mercoledì 27 febbraio 2019

MARTIRI CRISTIANI: INDIANO DECAPITATO. SALESIANO FUCILATO



PADRE DI FAMIGLIA RAPITO E GUSTIZIATO
DAI MAOISTI INDU PER LA SUA CONVERSIONE.
AGGUATO JIHADISTA A COLPI DI KALASHNIKOV
PER IL MISSIONARIO SPAGNOLO IN TOGO.
CONDANNA A MORTE PER DUE MONACI IN EGITTO

___di Fabio Giuseppe Carlo Carisio ___

Rapito da fanatici maoisti indù sotto gli occhi del bimbo di 6 anni, portato in un luogo nascosto, lapidato e orrendamente decapitato un padre di famiglia indiano colpevole soltanto di avere ricevuto il battesimo da cristiano evangelico due mesi prima. Assalito da un commando jihadista in un agguato premeditato ad un posto di frontiera e crivellato a colpi di kalashnikov un missionario africano solo per essersi recato ad un’assemblea salesiana in Togo. A soli quattro giorni di distanza questo mese di febbraio si è impregnato del sangue di altri martiri cristiani in Asia ed Africa che si aggiunge a quello delle oltre 4mila vittime devote a Gesù Cristo del 2018. Mentre il brutale assassinio di padre Antonio Cesar Fernandez, 72enne, chierico spagnolo della Congregazione internazionale di San Giovanni Bosco in Burkina Faso, avvenuta il 15 febbraio è balzato subito all’attenzione dei media internazionali grazie alla capillare rete d’informazione cattolica in tutto il mondo ed in particolare all’agenzia vaticana Fides, quello del quarantenne Anant Ram Gand scoperto l’11 febbraio scorso è stato reso noto solo da poche ore dalla rete Persecution Relief che si occupa della difesa dei cristiani discriminati in 


India. Il cristiano evangelico indiano Anant Ram Gand lapidato e poi decapitato

Entrambi sono comunque caduti sotto i colpi di fondamentalisti religiosi che sembrano aver pianificato gli omicidi come vere e proprie esecuzioni. A queste già drammatiche notizie si aggiunge anche quella amara che giunge dall’Egitto della condanna a morte di due monaci copti ortodossi ritenuti colpevoli dell’assassinio fraticida dell’abate vescovo del Monastero di San Macario, Anba Epiphanios, ucciso per futili motivi di rivalità personali il 29 luglio 2018, e beneamato anche in quanro devoto discepolo del grande anacoreta Matta el Meskin, ovvero Matteo il Povero, per molti anni eremita del deserto di Scete.



IL PADRE DI FAMIGLIA EVANGELICO DECAPITATO IN INDIA

Il dolore dei figli di Anant Ram Gand, rimasti orfani del padre in un villaggio povero dell’India, per i quali Persecutions Relief chiede almeno un aiuto di Stato

«Si era convertito al cristianesimo nove mesi fa ed era stato battezzato da soli due mesi: la sua conversione ha suscitato l’ira degli abitanti del villaggio, per lo più fanatici indù. Hanno armato il Naxal, guerrigliero maoista indiano, che ha commesso fisicamente l’omicidio». Sono le dichiarazioni rilasciate ad AsiaNews dal pastore Shibu Thomas, fondatore della rete di Persecution Relief, che ha diffuso poche ore fa la notizia dopo l’autorizzazione della famiglia della vittima Anant Ram Gand di 40 anni. L’omicidio è avvenuto l’11 febbraio nel villaggio di Raigarh Tehsil, nel distretto di Nabarangapur. Quel giorno sua moglie Sukbati (38) è andata nel vicino villaggio insieme alle sue quattro figlie (di età 13, 11, 3 e 2), mentre il marito, in compagnia del figlio di 6 anni Purno, era rimasto a casa. E’ stato proprio il piccolo ad essere testimone del brutale rapimento raccontando poi ogni dettaglio. Il bambino ha riferito di essersi svegliato al rumore di tre uomini che prima hanno bussato alla porta e poi gridato contro suo padre. Purno ha poi assistito al momento in cui lo hanno preso, gli hanno legato le mani dietro la schiena e lo hanno trascinato via. Gli aguzzini non si sono fermati nemmeno davanti al pianto del piccolo che li inseguiva: spingendolo via con ferocia, i tre uomini gli hanno intimato di non seguirli. A quel punto il bambino ha raggiunto la casa di suo zio nelle vicinanze dando così l’allarme. Poche ore dopo il corpo di Anant è stato trovato in mezzo a una strada con la testa decapitata e fracassata con una pietra.

