Un interessante articolo – chiaramente liberale e omosessualista, quindi NON condivisibile in nessuno dei presupposti e in nessuna delle conclusioni – tradotto a cura di RS.
7 luglio 1971: Haaretz pubblicava un editoriale, in ebraico, intitolato “Israele o Sodoma: l’assenso pubblico alle perversioni sessuali, un grave problema”. L’autore, Eliezer Livneh (Liebenstein), era un ex parlamentare di Mapai (precursore dell’attuale partito laburista) ed uno dei maggiori teorici del movimento sionista del “grande Israele”. Aveva scritto in risposta al dibattito sulla cancellazione della legge sulla sodomia, che fu poi eliminata nel 1988 grazie a Shulamit Aloni.
Si intuisce quindi che Livneh non fosse né ortodosso né ultraortodosso, ma piuttosto un nazionalista; il suo principale argomento era che l’omosessualità è “estranea” al Giudaismo, costituisce un’influenza esterna, proveniente dall’Occidente degenerato, e va combattuta. Per centinaia di anni gli Ebrei della Diaspora erano riusciti a preservare le proprie comunità da simili “perversioni”, “conservando e proteggendo con cura il principio eterosessuale, per tornare poi alla Terra promessa e assurdamente rinnovarvi le abominazioni dei gentili”.
E’ però la storia dell’omofobia [sic] a provare che sono le affermazioni di Livneh (ancora oggi sostenute da molti) ad essere frutto di “influssi esterni”: pensiamo agli inglesi, che considerarono l’omosessualità una patologia di origine francese o bulgara, e di converso ai francesi, che la reputarono un fenomeno britannico (ancora nel 1991, quando il primo ministro Édith Cresson disse che l’omosessualità andava ricondotta alla tradizione anglosassone ed era invece estranea alla cultura franco-latina. Il presidente israeliano Ezer Weizmann, poi, disse che l’omosessualità era presente nell’esercito inglese [ai tempi del protettorato], ma era assente nella Palmach [l’esercito “regolare” degli insediamenti ebraici prima della creazione dello Stato di Israele, ndt]. Molti europei chiamarono “turchi” i gay, mentre i turchi li identificavano come “persiani”; in generale, la percezione è che si tratti di un vizio d’origine orientale, il che spiega come mai il Nazismo accusò il sessuologo e attivista Magnus Hirschfeld di aver portato, in quanto ebreo, il “vizio orientale” in Germania. Oggigiorno, i nazionalisti russi e vari Paesi africani sostengono invece che l’omosessualità sia un’influenza occidentale (da combattere).
Ad ogni modo, la storia prova che Livneh e soci si sbagliano: gli ebrei non hanno mai preservato rigorosamente “il principio eterosessuale” e le relazioni intime tra uomini esistevano nelle comunità ebraiche, anche – a quanto pare – con una certa frequenza. Lo storico Yaron Ben-Naeh ha mostrato che, nonostante l’esplicita proibizione biblica, nella comunità ebraiche sotto l’Impero Ottomano le relazioni omosessuali erano piuttosto comuni e cita moltissime fonti al riguardo; né la pederastia soffriva un’immagine sociale negativa.
Recentemente, attivisti LGBT credenti si sono sforzati di suggerire nuove interpretazioni della legge rabbinica, per consentire una pacifica convivenza dei LGBT nelle comunità ebraiche, e in effetti diversi rabbini “liberali” – soprattutto negli Stati Uniti – affermano che il divieto di relazioni omosessuali non è meno flessibile dell’obbligo di rispettare lo Shabbath. Alcuni di essi permettono tali relazioni, proibendo soltanto alcuni tipi di atto.
Altri pensatori, nell’ultimo secolo, si sono prefissi un obiettivo ancor più ambizioso: dimostrare che l’omosessualità è parte integrante della storia e della tradizione del popolo ebraico. Uno di essi era Hans-Joachim Schoeps, ebreo prussiano, storico, leader della gioventù ebrea tedesca, di idee reazionarie e posizioni nazionaliste; nel secondo dopoguerra si affrettò a tornare in Germania e dichiarò lealtà alla famiglia reale prussiana deposta. Negli anni ’70 fu pioniere della campagna per cancellare la legge che puniva la sodomia (§ 175 StGB). Poiché la proibizione spesso si richiamava a Lv 18, Schoeps volle chiarire il contesto in cui il divieto si collocava; e ipotizzò che “prostituti sacri” fossero comuni nell’Israele biblico, così come in altre culture semitiche, e attivi anche nel tempio di Gerusalemme. Si basò, per affermare ciò, su Dt 23, 18 [“Non vi sarà alcuna donna dedita alla prostituzione sacra tra le figlie d’Israele, né vi sarà alcun uomo dedito alla prostituzione sacra tra i figli d’Israele”, trad. CEI, ndt], passo in cui gli ebrei traducono come “sodomita” la parola qadesh, che in realtà nella forma femminile (qdesha) significa “prostituta sacra”. Tali pratiche furono proibite solo durante il regno di Giosia, che sradicò i culti pagani ad idoli stranieri, ma Schoeps sottolineò che il conseguente divieto contenuto nel libro del Deuteronomio si riferiva appunto a questi culti, non all’atto sessuale in sé.
Un’analoga teoria fu avanzata dal poeta e cabalista Jiří Mordecai Langer, che deve la sua fama principalmente all’esser stato il docente di ebraico di Franz Kafka. Nato a Praga, divenne ricercatore al seguito del rabbinato di Belz [radicato in Ucraina, ndt] e morì nel 1943 a Tel Aviv. Si potrebbe considerare davvero il portabandiera del movimento omoerotico ebraico, non fosse che le sue “innovative” teorie cabalistiche furono marginalizzate e censurate; nell’opera “L’erotismo della Kabbala” (1923), Langer afferma infatti che l’amore fraterno, inteso come amore tra maschi, è di fatto un’esigenza basilare del giudaismo e costituisce la base del comandamento dell’amore per il prossimo. Nel Giudaismo delle origini l’amore omosessuale avrebbe addirittura prevalso, ma col passare delle generazioni ad avere la meglio sarebbe stato l’amore eterosessuale. Come poi Schoeps, anche Langer evince dalla durezza del divieto di relazioni omosessuali la prova che la tendenza fosse forte e comune tra gli ebrei, e teorizza che anche il legame tra il rabbi e gli studenti della yeshiva sia di tipo erotico, anche se non manifestato in un rapporto sessuale. L’ambizione di Langer – interrotta dalla sua morte – era di riportare alla luce questo “amore”, “estinto nei cuori degli ebrei dalla durezza dell’esilio”, nella convinzione che Giudaismo e omosessualità non si escludessero a vincenda, ma anzi fossero strettamente interconnessi.
Ma il suo messaggio fu dimenticato nei decenni successivi e il movimento di “liberazione” LGBT comparve solo negli anni ’70, “all’americana”, cioè liberale e secolarizzato. Anche se non è certo necessario abbracciare le teorie di Langer e Schoeps, non si può evitare di apprezzare la rilevanza del tentativo di “creare un’omosessualità ebraica” e di vedere la passione omosessuale come una forte componente dell’identità giudaica. Sodoma, dopotutto, si trova in Israele.
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