sabato 6 aprile 2019

Rete Italiana per il Disarmo “compie” 15 anni: occasione di festa e rilancio

Si celebra oggi l’anniversario di fondazione di Rete Disarmo, che lavora ogni giorno alla costruzione della Pace attraverso percorsi di disarmo. Il lancio della RID avvenne il 19 marzo 2004 in Campidoglio a Roma.
19 marzo 2019
Fonte: Rete Italiana per il Disarmo - 19 marzo 2019
Quindici anni di mobilitazioni, azioni, campagne, analisi e approfondimenti di tutti i percorsi di Disarmo positivi e capaci di costruire la Pace. E’ quanto celebra oggi insieme a tutte le sue aderenti la Rete Italiana per il Disarmo che in questa data compie il proprio 15o anno di attività. La RID venne infatti fondata il 19 marzo del 2004 a Roma con una conferenza stampa nella Sala delle Bandiere del Campidoglio e una successiva cerimonia di sottoscrizione in Aula Giulio Cesare - da parte di numerose organizzazioni della società civile italiana - di un protocollo d’intesa divenuto poi la base per numerose collaborazioni e attività congiunte.
Foto Promotori RID Aula Giulio Cesare 19 marzo 2004
Il motivo per cui la RID venne fondata, con unainnovativa modalità di lavoro comune e a diretto seguito della campagna congiunta in difesa della legge 185/90 sull’export militare Italiano, era la necessità condivisa di trovare un luogo unitario in cui gli sforzi di ciascuna organizzazione, pur nelle ovvie differenze di tipologia e di obiettivi, potessero trovare un compimento più efficace e di impatto. Potendo dunque interagire con tutti gli appuntamenti di Pace in Italia (dalla Marcia Perugia-Assisi all’Arena di Pace e Disarmo, dalle iniziative congiunte nazionali su temi e conflitti specifici alle azioni locali dei propri gruppi territoriali).

Ed è proprio quanto successo in questi anni, in cui la Rete Italiana per il Disarmo è diventata ogni giorno di più il riferimento specifico in Italia per le campagne riguardanti le spese militari, il controllo dell’export di armi, il controllo della diffusione degli armamenti e delle armi leggere e di piccolo calibro, le iniziative di difesa civile nonviolenta, le campagne internazionali di messa al bando di specifiche tipologie di armi. Un riferimento importante (anche attraverso studi, pubblicazioni, convegni, interventi su giornali e televisioni) sicuramente per l’opinione pubblica e soprattutto per la società civile coinvolta nei movimenti per la Pace, ma anche per le Istituzioni sia Governative sia Parlamentari come dimostrano i numerosi incontri audizioni, partecipazioni ad iter legislativi, confronti avuti in questi anni.
La Rete Italiana per il Disarmo ha inoltre lavorato per tessere percorsi di collaborazione con tutte le campagne internazionali sui temi di propria competenza. Non a caso è divenuta riferimento per l’Italia per campagne e reti come Control Arms, lo European Network Against Arms Trade, la International Campaign to Abolish Nuclear Weapons (Premio Nobel per la Pace 2017), la Campaign to Stop Killer Robots, lo European Forum on Armed Drones, la Global Campaign On Military Spending. Tutte
realtà di cui è partner e che permettono di proiettare anche fuori dei confini italiani la presenza e l’attività di RID.
A quindici anni di distanza dalla fondazione le organizzazioni aderenti della Rete Disarmo considerano questo esperimento, che viene continuamente valutato e aggiornato nelle proprie modalità per rimanere fedele all’idea iniziale in maniera proattiva, un successo positivo e uno strumento da continuare a far vivere per realizzare al meglio quelle aspirazioni di Disarmo e di Pace che sono iscritte nel DNA stesso di tutte le aderenti. È importante notare come la natura dei membri di RID sia diversa per dimensioni, tipologia di attività, struttura, mission, ma ciò non impedisce un proficuo lavoro comune che hacome risultato qualcosa di più grande della somma dei singoli contributi di ciascuno.
Nell’attuale situazione mondiale che vede una crescita costante nelle spese militari e nella produzione e commercio di armi, con un conseguente aumento di conflitti, terrorismo, azioni violente è fondamentale a nostro parere la presenza di organismi di coordinamento che possano stimolare e gestire al meglio istanze e proposte politiche di tutt’altro segno e direzione, per costruire un mondo migliore
Con lo slogan “Ecco perché si deve costruire la pace con il disarmo. Ecco perché c’è bisogno di Rete Disarmo!” la RID intende dedicare tutto il 2019 alla celebrazione del proprio 15o anniversario, intensificando il proprio lavoro nelle campagne e mobilitazioni in cui è coinvolta e rendendole sempre più visibili a tutta l’opinione pubblica. Nelle prossime settimane verranno lanciate nuove attività di comunicazione per migliorare ancora di più la diffusione di dati e analisi compiuti dalla Rete nell’ambito delle proprie Campagne, puntando all’organizzazione collettiva di una iniziativa pubblica forte e condivisa per il prossimo autunno con l’obiettivo di rilanciare anche nel nostro Paese una vera agenda politica di Disarmo, alla stregua di quanto proposto dal Segretario Generale delle Nazioni Unite.
Per oggi, intanto, celebriamo questi 15 anni di risultati positivi raggiunti per tutti.
Firma protocollo RID
https://www.disarmo.org/rete/a/46326.html?fbclid=IwAR2TfC_l12Aj2_vXXv3jQnIWMtcJcpx0TfuO-V5qMRZT1K6mKYocS2wkZ2Q

