Non sono solo molti negli Stati Uniti ad aver etichettato l’ordine del presidente Trump di ritirare le forze nordamericane (2.200 soldati) dalla Siria come tradimento, ma anche tra gli alleati degli Stati Uniti. Sostengono che Trump abbandoni i curdi siriani lasciando Israele nell'”isolamento strategico”. Le critiche provengono anche per la dichiarazione dell’amministrazione statunitense (la prima del genere) che annunciava di non aver intenzione di rimuovere Bashar al-Assad dal potere. Può darsi che i curdi in Siria (circa due milioni) affrontino le conseguenze più drammatiche della decisione del presidente, perché crearono di fatto lo Stato autonomo del Rojava nella Siria nord-orientale col sostegno degli statunitensi. Ora l’esistenza stessa di Rojava è minacciata. Ankara aveva già dichiarato di non rinunciare al piano per “un’offensiva contro i terroristi” nella Siria orientale, ma semplicemente di sospenderlo (fin quando gli statunitensi non se ne saranno andati). Ufficialmente, ciò era motivato dal fatto che la Turchia intende subentrare agli Stati Uniti e finire i resti dello “Stato Islamico” (SIIL), cosa su cui Trump ed Erdogan avrebbero presumibilmente raggiunto un accordo esplicito. Il capo della Casa Bianca aveva già twittato così. Il ministro degli Esteri della Turchia, Mevlüt Çavu?oglu, lo confermava il 21 dicembre. Se lasciato in pace, l’esercito del governo siriano potrebbe gestire i resti dello SIIL senza i turchi, ma Ankara non ne è interessata, deve eliminare il Rojava dalla mappa. Secondo Çavu?oglu, il vuoto che lasciato dopo che le truppe statunitensi si saranno ritirate “può essere riempito da organizzazioni terroristiche”, così la Turchia era pronta ad occupare quei territori (che, come promemoria, sono siriani).
Di fronte al dilemma se preferire come alleato lo Stato mitico del Rojava o la Turchia, il capo della Casa Bianca non esitava a scegliere la seconda. Anche se le truppe nordamericane lasceranno la Siria tra 60 e 100 giorni, i consulenti del dipartimento di Stato che contribuiscono a ricostruire le infrastrutture nella Siria nord-orientale vengono ritirati in pochi giorni. Brett McGurk, il consigliere capo e inviato speciale presidenziale in Siria , un uomo che i curdi vedevano praticamente come architetto del loro Stato, ne è apertamente irato. McGurk, che vede come nuova versione di Lawrence d’Arabia, accusava la Casa Bianca di “abbandonare gli alleati degli Stati Uniti nella regione”. Tuttavia, egli stesso aveva molte delle responsabilità per il caos. Non fu altri che McGurk il principale autore della nuova costituzione irachena che gettò il Paese nell’abisso della guerra civile. E corteggiò i curdi siriani per conto degli Stati Uniti, promettendogli un loro stato, mai materializzatosi. Il comando delle forze democratiche siriane curde aveva già rilasciato una dichiarazione che condannava la decisione degli Stati Uniti e proclamava la determinazione a continuare la lotta. I capi curdi sono meno preoccupati della dipartita degli statunitensi che del patto che gli USA hanno raggiunto coi turchi alle loro spalle. La loro dichiarazione richiamava le intenzioni della Turchia d’intraprendere azioni aggressive contro il Rojava, oltre a “piani e giochi sporchi” di Ankara. I curdi seppero contemporaneamente l’annuncio del ritiro delle truppe USA e la vendita del sistema di difesa missilistica Patriot alla Turchia, dando via libera ai piani per l'”occupazione turca” del loro territorio. Tuttavia, per qualche motivo, chiedono protezione all’ONU, anche se il Rojava è nei confini dello Stato siriano e quindi tale tipo di discorso va tenuto con Damasco.
