“Ho cercato di uccidermi, non ci sono riuscito, penso che lo rifarò, la mia vita non ha senso”: nel migliore dei casi tutta la sofferenza di un ragazzino disorientato, insicuro, incapace di gestire emozioni e conflitti arriva all’orecchio di uno psicologo. Ed è già un grande passo avanti.
In Italia il suicidio è la seconda causa di morte tra i giovani.
Secondo l’Osservatorio Nazionale Adolescenza i tentativi di suicidio da parte dei teenager in due anni (dal 2015 al 2017) sono quasi raddoppiati: si è passati dal 3,3% al 5,9%, ovvero 6 su 100 di età tra i 14 e i 19 anni hanno provato a togliersi la vita. Un dramma che riguarda soprattutto le ragazze (71%). Il 24% degli adolescenti ha invece pensato almeno una volta a un gesto estremo.
Una fotografia che mette a nudo un crescente disagio giovanile: ragazzini già stanchi di vivere quando tutto è solo cominciato.
Un giovane si lancia nel vuoto e muore: la notizia, letta su un giornale o passata in tv, è sempre un pugno allo stomaco. Fanno notizia i casi di bullismo, meno quelli i cui contorni restano sfocati. Quando in sostanza è il ‘malessere dell’anima’ a togliere l’ultimo respiro.
“Circa la metà del campione che l’Osservatorio ha intervistato (10.300 adolescenti, ndr) si percepisce depresso: una sensazione di tristezza, di malumore che colpisce oggi il 53% dei ragazzi e delle ragazze, la percentuale nel 2015 era pari al 33%. Inoltre quasi il 36% ha dichiarato di avere frequenti crisi di pianto”, afferma all’Adnkronos la psicoterapeuta Maura Manca, presidente dell’Osservatorio Nazionale Adolescenza, premettendo che la depressione nell’adolescente si presenta con caratteristiche ben diverse rispetto all’adulto. E che il fenomeno che porta talvolta a gesti disperati è “spesso sottovalutato”. “Bisogna fare più prevenzione, specie nelle scuole”, è l’invito della psicoterapeuta.
Secondo Manca “ci sono dei campanelli di allarme in famiglia e anche a scuola che non vanno mai sottovalutati: il suicidio non è un raptus ma l’ultimo atto di un percorso di sofferenza in cui matura il disagio esistenziale. Arrivano ad uccidersi perché nel momento in cui decidono di farlo non trovano nessun’altra risorsa interna a cui aggrapparsi. E’ come se fossero in una bolla isolante”.
Ragazzi e ragazze che giorno dopo giorno si sentono sempre più oppressi da un senso di vuoto che difficilmente riescono a comunicare. “Sono sempre più piccoli – riflettiamo! – i ragazzi che tentano il suicidio per una sofferenza che spesso non riescono ad esprimere a casa, ad amici, insegnanti”, riferisce l’esperta. Ecco perché ai primi segnali – isolamento, cambio delle abitudini quotidiane e dell’umore, irritabilità, disinteresse, impulsività – i familiari “hanno il dovere di rivolgersi a uno specialista”, suggerisce la psicoterapeuta. “Per non parlare poi di quando hanno già provato a togliersi la vita, il rischio sale drasticamente. E non può rimanere un fatto privato, bisogna parlarne, confrontarsi, chiedere aiuto”.
“Sia chiaro – insiste Manca – non è un evento stressante, come per esempio la litigata con la fidanzatina o i brutti voti a scuola, la causa del comportamento suicidario. Il rischio è dentro una vulnerabilità già manifesta, che dipende da fattori diversi lungo un ‘vissuto depressivo’ mal gestito”. I più esposti sono gli ipersensibili e “coloro che non hanno strumenti per affrontare le sfide della vita”.
Restano così incastrati in un tunnel che li isola dal mondo esterno. Si sentono incompresi, in realtà non sanno trovare risorse per lottare, per gestire i sentimenti, spesso non hanno direzioni cui guardare.
“La parola ‘solitudine’ – spiega la presidente dell’Osservatorio Nazionale Adolescenza – è quella che sento più spesso da parte di questi ragazzi fragili, si tratta di ‘solitudine emotiva’ non fisica. Il dolore poi cresce quando l’aspettativa di chi dovrebbe comprendere o semplicemente ascoltarli – genitori, amici, amata – va delusa”.
Cosa si può fare? “Primo passo non avere paura di guardarli, di ascoltarli. I genitori non si fermino al rendimento scolastico del figlio ma provino a squarciare silenzi. E in caso vengano colti determinati segnali, rivolgersi subito a centri specializzati, c’è un’ampia rete di accoglienza sul territorio. La scuola, da parte sua, faccia più prevenzione su autolesionismo e suicidio in adolescenza. L’alleanza scuola-famiglia su questi temi è di vitale importanza”, conclude Manca.
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