Rinviata ancora discussione alla Camera risoluzioni sul conflitto in Yemen, inerzia inaccettabile.

La società civile: siamo increduli di fronte a tanta inerzia, non è più accettabile, occorre fermare subito le bombe e dare inizio a un ruolo positivo e pro-attivo da parte dell’Italia.
4 aprile 2019
Fonte: Amnesty International Italia - Fondazione Finanza Etica - Movimento dei Focolari Italia - Oxfam Italia - Rete della Pace - Rete Italiana per il Disarmo - Save the Children Italia 
- 04 aprile 2019

La discussione di due risoluzioni sul conflitto in Yemen, ferme da ben cinque mesi in Commissione Esteri della Camera dei Deputati, calendarizzata per l’ennesima volta la settimana scorsa e poi spostata a ieri, è stata nuovamente rinviata.
La società civile: siamo increduli di fronte a tanta inerzia, non è più accettabile, occorre fermare subito le bombe e dare inizio a un ruolo positivo e pro-attivo da parte dell’Italia.

Ieri (3 Aprile) la Commissione Esteri della Camera avrebbe dovuto finalmente discutere, e auspicabilmente votare, due risoluzioni presentate già da diversi mesi, riguardanti la situazione del conflitto in Yemen. Pochi giorni fa, in occasione del quarto anniversario dall’inizio delle ostilità, molti parlamentari hanno speso parole accorate e preso solenni impegni per fermare quella che è stata definita la più grave crisi umanitaria in corso, quindi ci aspettavamo passi avanti significativi che, ancora una volta, non ci sono stati.
Yemen Can't Wait
Il conflitto in questi anni ha avuto impatti devastanti sulla popolazione civile yemenita. Decine di migliaia di vittime, tra cui tantissimi bambini, continue violazioni di diritti umani, crimini di guerra accertati da esperti internazionali, bombardamenti di ospedali (di pochi giorni fa l’ultimo) e strutture sanitarie al collasso, difficoltà di accesso ad acqua potabile, e l’epidemia di colera come conseguenza di tutto ciò.

Sin dall’inizio del conflitto molte Organizzazioni della società civile italiana hanno sottolineato la propria preoccupazione non solo per la sua evoluzione e le drammatiche conseguenze sulla popolazione civile, ma anche sulla fornitura di armi di produzione italiana ad alcune delle parti coinvolte nei combattimenti.
Oggi, alla luce del continuo ingiustificato, e oramai ingiustificabile, rinvio del dibattito alla Camera dei Deputati, le nostre Organizzazioni chiedono ancora una volta, e con rinnovato vigore, che il Parlamento ed il Governo si impegnino affinché il nostro Paese assuma un ruolo attivo di facilitazione della fine del conflitto e non contribuisca invece alla sua continuazione con forniture militari. Mentre molti altri Paesi hanno deciso di sospendere l’invio di armamenti (Germania, Paesi Bassi, Belgio, Norvegia, Finlandia tra tutti) l’Italia non può limitarsi ad osservare passivamente l’impatto del conflitto su centinaia di migliaia di civili yemeniti, ma deve al contrario fare scelte forti e concrete.
Le nostre Organizzazioni fanno dunque nuovamente appello ai parlamentari affinché prendano rapidamente una posizione netta ed esplicita per impegnare il Governo italiano a:

attivare e promuovere iniziative concrete per la risoluzione diplomatica e multilaterale del conflitto in corso in Yemen, attraverso un nuovo ciclo di negoziati di pace sotto l'egida delle Nazioni Unite. 
aumentare il budget destinato a questa crisi rispetto agli anni scorsi e finanziare adeguatamente il Fondo di intervento per gli aiuti umanitari, in soccorso alla popolazione civile yemenita martoriata da una catastrofe umanitaria di vaste proporzioni;
imporre (in linea con le risoluzioni del Parlamento europeo del 4 ottobre e 25 ottobre 2018 e nel rispetto della normativa nazionale - legge 185/90 -, del Trattato internazionale sul commercio di armamenti e della Posizione Comune dell’Unione europea sull’export di armamenti) un embargo immediato sulle armi e la sospensione delle attuali licenze di esportazione di armi a tutte le parti nel conflitto dello Yemen, in quanto è presente un chiaro rischio di gravi violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario (come testimoniano numerosi episodi di questi ultimi mesi). L’embargo dovrebbe riguardare anche tutti i tipi di armamento presenti nell’elenco comune delle attrezzature militari e delle tecnologie di uso duale dell'Unione europea al fine di garantire che nessun arma, munizione, equipaggiamento militare o tecnologia, o supporto logistico e finanziario per tali trasferimenti sia oggetto di forniture dirette o indirette alle parti in conflitto nello Yemen né possa essere di sostegno alle loro operazioni militari nello Yemen;
attivare e finanziare il fondo per la riconversione dell’industria militare previsto nella stessa legge 185/90 anche sulla base di una discussione pubblica sull'impatto del complesso militare-industriale italiano sulla instabilità geopolitica (in particolare in Medio Oriente) e nella definizione della politica estera e di sicurezza dell'Italia;
intraprendere iniziative verso le parti in conflitto (in particolare chi utilizza maggiormente lo strumento dei bombardamenti aerei cioè la Coalizione guidata dall’Arabia Saudita e di cui fanno parte anche altri Paesi destinatari dei sistemi d’arma italiani, come gli Emirati Arabi Uniti) affinché siano rigorosamente rispettati i divieti di bombardamento di ospedali, scuole, strutture di cura ricordando che gli ospedali e il personale medico sono esplicitamente tutelati da trattati e convenzioni dal diritto umanitario internazionale, che un attacco deliberato contro i civili e le infrastrutture civili costituisce un crimine di guerra e che gli attacchi alle scuole sono condannati dalla Safe Schools Declaration, di cui l’Italia è tra i primi firmatari. Tutte le parti in conflitto dovrebbero inoltre evitare l’utilizzo di ordigni esplosivi in aree popolate al fine di proteggere i civili nella massima misura possibile.
condannare l’uso di munizioni a grappolo nel conflitto in Yemen e fare pressioni affinché anche l’Arabia Saudita ratifichi il Trattato internazionale sulle munizioni a grappolo e distrugga quelle che ancora possiede;
sollecitare l’istituzione di una indagine internazionale indipendente per esaminare le possibili violazioni del diritto umanitario internazionale da parte di tutte le parti in conflitto, al fine di assicurare la giustizia, le responsabilità e il risarcimento per le vittime. Negli oltre tre anni di conflitto armato numerose sono state le segnalazioni riguardanti violazioni di diritti umani e crimini di guerra, come confermato anche nel rapporto recentemente pubblicato dal Panel of Eminent Expert delle Nazioni Unite.

Gli istituti di credito che fanno affari d’oro con le armi

L’organizzazione internazionale BankTrack ha pubblicato un rapporto in cui monitora i flussi finanziari degli istituti bancari nel mondo. Ecco le banche coinvolte nel business delle armi.