LE FOLLI PERSECUZIONI AI CONVERTITI

Padre Shibu Thomas, pastore evangelico pentecostale indiano presidente dell’associazione Persecutions Relief che denuncia i crimini contro i cristiani

Secondo Persecution Relief, che ha parlato con la famiglia del neoconvertito, gli estremisti indù del villaggio non avevano accettato la sua adesione al cristianesimo e per questo hanno spinto i Naxal, guerriglieri maoisti indiani, ad assassinarlo. Negli ultimi mesi tutta la famiglia, che si era convertita ed aveva aderito alla Indian Evangelical Team (Ied), aveva ricevuto minacce dagli altri abitanti dellla comunità e per questo aveva dovuto cambiare casa, trasferendosi a un chilometro di distanza: «Lo discriminavano e non gli consentivano di raccogliere l’acqua del pozzo pubblico – spiega Thomas – Gli indù hanno fatto credere ai Naxal che il cristiano avesse rivelato i loro segreti alla polizia, invece Anant Ram non era nemico di nessuno». Padre Shibu, predicatore evangelico con una lunga esperienza religiosa negli Usa quale senior pastor nella Chiesa Pentecostale di Chicago e nella Sharon Fellowship di Dallas, dove si è diplomato in Teologia, descrive senza mezzi termini le vessazioni continue: «Essere cristiani oggi in India – dice – significa essere perseguitato ogni giorno: se preghi in famiglia sei battuto, se preghi in una chiesa domestica sei battuto, nelle strade sei battuto. L’articolo 25 della Costituzione, che protegge la libertà di credo e la diffusione della fede, non è applicabile per i cristiani in India. I cristiani dei villaggi vivono nella paura. Vogliamo essere protetti! Come presidente del gruppo Persecution Relief, chiedo al Primo ministro e al Capo dello stato di disporre un’indagine: il governo dovrebbe garantire almeno un risarcimento alla famiglia e ai cinque bambini piccoli. Dovrebbero parlare chiaramente contro la persecuzione dei cristiani e per proteggere la libertà di culto. Basta!».


IL PASTORE PENTECOSTALE DECAPITATO NEL 2018

Il pastore cristiano evangelico pentecostale Abraham Tigga Topno

Il barbaro assassinio riporta alla mente quello del pastore cristiano evangelico pentecostale Abraham Tigga Topno, 46 anni, anch’egli rapito, sgozzato e poi decapitato in ultimo impietoso oltraggio al cadavere. lo scorso primo maggio in India, alla periferia di Ranchi, la capitale dello statodel Jharkhand, dai componenti di un gruppo armato maoista, il People’s Liberation Guerrilla Army, Plga. Come riferì la Nuova Bussola Quotidiana il reverendo Tigga era stato rapito mentre stava rientrando in macchina a casa, nel villaggio di Ubasaal, di ritorno dal mercato. A tendergli l’agguato furono oltre 25 militanti che, dopo averlo costretto a fermarsi, lo hanno fatto scendere a forza dall’auto, lo portarono fino a una diga non lontano da casa sua, lo picchiarono, gli tagliarono la gola e poi lo decapitarono. La sua auto incendiata fu rinvenuta a Tamar, circa 60 chilometri a sud della capitale, ed il cadavere del pastore fu trovato la mattina successiva. Accanto al corpo gli assassini avevano lasciato un biglietto con su scritto: “morte di una spia della polizia. Lunga vita al Plga. Egli era un informatore della polizia. Questo è il destino di chi si mette contro di noi”. I maoisti del Plga lo avevano già minacciato in passato, accusandolo senza il minimo fondamento di verità di essere una spia, ma né lui né i suoi famigliari avevano preso sul serio gli avvertimenti e non ne avevano informato la polizia. Il reverendo Tigga lascia una moglie e Christo, il bambino che la coppia senza figli aveva adottato. La guerriglia maoista è presente in 14 dei 18 distretti dello stato del Jharkhand. Sajan K George, presidente del Global Council of Indian Christians, in merito alla persecuzione degli induisti commentò: «Nella nostra laica India i cristiani sono tra l’incudine e il martello, soprattutto in Jharkhand dove è in vigore la legge anti-conversione».



