sabato 15 febbraio 2020

STORIA DELLE GUERRE BATTERIOLOGICHE: DALLA SECONDA GUERRA MONDIALE AL CORONAVIRUS VI Parte

Il programma di guerra biologica statunitense

Risultato immagini per rischio biologico

Gli storici della York University di Toronto, Stephen Endicott e Edward Hagerman, dopo venti anni di ricerche e studi pubblicarono nel 1998 il libro “The United States and Biological Warfare. Secrets from the Early Cold War and Korea”, nel quale dimostrano, con un’accurata e inedita documentazione, lo sviluppo del programma di armamento biologico statunitense ed il suo utilizzo a scopo di offesa. Un documento del febbraio del 1977 del Dipartimento dell’Esercito USA asserisce che “la politica degli Stati Uniti riguardante la guerra biologica tra il 1941 e il 1969 era, in primis, improntata a scoraggiare il suo uso contro gli Stati Uniti e contro il suo esercito, e, in secondo luogo, ad essere utilizzata a scopo di rappresaglia1”. I due storici confutano questa politica, svelando, attraverso lo studio di alcuni documenti recentemente declassificati (molti su loro espressa richiesta) dai governi di Stati Uniti, Canada e Gran Bretagna, e la consultazione degli Archivi Centrali Cinesi relativi alla guerra batteriologica, come gli USA abbiano sviluppato un programma di guerra biologica, non solo a scopo di rappresaglia, ma anche come mezzo di offesa al pari di altre armi di distruzione di massa.


Gli Stati Uniti non ratificarono il Protocollo di Ginevra del 1925 relativo al divieto di utilizzare armi chimiche e agenti biologici e batteriologici contro il nemico. Le prime ricerche sulle armi biologiche risalgono al 1941, quando al colonnello James S. Simmons fu affidato uno studio, dal Generale Medico dell’Esercito, sulle armi batteriologiche da sottoporre all’attenzione dei medici militari, dei ricercatori civili medici e scientifici e dell’intelligence militare statunitense. Le raccomandazioni di Simmons portarono alla decisione di sviluppare e produrre armi batteriologiche di difesa e di offesa. La ricerca difensiva sarebbe stata affidata ai reparti medici dell’esercito, quella offensiva, a scienziati civili. Nell’ottobre del 1941, il Segretario alla Guerra, Henry Stimson, sollecitò il presidente della National Academy of Sciences a nominare un comitato per la guerra batteriologica, il Bacteriological Warfare Committee (WBC, Comitato della Guerra Batteriologica), costituito da nove dei migliori biologici civili statunitensi, che fin da subito entrarono in contatto con i colleghi ricercatori inglesi e canadesi. Nel febbraio 1942, il WBC concluse che una ricerca sulle potenzialità delle armi batteriologiche era raccomandata sia a scopo difensivo che da utilizzare come arma d’attacco. Stimson si rivolse anche al Joint Chiefs of Staff (Capo di Stato Maggiore Congiunto), che sebbene favorevole allo sviluppo di armi biologiche, non voleva essere direttamente coinvolto nella ricerca, per impedire che l’opinione pubblica ritenesse il Dipartimento della Guerra USA responsabile della produzione di terribili germi letali. Stimson inviò un memorandum al presidente Roosevelt, per promuovere l’urgente e segreto sviluppo di un arsenale batteriologico da parte di un’agenzia civile e non militare. Un documento declassificato (Appendice 2, p. 212) datato 1942, stilato dalla National Academy of Sciences, sottolinea la fattibilità di condurre ricerche nel campo degli agenti biologici letali da utilizzare contro il nemico e che “l’efficacia della guerra biologica sarà una questione discutibile fino a quando non sarà chiaramente provata dall’esperienza”. Probabilmente questo memorandum top secret convinse il presidente Roosevelt a creare un’agenzia civile, il War Research Service (WRS, Servizio di Ricerca della Guerra), nel marzo del 1942. Alla guida del WRS fu nominato George W. Merck, già a capo dell’importante industria farmaceutica Merck&Company, con l’incarico di coordinare in assoluta segretezza il lavoro sulla ricerca relativa alla guerra biologica, sull’uso di microrganismi come arma di guerra e sui mezzi di difesa contro un eventuale attacco biologico portato contro gli Stati Uniti. L’investigazione sugli sviluppi delle altre nazioni nel campo della guerra batteriologica venne affidato all’esercito, all’Office of Naval Intelligence (Ufficio dell’Intelligence della Marina), all’Office of Strategic Service (OSS, Ufficio dei Servizi Strategici, antenato della CIA) e al Federal Bureau of Intelligence (FBI). Per garantire la totale segretezza, la WRS fu accorpata alla Federal Security Agency (Agenzia Federale per la Sicurezza). La National Academy of Sciences partecipò attivamente alle ricerche in supporto ai lavori di Merck, istituendo, il 16 ottobre 1942, uno speciale comitato, ABC Committee, costituito da scienziati delle più rinomate università statunitensi. Nel giugno del 1944, Roosevelt diede il compito al Dipartimento della Guerra, in stretta collaborazione con il Dipartimento della Marina USA, di ampliare il programma di Merck. Con questo ordine, il presidente spostò le responsabilità delle ricerche biologiche a scopo offensivo dai civili all’esercito, in particolare al Corpo Medico e al Chemical Warfare Service (Servizio di Guerra Chimica), guidato dal generale William Porter.
I primi fondi per il programma furono di 250.000 dollari e il centro delle attività fu la base di Camp Detrick, nel Maryland, fondata nell’aprile del 1943, a cui furono aggiunte tre installazioni per gli esperimenti: presso Horn Island, attiva dall’estate del 1944, a Granite Peak, Utah, e a Vigo, nell’Indiana. I primi studi dei circa quattrocento scienziati di Camp Detrick vennero effettuati su antrace, brucellosi, botulino, peste, morva, tularemia, rickettsia, encefalite, colera, tifo e una svariata serie di parassiti e agenti patogeni delle piante e dei raccolti, stando alle parole di Merck, “tutti gli agenti viventi possibili, o i loro prodotti tossici, che sono considerati patogeni per l’uomo, gli animali e le piante2”. I microrganismi su cui più si concentrarono furono quelli di antrace e botulino. Lavorarono anche alla produzione su larga scala di agenti patogeni, alla fabbricazione e all’ideazione di efficaci mezzi di diffusione degli organismi letali, sempre in collaborazione con i reparti di guerra biologica canadesi e inglesi. La ricerca difensiva correva di pari passo a quella offensiva: vaccini contro tularemia, brucellosi, morva e botulino vennero perfezionati dagli scienziati statunitensi, per immunizzare le proprie truppe che si accingevano a invadere l’Europa, dopo che un’erronea nota dell’OSS aveva allarmato gli Alleati su un eventuale utilizzo da parte della Germania nazista di tossine di botulino per arrestare l’avanzata delle truppe alleate.

A Camp Detrick si lavorava anche alla messa a punto di bombe batteriologiche, in continua cooperazione con Canada e Gran Bretagna. Soprattutto quando il generale William Porter, nel 1945, prese il posto di Merck nella direzione e ricerca della guerra batteriologica, si diede il via alla progettazione di bombe capaci di disperdere bacilli dell’antrace su vaste aree. Più volte, Porter propose di utilizzare le sue armi invisibili, prima contro la Germania, convinto che la nota dell’OSS fosse veritiera, poi, poco prima del lancio delle due bombe atomiche, contro le colture di riso giapponesi, ma, vista ormai l’imminenza dell’invasione del territorio nipponico, la distruzione dei raccolti avrebbe causato agli Stati Uniti enormi problemi di approvvigionamento della popolazione.
Al termine della Seconda Guerra Mondiale, gli USA incrementarono i fondi al programma di guerra batteriologica, soprattutto dopo essersi assicurati, nel 1948, l’esclusivo possesso dei dati e della ventennale esperienza del programma di armamento biologico giapponese e della sperimentazione sugli esseri umani. Il 14 giugno 1945, Stati Uniti, Canada e Gran Bretagna firmarono una dichiarazione d’intenti per continuare la collaborazione nello sviluppo della guerra batteriologica. Gli inglesi in vari rapporti evidenziavano come le armi batteriologiche erano preferibili e molto più vantaggiose rispetto ad altre armi di distruzione di massa appoggiandone il “loro uso in guerre minori dove non è utile utilizzare ordigni atomici; o nelle maggiori nelle quali esse sono state bandite3”.

Verso la fine degli anni ’40, il Dipartimento della Difesa USA organizzò Commissioni speciali per rafforzare il programma di guerra biologica, la Commissione Noyes (1948), Haskins (1949) e Stevenson (1950). Quest’ultima produsse un rapporto molto importante, destinato ad influenzare le future decisioni relative alle armi invisibili. La Commissione fu promossa dall’emissario particolare del presidente Truman incaricato di svolgere le indagini in Giappone relative alle varie Unità di Ishii Shiro, Karl T. Compton, che sollecitò Earl P. Stevenson a presiedere la nuova Commissione. Stevenson era a capo di un’importante società di consulenza di Cambridge, nel Massachusetts, particolarmente legata al programma di guerra biologica statunitense. La Commissione, il 30 giugno 1950, sottopose il proprio Rapporto all’attenzione del Segretario alla Difesa, George Marshall. Riaffermava la linea seguita durante tutta la Seconda Guerra Mondiale: si raccomandava la ricerca sia difensiva che offensiva e si opponeva a qualsiasi obiezione morale sull’uso delle armi biologiche, facendo appello alla cruda realtà della guerra moderna, essa stessa arma di distruzione di massa.

Non esiste alcun dato che permetta un’analisi autorevole sulla possibile letalità di questi agenti quando vengono disseminati in modo intenzionale. E’ opinione degli esperti che non esistano procedure certe per produrre epidemie su larga scala tra gli esseri umani. Il modo in cui una malattia possa diffondersi in una comunità o in una nazione è largamente governata da fattori tuttora sconosciuti. […] Così, ad eccezion del fatto che l’uso di agenti patogeni contro i raccolti o gli animali potrebbe creare una seria carenza di cibo, la classificazione degli agenti biologici come «armi di distruzione di massa» è del tutto ingiustificata4.

La Commissione Stevenson sottolineò anche l’importanza che una netta superiorità militare avrebbe avuto in un eventuale scontro con l’Unione Sovietica, anch’essa attivamente impegnata nella ricerca sulla guerra biologica. Perciò fu raccomandato un ampliamento dei fondi destinati alle armi batteriologiche, per renderle operative e sfruttabili il prima possibile.
Il 27 ottobre 1950, Marshall approvò gran parte del Rapporto Stevenson. Il Dipartimento della Difesa portò a 345 milioni di dollari i fondi per i successivi tre anni (nel 1950 erano 5.3 milioni di dollari) e venne più che raddoppiato il personale impegnato nella ricerca e nello sviluppo del programma di guerra biologica.

Nei primi anni della Guerra Fredda, fu affidata al generale maggiore Egbert F. Bullen la responsabilità dello sviluppo della guerra chimica e biologica. Nel febbraio del 1952, Bullen tenne una conferenza all’Hunter College, a New York, per pubblicizzare il suo lavoro nelle attività di guerra tossica e chimica in Corea. I Corpi Chimici dell’esercito statunitense erano operativi in Corea già da due settimane dallo scoppio del conflitto e, in base alle stime di Bullen, una media di 315.000 litri di napalm venivano gettati ogni giorno sul nemico e sulle linee di approvvigionamento. Il capo del Comando della Ricerca e del Genio del Corpi Chimici, William M. Creasy, era il responsabile della guerra biologica. Egli fu un fervido fautore dell’uso strategico e tattico di tali armi non-convenzionali e dei numerosissimi vantaggi di un attacco biologico contro il nemico. Creasy pose l’accento sugli effetti psicologici della guerra biologica, “il timore delle malattie negli uomini è universale5”. Enfatizzò l’uso del botulino sia per i suoi effetti letali sia per gli enormi progressi degli scienziati di Camp Detrick nell’immunizzazione contro questa tossina. Il Rapporto Creasy dà anche enorme importanza al contemporaneo uso di armi biologiche e di defolianti chimici per stanare le truppe nemiche nascoste.

