando anche riferimenti storici ad hoc, che si tratta di un complotto che parte da molto lontano - si ha l’enorme vantaggio che non ha alcuna importanza se viene smascherato come falso, perché la storia lo dimostra vero. Che i Protocolli dei Saggi di Sionfossero un falso, costruito dall’Okhrana, venne pubblicato anche dal Times di Londra nel 1921. Questo, naturalmente, venne fatto notare ad Hitler, il quale ebbe buon gioco a rispondere che non aveva alcuna importanza se i Protocolli fossero una falsificazione o se fossero veri: la storia li dimostrava veri. Gli ebrei, insomma, non avevano scampo: se il testo era vero, li condannava. Se era falso, veniva comunque verificato dalla realtà[25].


Anche oggi abbiano il nostro bel complotto naturalmente. È il famigerato Piano Kalergi, secondo cui gli abitanti dei futuri “Stati Uniti d’Europa” non saranno i popoli originali del Vecchio continente, bensì una sorta di sub-umanità resa bestiale dalla mescolanza razziale. Secondo il Piano Kalergi è necessario incrociare i popoli europei con razze asiatiche e di colore, per creare un gregge multietnico senza qualità e facilmente dominabile dall’élite al potere. Anche in questo caso è stato detto e scritto che si tratta di un falso ma, per la maggior parte della popolazione, non ha importanza se il Piano Kalergi sia falso o no, la storia lo dimostra vero. Gli immigrati, insomma, non hanno scampo: se il testo è vero li condanna, se è falso, è comunque verificato dalla realtà.


Le leve psicologiche utilizzate in questi due falsi sono le stesse: si prende una realtà esistente (ieri gli ebrei, oggi gli immigrati), la si veste di un complotto programmato e atroce, che ha come obiettivo l’estinzione o la sottomissione di milioni di persone, e le si permette di crescere.


Eppure è così facile smascherare questi falsi. Entrambi, infatti, si basano su un assunto di base assolutamente falsificato: l’uomo viene reso più forte dall'incrocio tra razze allo stesso modo in cui una cultura è ricca solo se ha intensi rapporti con altre culture. Basterebbe questa semplice riflessione per comprendere. Ma, quando viene diffuso odio e paura, la popolazione perde la capacità di critica.


E così come ieri un falso, costruito su una teoria falsa, costruita ad arte e contro ogni riscontro scientifico, quella della superiorità della razza ariana, ha conquistato le menti milioni di persone e portato all'Olocausto, speriamo che oggi, un altro falso, che torna a parlare di razza, non diffonda il suo perverso contagio.


Una teoria, quella della superiorità della razza, non solo assolutamente falsa, ma così assurda, che proprio chi la propagandava si stupiva che potesse essere creduta. Sto riferendomi a Goebbels che, in attesa di essere processato a Norimberga, parlando con il medico che lo assisteva, Kelly, alla domanda di questo se fosse d’accordo con la teoria della inferiorità razziale dei non ariani, Goebbels rispose: “Nessuno crede a queste fandonie”. Quando il medico gli ricordò che quelle fandonie avevano provocato la morte di sei milioni di persone, Goebbels rispose: “Be’, è stata una propaganda politica efficace”.


Già, una propaganda politica tragicamente efficace. Infatti stereotipi del genere non potevano che trasformare il problema ebraico, in un «problema etico» (il grido di «Juda verrecke» “Crepa giudeo”, entrò nell'uso comune).


La questione ebraica, insomma, non poteva più essere risolta con la tolleranza e l’integrazione, ma andava considerata nei termini di una contesa mortale, che avrebbe visto la vittoria definitiva o del modo d’essere giudaico o di quello «veramente» tedesco[26]. Pare di sentire le follie oggi in circolazione sullo “Scontro di civiltà”. Eppure, come evidenzia correttamente Franco Cardini, basterebbe un bignamino per capire che si tratta di fuffa. Il tragico, però, è che la gente ci crede.


