lunedì 11 marzo 2019

Cina e Stati Uniti, guerra dei dazi e incertezze economiche

Quest’anno a Davos mancavano i Vip, al World Economic Forum erano assenti:
– Donald Trump: tra muro messicano e shutdown ha inviato il Segretario di Stato Mike Pompeo
– Emmanuel Macron: si deve destreggiare tra Gilets Jaunes e Debat national
Theresa May stressata dal Brexit e Angela Merkel come testimonial dell’ultima stagione “globalizzazione & multilateralismo”. Per anni si guardava e si analizzava il red carpet di Davos e quest’anno nessuno se lo è filato di striscio.
Poco sovranismo e tanto populismo hanno cambiato il clima: capitani d’industria e finanzieri hanno tanti interrogativi e poche certezze. Guardano con ansia la politica monetaria della BCE e della FED. Insomma a Davos soffia aria di incertezza e cambiamento.
Gli unici interventi degni di essere ricordati sono stati:
  • Jamie Dimon (CEO JPMorgan): parla del declino degli Usa, delle emergenze nazionali legate a istruzione e assistenza sanitaria, di immigrati formati e addestrati che tornano sempre più numerosi nei Paesi di origine (reverse-drain-brain), abbandono delle infrastrutture pubbliche e disastri conseguenti alla gestione privata delle reti elettriche e del sistema idrico. Dimon spiega in modo chiaro che gli USA non possono pensare di vivere di FIRE Economy (Finance, Insurance, Real Estate) e Silicon Valley: sono importanti ma non sfamano le pance degli americani
  • Jack Ma (CEO Alibaba): per lui la rivoluzione tecnologica in atto e AI possono innescare conflitti legati a nuovi assetti di potere economico-politico e turbano delicati equilibri internazionali nonché la pace sociale delle nazioni.
Per quanto riguarda la guerra sino-americana dei dazi alla fine si arriverà ad un accordo commerciale per toglierli, anche se la tensione sui mercati rimarrà palpabile. La Cina lascerà credere a tutti che Trump ha vinto, ma in realtà dalla guerra nulla cambierà. In Cina rimarranno problemi irrisolti come la proprietà intellettuale, l’ostruzione alle imprese straniere, trasferimenti forzati di tecnologia. Ma negli USA la campagna elettorale sta per ripartire e portare a casa “una piccola vittoria” contro la Cina vuol dire vincere facile facile.
Ma sono in molti a voler ridurre le esposizioni verso la Cina, un documento recente della Confindustria tedesca Bdi
avverte che quando si è troppo esposti verso la Cina si rischia essere ricattati. Infatti molte nazioni si sono fortemente indebitate con OBOR anche se pubblicamente la Cina tende a minimizzare.
Il mondo va verso una nuova direzione: produci qua se vuoi vendere qua! Quindi se vuoi vendere in Cina produci in Cina e se vuoi vendere in USA produci in USA.
Anche se i rapporti tra Cina e Germania sembrano forti, una parte dell’establishment tedesco vorrebbe ridurre la sua dipendenza dal mercato cinese. Vale anche la pena ricordare che la Germania esporta moltissimo in Cina e che l’industria automobilistica tedesca vende per un terzo alla clientela cinese. Il governo tedesco non vede di buon occhio la mancata volontà cinese di aderire ai principi del WTO. Molte aziende pubbliche cinesi acquistano concorrenti innovativi e competitivi, quindi di fatto distorcono il mercato e molti sono infastiditi da questa politica di Pechino. Le aziende cinesi acquistano industrie high tech europee, di fatto questo depauperamento tecnologico fa vacillare l’intera industria europea. L’altro grande progetto cinese mira alla rete energetica europea: le aziende pubbliche cinesi acquistano o di fatto costruiscono infrastrutture energetiche strategiche in Europa. Con queste pratiche di infiltrazione il Dragone Rosso sta assediando l’economia globale. La Cina poi non ha mai rispettato una richiesta che molte Nazioni richiedono a gran voce: per molte aziende è impossibile penetrare in segmenti importanti del mercato cinese. La legge cinese sulla sicurezza informatica poi è una vero ostacolo, le aziende straniere che operano in Cina sono obbligate a cedere informazioni proprietarie e devono accogliere nei consigli direttivi un referente del partito cinese. Resta da vedere se l’occidente riuscirà a ridurre le dipendenze dal mercato cinese perché la prospettive di riforme e di aperture rimangono un miraggio, sono due modelli di economia difficilmente compatibili.

Qualcuno in Occidente comincia a rendersi conto (alla buon’ora!) che la delocalizzazione dell’apparato industriale verso l’Oriente è una strategia che ha i suoi lati negativi, che sia gli stati che le grandi multinazionali alla lunga possono venire strangolati dall’abbraccio caloroso del Dragone. Per almeno un trentennio la delocalizzazione ha portato enormi profitti e vantaggi a chi si trasferiva in Cina, ora però i cinesi cominciano a riscuotere i profitti della loro strategia. Ci si sta accorgendo insomma che il cinese ha recitato la parte del sommesso operaio, ha accumulato denaro e conoscenze e ora è in grado di comprarsi l’azienda.
Resta da vedere se l’Occidente è ancora in grado di ritornare padrone o se ormai non c’è più niente da fare. Alessia C. F. (ALKA di liberticida.altervista.org e orazero.org).

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