IL GLOBAL COMPACT SULL’IMMIGRAZIONE
GIOCA AL RIBASSO CON I DIRITTI UMANI
“Since earliest times,
humanity has been on the move. Some
people move in search of new economic opportunities and horizons. Others
move to escape armed conflict, poverty, food insecurity, persecution,
terrorism, or human rights violations and abuses. Still others do so in
response to the adverse effects of climate change, natural disasters (some of
which may be linked to climate change) or other environmental factors. Many move, indeed, for a combination of these reasons”. Questo è il testo dell'introduzione
del documento uscito dal meeting di alto livello sull’immigrazione dei
rifugiati (purtroppo non sono tutti rifugiati e la semplificazione è quantomeno
sospetta), tenutosi nel settembre 2016 all’ONU. Al punto 1 si legge che sempre più persone emigrano dai loro paesi
in cerca di migliori condizioni economiche ed opportunità, sdoganando la
figura del "migrante
economico" che, a differenza di quelli che fuggono da conflitti,
persecuzioni e terrorismo (anche se i terroristi di casa loro ce li ritroviamo
anche in Europa), non hanno diritto allo status di rifugiato politico, e dunque
non sono autorizzati a restare sul territorio di approdo. Ma la trappola di
questo documento, che sarà sottoposto al voto di ratifica in ottobre, è proprio
questa: quella di azzerare ogni speranza di poter regolamentare in patria il
flusso ormai allarmante di migranti che arrivano sulle nostre coste. E'
necessaria un'azione energica di contrasto da parte dell'opinione pubblica e
del governo attraverso raccolte di firme o lo strumento democratico del
referendum, perché le comunità ospitanti hanno il diritto di decidere ed essere
parte attiva nella soluzione di questo annoso problema, che coinvolge gli
interessi economici, politici e sociali dei paesi ospitanti. Il Global Compact,
sulla carta, si prefigge di concordare i criteri basilari per una migrazione
internazionale «disciplinata, sicura, regolare e responsabile». Nella
Dichiarazione è posta un’attenzione specifica ai bisogni di donne, bambini e
delle persone che necessitano di assistenza sanitaria, il riconoscimento e
l’incoraggiamento degli apporti positivi dei migranti e dei rifugiati allo
sviluppo sociale, la garanzia che il loro benessere rappresenti la priorità nei
progetti di sviluppo, la garanzia di un finanziamento adeguato, flessibile e
prestabilito. Il Patto però prevede anche impegni specifici in relazione sia ai
rifugiati che ai migranti, con un maggiore sostegno ai Paesi e alle comunità
che ospitano il maggior numero di rifugiati. Altri impegni riguardano la
creazione di posti di lavoro e di sistemi per favorire l’accesso al reddito per
i rifugiati e le comunità ospitanti. Abbiamo capito bene, se ratificato, il
Patto prevede anche di occuparsi non solo delle garanzie legittime a favore dei
rifugiati, ma anche dei migranti generici, quelli cioè che si riversano sulle
nostre coste per i motivi più disparati, ma che con le tutele giuridiche del
diritto internazionale e costituzionale dei singoli paesi, hanno poco o nulla a
che vedere. Per non parlare dell’accesso al reddito, che diventa sempre più una
chimera per i popoli ospitanti che non fanno più figli perché per loro non sono
previste politiche di aiuto alla natalità, mentre dei migranti c’è bisogno
perché fanno figli al posto nostro e, per giunta, ci pagano pure le pensioni!
Intanto, di tasca nostra, li manteniamo nei centri d’accoglienza a 35 euro al
giorno, che ormai in Italia non te li guadagni neanche con una giornata di
lavoro, quando c’è. Secondo il Global Compact “dobbiamo accogliere” senza se e
senza ma. Ma intanto arriva anche il ritiro americano dal Patto globale sui
migranti mentre il Consiglio di Sicurezza dell’Onu intensifica le riunioni sulle
migrazioni. L’America
si muove in direzione opposta al mondo. La direzione del mondo va verso la
condivisione delle sfide globali, o meglio, globaliste e “glebaliste” dei servi
della gleba pronti a tutto pur di lavorare e campare, pure farsi sfruttare
dalle mafie. Perché sono questi i lavori che gli Italiani “non vogliono più
fare”, per dirla con alcuni politicanti e mass mediologi. Ma, in fondo, gli Africani
illusi poi disillusi che ne sanno dei nostri problemi? A loro se parli di
mafia, parli di un’opportunità di sopravvivenza, l’unica che gli resta.
L’America che gli promettevano sui barconi è lontana, e anche lei sta chiudendo
le frontiere...
CINZIA
PALMACCI
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