mercoledì 27 febbraio 2019

Chiesa e pedofilia: quello che i media non dicono


Nel dibattito mediatico di recente riapertosi sullo scandalo degli abusi sessuali perpetrati da sacerdoti e religiosi cattolici a danno di minori, si deve costatare con amarezza come, in luogo della onesta ricerca della verità e dello sforzo di comprensione di un fenomeno difficile che ormai da decenni la Chiesa cattolica si sforza di affrontare, prevalga la volontà deliberata di colpire la credibilità della istituzione ecclesiastica complessivamente considerata (accusata non solo di essere indifferente alle esigenze di tutela dei piccoli, ma addirittura di aver sempre e comunque difeso i preti pedofili, nascondendone le malefatte e addirittura ostacolando le inchieste delle autorità civili) nonché l’affidabilità e la sicurezza degli istituti di educazione cattolica, fornendo l’impressione che parrocchie e scuole cattoliche siano luoghi particolarmente esposti al rischio pedofilia. 

Non che episodi gravissimi di abusi sessuali su minori non si siano realmente verificati in passato anche in questi ambienti ad opera non solo di laici ma perfino di preti e religiosi, solo che i dati reali vengono dai media sovente amplificati (e in non pochi casi perfino travisati) allo scopo di creare situazioni di vero e proprio “panico morale” (secondo una felice espressione coniata dai sociologi), promosso da astuti “imprenditori morali” che perseguono fini politico-ideologici spesso inconfessabili. Del resto, non si spiegherebbe altrimenti il motivo per il quale, proprio in coincidenza con la lettera pastorale inviata dal Papa al clero irlandese, in cui viene ribadita con forza l’urgenza di rimediare alle conseguenze dei crimini sessuali commessi dal clero locale, importanti testate giornalistiche mondiali (come il New York Time) sbattevano in prima pagina casi di abusi risalenti a venti o trenta anni fa (cercando di coinvolgere artatamente nella responsabilità degli scandali la stessa persona del Santo Padre) come fossero cose accadute l’altro ieri o notizie apprese solo di recente. Fin troppo evidente l’intenzione di minare l’autorità morale di un papa che ha sempre dimostrato molta attenzione al tema della pedofilia nel clero fin da quando dirigeva come cardinal prefetto la Congregazione per la dottrina della fede, istituzione competente nella Chiesa in ordine all’accertamento e alla punizione dei reati sessuali dei chierici. 


Ma al di la del “panico morale” suscitato da singoli agghiaccianti episodi, vogliamo chiederci quali sono le dimensioni reali del problema? Come mai i mass-media tacciono sui risultati degli studi statistici condotti negli ultimi decenni da sociologi e centri di ricerca? Ebbene, per quanto casi di abuso sessuale su minori ad opera di religiosi e preti cattolici si siano manifestati in diverse nazioni (Stati Uniti, Irlanda, Germania, Austria), gli Stati Uniti sono l’unico Paese a disporre di uno studio approfondito condotto nel 2004 dal “John Jay College of Criminal Justice” della City University of New York su commissione della Conferenza episcopale americana. 


E’ bene sottolineare che si tratta di uno studio indipendente, dal momento che il John Jay College non è un’università cattolica ed è per di più riconosciuto come la più autorevole istituzione statunitense in materia di criminologia. Dalle ricerche condotte dall’autorevole istituto risulta come dal 1950 al 2002 circa 4400 sacerdoti americani (su oltre 109.000) siano stati accusati di relazioni sessuali con minorenni. Di questi poco più di un centinaio sono stati effettivamente condannati nell’arco di 52 anni. In alcuni casi sulle mancate condanne ha giocato un ruolo decisivo la prescrizione del reato o la morte degli imputati, in altri il fatto che secondo la legge di molti stati americani avere rapporti sessuali con minorenni consenzienti che hanno compiuto i 16 anni non è considerato reato. Ma in numerosi altri casi abbiamo effettivamente avuto sacerdoti innocenti ingiustamente accusati. Questi casi si sono anzi moltiplicati a partire dagli anni ’90 quando alcuni studi legali hanno capito di poter strappare transazioni milionarie anche sulla base di semplici sospetti. Questo spiega anche quella prudenza che alcuni vescovi locali hanno tenuto nel destituire dal ministero sacerdoti accusati di pedofilia, spesso limitandosi a spostarli da una parrocchia ad un’altra o privandoli temporaneamente di incarichi pastorali nell’attesa che si facesse luce sulla reale consistenza delle accuse (anche se, ad onor del vero, va aggiunto che casi di vero e proprio “insabbiamento” da parte delle autorità ecclesiastiche locali non sono mancati). 


Ritorniamo però ai dati del John Jay College. Dei 4400 sacerdoti accusati di abusi sessuali negli Stati Uniti tra il 1950 e il 2002, il 78,2% si riferisce a minori che hanno superato la soglia della pubertà, per i quali non può quindi parlarsi di pedofilia in senso tecnico, bensì di efebofilia. Dunque i sacerdoti accusati di pedofilia negli U.S.A. sono stati effettivamente 958 (quindi, meno dell’1% del totale dei sacerdoti americani) in 52 anni, di cui soltanto 54 condannati (quindi, in media, circa una condanna all’anno). 