Gli istituti di credito che fanno affari d’oro con le armi

Seppelliti gli scrupoli morali, le banche si sono rituffate a capofitto anche nel business delle armi. Quelle italiane non fanno eccezione, anzi. La relazione del Parlamento diffusa nel 2017 parla chiaro: in un solo anno il valore delle transazioni bancarie legate all’export di armamenti è passato dai 4 miliardi del 2015 ai 7,2 miliardi del 2016 (+80%; +179% se si considera il 2014).
«Unicredit occupa il primo posto nell’elenco delle banche che più appoggiano l’industria bellica» spiegano dalla Fondazione Nigrizia «con una crescita del 356% rispetto al 2015».
In termini percentuali, la performance più sbalorditiva appare quella della Banca Valsabbina. «In un anno le sue “transazioni armate” sono cresciute del 763,8% passando dai 42,7 milioni di euro del 2015 ai 369 circa del 2016».
Al secondo posto troviamo il gruppo Deutsche Bank, con oltre un miliardo di euro fatti transitare sui propri conti e con un +2,6% sul 2015. Al terzo posto la banca britannica Barclays, con oltre 771 milioni di euro e con una crescita del 113,8% rispetto al 2015. I primi tre gruppi da soli rappresentano il 57% dell’ammontare complessivo delle esportazioni definitive. Le banche Popolare di Sondrio, Banco Popolare, Banca popolare dell’Emilia Romagna e Banca popolare dell’Etruria rientrano tra le prime 14 e sono comparsi per la prima volta in classifica due istituti finanziari giapponesi: The Bank of Tokyo-Mitsubishi Ufj Ltd e la Sumitomo Mitsui Banking Corporation. Lo Stato, anche se indirettamente, veste i panni del giocatore con la Sace Fct, società di factoring di Sace, la S.p.A. del gruppo italiano Cassa Depositi e Prestiti controllata all’80% dal ministero dell’economia.

LA FINANZA E IL SETTORE DEGLI ARMAMENTI

Contributo di Giorgio Beretta della campagna di pressione “Banche Armate” 