Cosa attende il Rojava? L’unica cosa che può salvarlo sarebbe il riconoscimento della sovranità di Damasco entro i propri confini. Se le truppe del governo siriano entrano nel Rojava, i turchi non rischiano di danneggiare i rapporti con la Russia lanciando l’offensiva. Né hanno bisogno della Siria nord-orientale, ma solo di garanzie che non ci saranno ulteriori mosse per creare un semi-Stato curdo e quindi alcuna minaccia alla stabilità della Turchia. Damasco e Mosca sono pronti a prometterlo. I rappresentanti russi hanno sempre espresso disponibilità a lavorare con Damasco per salvaguardare i diritti nazionali dei curdi siriani in modo reciprocamente accettabile. Se i curdi fossero stati disposti a muoversi in questa direzione prima, i loro negoziati col governo siriano avrebbero potuto essere condotti in un’atmosfera più favorevole. Ma meglio tardi che mai. Se i capi del Rojava non trovano modo di raggiungere un compromesso con Damasco, potrebbero affrontare una vera calamità.
Di fronte al dilemma se preferire come alleato lo Stato mitico del Rojava o la Turchia, il capo della Casa Bianca non esitava a scegliere la seconda. Anche se le truppe nordamericane lasceranno la Siria tra 60 e 100 giorni, i consulenti del dipartimento di Stato che contribuiscono a ricostruire le infrastrutture nella Siria nord-orientale vengono ritirati in pochi giorni. Brett McGurk, il consigliere capo e inviato speciale presidenziale in Siria , un uomo che i curdi vedevano praticamente come architetto del loro Stato, ne è apertamente irato. McGurk, che vede come nuova versione di Lawrence d’Arabia, accusava la Casa Bianca di “abbandonare gli alleati degli Stati Uniti nella regione”. Tuttavia, egli stesso aveva molte delle responsabilità per il caos. Non fu altri che McGurk il principale autore della nuova costituzione irachena che gettò il Paese nell’abisso della guerra civile. E corteggiò i curdi siriani per conto degli Stati Uniti, promettendogli un loro stato, mai materializzatosi. Il comando delle forze democratiche siriane curde aveva già rilasciato una dichiarazione che condannava la decisione degli Stati Uniti e proclamava la determinazione a continuare la lotta. I capi curdi sono meno preoccupati della dipartita degli statunitensi che del patto che gli USA hanno raggiunto coi turchi alle loro spalle. La loro dichiarazione richiamava le intenzioni della Turchia d’intraprendere azioni aggressive contro il Rojava, oltre a “piani e giochi sporchi” di Ankara. I curdi seppero contemporaneamente l’annuncio del ritiro delle truppe USA e la vendita del sistema di difesa missilistica Patriot alla Turchia, dando via libera ai piani per l'”occupazione turca” del loro territorio. Tuttavia, per qualche motivo, chiedono protezione all’ONU, anche se il Rojava è nei confini dello Stato siriano e quindi tale tipo di discorso va tenuto con Damasco.
Cosa attende il Rojava? L’unica cosa che può salvarlo sarebbe il riconoscimento della sovranità di Damasco entro i propri confini. Se le truppe del governo siriano entrano nel Rojava, i turchi non rischiano di danneggiare i rapporti con la Russia lanciando l’offensiva. Né hanno bisogno della Siria nord-orientale, ma solo di garanzie che non ci saranno ulteriori mosse per creare un semi-Stato curdo e quindi alcuna minaccia alla stabilità della Turchia. Damasco e Mosca sono pronti a prometterlo. I rappresentanti russi hanno sempre espresso disponibilità a lavorare con Damasco per salvaguardare i diritti nazionali dei curdi siriani in modo reciprocamente accettabile. Se i curdi fossero stati disposti a muoversi in questa direzione prima, i loro negoziati col governo siriano avrebbero potuto essere condotti in un’atmosfera più favorevole. Ma meglio tardi che mai. Se i capi del Rojava non trovano modo di raggiungere un compromesso con Damasco, potrebbero affrontare una vera calamità.
Traduzione di Alessandro Lattanzio
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