Spostandoci dagli U.S.A. negli altri Stati la situazione non cambia di molto, anche se non si dispone di studi accurati come quelli del John Jay College. In Irlanda, in particolare, parecchi rapporti governativi hanno definito come “endemica” la presenza di abusi nei collegi e negli orfanotrofi (maschili) gestiti da diocesi e ordini religiosi. E non vi è dubbio che casi di abusi su minori, anche molto gravi, vi siano realmente stati. Il c. d. Rapporto Ryan del 2009 (che usa un linguaggio molto duro nei confronti della Chiesa cattolica) riporta nel periodo esaminato 253 accuse di abusi sessuali da parte di ragazzi e 123 da parte di ragazze (su un totale di 25.000 allievi), non tutte in verità attribuite a sacerdoti o a religiosi o religiose, raramente riferite a bambini prepuberi e che ancor più raramente hanno condotto a condanne. 

Senza dubbio, anche se statisticamente poco allarmanti, casi del genere andrebbero comunque evitati e i responsabili consegnati sempre alla giustizia civile e canonica (dato che la pedofilia e gli abusi su minori sono crimini sia per l’ordinamento civile che per quello canonico). Bisogna tuttavia evitare di “gonfiare” i problemi, creando allarmi che non hanno ragione di esistere. Non dimentichiamoci, infatti, che la stragrande maggioranza degli abusi sui minori (circa il 70% del totale) si consumano non nelle scuole (statali o cattoliche che siano) o nelle parrocchie, bensì in famiglia e ad opera di parenti stretti (zii, cugini e perfino genitori). Eppure, come nessuno guarderebbe ai propri familiari alla stregua di potenziali pedofili, sarebbe altrettanto ingiustificato (anzi, fobico) vedere negli uomini di Chiesa una potenziale minaccia per i propri bambini. 

L’analisi dei dati statistici consente inoltre di effettuare degli utili (anche se pericolosi, perché politicamente poco corretti, come si suol dire) raffronti comparativi. Si parla insistentemente della pedofilia nella Chiesa cattolica, ma stranamente nessuno si chiede mai che cosa avvenga nelle altre denominazioni ecclesiali. Eppure, vari studi statistici dimostrano come il numero deipastori condannati per abusi su minori presso le chiese protestanti sia da due a dieci volte maggiore, a seconda delle aree geografiche considerate. 

Di questo avviso è il sociologo (ateo) Philip Jenkins, autore di un’ importante ricerca in materia, dal titolo “Pedophiles and Priests. Anatomy of a Contemporary Crisis”, Oxford University Press, 1996. Secondo l’illustre sociologo, il tema della pedofilia nel clero cattolico costituisce un tipico esempio di “panico morale”, divenendo la Chiesa cattolica sovente il capro espiatorio che paga per tutti. Opinione condivisa peraltro da un’agenzia protestante americana, la Christian Ministry Resources, che nel 2002 dichiara: “I cattolici ricevono tutta l’attenzione dei media, ma il problema è maggiore nelle Chiese protestanti”, benché l’arcivescovo di Canterbury, Rowan Williams, primate della Chiesa anglicana, proprio sul tema della pedofilia abbia di recente attaccato il Papa e la Chiesa cattolica tutta, dimenticandosi del “marcio” che c’è in casa sua. Lo scandalo della pedofilia in casa protestante rivela inoltre che poco c’entra la pedofilia con la regola del celibato ecclesiastico; infatti, i pastori protestanti sono per la quasi totalità delle persone sposate. 

Gli studi di Jenkins hanno condotto ad un altro significativo risultato, e cioè che oltre il 90% dei sacerdoti cattolici condannati negli Stati Uniti per pedofilia e soprattutto per efebofilia è omosessuale. Un risultato, questo, che non meraviglia lo studioso, stando al quale “benché la pedofilia esclusiva (l’attrazione da parte di un adulto verso bambini in età prepuberale) sia un fenomeno raro ed estremo, un terzo degli uomini omosessuali è attratto da ragazzi adolescenti” e del resto – sempre secondo Jenkins – la seduzione di ragazzi adolescenti da parte di uomini omosessuali è un fenomeno ben documentato. Per quanto sia politicamente scorretto dirlo, la pedofilia e più in generale gli abusi sessuali sui minori commessi dagli uomini di Chiesa sembrano essere più direttamente collegabili all’omosessualità che al celibato. Le parole del cardinal Bertone, che tanta indignazione hanno suscitato presso il governo francese e le associazioni omosessuali, lungi dall’essere un “assurdo scientifico” (secondo la definizione datane dal presidente dell’Arcigay, Franco Grillini), colgono un aspetto di verità e dimostrano come nella Chiesa, in verità, il problema della pedofilia non possa essere trattato disgiuntamente da quello dell’omosessualità dei candidati al sacerdozio e alla vita consacrata. 



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