Risultati immagini per immagini banche armate

Il rapporto tra le istituzioni finanziarie e le aziende del settore militare è da tempo oggetto di attenzione da parte della società civile internazionale ed in particolare delle associazioni che si prefiggono un controllo attivo sulla produzione e sul commercio dei sistemi militari e delle armi di piccolo calibro per promuovere politiche di disarmo o anche solo di maggior trasparenza sulle attività dell’industria militare o, più semplicemente, per prevenire esportazioni di armi che possano esseri utilizzate per la repressione interna, l’aggressione internazionale o contribuire all’instabilità regionale. Le crescenti interconnessioni tra le industrie degli armamenti – le cui cento principali aziende hanno registrato nel 2012 vendite di sistemi militari per circa 395 miliardi di dollari, cifra che equivale al prodotto interno lordo dei 72 Paesi più poveri del mondo – e i gruppi bancari e finanziari preoccupano ampi strati della società civile internazionale sia per l’opacità che caratterizza questi settori, le cui operazioni sono spesso coperte dal segreto militare e bancario, sia per l’incidenza dei fenomeni corruttivi: uno studio dello Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI) riporta che il commercio degli armamenti, pur rappresentando solo una piccola percentuale di tutto il commercio mondiale, comprende circa il 40% di tutta la corruzione globale, imponendo così un pesante fardello sia ai paesi fornitori che ai paesi acquirenti e danneggiando le stesse istituzioni democratiche. Il quadro internazionale Queste interconnessioni indicano l’ampliarsi di quel “complesso militare-industriale” riguardo al quale il presidente americano Dwight D. Eisenhower metteva in guardia gli Stati Uniti già negli anni Cinquanta e che oggi, in regime di globalizzazione, va sempre più configurandosi come un “complesso militare-finanziario-industriale internazionale”. Alla sua espansione stanno contribuendo in modo crescente i recenti processi di privatizzazione e internazionalizzazione delle maggiori imprese militari occidentali e il ruolo sempre più preponderante dei gruppi bancari e finanziari sulle attività del mondo industriale e in particolare delle aziende, come quelle del settore militare, che necessitano di ampi e costanti investimenti per la ricerca e lo sviluppo di nuovi sistemi e tecnologie. Tutto ciò sta avendo notevoli ripercussioni sia sugli attori statali (governi, rappresentanze politiche, ecc.) per quanto concerne l’effettiva possibilità di determinare in modo autonomo e incondizionato le proprie politiche riguardo ai sistemi per la difesa e di implementare dei criteri limitativi sulle esportazioni di armamenti, sia sulla capacità degli attori non statali (associazioni e movimenti della società civile, rappresentanze dei lavoratori ecc.) di incidere sulle politiche nazionali di produzione ed esportazione di armamenti. Sono questioni che riguardano da vicino soprattutto i paesi dell’Unione europea e, in particolare, l’Italia. Come evidenzia un recente documento del Comitato economico e sociale europeo, la necessità per le industrie del settore degli armamenti di minimizzare i costi di progettazione e sviluppo dei propri sistemi militari e, più di recente, di far fronte alla riduzione degli stanziamenti disponibili per i budget militari a seguito della crisi economico-finanziaria “sta trasformando alcuni ministri della Difesa in promotori delle esportazioni esplicitamente riconosciuti”. In questo contesto, gli sforzi tesi ad attuare una politica estera e di sicurezza comune, ridefinendo anche il ruolo e la funzione dell’industria europea della difesa, rischiano di essere sopraffatti da logiche di tipo industriale e finanziario, dalla necessità cioè delle industrie militari da un lato di mantenersi concorrenziali in un mercato globale degli armamenti sempre più competitivo e dall’altro di dover rispondere ai propri azionisti e finanziatori privati più che ai rappresentanti politici democraticamente eletti. Le campagne internazionali e le attività finanziarie nell’industria militare Alle storiche iniziative, promosse soprattutto da movimenti religiosi, di boicottaggio delle attività a sostegno della produzione di armi, tabacco, prodotti alcolici e pornografici, sono subentrate a partire dagli anni Ottanta diverse campagne più specificamente dirette verso le istituzioni bancarie che finanziano la produzione di sistemi d’arma e il loro commercio. Negli anni recenti sono state soprattutto di tre tipi le iniziative internazionali che hanno posto l’attenzione sulle attività finanziarie a sostegno del settore degli armamenti: la prima, promossa soprattutto dall’ong belga Netwerk Vlaanderen (oggi FairFin) e dalla sezione olandese di IKV Pax Christi ha diffuso diversi rapporti sulle istituzioni finanziarie coinvolte nella produzione di bombe a grappolo (cluster bombs); la seconda, promossa dalla International Campaign to Abolish Nuclear Weapons (ICAN) ha diffuso due rapporti sulle attività delle istituzioni finanziarie pubbliche e private a sostegno delle industrie coinvolte nella produzione, manutenzione e modernizzazione delle armi nucleari; la terza, promossa da un ampio gruppo di associazioni di paesi europei, ha reso noto rapporti e informazioni sia sulle attività delle Agenzie di Credito a favore dell’esportazione di sistemi militari, sia sui gruppi bancari internazionali e nazionali che forniscono servizi all’esportazione di armamenti. Le campagne nei confronti delle istituzioni finanziarie coinvolte nella produzione di ordigni nucleari e di bombe a grappolo si caratterizzano innanzitutto per rivolgere la loro attenzione verso specifici settori della produzione di armamenti, quelli cioè dagli effetti indiscriminati e devastanti come gli ordigni nucleari o particolarmente brutali come le bombe a grappolo. Sono sistemi di armamento verso cui la società civile internazionale mostra da tempo una forte e ampia sensibilità che spesso però il mondo bancario tende a minimizzare definendo questi sistemi come “controversi”: si tratta di fatto – e come tali andrebbero definititi – di armi di distruzione di massa la cui proliferazione è vietata da trattati internazionali (le bombe nucleari) o esplicitamente messe al bando, come le munizioni a grappolo. Entrambe queste campagne hanno un triplice merito: innanzitutto hanno saputo identificare le industrie in qualche modo coinvolte nella produzione di questi sistemi militari; in secondo luogo hanno rivelato, grazie soprattutto alle preziose informazioni fornite dalla società di ricerche Profundo, i tipi di finanziamento e di servizi offerti dai maggiori gruppi bancari internazionali alle industrie produttrici di questi armamenti; in terzo luogo, hanno saputo promuovere specifiche azioni di pressione nei confronti degli istituti bancari per chiedere di porre fine ai finanziamenti e ai servizi a sostegno della produzione di questi sistemi. Non vanno però sottovalutati i limiti e i problemi di queste campagne: circoscrivere l’attenzione