Con l’inizio delle ostilità in Estremo Oriente, il programma di armamento biologico ricevette un’enorme spinta. Tra l’ottobre del 1950 e il luglio del 1951, vennero classificati i germi letali in ordine di priorità: antrace, brucellosi, tularemia, peste e botulino come agenti contro l’uomo, la ruggine dei cereali e i regolatori chimici della crescita come agenti distruttori dei raccolti, ma non fu data troppa attenzione agli agenti patogeni contro gli animali. Il Corpo Chimico si concentrò essenzialmente su tutti quegli agenti che potevano essere disseminati per via aerea, quindi quelli che potevano facilmente essere racchiusi all’interno di bombe, cosparsi su piume o oggetti di comune utilizzo, su roditori infetti o su altri tipi di vettori animali. Dopo numerosi esperimenti, gli scienziati di Camp Detrick conclusero che l’obiettivo delle loro ricerche, per poter meglio disseminare malattie, era l’apparato respiratorio, quindi si focalizzarono su tutte le armi e le munizioni che avrebbero potuto disperdere nubi di aerosol letali. Nel Rapporto Creasy si dà molta importanza all’uso strategico delle bombe ad aerosol. Lo scopo di questo tipo di armi è di demoralizzare e spaventare e, se usate insieme alle armi convenzionali, possono creare consistenti danni alle strutture difensive nemiche. Grande considerazione viene data al fattore sorpresa, sia per non dare scampo all’avversario sia per rendere l’effetto psicologico delle armi biologiche devastante. Creasy considerò anche gli svantaggi di tali armi a diffusione aerea che, a causa di fattori incontrollabili (clima, eventi atmosferici, fenomeni naturali), avrebbero potuto causare danni rilevanti alle stesse truppe amiche o gli stessi nemici infetti avrebbero potuto trasmettere le malattie letali. Si cominciò così a sperimentare vari tipi di bombe biologiche per testarne l’efficacia: le bombe a grappolo M33 ed E61, le E133 utilizzate per diffondere spore d’antrace, le M16-A1 al cui interno vi erano scompartimenti in cui inserire piume, erba o insetti infetti di agenti letali. La Marina e le Forze Aeree statunitensi sperimentarono molti tipi di bombe biologiche che potevano essere usate contro installazioni nemiche, porti, importanti vie di comunicazione e di approvvigionamento, raccolti e risorse umane primarie.

Si fecero numerosi studi per verificare la possibilità di utilizzare insetti come vettori di malattie. Più e più volte i militari statunitensi smentirono il fatto che a Camp Detrick si portassero avanti esperimenti per la diffusione di germi letali tramite insetti-vettori, ma un documento datato 30 ottobre 1950 rivela che 160.000 dollari erano stati destinati alla ricerca su tale campo ed altri 380.000 andarono, dal 1951 al 1953, alla Johns Hopkins University per uno studio sul virus dell’encefalite diffuso da mosche e da usare come arma nella guerra biologica. Il dottor G.B. Reed, del Laboratorio di Ricerca Difensiva canadese, pioniere nella ricerca degli insetti-vettori, lavorò in stretta collaborazione con i Laboratori della Sezione Medica di Camp Detrick e con l’entomologo statunitense Dale W. Jenkins. Il progetto n° 465-20-001, intitolato “Meccanismi di Immissione e Azione di Composti Insetticidi e di Repellenti per Insetti” dimostra l’esistenza della ricerca statunitense sugli insetti vettori utilizzati nella guerra biologica difensiva ed offensiva in strettissima collaborazione con i laboratori canadesi6. Ishii Shiro e la sua numerosissima equipe avevano studiato per anni i modi migliori per diffondere malattie letali tramite insetti-vettori, e tutti i dati relativi a tali ricerche erano ora in possesso degli scienziati di Camp Detrick. Sembra quasi impossibile credere che gli USA non abbiano utilizzato i risultati dei giapponesi e che non abbiano condotto accurati esperimenti sugli insetti, come continuarono ad affermare per anni.
Il memorandum top secret JCS 1837/26 dell’Advanced Study Committee al Capo di Stato Maggiore Congiunto datato 21 settembre 1951 (Appendice 3, p. 213) rafforzò ancor più la convinzione dell’effettiva potenza di queste armi non convenzionali e spinse ad un’accelerazione nella messa a punto della guerra biologica. In un periodo di estrema tensione internazionale, il JSC 1837/26 affermava che, per la sicurezza nazionale, era fondamentale possedere una forte capacità offensiva relativa alle armi biologiche; ricordava ancora una volta i vantaggi economici e strategici della guerra dei germi, il suo costo relativamente basso, la sua grande potenza psicologica nell’indebolire il morale, la sua capacità di isolare o negare l’accesso alle truppe nemiche in determinate aree. Al punto 5 si enfatizzava la necessità della sperimentazione: “un più efficace programma di sperimentazione, che includa anche test su larga scala, dovrebbe essere condotto per verificare l’effettività di specifici agenti di BW [guerra biologica] in condizioni operative”. I punti 8 e 9 del memorandum sottolineavano l’urgenza di creare un’adeguata struttura organizzativa di coordinamento e d’indottrinamento per la guerra biologica. Il Capo di Stato Maggiore Congiunto accettò la maggior parte delle raccomandazioni del JSC 1837/26 il 26 febbraio 1952.

Importanti documenti statunitensi di recente declassificazione rivelano una lunga catena di comandi, divisioni e agenzie governative segrete collegate alla guerra batteriologica e chimica in Corea. Nell’estate del 1951, venne creata la USAF BW-CW Division (Divisione della Guerra Biologica e Chimica delle Forze Statunitensi), con a capo i generali H.G. Bunker e T.D. White, con il compito di stabilire le evidenti possibilità della guerra dei germi. Ad una seconda divisione, la Psychological Warfare Division (Divisione della Guerra Psicologica), venne assegnata “la funzione di integrare le capacità ed i fabbisogni per la guerra chimica e biologica nei piani di guerra e di partecipare alla decisione delle richieste di munizioni non convenzionali per realizzare i piani approvati7”. La guerra psicologica include una vasta serie di attività volte a ritardare, sabotare, diffondere panico, impaurire e demoralizzare le attività del nemico. Poteva impiegare un’estesa quantità di mezzi, che andavano da semplici volantini al mandato di utilizzare armi atomiche, radiologiche, biologiche e chimiche. Durante la Guerra di Corea, alla Divisione Psicologica venne aggiunta la 581° ARCW (581° Ala di Comunicazione e Approvvigionamento), una forza aerea di stanza in Asia sotto la copertura di un semplice servizio di trasporto militare, ma non era altro che un braccio armato della Divisione Psicologica. Quattro bombardieri B-29 vennero mandati alla base aerea statunitense di Yakota, in Giappone; quattro aerei C-119 alla base di Ashiya, Giappone; trentasei ufficiali e novantotto piloti vennero accorpati alla 5° Forza Aerea Statunitense in Corea. Con tutta probabilità si può collegare il lavoro della 581° ARCW con la guerra batteriologica in Corea: nell’equipaggiamento in dotazione alla 581° si trovavano contenitori di paglia e tre refrigeratori portatili dalla capacità di oltre 4000 dmq. I contenitori di paglia potevano essere utilizzati per disperdere erba, paglia e piume come vettori di malattie letali oppure per contenere insetti-vettori; i refrigeratori potevano servire a molti scopi, anche a quello di trasportare e mantenere vivi e attivi alcuni agenti patogeni. Tuttavia sono solo supposizioni, nulla di ufficiale è stato ancora scoperto per comprovare queste argomentazioni.
Anche la Central Intelligence Agency (CIA) era implicata nelle operazioni di copertura della guerra biologica. Nel 1948, il presidente Truman costituì, all’interno della CIA, l’Office of Policy Coordination (OPC, Ufficio di Coordinazione Politica), conosciuto anche come “Dipartimento dei Trucchi Sporchi”, con la responsabilità di organizzare azioni segrete, anche con l’utilizzo di armi non-convenzionali, come quelle biologiche, per scopi di guerra psicologica. Nel 1952, l’OPC aveva un budget di 82 milioni di dollari ed impegnava sul campo 2.812 agenti. Il capo dell’OPC in Giappone e Corea negli anni 1950-1951 era Hans V. Tofte. Egli organizzò sei strutture in Giappone, la più grande delle quali situata a Yokohama, in cui venivano addestrati gli agenti scelti per le operazioni segrete di sabotaggio in Corea. La 581° ARCW, dall’estate del 1952, era la principale forza aerea utilizzata dalla CIA nelle sue missioni segrete speciali.


1 George A. Carruth, U.S. Army Activity in the U.S. Biological Warfare Programs, volume 1, 24 febbraio 1977, p. 25.


2 Sheldon H. Harris, Factories of Death, op. cit., p. 157.


3 Stephen Endicott, Edward Hagerman, The United States and Biological Warfare, op. cit., p. 44.


4 Stephen Endicott, Edward Hagerman, The United States and Biological Warfare, op. cit., p. 46.


5 Stephen Endicott, Edward Hagerman, The United States and Biological Warfare, op. cit., p. 67.


6 Stephen Endicott, Edward Hagerman, The United States and Biological Warfare, op. cit., p. 77.


7 Stephen Endicott, Edward Hagerman, The United States and Biological Warfare, op. cit., p. 120.

CONTINUA....

STORIA DELLE GUERRE BATTERIOLOGICHE: DALLA SECONDA GUERRA MONDIALE AL CORONAVIRUS V Parte

I germi sopra la Corea
La guerra illimitata

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La Guerra di Corea (1950-1953) fu tutt’altro che uno scontro limitato, come molto spesso è stato definito. Sebbene interamente combattuta nella sola penisola coreana, molte furono le nazioni coinvolte, diciassette del contingente ONU da una parte, Cina e Corea del Nord, supportate dell’URSS, dall’altra. La potenza di fuoco utilizzata fu spaventosa, tale che il generale statunitense Curtis LeMay affermò nel 1965: “abbiamo bruciato quasi ogni città sia del Nord che del Sud Corea. Abbiamo ucciso più di un milione di coreani e spinto diverse milioni di persone lontane dalle loro case ”. Più e più volte fu minacciato da parte degli Stati Uniti l’utilizzo di ordigni atomici, il generale Douglas MacArthur ne chiese a decine senza mai ottenerne (anche se le bombe furono consegnate alle basi USA sparse nel Pacifico). Ancora MacArthur chiese di poter utilizzare scorie di cobalto radioattivo, che ha una vita attiva dai 60 ai 120 anni, lungo le linee di rifornimento del nemico, in modo da creare una zona contaminata e inaccessibile. Le distruzioni provocate delle truppe ONU nella Corea del Nord, soprattutto nelle fasi iniziali del conflitto, avevano infatti creato un ingente bisogno di approvvigionamenti di ogni tipo che dovevano obbligatoriamente passare per il confine sino-coreano. Ma il piano, che MacArthur definì “è cosa facile”, non venne accettato. Fu persino ventilata la possibilità di creare un vasto deposito di armi chimiche nella Corea meridionale da usare in caso disperato, non fu fatto per il discredito che avrebbe generato all’interno delle forze delle Nazioni Unite coinvolte nel conflitto. Ma come si trasformarono gli scontri di una guerra interna dei coreani in una guerra moderna, tecnica e terribilmente sanguinosa durata tre lunghi anni?