Notato i passaggi? Ricordiamoli brevemente, perché sono importanti. Nell'opera di costruzione e disumanizzazione del nemico si opera sempre per gradi:


Si inizia con la distinzione tra l’Altro integrato e l’Altro non integrato. Distinzione che si fa più semplice se il nuovo venuto è povero e parla un idioma diverso.
Poi si condanna l’Altro per la sua religione, considerata priva di valori. Condanna che diviene assoluta se si iniziano a diffondere elementi circa la pratica di rituali disumani.
Alla fine, confezionato un falso complotto, la contesa con l’Altro diviene mortale, perché il rischio è l’estinzione.

5. Quando il nemico diventa strumento politico.


Come abbiamo visto l’antisemitismo era vivo in Germania sin dalla metà dell’800. Cosa successe di diverso che portò la situazione degli ebrei, negli anni’30, a precipitare sino alla “soluzione finale”?


È questo un aspetto, infatti, che ci interessa da vicino.


Certo, ci fu la Prima guerra mondiale, il vergognoso Trattato di Versailles, la Rivoluzione russa, ecc. Ma non fu questo a far precipitare la situazione.


Ciò che fece precipitare la situazione fu che salì al potere un uomo che decise di fare dell’antisemitismo uno strumento politico.


Hitler, abile nell’uso della propaganda, iniziò a diffondere il messaggio che soltanto togliendo gli ebrei di mezzo la Germania avrebbe ritrovato l’antica gloria e risolto i suoi problemi.


Naturalmente era un falso. I problemi della Germania erano altri.


Ma, allora, perché Hitler fece questa scelta? Perché Hitler sapeva bene che senza fondi - e i fondi non potevano venire che dalle sovvenzioni degli industriali, da enti finanziari e da singoli borghesi - non ci sarebbe stato movimento alcuno, non ci sarebbero stati successi elettorali, né il potere.


Inoltre Hitler, seppur inizialmente il partito si era dato un volto anticapitalistico, non aveva alcuna intenzione di rovesciare la struttura economica capitalista della Germania.


Ed allora come fare per ottenere il consenso necessario? Semplice, diminuendo l’enfasi anticapitalistica e ripiegando sull’antisemitismo. A partire dal momento in cui l’ebreo venne designato quale nemico del partito e del popolo, la medio alta borghesia poté dirsi salva da una rivoluzione sociale ed economica che non voleva[27].


Perché ho evidenziato questo ultimo passaggio? Perché i problemi dell’Italia sono tanti e complessi. In questa campagna elettorale, però, da parte di alcuni partiti, si sente solo parlare di immigrati.
È un bieco stratagemma già usato in passato. Basta cambiare il nemico, ieri l’ebreo, oggi l’immigrato.


In un mondo globalizzato, dove le decisioni politiche vengono prese altrove, dove in un periodo di austerità e crisi non si può offrire molto ai lavoratori, elettori, studenti e fruitori delle infrastrutture pubbliche, come fare ad ottenere il consenso? Alimentando il nazionalismo, alimentando la speranza di una de-globalizzazione unilaterale, la promessa del ritorno allo splendore dei tempi passati, alimentando la paura dell’altro, diffondendo xenofobia e islamofobia e promettendo sicurezza; in questa vergognosa operazione aiutati da giornali e televisioni irresponsabili[28].


Il nazionalismo è utile per coloro che non esitano a strumentalizzare l’odio verso gruppi diversi al fine di consolidare il proprio potere: «Il contrasto fra ‘noi’ e ‘loro’, la lotta comune contro quelli che stanno fuori dal gruppo, perché questo presenta il vantaggio di non doversi preoccupare troppo di presentare un qualsiasi altro programma positivo»[29].


E, come dice correttamente Franco Cardini, continua, cambiando perennemente veste, la sanguinosa tragicommedia che ieri accese quel nazionalismo che ha distrutto l’Europa; oggi – mutatis mutandis – essa anima i miserabili pretesti di chi finge di credere, o vuole far credere, che i nostri guai non nascono dalla cinica e folle politica economico-finanziaria delle grandi lobbies multinazionali, bensì dai disperati che arrivano da noi in cerca di soccorso[30].