a specifiche tipologie di armamento come gli ordigni nucleari e le bombe a grappolo può infatti indurre a considerare in qualche modo meno rilevanti – se non addirittura a legittimare – le operazioni finanziarie collegate alla produzione e commercializzazione delle armi convenzionali e delle armi di piccolo calibro che sono quelle maggiormente impiegate nei conflitti attuali. Ma soprattutto, porre il centro di interesse sulle attività di partecipazione e di finanziamento, diretto o indiretto, dei gruppi bancari alle aziende produttrici di questi sistemi militari espone queste campagne ad una critica sostanziale: quella di incidere su un settore la cui produzione non riguarda, tranne alcuni casi specifici, solamente – e talvolta nemmeno principalmente – i sistemi militari ma che realizza soprattutto sistemi civili. [Tra le aziende identificate da queste campagne figurano, ad esempio, la Boeing (solo un terzo dei sistemi che vende è di tipo militare), la RollsRoyce (all’incirca un quarto) o il gruppo europeo EADS (poco più di un quinto)]. In questo senso, se è certamente necessaria la richiesta alle istituzioni bancarie che finanziano queste aziende di escludere tutte le operazioni che riguardano la produzione di armi di distruzione di massa o dagli effetti indiscriminati, è invece meno efficace la semplice richiesta di “disinvestire” dalle aziende a produzione militare e civile: occorrerebbe, piuttosto, promuovere azioni di disinvestimento mirate allo specifico settore degli ordigni nucleari e delle bombe a grappolo – o anche al più generale settore militare – per promuovere gli investimenti nel settore civile di queste aziende. Le campagne nazionali e la responsabilità sociale delle banche Queste due campagne, però, hanno fornito un importante contributo di informazioni anche alle associazioni che chiedono ai gruppi bancari di definire criteri più stringenti di responsabilità sociale d’impresa per il settore degli armamenti convenzionali e soprattutto di migliorare la trasparenza per le operazioni di finanziamento e di servizi alla produzione e alla commercializzazione di sistemi militari e delle armi di piccolo calibro. Pur mettendo in atto campagne soprattutto a livello nazionale anche queste iniziative stanno ottenendo risultati importanti soprattutto per quanto riguarda l’implementazione da parte dei gruppi bancari con sede nell’Unione europea di direttive atte a regolamentare le operazioni con un settore, quello dell’industria militare che, sebbene abbia come principali acquirenti i ministeri della difesa, ricava ampi profitti dalla vendita di armamenti a paesi in zone di conflitto, in cui si verificano costanti violazioni dei diritti umani e forti limitazione delle libertà democratiche e che, pur presentando bassi indici di sviluppo umano e ampi strati di povertà tra la popolazione, impiegano ampie risorse nella spesa militare. Da diversi anni sono infatti i paesi del Medio Oriente e del Nord Africa, della Penisola araba e del Subcontinente indiano i principali destinatari dei sistemi militari esportati dai paesi dell’Unione europea. In questo contesto vanno segnalate le campagne promosse dalle già menzionate associazioni belghe Netwerk Vlaanderen (oggi FairFin) e olandesi IKV Pax Christi presso le banche dei rispettivi paesi, quelle dirette verso le banche con sede in Spagna promosse dalla Commissione Giustizia e Pace di Barcellona insieme al Centro Studi per la Pace J. M. Delàs, all’associazione SETEM che promuove la finanza etica e all’Osservatorio sul Debito nella Globalizzazione (ODG), quelle in Francia promosse dall’associazione Amis de la Terre (Amici della Terra), in Germania dall’associazione Urgewald e dalla campagna Facing Finance. Ma soprattutto è da segnalare l’attività della Campagna di pressione alle “banche armate” che, promossa dal 2000 dalle riviste “Missione Oggi” dei missionari saveriani, “Nigrizia” dei missionari comboniani e “Mosaico di pace” dell’associazione Pax Christi, è stata sostenuta da numerose associazioni della società civile italiana attente ai temi della finanza responsabile e del disarmo. Grazie alle iniziative di questa campagna tutti i maggiori gruppi bancari italiani hanno emanato direttive più rigorose per quanto riguarda gli specifici settori del finanziamento all’industria militare e soprattutto per le operazioni a sostegno delle esportazioni di armamenti italiani: alcuni istituti bancari hanno deciso di escludere totalmente dalla propria operatività queste operazioni (tra questi Monte dei Paschi di Siena, IntesaSanpaolo, Banca Popolare di Milano, Banco Popolare, Credito Valtellinese, ecc.), altri hanno deciso di limitare fortemente e di rendere trasparenti le proprie operazioni nel settore (tra questi soprattutto UBI Banca e Banca Popolare dell'Emilia Romagna), altre ancora di regolamentarle in modo più stringente (tra queste UniCredit e Crédit Agricole) o di circoscriverle solo ad alcuni paesi alleati (tra queste la banca BNL). Ciò ha inevitabilmente comportato una maggiore attività nel settore da parte di gruppi bancari esteri (soprattutto BNP Paribas e Deutsche Bank) favoriti anche dalla minor trasparenza su queste operazioni nelle rispettive legislazioni nazionali. Va però notato che anche in Italia, a partire dall’ultimo governo Berlusconi, la trasparenza in questo settore è stata fortemente intaccata: la sezione della relazione predisposta dal Ministero dell’Economia e delle Finanze risulta infatti mancante del voluminoso “Riepilogo in dettaglio suddiviso per Istituti di Credito” presente nelle Relazioni governative fin dall’entrata in vigore della legge n. 185 che dal 1990 regolamenta l’esportazione di sistemi militari italiani. Una mancanza, mai giustificata al Parlamento, che ha comportato la sottrazione di informazioni di primaria importanza non solo per verificare l’attuazione delle direttive emanate dalle banche italiane ma soprattutto per implementare forme di pressione puntuali e precise anche sulle banche estere. Questa sottrazione di informazioni non è certo frutto di una dimenticanza: sono state infatti numerose le richieste da parte della Campagna “banche armate” ai governi che si sono succeduti di ripristinare quella sezione della Relazione. E non va dimenticato che proprio le attività della campagna e le conseguenti direttive assunte dagli istituti bancari nazionali sono state oggetto delle reiterate lamentele della potente Federazione Aziende Italiane per l’Aerospazio, la Difesa e la Sicurezza (AIAD) che ha ripetutamente esplicitato le proprie rimostranze per l’assunzione da parte dei gruppi bancari nazionali di direttive limitative nei confronti delle industrie del settore militare. Segno evidente che le campagne della società civile, se ben dirette e documentate, possono incidere anche in un settore quanto mai opaco come quello dell’industria degli armamenti che non solo movimenta miliardi di euro, ma che soprattutto dovrebbe rispondere alla domanda di pace e di sicurezza delle popolazioni più che alle logiche del profitto e del mercato. 