Alla Conferenza Sextant, riunita a Il Cairo dal 22 al 26 novembre 1943, i Capi di Stato di Stati Uniti d’America (Roosevelt), Gran Bretagna (Churchill) e Cina nazionalista guidata da Jiang Jieshi [Chiang Kai-shek] ebbero un primo incontro per decidere il futuro assetto asiatico dopo la liquidazione dell’impero giapponese. Per quanto riguarda la penisola coreana, fin dal 1910 annessa al Giappone, venne deciso di renderla indipendente solo dopo un lungo periodo di supervisione, durante il quale sarebbe stata attuata una politica di amministrazione fiduciaria per garantire e velocizzare l’indipendenza. Così, mentre il 10 agosto l’URSS si avvicinava al nord della Corea, gli USA delinearono una propria zona di controllo coreana al di sotto del 38° parallelo. Il 15 dello stesso mese, Stalin acconsentì a dividere la Corea in due zone d’influenza (il sud sotto l’amministrazione USA, il nord sotto quella sovietica), probabilmente con la vana speranza di continuare la collaborazione con gli americani nell’imminente occupazione del Giappone. La decisione di dividere la Corea, sebbene inizialmente non avesse in alcun modo l’intento deliberato di creare due nazioni distinte, portò da lì a cinque anni ad un aperto scontro militare. Probabilmente l’unificazione del Nord e del Sud era l’obiettivo delle due superpotenze, sebbene entrambe auspicassero che il nuovo paese seguisse le loro rispettive ideologie. Nella prima metà del 1949, prima i sovietici e poi gli Stati Uniti abbandonarono le loro zone, lasciandosi alle spalle due diversi regimi: la dittatura comunista di Kim Il Sung (Repubblica Popolare di Corea) al nord e il governo nazionalista di Sygman Rhee (Repubblica di Corea) al sud. Gli incidenti lungo la zona di demarcazione erano frequenti perfino quando Stati Uniti e Unione Sovietica controllavano la penisola, ma, nel maggio del 1949, gli scontri e le incursioni sia dell’una che dell’altra parte stavano subendo un’escalation tale che, ben presto, avrebbero trasformato scaramucce di frontiera in una lotta fratricida per l’unificazione della Corea sotto un’unica bandiera.

Il 25 giugno 1950, truppe nord-coreane oltrepassarono il 38° parallelo e cominciarono l’avanzata verso il sud. Il 26 giugno, il presidente degli Stati Uniti, il democratico Harry Spencer Truman, ordinò alle forze USA in Giappone attacchi tattici contro obiettivi nordcoreani che operavano al sud. Con queste azioni, decise senza il consenso delle Nazioni Unite (ONU), gli USA affermarono chiaramente il loro ruolo di guida nel conflitto che era appena scoppiato. Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, riunito il 25 giugno, chiese il ritiro immediato delle truppe sudcoreane e il sostegno dei membri dell’ONU per garantire la linea di demarcazione territoriale lungo il 38° parallelo. Il 27 giugno, il Consiglio di Sicurezza bollò la Corea del Nord «stato aggressore», in quanto senza avvertimento alcuno e senza provocazione stava conducendo un attacco militare contro uno stato sovrano. La risoluzione chiedeva anche agli stati appartenenti alle Nazioni Unite di offrire assistenza alla Corea del Sud. Le decisioni del Consiglio non incapparono nel veto sovietico: l’URSS boicottava le sedute per protesta contro il rifiuto di sostituire il rappresentante della Cina nazionalista (Taiwan) del Guomindang con uno della Repubblica Popolare Cinese guidata da Mao Zedong. Il 29 giugno, Truman ordinò alle forze statunitensi di attaccare obiettivi militari a nord del 38° parallelo. Il 7 luglio, il Consiglio di Sicurezza istituì il Comando Unificato delle Nazioni Unite (UNC), con la richiesta “che tutti i membri forniscano contingenti militari e assistenza di ogni tipo mettendosi a disposizione del Comando Unificato sotto il controllo degli Stati Uniti ”, il cui comando supremo venne affidato al generale statunitense Douglas MacArthur, già a capo dello SCAP e del Comando Americano Estremo-Orientale. Diciassette furono le nazioni che inviarono le proprie truppe nazionali all’UNC: Australia, Belgio, Canada, Colombia, Corea del Sud, Etiopia, Francia, Filippine, Gran Bretagna, Grecia, Lussemburgo, Nuova Zelanda, Olanda, Stati Uniti, Sud Africa, Thailandia, Turchia. Danimarca, India, Norvegia e Svezia provvidero alle unità mediche, mentre l’Italia, non ancora stato membro delle Nazioni Unite (vi entrò nel 1955), inviò la Croce Rossa Italiana Ospedale 68, che servì da ospedale sia militare che civile fino al 1955.
I primi due mesi di guerra segnarono la dilagante avanzata delle truppe nordcoreane che occuparono quasi tutto il sud, costringendo le forze dell’UNC a trincerarsi all’interno del cosiddetto Perimetro di Pusan, nella zona sudorientale della penisola coreana. La controffensiva del contingente internazionale cominciò il 15 settembre 1950 e in poco tempo venne ristabilita la situazione ante bellum. Le condizioni geopolitiche internazionali, la vittoria della rivoluzione comunista cinese sulle forze del Guomindang, l’instaurazione della Repubblica Popolare Cinese (1 ottobre 1949) vista come un’estensione del potere sovietico nell’Asia Orientale, ma soprattutto le logiche dell’insorgente caccia alle streghe maccartista americana e della guerra fredda spinsero gli Stati Uniti ad un’azione di forza al di sopra del parallelo che divideva le due Coree. Un’offensiva vittoriosa del mondo libero diretta contro la Corea del Nord, secondo una nota del Dipartimento della Difesa USA, avrebbe strappato per la prima volta un paese all’influenza comunista sovietica. Soprattutto avrebbe dato maggiore forza all’amministrazione Truman e ai democratici, accusati di essere troppo poco incisivi contro il comunismo, e al piano di riarmo globale per il contenimento del potere rosso. La maggior parte degli alleati degli USA erano d’accordo nel portare avanti l’attacco alla Corea del Nord, sebbene con delle riserve, per paura dell’intervento in guerra della Cina. Il 30 settembre 1950, truppe sudcoreane oltrepassarono la linea di frontiera, seguite il 7 ottobre dalle forze statunitensi. L’avanzata fu rapidissima: il 20 ottobre, le truppe dell’UNC presero Pyongyang, capitale della Corea del Nord. Il 24 ottobre, MacArthur fece muovere le proprie forze verso il fiume Yalu, lungo il confine con la Manciuria cinese, dove già 300.000 soldati cinesi dell’Armata di Difesa delle Frontiere Nord-Orientali (NEBDA) erano pronti ad intervenire. La diplomazia coreana si era già precedentemente mossa per chiedere l’appoggio militare e politico dell’Unione Sovietica e della Cina. Fin dall’inizio di ottobre, i rappresentanti del governo cinese inviarono molti avvertimenti agli occidentali tramite l’ambasciatore indiano a Beijing, Sandar K.M. Panikkar: l’intervento statunitense nella Corea del Nord avrebbe provocato l’entrata in guerra della Cina a fianco dei nordcoreani. Stalin, che non voleva essere direttamente coinvolto in una guerra globale contro l’Ovest, fece continuamente pressioni su Mao e sul Ministro degli Esteri cinese, Zhou Enlai, per spingerli all’intervento. Il 7 ottobre (giorno in cui le truppe USA oltrepassarono il parallelo), Mao Zedong diede il suo assenso all’invio delle truppe dei Volontari, così denominate probabilmente sia per dare una giustificazione morale dell’intervento agli occhi del popolo cinese sia per dimostrare il presunto ruolo supplementare che la Cina avrebbe giocato nel conflitto, riducendo il rischio di una guerra totale contro gli USA e i paesi occidentali.
I primi scontri tra Volontari cinesi guidati dal generale Peng Dehuai e forze statunitensi si verificarono lungo il fiume Yalu alla fine del mese di ottobre, ma già nei primi giorni del novembre 1950 le truppe cinesi si ritirarono fermando le loro offensive.
La situazione militare per gli Stati Uniti stava diventando ben più complicata del previsto. Il 27 novembre, truppe nordcoreane e Volontari cinesi diedero il via ad una devastante azione a sorpresa contro le truppe UNC, che furono costrette ad arretrare verso sud. Pyongyang fu liberata tra il 4 e il 6 dicembre. MacArthur chiese, senza ottenerlo, l’allargamento delle operazioni in alcune zone strategiche della Cina e della Corea del Nord, con l’utilizzo di ventisei bombe atomiche tattiche. Sygman Rhee scrisse a Truman che “per risolvere la situazione dobbiamo fare tutto il possibile per sconfiggere e distruggere ora gli invasori cinesi. […] Autorizzate il generale MacArthur ad usare qualsiasi arma possa mettere fine all’aggressione comunista su ogni fronte, anche quella atomica. Alcune bombe su Mosca basteranno a scuotere il mondo comunista ”. Quando Truman annunciò di tenere il dito sul bottone del nucleare, gli alleati europei, temendo lo scoppio della Terza Guerra Mondiale, protestarono contro un eventuale utilizzo degli ordigni atomici. Entro la fine del mese di dicembre, i nordcoreani avevano ripreso tutto il territorio al di sopra del 38° parallelo e lo oltrepassarono il 26 dicembre. Nelle prime settimane del gennaio 1951, si erano già spinti al 37° parallelo, a circa cento chilometri a sud di Seul, capitale della Corea del Sud.

Nel dicembre del 1950, il generale Matthew Rigdway prese il posto di Walton Walker, morto in un incidente automobilistico, al comando dell’8° Armata statunitense. Il nuovo comandante diede subito il via ad una feroce controffensiva, nel gennaio 1951, respingendo gradualmente la coalizione comunista al di sopra del 38° parallelo. Le continue richieste di MacArthur di voler estendere il conflitto anche alla Cina, la sua scomunica della strategia militare dell’amministrazione Truman, “noi, qui [Corea] conduciamo con le armi alla mano la battaglia dell’Europa, mentre laggiù i diplomatici la proseguono con le parole; se noi perdiamo in Asia la guerra contro il comunismo, la caduta dell’Europa diventa inevitabile; se noi vinciamo, l’Europa ha tutte le possibilità di vincere e salvare la libertà. Nulla sostituisce la vittoria”, costrinsero il presidente americano a richiamare MacArthur a Washington. Il suo posto in Estremo Oriente fu affidato, nell’aprile 1951, al più malleabile generale Matthew Rigdway.

Il 10 luglio del 1951, cominciarono a Kaesong, poco a sud della linea di demarcazione tra le due Coree, i negoziati per un armistizio. I combattimenti non si fermarono, entrambe le parti cercavano di usare la pressione militare per avere maggiori basi contrattuali in sede di negoziato. Nell’agosto 1951, gli Stati Uniti diedero il via all’ “Operation Strangle”, una violentissima compagna di bombardamenti aerei contro le linee di comunicazione e di approvvigionamento del nemico: oltre 90.000 attacchi a ferrovie, scali di smistamento, autostrade, ponti, mezzi di trasporto e case, rifugi o magazzini che potevano servire da deposito di approvvigionamento. Nel giugno del 1952, l’aviazione statunitense estese i propri attacchi contro grandi centri abitati e risorse economiche: undici centrali idroelettriche lungo lo Yalu vennero bombardate, Pyongyang e altre sessantasette città nordcoreane rase al suolo. L’aviazione statunitense utilizzò smodatamente il napalm, precedentemente usato solo a Tokyo, Okinawa ed in Grecia, bombardamenti a tappeto, molte volte fino a non lasciare alcuna struttura utile in piedi. Comunque, l’offensiva di strangolamento americana, a lungo andare, si rivelò un fallimento e non si ottenne alcun passo in avanti nei negoziati. Inoltre l’efficacia del Comando Logistico e della contraerea comunista aggiunta al supporto dei caccia MIG-15 sovietici, mettevano a dura prova i raid statunitensi.
E’ a questo periodo di escalation dell’urto statunitense che si può stabilire l’utilizzo di armi batteriologiche.