L’AGGUATO ASSASSINO AL MISSIONARIO SALESIANO

Il salesiano spagnolo ucciso padre Antonio Cesar Fernandez

«Secondo quanto appreso dall’Agenzia Fides, padre Antonio César Fernández è rimasto vittima nel primo pomeriggio di ieri 15 febbraio di un attacco jihadista perpetrato a quaranta chilometri dal confine meridionale del Burkina Faso. Il salesiano è stato colpito da tre colpi d’arma da fuoco mentre si trovava in un auto insieme a due confratelli della comunità di Ouagadougou» E’ quanto riferito nei giorni scorsi dall’Agenzia Fides, Organo di informazione delle Pontificie Opere Missionarie dal 1927. I tre stavano rientrando da Lomé (Togo), dove avevano partecipato alla prima sessione del Capitolo provinciale dell’Ispettoria salesiana dell’Africa occidentale francofona (AFO).
«L’auto dove viaggiava padre Fernández e i suoi confratelli, che sono rimasti illesi, è rimasta coinvolta nell’agguato contro il posto di controllo doganale di Nouhao al confine con il Ghana e il Togo. Nell’assalto, perpetrato da un gruppo jihadisti, oltre al missionario spagnolo sono stati uccisi quattro doganieri del Burkina Faso». Nel paese si moltiplicano gli scontri tra le forze di sicurezza e alcuni gruppi di terroristi islamici che agiscono pure in Mali e in Niger ma quell’assalto è stato però è il primo che si registra nella parte centro-orientale del Paese.
 Secondo quanto riferito dal sito d’informazione internazionale InTerris «gli attentatori sono stati definiti come “un gruppo” e, dopo aver esploso raffiche con fucili automatici»: l’arma prediletta dei jihadisti rimane sempre l’Ak 47, ovvero il tristemente famoso kalashnikov. E’ probabile che l’attacco sia stato in realtà un vero agguato all’auto del missionario che era transitata in precedenza in quel varco di confine per recarsi al consesso salesiano.



UNA VITA COME APOSTOLO DI CRISTO IN AFRICA

Antonio Cesar Fernandez fu missionario in Burkina Faso, Togo e Costa d’Avorio. Foto: AFP/Salesianos de don Bosco

Padre Antonio César Fernández, aveva 72 anni e ne aveva serviti 55 come salesiano e 46 come sacerdote. Nato a Pozoblanco il 7 luglio 1946 è stato missionario in diversi Paesi africani dal 1982, anno dell’inizio della presenza salesiana in Togo, la sua prima destinazione di apostolato in nome di Gesù Cristo. Ha lavorato come istruttore dei novizi (1988 – 1998) e ha prestato servizio, tra le altre funzioni, come delegato dell’AFO nel Capitolo generale 25 (2002). Stava svolgendo il suo ministero in Burkina Faso. E’ stato ricordato dai suoi confratelli con una nota in cui si rimarca come il sacerdote «aveva offerto la sua vita per l’Africa e la sua offerta è stata accettata pienamente. Chiediamo a lui di pregare con noi per questa sua ispettoria. Che il Signore risorto accolga con tenerezza Fratel César con tutti coloro che hanno dato la loro vita alla missione salesiana, e che Maria Ausiliatrice, che tanto amava, lo accolga con l’affetto della Buona Madre del Cielo».



I MONACI FRATRICIDI CONDANNATI A MORTE

L’ex monaco Wael Saad Tawadros e il monaco Falta’os al Makari condannati per l’omicidio

Oltre a queste tragiche vicende di martirio un’altra drammatica notizia sconvolge di amarezza il mondo cristiano internazionale: la sentenza di condanna a morte di due monaci egiziani copti ritenuti gli assassini dell’abate vescovo del Monastero di San Macario, Anba Epiphanios, ucciso apparentemente per futili motivi di rivalità personali il 29 luglio 2018. Per quanto il verdetto di colpevolezza emesso sabato 23 febbraio dalla Corte penale di Damanhur fosse atteso in quanto gli indizi a carico degli incriminati sarebbero soverchi, la pena capitale è stata accolta come una “catastrofe” da Anba Agathon, vescovo copto ortodosso di Maghagha, che ha evidenziato all’agenzia Fides la necessità di un presentare al più presto il ricorso per un secondo appello di giudizio, ha definito “triste” quel giorno ed invitato a a pregare per i due condannati: il monaco Falta’os al Makari e l’ex monaco Wael Saad Tawadros. La sentenza attende ora il giudizio definitivo del Mufthi.