È questa la chiave del successo di partiti e movimenti xenofobi, razzisti e guidati da leader che agitano la bandiera dell’interesse nazionale in Europa.


In qualsiasi nazione europea la propaganda è la stessa. Basti pensare al Front National guidato da Marine Le Pen con lo slogan: «La Francia ai francesi».


Non facciamoci ingannare e guardiamoci da chi mette in atto i passaggi sopra evidenziati. Da chi crea un nemico e lo disumanizza. Da chi alimenta la paura, perché la paura è una risorsa da cui attingere consenso.


Tutto questo provoca una cosa sola: invece di esserci una crescita intelligente, parlando dei problemi esistenti all’interno della nostra società, discutiamo di qual è la cosa di cui dovremmo avere più paura. Ma attenzione, perché una società che ha paura è una società pericolosa[31].


[1] Altiero Spinelli, Il progetto europeo, Biblioteca federalista, Edizioni il Mulino, Bologna, 1985, pp. 31-32: La rivoluzione europea per rispondere alle nostre esigenze dovrà essere socialista, cioè dovrà proporsi l’emancipazione delle classi lavoratrici e la realizzazione per esse di condizioni più umane di vita... non si possono più lasciare ai privati le imprese che, svolgendo una attività necessariamente monopolistica, sono in condizione di sfruttare le masse dei consumatori, ad esempio le industrie elettriche... le imprese che per la grandezza dei capitali investiti e il numero degli operai occupati, o per l’importanza del settore che dominano, possono ricattare gli organi dello stato, imponendo la politica per loro più vantaggiosa (es: industrie minerarie, grandi istituti bancari, grandi armamenti). È questo il campo in cui si dovrà procedere senz’altro ad una nazionalizzazione su scala vastissima, senza alcun riguardo per i diritti acquisiti
[2] Maurice Allais e Paul Anthony Samuelson.
[3] Martin Wolf: “Qualunque unione valutaria tra economie diverse è inevitabilmente un’avventura pericolosa. Ma se si fonda su idee errate sul modo in cui dovrebbe funzionare, può rivelarsi catastrofica”.
[4] Danimarca: protocolli n. 16, 17 e 22, 32; Francia: protocollo 18; Irlanda, Regno Unito e Irlanda del nord: protocolli 15, 19, 20, 21; Regno Unito e Polonia: protocollo 30; Antille Olandesi: protocollo 31; Irlanda: protocollo 35. I protocolli fanno parte integrante del Trattato di Lisbona.
[5] Altiero Spinelli, 1985, pg. 44: «In assenza di proibizioni, è possibilissimo procurarsi posizioni che rappresentino un danno per altri ed un vantaggio per sé. Perché un tale abuso accada, non è necessario supporre una particolare perversa volontà di sopraffazione: basta che uno stato pensi che il suo dovere sia non già di provvedere al benessere di tutti gli uomini, ma a quello dei suoi cittadini».
[6] Cfr. Zygmunt Bauman, Il demone della paura. Ed. Laterza
[7] Cfr. Jacques Sémelin, Purificare e distruggere. Usi politici dei massacri e dei genocidi. Ed. Einaudi
[8] Cfr. George L. Mosse, Le origini culturali del terzo Reich. Ed. Il Saggiatore
[9] Cfr. Emilio Gentile, L’apocalisse della modernità. Ed. Mondadori
[10] Ibidem
[11] Cfr. Simona Colarizi, Novecento d'Europa. L'illusione, l'odio, la speranza, l'incertezza. Ed. Laterza
[12] Cfr. George L. Mosse, Le origini culturali del terzo Reich. Ed. Il Saggiatore
[13] Ibidem.
[14] Cfr. Simona Colarizi, Novecento d'Europa. L'illusione, l'odio, la speranza, l'incertezza. Ed. Laterza
[15] George L. Mosse, Le origini culturali del terzo Reich. Ed. Il Saggiatore