Stephen Endicott, Edward Hagerman, The United States and Biological Warfare.

Secrets from the Early Cold War and Korea, Indiana University Press 1998, p. 88.


Jon Halliday, Bruce Cumings, Korea: the Unknown War, Pantheon Books, New York 1998, p. 128.


Risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU del 7 luglio 1950.


Steven Hugh Lee, La Guerra di Corea, Il Mulino Universale Paperbacks, Bologna 2003, p. 81.


Lettera inviata nell’aprile 1951 dal generale MacArthur al deputato repubblicano della Camera dei Rappresentanti, Joseph Martin.

CONTINUA....
https://cinaoggi.it/2009/01/23/le-armi-invisibili-2/

venerdì 14 febbraio 2020

STORIA DELLE GUERRE BATTERIOLOGICHE: DALLA SECONDA GUERRA MONDIALE AL CORONAVIRUS IV Parte


Il Giuramento d’Ippocrate

Risultato immagini per rischio biologico

”Giuro di esercitare la medicina in libertà e indipendenza di giudizio e di comportamento; di perseguire come scopi esclusivi la difesa della vita, la tutela della salute fisica e psichica dell’uomo e il sollievo della sofferenza, cui ispirerò con responsabilità e costante impegno scientifico, culturale e sociale, ogni mio atto professionale; di non compiere mai atti idonei a provocare deliberatamente la morte di un paziente; di attenermi nella mia attività ai principi etici della solidarietà umana, contro i quali, nel rispetto della vita e della persona non utilizzerò mai le mie conoscenze; […] ”.
Giuramento d’Ippocrate

Fin dall’antichità, il Giuramento di Ippocrate pone le basi del comportamento professionale del medico, non solo nei confronti del paziente e della scienza, ma soprattutto nei confronti di un’etica morale superiore ad ogni fine e proposito. Scienza, progresso tecnologico, scienza medica hanno lo scopo di difendere, garantire e migliorare l’esistenza dell’uomo, pur sempre nel rispetto del diritto più importante dell’essere umano, il diritto inalienabile alla vita. Niente di più lontano da ciò che si verificò nelle varie Unità di Ishii Shiro e colleghi dal 1932 al 1945. La più totale negazione di ogni morale umana e scientifica venne portata avanti da molte delle menti più brillanti del Giappone in nome di un progresso tecnologico offensivo senza freno. I medici giapponesi operarono nella più assoluta noncuranza del bene e del male. A spregio della sofferenza altrui, utilizzarono le loro conoscenze per mettere a punto armi biologiche e batteriologiche di distruzione di massa. L’agonia di centinaia di migliaia di essere umani venne deliberatamente provocata per fini inumani e come mezzo per creare ulteriori e atroci sofferenze.
A distanza di oltre sessanta anni, la coltre di nebbia che offusca la verità sui fatti concernenti la guerra biologica giapponese non è stata ancora del tutto assottigliata e, cosa ben più grave, nessuno ha mai pagato per i crimini commessi. All’imperatore Hirohito fu garantita l’immunità da qualsiasi processo per crimini di guerra e morì di cancro il 7 gennaio 1989, dopo sessantasette anni di regno. Durante il decorso della sua malattia un quotidiano inglese, il Daily Star, scrisse un articolo intitolato “Let the bastard rot in hell” [che il bastardo marcisca all’inferno], accusando l’imperatore di essere personalmente responsabile della morte di migliaia di persone in esperimenti con microrganismi letali1. Sebbene le decisioni in materia di politica interna ed estera fossero demandate al gabinetto governativo, comunque Hirohito poteva svolgere un ruolo di contenimento nelle questioni di stato. Come egli intervenne il 15 agosto 1945 per costringere il gabinetto a firmare la resa incondizionata agli Alleati, allo stesso modo sarebbe potuto intervenire contro l’inumanità degli esperimenti di guerra biologica. Hirohito conobbe personalmente Ishii Shiro e lo insignì delle più alte decorazioni governative per le azioni di guerra biologica compiute presso il fiume Nomonhan contro l’esercito sovietico e mongolo. Gli ingenti fondi annui (dai 15 ai 20 milioni di yen) diretti alle varie Unità biologiche giapponesi in Cina non potevano certo sfuggire all’attenzione dell’imperatore, continuamente aggiornato su tutto ciò che concerneva l’andamento della guerra e le questioni ad essa connesse. Sebbene non ci siano documenti che attestino il fatto che Hirohito fosse a conoscenza degli esperimenti sugli esseri umani, sicuramente gli erano note le ricerca sulle armi biologiche. Anche alcuni membri della famiglia reale parteciparono al programma di guerra biologica. Un cugino dell’imperatore e fido consigliere lavorò a Pingfan sotto falso nome; due fratelli di Hirohito, appassionati di biologia, conoscevano personalmente Ishii e alcuni importanti esperti delle armi biologiche; il più giovane dei fratelli dell’imperatore, principe Mikasa, visitò l’Unità 731 e molte altre installazioni, come è dimostrato da alcune foto scattate dagli ufficiali dell’Unità Ishii. Nel 1983, il principe Takeda Tsuneyoshi, cugino di Hirohito, in un’intervista riguardo alle attività di guerra biologica giapponesi si giustificò dicendo che era “necessario studiare qualsiasi mezzo per muovere guerra2”.
I membri del gabinetto politico e gli alti vertici militari non furono mai giudicati per i crimini di guerra biologica, anche se alcuni furono condannati a morte o a pene detentive per altri crimini di guerra. Il Comando Supremo era continuamente informato sulle attività di Ishii, Kitano e Wakamatsu fin dal 1932. I Comandanti in Capo dell’Armata del Kwantung, generale Umezu Yoshijiro e il suo successore Yamada Otozoo (giudicato a Khabarovsk) erano a conoscenza dei vari esperimenti ed azioni biologiche, come tutti gli alti gradi dei corpi veterinari e medici dell’Armata.
Il generale di divisione Ishii Shiro, i suoi colleghi e i vari sottoposti non furono mai portati davanti ad una corte giudiziaria, bensì cominciarono una nuova vita da civili, liberi e apparentemente innocenti. I tecnici dell’Unità 731 e 1644 giudicati ad Khabarovsk, ancora detenuti in Unione Sovietica, tornarono nelle loro case in Giappone nel 1956, anche loro liberi e non più penalmente perseguibili. Uno dei dodici, Karasawa Tomio, si suicidò poco dopo essere stato liberato.
Gli Stati Uniti, l’URSS, le dinamiche politiche e geopolitiche della guerra fredda avevano trasformato dei feroci criminali in uomini assolti, senza mai essere stati giudicati. La corsa agli armamenti più efficaci in vista di un’eventuale conflitto tra Est ed Ovest, la volontà di dominio e di potenza avevano sepolto la necessità di rendere giustizia a chi era stato sacrificato e utilizzato dalla crudeltà dei medici del Sol Levante. Questi ultimi, non solo evitarono il giudizio dell’umanità intera, ma, grazie alla collaborazione con le forze d’occupazione statunitensi, ricoprirono incarichi di prestigio all’interno del gabinetto governativo, nelle strutture pubbliche, nelle università e nelle istituzioni o industrie private, come case farmaceutiche e laboratori scientifici.

Ishii Shiro si ritirò nel 1945 nella sua casa nella prefettura di Chiba, nelle vicinanze di Tokyo. Dopo aver ottenuto la più completa immunità da parte degli Stati Uniti d’America in cambio delle sue sterminate conoscenze, condusse una vita tranquilla insieme alla sua famiglia. L’esercito gli garantì un’ingente pensione da generale di divisione e amici ed ex colleghi dell’Unità 731 continuarono per anni a fargli visita, anche se non gli fu mai concesso un lavoro come esperto né in istituzioni private né pubbliche. Il fatto che egli fosse un criminale era risaputo e non poteva, per questo, esporsi in pubblico. E’ possibile che fosse anche controllato dai sovietici e dal Partito Comunista Giapponese. Morì da libero cittadino, all’età di sessantasette anni, di cancro alla gola. Murray Sanders disse nel 1985 di aver sentito che Ishii, negli anni Cinquanta, aveva segretamente tenuto delle conferenze a Camp Detrick sul miglior modo di utilizzare le armi biologiche. Nel 1951, l’agenzia di stampa Reuters, in un dispaccio, asseriva che Ishii, Kitano, Wakamatsu ed altri veterani dell’Unità 731 sarebbero stati mandati in Corea del Sud dagli alti vertici militari degli Stati Uniti, per preziose consulenze sull’uso delle armi biologiche durante la Guerra di Corea3. La figlia di Ishii smentì queste voci che, comunque, non possono essere verificate in alcun documento o testimonianza attendibile.
Il dottor Ishikawa Tachiomaru, ex patologo dell’Unità 731, negli anni Settanta divenne preside dell’Istituto di medicina dell’Università Kanazawa, una delle più illustri istituzioni giapponesi. Ogawa Toru, ex addetto alla selezione dei ceppi più virulenti di tifo e paratifo presso l’Unità 1644 di Nanjing, divenne professore alla Facoltà di medicina di Nagoya. Tabei Kazu, responsabile di molti esperimenti sul tifo a Pingfan, divenne docente di batteriologia a Kyoto. Yoshimura Hisato, esperto degli esperimenti sul congelamento presso l’Unità 731, divenne, nel 1973, presidente della Società di Meteorologia e guidò numerose spedizioni in Antartide per studiare, questa volta su dei volontari, gli effetti del freddo estremo sulla fisiologia umana. Più tardi fu persino consulente per una ditta di pesce surgelato, nonché docente all’Università di Kyoto. Wakamatsu Yujiro, ex capo dell’Unità 100 a Changchun, fu membro scientifico dell’Istituto Nazionale della Salute e lavorò per vari istituti sanitari nella ricerca pediatrica sulle infezioni da streptococco. Alcune patologie equine studiate da Wakamatsu presso la sua Unità in Cina sono dovute allo streptococco. A questo punto, la domanda se il suo lavoro durante la guerra abbia influenzato la sua successiva occupazione in Giappone potrebbe risultare retorica.
Naito Ryoichi, Kitano Masaji e Futagi Hideo, tra i principali pianificatori degli attacchi biologici in Cina e responsabili dei molti esperimenti sugli esseri umani all’Unità 731, nel 1947 fondarono la Japan Blood Plasma Company, una banca del sangue. Nel 1950, si assicurarono un fruttuoso contratto con gli Stati Uniti per le forniture di sangue ai soldati americani impegnati nel conflitto coreano. Più tardi, i tre cambiarono il nome della loro compagnia in Midori Juchi, Croce Verde, dando vita ad una casa farmaceutica con un fatturato annuo di quasi un miliardo di euro. Alla morte di Naito, nel 1982, la Midori Juchi creò la Fondazione Naito per la ricerca degli studi sul sangue, campo di studio del medico giapponese a Pingfan. Nel febbraio del 1988, la Midori subì un fortissimo scandalo: aveva venduto sacche di sangue non sterilizzate a pazienti emofiliaci che contrassero il virus dell’AIDS (oltre 2.000 tra Giappone e USA). Le denunce delle vittime dell’incuria della Midori riportarono a galla il passato dei fondatori della società farmaceutica, che furono costretti a pagare milioni di dollari in risarcimenti. Nel 1998, la Midori Juchi cambiò nome in Midori Pharmerica, nel 1999 in Welfare Corporation e si fuse, nel 2001, al settore farmaceutico della Mitsubishi Corporation. Tuttora esiste come entità distinta all’interno del gruppo Mitsubishi4. Il medico giapponese Yamaguchi Ken’ichiro, che si occupava degli effetti del lavoro dell’Unità 731 sull’attuale scienza medica giapponese, era dell’opinione che la distribuzione di sangue infetto facesse parte di un programma della Midori per il lucroso sviluppo di un vaccino contro l’AIDS5, ma non ci sono prove per confermare la teoria di Yamaguchi.
Molte altri ancora sono gli istituti medici e farmaceutici che assunsero ex membri del personale dell’Unità 731 come la Takeda Pharmaceutical Company e la Hayakawa Medical Company. Le Facoltà di medicina dell’Università di Tokyo, Kyoto, Osaka, Kanazawa, l’Università di farmacologia di Showa, l’Università di medicina della prefettura di Nagoya e molte altri istituti d’istruzione accolsero come docenti ex membri del personale delle Unità antiepidemiche. Altri membri del Distaccamento 731 ebbero ricche e fortunate carriere nella pubblica amministrazione, come Kitano Masaji che divenne Ministro dell’Educazione6.