IL BRUTALE OMICIDIO ED IL PROCESSO

Anba Epiphanios, l’assassinato abate vescovo del Monastero di San Macario

«Alle prime ore di domenica 29 luglio 2018, il corpo del Vescovo Epiphanius era stato rinvenuto in una pozza di sangue, all’interno del monastero, lungo il tragitto che dalla sua cella conduceva alla chiesa, dove il Vescovo si stava recando per iniziare la giornata con l’ufficio delle preghiere mattutine, prima della Messa domenicale». Riferì allora proprio Fides oggi rimarcando che secondo quanto ricostruito durante le indagini, tra l’Abate assassinato e i due condannati erano sorti contrasti per questioni economiche e per diverse violazioni delle regole monastiche da parte dei due monaci (uno dei quali, Wael Saad Tawadros, dopo l’omicidio era stato spogliato dell’abito monastico al termine di un lungo processo canonico). Durante il dibattimento processuale, i due accusati hanno continuato a proclamarsi innocenti, e hanno anche ritrattato precedenti confessioni di colpevolezza che a loro dire sarebbero state estorte attraverso pressioni psicologiche da parte degli organi inquirenti: Tawadros aveva infatti confessato di aver colpito Anba Epiphanius tre volte in testa con una bastone di ferro mentre il monaco Falta’os controllava che nei paraggi non ci fosse nessuno. Nella sentenza di condanna si legge che i due condannati «non hanno avuto scrupoli nel commettere il loro crimine in un luogo sacro, e hanno mostrato di non tenere in alcun conto neanche l’età avanzata e la statura spirituale della vittima». Motivazioni sufficienti a pregiudicare ogni attentuante che scongiurasse la condanna alla pena capitale ora soggetta al giudizio della massima autorità islamica. «La Corte penale di Damanhur ha sottoposto la sentenza al Mufti d’Egitto, l’autorità religiosa islamica incaricata di emettere le fatwa (pareri giuridici basati sulla Sharia) su questioni rilevanti – spiega ancora Fides – In Egitto, una condanna a morte non può essere definitiva se non approvata dal Mufti. La data del giudizio definitivo è stata fissata dalla Corte per il prossimo 24 aprile». Durante il processo è comunque emerso che la reponsabilità primaria del crimine andava ascritta a Tawadaros, più volte richiamato per motivi finanziari e di disobbedienza, e già oggetto di un provvedimento di allontanamento che non rispettò, continuando a beneficiare dell’ospitalità dell’abbazia e a commettere violazioni interne (probabilmente appropriazioni indebite) fino al giorno del macabro assassinio. La stessa Chiesa Copta lo ha ridotto allo stato laicale per le pregresse violazioni disciplinari e non per l’efferato delitto.



DISCEPOLO DEL PASTORE DEL DESERTO “ERETICO”

Il compianto anacoreta ortodosso copto Matteo il Povero in egiziano Matta el Meskin

L’assassinato Anba Epiphanius, 64 anni, nativo di Tanta, laureato in medicina, era entrato nel Monastero di San Macario, nella regione del Wadi Natrun, nel 1984, era stato ordinato sacerdote nel 2002. Ricercatore e studioso, aveva lavorato alla traduzione dal greco all’arabo di diversi libri della Bibbia. I monaci del Monastero di San Macario lo avevano eletto a maggioranza come proprio abate il 3 febbraio 2013, dove aveva preso il posto che in passato era stato del suo grande maestro spirituale Matteo il Povero, in egiziano Matta el Meskin, al secolo Yūsuf Iskandar (Banha 1919- Il Cairo 2006), una delle ma una delle maggiori figure della storia contemporanea della Chiesa Copta Ortodossa contemporanea quale teologo, ecclesiologo, esegeta, scrittore spirituale tradotto in 17 lingue, ma soprattutto asceta. E come molti degli autentici devoti alla Parola di Dio fu fortemente osteggiato dalle gerarchie ecclesiastiche e soprattutto del Patriarca di Alessandria d’Egitto, Shenuda III. Proprio un anno dopo la morte di quest’ultimo e la nomina del patriarca Teodorico II, viene acclamato vescovo di San Macario, Anba Epiphanius, discepolo del monaco eremita Matteo. Ma solo cinque anni dopo è stato barbaramente ucciso da uno dei tanti Giuda che purtroppo vivono anche nelle comunità religiose.



Fabio Giuseppe Carlo Carisio
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