[16] Ibidem. Der Büttnerbauer, Il contadino di Büttner, di Wilhelm von Polenz), pubblicato nel 1895, si narra una vicenda destinata, nei suoi tratti essenziali, a divenire convenzionale: un contadino si indebita con un ebreo che pone il sequestro sulla sua terra, vendendola poi a un capitano di industria che a sua volta vi costruisce una fabbrica. La conclusione è che l’eroe contadino si impicca, con lo sguardo devotamente rivolto alla terra che è stata sua, e che tra poco sparirà sotto le macchine e le fabbriche.
[17] George L. Mosse, Le origini culturali del terzo Reich. Ed. Il Saggiatore
[18] Cfr. Simona Colarizi, Novecento d'Europa. L'illusione, l'odio, la speranza, l'incertezza. Ed. Laterza
[19] George L. Mosse, Le origini culturali del terzo Reich. Ed. Il Saggiatore
[20] L’emancipazione ebraica fu lunga e difficile. “Fino al 1812, gli ebrei erano stati trattati alla stregua di un gruppo a se stante residente su suolo tedesco e, se da un lato si permetteva loro di svolgere le proprie attività commerciali in base a speciali «privilegi», d’altra parte dovevano per questo pagare imposte speciali. Anche dopo il 1812, però, l’accesso alle cattedre universitarie fu vietato agli intellettuali ebrei, insieme alla carriera di ufficiale dell’esercito: erano, queste, limitazioni gravi in una società in cui quello di «ufficiale della riserva» costituiva un cospicuo simbolo sociale e in cui le cariche accademiche assicuravano larga stima e stabilità economica. Anche se, dopo l’occupazione napoleonica, le mura dei ghetti più non si sarebbero alzate, l’emancipazione si trovava a percorrere una strada quanto mai accidentata; caduto Napoleone, gli stati tedeschi si erano affrettati a imporre rinnovate restrizioni agli ebrei, e c’era voluta la rivoluzione del 1848 perché una più vasta emancipazione fosse proclamata… L’emancipazione ebraica non ebbe effettivamente luogo fino al 1918: prima di quella data, l’ebreo non battezzato non poteva aspirare alla carriera di ufficiale né a quella di professore universitario”. In George L. Mosse, Le origini culturali del terzo Reich. Ed. Il Saggiatore.
[21] Ibidem
[22] In George L. Mosse, Le origini culturali del terzo Reich. Ed. Il Saggiatore: Artur Diner vende centinaia di migliaia di copie del suo libro dal titolo Die Sünde wider das Blut (Il peccato contro il sangue) in cui si narra la profanazione della purezza razziale di una donna tedesca a opera di un ricco ebreo.
[23] Le leggi di Norimberga fecero di questa ossessione un sistema legale, dilatandolo al punto da proibire agli ebrei di avere persone di servizio cristiane.
[24] Cfr. George L. Mosse, Le origini culturali del terzo Reich. Ed. Il Saggiatore
[25] Cfr. Luigi Zoja, Paranoia. La follia che fa la storia. Ed. Bollati Boringhieri
[26] Cfr. George L. Mosse, Le origini culturali del terzo Reich. Ed. Il Saggiatore
[27] Ibidem.
[28] Cfr. La grande regressione: Quindici intellettuali da tutto il mondo spiegano la crisi del nostro tempo. Heinrich Geiselberger,‎ Arjun Appadurai,‎ Zygmunt Bauman,‎ Donatella della Porta,‎ Nancy Fraser,‎ Eva Illouz,‎ Ivan Krastev,‎ Bruno Latour,‎ Paul Mason,‎ Pankaj Mishra,‎ Robert Misik,‎ Oliver Nachtwey,‎ César Rendueles,‎ Wolfgang Streeck,‎ David Van Reybrouck,‎ Slavoj Žižek. Ed. Feltrinelli
[29] Cfr. William Easterly e Fabio Galimberti. La Tirannia degli esperti: Economisti, dittatori e diritti negati dei poveri. Ed. Laterza
[30] Cfr. Franco Cardini. L’ipocrisia dell’Occidente: Il Califfo, il terrore e la storia. Ed. Laterza
[31] Cfr. Zygmunt Bauman, Il demone della paura. Ed. Laterza

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