Il primo a smascherare i legami tra gli Stati Uniti e le Unità di Ishii e a far luce sugli accordi segreti tra gli scienziati giapponesi e gli USA fu John W. Powell che, nell’ottobre del 1981, pubblicò sulla rivista Bulletin of the Atomic Scientists un lungo articolo intitolato “Japan’s Biological Weapons: 1930-1945. A Hidden Chapter in History”[Le armi biologiche del Giappone: 1930-1945 un capitolo segreto nella storia]. Powell scoprì dei memorandum top secret che coinvolgevano il generale Douglas MacArthur, il suo capo dell’intelligence, il generale Charles Willoughby, il capo della sessione legale Alva Carpenter e il Comitato di Coordinamento del Dipartimento di Stato, della Marina e della Difesa (SWNCC). Implicati nell’acquisizione dei dati giapponesi erano il U.S. Chemical Warfare Service (Servizio della Guerra Chimica degli USA), il Capo di Stato Maggiore Congiunto, il Dipartimento di Giustizia e il prosecutore capo statunitense dei crimini di guerra, Joseph Keenan. Powell spiegò come molti civili cinesi fossero stati utilizzati per testare l’efficacia e la virulenza delle armi biologiche, descrisse gli esperimenti, le dissezioni e tutta la serie di infezioni letali che i giapponesi avevano studiato e sviluppato. Anche se, dopo l’uscita dell’articolo di Powell, il governo USA continuò a negare, con continue smentite, la più grande manovra di copertura della storia degli Stati Uniti, il Giappone, nel 1983, ammise l’esistenza del programma di guerra biologica.
L’articolo sul Bulletin of the Atomic Scientists aprì anche un altro dibattito: Powell scrisse che probabilmente diversi aviatori statunitensi potevano essere stati usati come cavie da laboratorio dai giapponesi. Un membro del Congresso statunitense, il democratico Pat Williams, il 17 settembre 1986, durante la seconda sessione del novantanovesimo Congresso, disse “ora sappiamo che Mukden [Shenyang] non era solamente un altro campo di prigionia giapponese per soldati alleati. Gestito dagli scienziati giapponesi dell’Unità 731, Mukden era un luogo dove avvenivano mortali esperimenti chimici e biologici tramite iniezioni, dissezioni, analisi del sangue e delle feci, congelamento di parti del corpo, infezioni con antrace, bacillo della peste, colera, dissenteria e tifo. Questo è ciò che accadde a molti aviatori americani sopravvissuti alla marcia della morte di Bataan7. Insieme ai nostri soldati in questi terribili campi c’erano inoltre cinesi, britannici, australiani e sovietici. Non sappiamo quanti ne sopravvissero, ma sicuramente sappiamo che il governo statunitense sapeva degli esperimenti alla fine della guerra8”. Vennero raccolte diverse testimonianze dei sopravvissuti statunitensi al campo di prigionia di Shenyang da parte di un Comitato dei Veterani. Esistono anche molti resoconti dettagliati e diari scritti da statunitensi e britannici sulla loro vita all’interno dei campi di prigionia giapponesi in Asia, che sembrerebbero confermare sia le accuse di Powell sia quelle di Williams, ma le agenzie americane (CIA, FBI, Amministrazione dei Veterani) furono molto evasive sull’argomento dei prigionieri di guerra utilizzati negli esperimenti di guerra biologica nel campo di Shenyang dal novembre del 1942 fino alla liberazione nell’agosto del 1945. Soprattutto non collaborarono nel fornire agli studiosi significative prove sulle condizioni fisiche e psichiche dei loro connazionali liberati, visto che prima di essere rimpatriati ricevettero tutte le cure mediche necessarie. In base alle attuali stime, sembra che siano 1.671 gli individui, di varia nazionalità, sopravvissuti alla prigionia di Shenyang e utilizzati negli esperimenti, ma nessuno di loro, apparentemente, accusò mai il Giappone di tali orrori. A tutt’oggi non è ancora possibile, perciò, stabilire con assoluta certezza se alcuni prigionieri di guerra statunitensi siano stati sottoposti alle “cure” dei giapponesi. Le prove americane sembrano smentire le accuse. Lo stesso Ishii Shiro lo negò categoricamente, anche dopo aver ottenuto la totale immunità nel 1948, ma non smentì di aver utilizzato cavie sovietiche. Inoltre il campo di Shenyang non garantiva le necessarie condizioni di sicurezza, che le altre Unità prevedevano, per portare avanti la sperimentazione sui microrganismi letali. Shenyang era continuamente visitata dai corpi di propaganda giapponese e dai membri della Croce Rossa. Altra prova per confutare le accuse è quella che 1.671 individui sopravvissero; dalle altre Unità di Ishii nessuno uscì vivo. In conclusione, prigionieri di guerra statunitensi potrebbero essere stati utilizzati come cavie umane, ma nessun documento attendibile è aperto all’interesse degli studiosi.

Nel 1997, centottanta querelanti cinesi intentarono una causa al Giappone per chiedere il risarcimento per i loro parenti (2100 persone), vittime del programma di sviluppo e produzione di armi biologiche. Il verdetto venne emesso il 27 agosto 2002, da una corte distrettuale di Tokyo presieduta dal giudice Koji Iwata9: il Giappone era effettivamente colpevole di aver compiuto attacchi biologici in Cina, ma non doveva presentare alcuna scusa formale né tantomeno pagare i risarcimenti richiesti (circa 80.000 euro per ogni querelante). La decisione ha le sue basi legali negli accordi di pace e collaborazione firmati il 29 settembre 1972 tra Repubblica Popolare Cinese e Giappone, in base ai quali la Cina rinunciava alla richiesta di ogni riparazione per i danni di guerra subiti. Il 20 maggio 2003, i centottanta querelanti hanno presentato ricorso all’Alta Corte di Tokyo.

1 Daniela De Palma, Storia del Giappone Contemporaneo 1945-2000, Bulzoni Editore, Roma 2003, pp. 172-173


2 Sheldon H. Harris, Factories of Death, op. cit., p. 143.


3 Daniel Barenblatt, I Medici del Sol Levante, op. cit., p 291.


4 Daniel Barenblatt, I Medici del Sol Levante, op. cit., pp. 300-301.


5 Hal Gold, Unit 731 Testimony, op. cit., pp. 140-141.


6 Sheldon H. Harris, Factories of Death, op. cit., p. 133.


7 Campo di prigionia nelle Filippine dove venivano segregati i prigionieri Alleati. Non meno di 8.000 tra americani e filippini morirono durante la marcia verso il campo. Per un maggiore approfondimento consultare: Lord Russell of Liverpool, I Cavalieri del Bushido, op. cit., pp. 139-144.


8 Sheldon H. Harris, Factories of Death, op. cit., p. 113.


9 Jonathan Watts, “Japan Guilty of Germ Warfare against Thousands of Chinese”, The Guardian, 28 agosto 2002.

CONTINUA.....

STORIA DELLE GUERRE BATTERIOLOGICHE: DALLA SECONDA GUERRA MONDIALE AL CORONAVIRUS III Parte


La resa dei conti
Il patto col diavolo

...Né il Rapporto Qian, né le pubbliche accuse, né l’articolo di Pullitzer servirono a smuovere l’attenzione delle potenze internazionali e dell’opinione pubblica mondiale su tali crimini contro l’umanità... 

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“Per gli interessi di sicurezza nazionale degli Stati Uniti, il generale Ishii e molti altri membri dell’Unità 731 hanno vissuto la loro vita, soffrendo solamente delle naturali afflizioni della tarda età”
John W. Powell

Nell’aprile del 1942, i tecnici e gli scienziati della Croce Rossa cinese guidati dal cinese Wen Quai Qian, pubblicarono il cosiddetto Rapporto Qian, frutto della prima indagine scientifica della storia sugli attacchi con armi biologiche e batteriologiche, nel quale vennero riportati i risultati delle ricerche effettuate nelle città di Changde, Ningbo, Jinhua e Quzhou che avevano subito gli attacchi biologici causati dalle Unità giapponesi. Subito dopo, a Chongqing, il governo del Guomindang riunì una conferenza stampa in cui invitò molti giornalisti internazionali. Nel corso dell’incontro, il direttore generale dell’Amministrazione Sanitaria Cinese accusò il governo giapponese e l’Armata Imperiale giapponese di aver deliberatamente diffuso numerose epidemie di malattie mortali e altamente contagiose. Il Rapporto Qian fu tradotto in varie lingue, tra cui l’inglese, e distribuito a dieci ambasciate straniere di stanza a Chongqing. Il microbiologo statunitense Pullitzer, dopo aver lavorato al contenimento dell’epidemia di peste bubbonica riapparsa a Quzhou nel 1941 (ripercussione degli attacchi giapponesi dell’ottobre 1940), scrisse un articolo sull’Epidemic Prevention Weekly, settimanale di fama mondiale, in cui descriveva il proprio lavoro di esperto in Cina nella prevenzione delle epidemie .
Né il Rapporto Qian, né le pubbliche accuse, né l’articolo di Pullitzer servirono a smuovere l’attenzione delle potenze internazionali e dell’opinione pubblica mondiale su tali crimini contro l’umanità. Sicuramente gli Stati Uniti ne erano a conoscenza o, per lo meno, ne avevano il sospetto. Nel febbraio 1939, un gruppo di ricercatori giapponesi, tra cui Naito Ryoichi, aveva chiesto al Rockefeller Institute for Medical Research di New York di poter ottenere campioni di virus della febbre gialla , malattia trasmessa dalle punture delle zanzare e altamente letale. Nel momento in cui il Rockefeller Institute aveva respinto la richiesta, i ricercatori nipponici avevano tentato di corrompere un tecnico dell’istituto offrendogli 3.000 dollari, ma senza successo. Venne aperta un’inchiesta dal Dipartimento di Stato USA che chiaramente descriveva in modo molto sospetto l’atteggiamento dei nipponici e il fatto che i campioni richiesti potessero permettere al Giappone di “ottenere ceppi particolarmente letali del virus della febbre gialla con l’obiettivo di trasformarli in armi biologiche ”. Sicuramente gli USA non sottovalutarono affatto neanche il rapporto della Croce Rossa cinese del 1942: la guerra contro il Giappone era ormai cominciata e le armi invisibili potevano essere utilizzate anche contro i soldati americani impegnati nel Pacifico.

Molti prigionieri di guerra giapponesi catturati dalle forze armate USA confessarono, in più occasioni, di aver fatto parte di una qualche Unità di sperimentazione di armi biologiche e di aver compiuto o visto compiere test su cavie umane vive. Un prigioniero catturato il 12 maggio 1944 confessò di aver lavorato al dipartimento di batteriologia dell’Università del Guangdong e di aver sentito dire che, nel luglio 1941, “il generale di divisione Ishii Shiro aveva condotto esperimenti con bombe biologiche al Distaccamento del collegio medico militare di Haerbin, in Manciuria”. Altri due prigionieri di guerra giapponesi descrissero, con minuzia di particolari, la produzione degli agenti patogeni destinati all’uso nella guerra biologica e fecero persino dei riferimenti agli atroci test su cavie umane effettuati presso l’Unità 1644 a Nanjing. Inoltre, venne ritrovato, sull’isola di Morotai nel Pacifico, un manuale dell’Armata Imperiale che indicava il largo uso strategico delle armi biologiche .
Il 15 agosto del 1944, lo Stato Maggiore statunitense ordinò con un memorandum che tutte le prove di un eventuale attacco biologico fossero raccolte e messe al sicuro. I dati furono reperiti nella maggior parte delle nazioni del sud-est asiatico, man mano che l’avanzata USA dilagava.

A partire dal mese di novembre del 1944, più di novemila piccoli palloni aerostatici, gonfiati con idrogeno, partirono dall’isola più estesa del Giappone, Honshu, diretti verso gli Stati Uniti. Volarono su Messico, California, Oregon, Washington, Canada. Molti furono intercettati dalla contraerea, ma altri furono ritrovati in Texas, Hawaii, Utah, Wyoming, Montana, Dakota, Alberta, Manitoba, Los Angeles e Michigan. I palloni, di un diametro di dieci metri e fatti con carta di gelso, realizzati dalla Divisione di Ricerca Tecnologica della Nona Armata Giapponese, avevano lo scopo di creare vasti incendi nelle foreste americane attraverso contenitori, attaccati ai palloni, pieni di bombe incendiare. Probabilmente, si trattava più che altro di un’azione dimostrativa. Le uniche vittime documentate, infatti, furono una madre e i suoi cinque figli, nell’Oregon, che incautamente si avvicinarono a quegli strani oggetti. Nel marzo del 1945, un pallone nipponico cadde nello stato di Washington causando un’interruzione alle linee elettriche. Solamente nel maggio del 1945, la popolazione americana fu allertata per la possibile presenza delle nuove armi giapponesi. Furono 230 i palloni recuperati, gli altri o esplosero in aria o caddero nell’oceano Pacifico.
Sebbene gli “aerostati” non causassero danni rilevanti, avrebbero potuto rappresentare una terribile arma se avessero contenuto degli agenti biologici letali. Gli investigatori statunitensi se ne resero subito conto, altrimenti non avrebbero mandato il tenente colonnello Murray Sanders ad esaminare i palloni. Sanders era un medico e microbiologo del centro di ricerche sulle armi batteriologiche di Camp Detrick (aperto nell’aprile del 1943 e rinominato Fort Detrick nel 1956) nel Maryland. Nel dicembre del 1944, Sanders fu chiamato a Washington per analizzare due palloni giapponesi trovati nel Montana e sulla spiaggia di San Diego. Il suo compito era quello di accertare se le nuove armi giapponesi avessero potuto trasportare agenti patogeni e il rapporto di Sanders “spaventò a morte” i militari. Egli spiegò che le malattie trasmesse dalle zanzare, come l’encefalite B giapponese, potevano causare un’ecatombe, poiché quel tipo di insetti è molto diffuso negli USA e la popolazione non aveva difese immunitarie per quelle patologie. Tuttavia queste affermazioni lasciano molti dubbi tra gli studiosi poiché il virus dell’encefalite B per poter dilagare in una vera e propria epidemia ha bisogno di essere disperso su zanzare del luogo. Anche l’antrace, affermò Sanders, poteva essere agevolmente inserita nei palloni e contaminare principalmente terreni e animali da pascolo, ma, anche in questo caso, l’antrace ha bisogno di ottimali condizioni ambientali per poter sopravvivere (come dimostrarono più e più volte gli scienziati giapponesi) e, di conseguenza, la lunga esposizione al sole o all’aria l’avrebbe resa totalmente innocua. Probabilmente, Sanders cercava di impressionare i vertici militari e di ottenere il consenso per ulteriori e più approfondite ricerche nel campo delle armi biologiche. Il tenente colonnello di Camp Detrick esaminò anche altri palloni rinvenuti in Canada e nelle Hawaii. Alla fine del suo lavoro, non si trovarono tracce di agenti biologici nocivi.
Nel marzo del 1945, Sanders descrisse, durante alcune riunioni nelle basi militari di San Francisco e Omaha, alcune bombe biologiche che i giapponesi avevano utilizzato nei loro attacchi in Cina e affermò erroneamente che il quartier generale della produzione dell’armamento biologico si trovava a Nanjing.
Il generale Douglas MacArthur ordinò a Sanders di incontrarlo a Manila, nelle Filippine, per verificare che tipi di armi biologiche potessero essere utilizzate contro l’esercito statunitense al momento dell’occupazione dell’isola di Honshu. Ma lo sgancio delle due bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, rispettivamente il 6 e 9 agosto 1945, evitò lo sbarco. A Sanders allora fu ordinato di valutare i risultati degli attacchi biologici compiuti dai giapponesi in Cina e di rintracciare la presunta mente del programma di sviluppo e produzione di un arsenale biologico, Ishii Shiro. Nel settembre del 1945, Sanders insieme ad altri sei tecnici si recò in Giappone con la sensazione che i medici nipponici avessero compiuto cose inimmaginabili.

Gli ex tecnici e scienziati delle varie Unità antiepidemiche che avevano lavorato in Cina, si erano ormai rifugiati in Giappone e, distrutte o quanto meno nascoste le prove che li legavano alla sperimentazione sull’uomo, fecero voto di silenzio. Ma, dopo che giunse voce che il microbiologo americano Murray Sanders sarebbe giunto in Giappone per fare delle ricerche approfondite su una presunta produzione su larga scala di agenti patogeni da utilizzare contro il nemico, cercarono di correre ai ripari. Infatti Sanders non fece nemmeno in tempo ad attraccare presso il porto di Yokohama, che fu immediatamente ricevuto da una persona che si presentò come suo interprete, Naito Ryoichi, colui che, sei anni prima, aveva cercato di ottenere il virus della febbre gialla dal Rockefeller Institute di New York. L’obiettivo di Naito e degli altri veterani dell’Unità 731 era quello di ottenere una totale immunità dall’accusa di crimini di guerra in cambio delle rivelazioni che avrebbero potuto fare agli statunitensi. E fin da subito, Naito si adoperò per far intendere ai suoi intervistatori che egli e i suoi ex colleghi erano in possesso di un’enorme mole di materiale segreto. La missione di Sanders era quella di raccogliere qualsiasi particolare su tutte le persone ed i luoghi coinvolti nella sperimentazione giapponese e per fare ciò si incontrava tutte le settimane a Tokyo con Naito. Questi, al termine di ogni incontro, si consultava segretamente con gli ex veterani dell’Unità 731 per decidere quali delle informazioni in loro possesso potessero essere passate agli americani e quali invece avrebbero dovuto usare per successivi negoziati. Quando i medici giapponesi si rifiutarono di rivelare informazioni importanti e più particolareggiate, a Sanders bastò la minaccia di intervento di una commissione d’inchiesta sovietica per fare in modo che Naito gli fornisse un diagramma sulla struttura gerarchica del programma biologico nipponico. Lo schema di Naito presentò per la prima volta i nomi degli istituti e dei distaccamenti che avevano lavorato con agenti patogeni, chimici e tossici da utilizzare in attacchi biologici; fece il nome della Boeki Kyusui Bu (Unità per la purificazione dell’acqua o Unità 731). Naito presentò anche un manoscritto in cui si confessava l’attivo coinvolgimento giapponese nella guerra biologica, ma non fu fatto alcun accenno agli esperimenti sull’uomo o all’utilizzo di armi biologiche sulla popolazione civile anzi si legge che “è vero che l’esercito giapponese aveva strutture non solo per la difesa, ma anche per l’uso offensivo delle armi biologiche. Ma il Comando Supremo non ebbe mai la volontà di condurre attacchi biologici contro il nemico, finché il nemico stesso non avesse cominciato ad usarli. Poiché nessuna nazione combattente lanciò mai tali attacchi al Giappone, il Comando Supremo non ebbe mai occasione, né motivo, per usare le armi biologiche”. Era la prova che il Giappone si era effettivamente e al di là di ogni dubbio impegnato nella ricerca offensiva di agenti patogeni: ciò che Sanders sperava di sapere.
Il generale MacArthur era il diretto responsabile del lavoro di Sanders e dopo aver esaminato tutti i documenti che gli erano stati sottoposti dal microbiologo decise di accordare la totale e più completa immunità giudiziaria, nonché l’anonimato, a chi avesse confessato la propria attività e a chi avesse fornito i documenti relativi alle ricerche effettuate nel campo della sperimentazione biologica. L’accordo fu siglato e da quel momento in poi “i dati arrivarono ad ondate, riuscivamo appena a farvi fronte”, disse Sanders. Tra questi dati vi erano moltissimi reperti di autopsie e vivisezioni di cavie umane cinesi, per la maggior parte, e sovietiche, ma anche molti tessuti contenuti in vasi di formalina e campioni di agenti patogeni. Tutto fu attentamente studiato e archiviato dai vari reparti di guerra chimica e batteriologica statunitensi in Giappone e a Camp Detrick.
Il generale di divisione Ishii Shiro rimase nascosto finché non gli fu chiaro che gli USA non avevano alcuna intenzione di portarlo davanti a Corti Militari di Giustizia Internazionale per rendere conto degli abomini contro l’umanità da lui commessi. Tutt’altro! Gli alti vertici politici e militari degli Stati Uniti avevano l’intenzione di sfruttare l’enorme potenziale di conoscenze del più grande esperto al mondo di metodi di guerra biologica e batteriologica. In quanto mente del programma, Ishii fu sottoposto agli arresti domiciliari e continuamente interrogato da due tecnici di Camp Detrick, il tenente colonnello Arvo Thompson e il dottor Norbert Fell.
Gli Stati Uniti non erano gli unici ad aver investigato sui terribili esperimenti giapponesi, anche l’URSS aveva interrogato due uomini molto importanti dell’Unità 731, il colonnello Ota Kiyoshi e il colonnello Kikuchi Hitoshi, e nel febbraio 1947 chiesero formalmente al generale MacArthur di poter interrogare il dottor Ishii Shiro. Gli Stati Uniti acconsentirono alle richieste dei sovietici, ma solo dopo che Ishii e colleghi furono debitamente istruiti dagli americani in modo da non rivelare alcuna informazione utile riguardo ai loro test e almeno un ufficiale statunitense avrebbe partecipato ai vari colloqui. Gli USA volevano il possesso esclusivo dei dati acquisiti dai medici giapponesi. La figlia di Ishii, Ishii Harumi, ricordò in un’intervista che “un giorno gli americani mi dissero che degli ufficiali russi sarebbero venuti a far visita a mio padre. Mi avvisarono di non tradire in alcun modo la cordialità che avevamo dimostrato agli americani, qualora ne avessimo riconosciuto qualcuno fra quelli che scortavano i sovietici. Gli ufficiali sovietici vennero a casa nostra solo due volte. Durante le loro interviste con mio padre, gli ufficiali americani erano sempre presenti. Presumo che ulteriori richieste dei sovietici per interrogarlo fossero state respinte dalle autorità americane”. Numerosissimi furono i colloqui tra Ishii e i ricercatori di Camp Detrick, così tanti che nella casa di Ishii si respirava ormai un’atmosfera intima e festosa.

Norbert Fell si occupò anche di intervistare altri importanti medici giapponesi tra i quali Kitano, Naito e Wakamatsu dai quali ricevette: un rapporto di sessanta pagine redatto da alcuni ricercatori sulle armi biologiche; alcuni studi sulle potenzialità dell’uso della peste da parte di dieci esperti sulla sperimentazione sull’uomo; seicento pagine di rapporti sui test su cavie umane e ottomila tra diapositive e microfilm sugli esperimenti. Ishii fece intendere che tantissimo altro materiale era in suo possesso e che “se concederete l’immunità ufficiale a me, ai miei superiori e ai miei subordinati, io posso raccogliere tutte le informazioni per conto vostro. Vorrei collaborare con gli Stati Uniti in qualità di esperto di armi biologiche. Nella preparazione della guerra contro l’Unione Sovietica, io posso assicurarvi i vantaggi delle mie ricerche e della mia esperienza ventennale”. Per immunità ufficiale si intendeva un documento scritto che avrebbe permesso a chi ne era in possesso di non essere mai sottoposto a giudizio anche nel caso in cui gli USA avessero ritrattato la loro protezione e copertura ai crimini di guerra e contro l’umanità compiuti nella più completa indifferenza al bene e al male.
Il 6 maggio 1947, MacArthur chiese al Comitato di Coordinamento del Dipartimento di Stato, della Marina e della Difesa (SWNCC) la richiesta di immunità ufficiale per Ishii e colleghi in cambio di importanti ed ulteriori informazioni comunicando a Washington: “richiesta esenzione dalla persecuzione per i membri dell’Unità 731. Utili informazioni su vivisezione”.
L’SWNCC incaricò Alva Carpenter, investigatore legale, di occuparsi delle prove di cui gli Stati Uniti erano entrati in possesso riguardo a tutti i giapponesi che avevano collaborato e richiesto l’immunità. Il lavoro di Carpenter consisteva nel trovare delle scappatoie legali nel caso in cui alcuni membri del programma di guerra biologica fossero stati chiamati a giudizio dalle altre nazioni alleate, quali URSS, Gran Bretagna e Australia, nazioni che avevano subito gli orrori dell’Armata Imperiale giapponese. Carpenter indicò che se un qualsiasi paese avesse chiesto dei chiarimenti relativi ai crimini di guerra biologica, i legali americani avrebbero dovuto avallare la tesi che le prove contro Ishii e il suo staff non erano del tutto attendibili poiché basate su fonti anonime e su voci forse infondate. Questo cavillo legale doveva servire anche per continuare in segreto la raccolta di tutte le informazioni sulle armi invisibili. Carpenter affermò inoltre che gli interrogatori dei medici nipponici non rivelavano prove sufficienti per intraprendere azioni legali, sebbene dalle confessioni emerse che criminali comuni, contadini, donne e bambini erano stati usati a scopo sperimentale.

Tuttavia, l’organismo che sosteneva l’accusa nei processi per crimini di guerra compiuti dai giapponesi, l’International Prosecution Section (IPS), iniziò ad indagare per proprio conto sulle accuse di guerra biologica. L’IPS utilizzò informazioni relative agli attacchi biologici compiuti nel 1940 in Cina, il Rapporto Qian del 1942 e la testimonianza del maggiore Karasawa Tomio. Catturato dai sovietici, egli confessò gli attacchi su Ningbo e Hangzhou con peste, tifo e colera; confessò che tutta la struttura con a capo Ishii Shiro dipendeva direttamente dai più alti vertici militari nipponici, i quali utilizzavano le armi biologiche nelle loro operazioni strategiche; confessò che prigionieri cinesi e russi erano stati utilizzati come pezzi di legno sui quali sperimentare i più terribili flagelli dell’umanità e sui quali coltivare gli agenti patogeni più virulenti. I membri dell’IPS si avvalsero anche della testimonianza scritta di Hataba Osamu, uno dei molti disertori del programma biologico che era passato alle forze nazionalista cinesi, nel quale si affermava che l’Unità 1644, di cui aveva fatto parte, aveva “svolto compiti di diffusione per via aerea delle malattie sul fronte. La squadra aveva sicuramente più di due aerei speciali. […] So che gli atti disumani sopra descritti furono compiuti sotto l’eufemismo di Guerra Santa, e io sono uno di quelli che disertarono dalla squadra. Inoltre, nella sezione scientifica, stavano conducendo studi anche sulle sostanze tossiche”. Hari Hasane confessò, sempre all’ISP, che le Unità antiepidemiche in realtà producevano germi e virus su larga scala da utilizzare contro il nemico e i civili e che l’Unità di Nanjing aveva dato a 3000 prigionieri di guerra cinesi dolcetti infetti con tifo e paratifo. L’accusa a questo punto aveva in mano una grande quantità di prove che collegavano il Giappone alla guerra biologica e alla sperimentazione sull’uomo.

Il 19 gennaio 1946, per proclama generale di MacArthur, venne istituito a Tokyo il Tribunale Militare Internazionale dell’Estremo Oriente (IMTFE), il più grande processo mai avvenuto per crimini di guerra e contro l’umanità, durante il quale vennero giudicati ventotto criminali giapponesi di classe A. Il Tribunale aprì i lavori il 3 maggio 1946 e, dopo 417 udienze e dopo aver ascoltato 419 testimoni, si concluse il 12 novembre del 1948, con sette condanne a morte, sedici all’ergastolo, una a venti e una a sette anni; due imputati morirono e uno fu internato in un ospedale psichiatrico per manifesta pazzia. I giudici rappresentavano ben dodici nazionalità e erano magistrati, giuristi, parlamentari che godevano di ottima reputazione nei loro rispettivi paesi; gli avvocati difensori, in parte statunitensi, in parte giapponesi, erano 104, mentre 72 erano i membri del collegio dell’accusa sia civili che militari.
Ishii Shiro e la sua equipe non vennero neanche nominati: le prove raccolte dall’IPS non furono né presentate né compaiono nelle numerose pagine dei verbali del processo. Perché? Eppure le prove erano evidenti: le alte sfere politiche e militari giapponesi avevano, senza dubbio alcuno, portato avanti un enorme progetto di sperimentazione e sviluppo di armi di distruzione di massa. Per tutta la durata dell’IMTFE, non si fece mai riferimento alle epidemie scoppiate in Cina centrale, deliberatamente e oggettivamente provocate dai giapponesi.
Il capo dell’IPS era l’americano Joseph Keenan. Egli si consultò continuamente, durante la raccolta delle prove e per tutta la durata del processo, con il generale MacArthur e con il Dipartimento della Difesa, che probabilmente fecero pressioni sulle indagini dell’IPS per sotterrare le prove contro il Giappone.
Solamente le confessioni di Hataba furono lette durante il Processo di Tokyo. Fu lo statunitense David Sutton, a capo delle indagini relative allo Stupro di Nanjing, che pronunciò tre brevi frasi il 7 novembre del 1946 . Sutton lesse una versione censurata e profondamente modificata della confessione scritta di Hataba, secondo la quale i giapponesi compirono terribili attacchi biologici: “il nemico […] catturò dei nostri connazionali e li utilizzò per esperimenti medici. Furono loro iniettati vari tipi di batteri tossici e poi eseguiti degli esperimenti per studiarne le condizioni. Cani e gatti erano comunemente sacrificati negli esperimenti medici, ma sacrificare dei nostri fratelli e prigionieri è un vero atto di barbarie compiuto dai nostri nemici ”. Sutton continuò a leggere la parte successiva della testimonianza che non aveva nulla a che vedere con gli esperimenti segreti. In base ai verbali del processo, il presidente della corte, l’australiano Sir William Webb, chiese se le prove erano solamente quelle che aveva sottoposto l’investigatore statunitense. Sutton rispose che non vi erano altre prove. Due avvocati difensori americani, Alfred Brooks e Michael Levin, incaricati di difendere alcuni generali giapponesi, contestarono le accuse, troppo disumane per essere vere , e fecero passare il capo d’accusa come diffamatorio. Il giudice Webb accolse l’obiezione dicendo che “mi sembra che queste asserzioni gratuite non siano fondate su alcuna prova”. Per tutta la durata del processo non si parlò più delle sperimentazioni segrete giapponesi e le altre prove raccolte dall’IPS furono accantonate.
Durante il processo di Yokohama, svolto nel 1948 e promosso dallo SCAP (Comando Supremo delle Potenze Alleate), vennero giudicati alcuni studenti e medici dell’Università di medicina del Kyushu, accusati di aver vivisezionato otto aviatori americani prigionieri di guerra paracadutati da un B-29 abbattuto. Il processo non ebbe una risonanza a livello mondiale, sebbene le accuse mosse contro i giapponesi fossero orribili: sperimentazione umana, vivisezioni e persino cannibalismo rituale. Nell’agosto del 1948, la corte condannò la maggior parte degli imputati a pene che variavano da un minimo di 15 anni ad un massimo di 25; due medici vennero condannati a morte, ma uno si suicidò e all’altro fu commutata la pena in ergastolo.
Nel 1948, gli Stati Uniti avevano ormai raccolto tutti i dati relativi alle armi biologiche giapponesi, sperimentate sulla pelle di migliaia e migliaia di civili innocenti. Moltissimi dati su antrace, botulino, brucellosi, colera, dissenteria, cancrena gassosa, morva, influenza, meningite, peste, studi sulle malattie delle piante, salmonella, febbri emorragiche, tetano, vaiolo, tubercolosi, tularemia, voluminosi tomi nei quali erano descritte nei più minuti particolari le osservazioni dopo le vivisezioni e le dissezioni umane, erano ora nelle mani dell’esercito statunitense.
Gli spietati medici giapponesi non furono mai chiamati a giudizio nei vari processi militari internazionali che si svolsero in molte località dell’Asia e del Pacifico: una spessa coltre di segretezza e di silenzio, eretta dagli Stati Uniti, stava nascondendo l’abominio dell’Unità 731 e dei suoi vari Distaccamenti. Il 13 marzo 1948, mentre l’IMTFE era ancora in corso, il ministero della Difesa USA telegrafò alla Sezione Legale di MacArthur a Tokyo: “permesso accordato”, a Ishii e colleghi sarebbe stata accordata la totale immunità. Il ricercatore di Camp Detrick, Edwin V. Hill, scrisse:

Le informazioni raccolte in questa indagine hanno completato ed ampliato le nozioni già acquisite in questo campo. Forniscono dati che gli scienziati giapponesi hanno ottenuto con molti milioni di dollari e molti anni di lavoro. […] Tali informazioni ce le siamo assicurate, a tutt’oggi, con una spesa totale di 250.000 yen, una vera miseria rispetto ai costi effettivi degli studi. […] E’ auspicabile che agli individui che hanno volontariamente passato queste informazioni siano risparmiate le accuse che potrebbero sorgerne, e che si faccia qualsiasi sforzo perché tali dati non cadano in mani altrui .

Negli anni del dopoguerra cominciò a delinearsi il radicale scontro ideologico, politico e militare tra le due superpotenze, Stati Uniti e Unione Sovietica. Gli USA si autonominarono a guida del cosiddetto mondo libero vedendo ovunque risorse e punti vitali per la propria sicurezza. Si radicò sempre più la volontà di assurgere ad un ruolo egemonico mondiale conquistato con le due guerre mondiali e attraverso la tradizionale vocazione a proporre il modello statunitense come quello esemplare . Nell’ottica della Guerra Fredda era forse accettabile calpestare i fondamentali diritti umani, che un paese che si dichiara esportatore della libertà dovrebbe possedere come capisaldi della propria politica, in nome di un vantaggio tecnologico senza limite ed etica? Ed era forse ammissibile la feroce contraddizione tra la pretesa di esportare la democrazia nel mondo e la totale copertura degli orrori e delle agonie patite da oltre migliaia e migliaia di individui trasformati in cavie umane?
Daniel Barenblatt, I Medici del Sol Levante, op. cit., pp. 243-244.


Peter Williams, David Wallace, Unit 731, op. cit., pp. 91-93.


Ivi., pp. 92-93.


Hal Gold, Unit 731 Testimony, op. cit., p. 102.


Daniel Barenblatt, I Medici del Sol Levante, op. cit., pp. 247-248.


Daniel Barenblatt, I Medici del Sol Levante, op. cit., p. 251.


Daniel Barenblatt, I Medici del Sol Levante, op. cit., p. 254.


Peter Williams, David Wallace, Unit 731, op. cit., p. 131.


Daniel Barenblatt, I Medici del Sol Levante, op. cit., p. 266.


Hal Gold, Unit 731 Testimony, op. cit., p. 97.


Daniel Barenblatt, I Medici del Sol Levante, op. cit., p. 270.


Daniel Barenblatt, I Medici del Sol Levante, op. cit., pp. 272-273.


Per un maggiore approfondimento consultare: Lord Russell of Liverpool, I Cavalieri del Bushido. Storia dei Crimini di Guerra Giapponesi. La Strage di Nanchino e i Crimini Commessi Contro i Prigionieri di Guerra Alleati, Newton & Compton Editori, Roma 2003.


Peter Williams, David Wallace, Unit 731, op. cit., pp. 176-177.


Daniel Barenblatt, I Medici del Sol Levante, op. cit., p. 276.


Arnold C. Brackman, The Other Nuremberg: The Untold Story of the Tokyo War Crimes Trial, William Morrow, New York 1987, pp. 196-197.


Sheldon H. Harris, Factories of Death, op. cit., p. 181.


Daniel Barenblatt, I Medici del Sol Levante, op. cit., p. 280.


John W. Powell, “Japan’s Biological Weapons”, op. cit., ottobre 1981.


Oliviero Bergamini, Storia degli Stati Uniti d’America, Editori Laterza, Bari 2004, p. 182.

Il processo di Khabarovs

L’unica inchiesta giudiziaria mossa contro i fatti concernenti lo sviluppo giapponese della guerra biologica e la sua sperimentazione su cavie umane, avvenne a Khabarovsk in Unione Sovietica, nella Siberia orientale lungo il confine sino-sovietico. Dal 25 al 31 dicembre del 1949, furono portati alla sbarra dodici membri delle Unità 731 e 1644, catturati dai sovietici nel 1945, nel momento in cui l’URSS scoprì le varie fabbriche della morte, nel corso della sua avanzata nella Manciuria. Le prove da esporre alla giuria, raccolte nei quattro anni precedenti al processo, si basarono su diciotto volumi che raccoglievano interviste, testimonianze di soldati nipponici collegati alle varie Unità antiepidemiche e centinaia di pagine di deposizioni relative al segreto sviluppo di armi biologiche di distruzione di massa e alla sperimentazione di una larga quantità di virus e batteri letali su esseri umani. Ogni medico giapponese accusato confessò di aver commesso terribili crimini contro civili cinesi e di aver utilizzato uomini, donne e bambini sovietici negli esperimenti. I dodici imputati accusarono l’imperatore Hirohito, non solo di essere a conoscenza delle nuove armi nipponiche e di essere profondamente legato al programma di guerra biologica, ma anche di aver dato il via libera alla costruzione delle Unità di Pingfan e Changchun. Il Ministro della Guerra e gli alti ufficiali del governo nipponico furono accusati di aver pianificato operazioni di offensiva biologica. Testimoniarono persino che molti prigionieri di guerra americani erano stati usati come cavie nei test.
I dodici uomini imputati erano:
Yamada Otozoo, generale ed ex comandante in capo dell’Armata del Kwantung;
Ryuji Kajitsuka, tenente generale dei servizi di sanità, batteriologo ed ex capo della Direzione della Sanità dell’Armata del Kwantung;
Takahashi Takaatsu, chimico e biologo, generale di divisione dei servizi veterinari, ex capo di divisione del servizio veterinario dell’Armata del Kwantung;
Kawashima Kiyoshi, batteriologo, generale maggiore del servizio di sanità, ex capo del servizio di produzione dell’Unità 731;
Nishi Toshihide, batteriologo, tenente colonnello del servizio di sanità, ex capo del servizio d’intrattenimento e d’istruzione dell’Unità 731;
Karasawa Tomio, batteriologo, maggiore del servizio di sanità, ex capo della sezione di produzione dell’Unità 731;
Onoue Masao, batteriologo, maggiore del servizio di sanità, ex capo del Distaccamento 643 dell’Unità 731;
Sato Shunji, batteriologo, generale maggiore del servizio di sanità, ex capo del servizio di sanità della V Armata;
Hirazakura Zensaku, veterinario, tenente del servizio veterinario, ex collaboratore dell’Unità 100;
Mitomo Kazuo, sergente maggiore, ex collaboratore dell’Unità 100;
Kikuchi Norimitsu, infermiere stagista al laboratorio del Distaccamento 643 dell’Unità 731;
Kurushima Yuji, ex infermiere del laboratorio del Distaccamento 162 dell’Unità 731.

Come risulta dai verbali del processo, ogni accusato confessò i crimini per i quali stava per essere giudicato, senza avvalersi di alcuna circostanza attenuante. La difesa ammise alla corte sovietica che i suoi clienti erano effettivamente colpevoli delle accuse loro mosse, confidando solamente nella clemenza dei giudici.
Il processo di Khabarovsk non ebbe un forte impatto mediatico, ma allarmò il governo statunitense. Nei lunghi dispacci tra il Dipartimento di Stato USA e il quartier generale degli uffici di MacArthur a Tokyo si cercò di coprire ai media occidentali tutte le informazioni disponibili sul procedimento giudiziario. Molti commenti erano annessi alle comunicazioni segrete tra Washington e Tokyo, che vennero usati come linee guida alle domande che la stampa americana poneva al governo per una presa di posizione nei confronti di ciò che stava accadendo a Khabarovsk.
Ancor prima dell’avvio del processo, si aprì un dibattito tra USA e URSS relativo alla valenza puramente politica del procedimento. Gli Stati Uniti accusavano i sovietici di utilizzare Khabarovsk come risposta alle accuse americane di detenere ancora prigionieri di guerra giapponesi, sebbene le accuse di guerra biologica al Giappone non fossero legate alla risoluzione della questione dei prigionieri di guerra. Il Dipartimento di Stato portò avanti la tesi che l’Unione Sovietica aveva l’intenzione di utilizzare Khabarovsk per mettere in pericolo i negoziati di pace con il Giappone, che stavano per avere inizio, vista la brevissima durata del procedimento giudiziario. Si desume dai dispacci statunitensi che le lunghe indagini portate avanti dall’URSS fino al dicembre del 1949, erano dovute al fatto che i sovietici si mostravano interessati ad acquisire le informazioni dai tecnici giapponesi relative alla guerra biologica. Il governo sovietico, inoltre, avrebbe potuto accusare gli USA di essersi già accaparrati i dati relativi alle armi biologiche da utilizzare in un futuro scontro contro il blocco comunista. L’ambasciatore americano a Mosca credeva che i sovietici stessero preparando da lungo tempo un processo dimostrativo e che aspettassero solamente il momento adatto per metterlo in scena.

Dall’altro lato, la stampa sovietica mise bene in evidenza come molti criminali giapponesi non fossero presenti al Processo di Khabarovsk e il fatto che Ishii Shiro e molti suoi colleghi fossero al sicuro e liberi in Giappone. I media accusarono gli Stati Uniti di non aver presentato al Tribunale Militare Internazionale di Tokyo le prove dell’IPS relative ai crimini di guerra biologica e sottolinearono come l’imperatore Hirohito e importanti membri della casa imperiale fossero indubbiamente legati a tali atrocità. La risposta statunitense a queste accuse venne fornita da un portavoce di MacArthur che affermò che nella sezione chimica giapponese e nei suoi quartier generali non era stato trovato nulla di particolarmente significativo riguardo all’uso di armi letali batteriologiche da parte del Giappone. Indubbiamente vero, come è vero che i reparti chimici non erano coinvolti, se non in minima parte, nelle accuse contro i medici giapponesi. Il portavoce continuò nelle sue mistificazioni affermando che i nipponici avevano usato, nei loro test, solamente animali e cavie da laboratorio e negò persino il fatto che prigionieri di guerra statunitensi fossero stati utilizzati negli esperimenti, cosa che invece fu confessata da più d’uno degli indagati a Khabarovsk. Lo stesso Joseph Keenan, capo dell’IPS e quindi sicuramente a conoscenza delle prove che inchiodavano i medici giapponesi, affermò che gli investigatori non avevano trovato nessuna prova evidente che militari statunitensi fossero stati utilizzati come cavie da laboratorio, mentre il quotidiano russo Izvestia dichiarò che Keenan “chiuse gli occhi quando, nel settembre 1946, i membri sovietici del collegio dell’accusa al Processo di Tokyo gli consegnarono, in quanto capo della delegazione statunitense, le prove a carico dei personaggi di spicco dell’Unità 731. […] Quelle prove dimostravano come i militari giapponesi fossero stati impegnati in azioni di guerra biologica e in terribili esperimenti su esseri umani”. Il quotidiano sovietico, una volta terminato il processo, chiese che Ishii Shiro, in quanto mente del programma di guerra biologica e colpevole di atroci crimini, fosse sottoposto a giudizio da parte delle forze di occupazione USA in Giappone. L’ufficio di MacArthur a Tokyo negò le accuse a carico di Ishii e contro gli Stati Uniti, riguardo alla copertura dei criminali nipponici, bollandole come un’ingannevole propaganda rossa.

Nel 1950, la casa editrice Edizioni in Lingue Straniere di Mosca pubblicò i documenti relativi al Processo di Khabarovsk, ma in forma ridotta e riassunta. Sebbene sia stata per lungo tempo l’unica risorsa pubblica sul programma di guerra biologica portato avanti dal Giappone che potesse essere consultata dagli studiosi, i diciotto volumi relativi ai quattro anni di indagine non sono ancora accessibili al pubblico. Ciò potrebbe effettivamente provare la tesi statunitense che anche i sovietici si siano impadroniti dei terribili segreti delle armi invisibili.

I dodici giudicati a Khabarovsk furono condannati a pene detentive che andavano da un minimo di due anni ad un massimo di venticinque. Nessuno fu condannato a morte malgrado la natura dei crimini di cui si era macchiato, sebbene la legislazione sovietica prevedesse la pena capitale per reati di entità infinitamente minore. Tutti furono poi rimpatriati nel 1956, anno delle liberalizzazioni seguite alla morte del dittatore sovietico Josif Stalin. Una pena così lieve fu probabilmente dovuta al vantaggio che il governo sovietico avrebbe potuto ottenere dall’acquisizione di informazioni utili e segrete da parte dei tecnici giapponesi. Infatti, subito dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale e probabilmente usando i dati raccolti dagli scienziati giapponesi, venne stabilita presso Sverdlovsk in Unione Sovietica, ad est della catena degli Urali, una struttura per la ricerca sulle armi biologiche. Questo stabilimento è tristemente noto per un incidente che avvenne a fine marzo del 1979, quando una fuga di spore di antrace e di additivi chimici vari contaminò tutta l’area intorno all’impianto e alla città causando oltre sessanta morti.


1 Documents Relatifs au Procès, op. cit., pp. 35-36.


2 Sheldon H. Harris, Factories of Death, op. cit., p. 228.


3 Daniel Barenblatt, I Medici del Sol Levante, op. cit., pp. 284-285.


4 Per un maggiore approfondimento consultare: Ken Alibek, Stephen Handelman, Biohazard: The Chilling True Story of the Largest Covert Biological Weapons Program in the World–Told from Inside by the Man Who Ran It, Random House, 1999, pp. 70-86 e Joshua Lederberg, Biological Weapons: Limiting the Threat, Belfer Center for Science and International Affair, Cambridge 1999, pp. 193-209.

CONTINUA....