LITURGIA DI DOMENICA 6 APRILE



LITURGIA DEL GIORNO
- Rito Romano -
   





 PRIMA LETTURA 

Is 43,16-21
Dal libro del profeta Isaìa

Così dice il Signore,
che aprì una strada nel mare
e un sentiero in mezzo ad acque possenti,
che fece uscire carri e cavalli,
esercito ed eroi a un tempo;
essi giacciono morti, mai più si rialzeranno,
si spensero come un lucignolo, sono estinti:
«Non ricordate più le cose passate,
non pensate più alle cose antiche!
Ecco, io faccio una cosa nuova:
proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?
Aprirò anche nel deserto una strada,
immetterò fiumi nella steppa.
Mi glorificheranno le bestie selvatiche,
sciacalli e struzzi,
perché avrò fornito acqua al deserto,
fiumi alla steppa,
per dissetare il mio popolo, il mio eletto.
Il popolo che io ho plasmato per me
celebrerà le mie lodi».

 SALMO 

Sal 125
Grandi cose ha fatto il Signore per noi.

Quando il Signore ristabilì la sorte di Sion,
ci sembrava di sognare.
Allora la nostra bocca si riempì di sorriso,
la nostra lingua di gioia.

Allora si diceva tra le genti:
«Il Signore ha fatto grandi cose per loro».
Grandi cose ha fatto il Signore per noi:
eravamo pieni di gioia.

Ristabilisci, Signore, la nostra sorte,
come i torrenti del Negheb.
Chi semina nelle lacrime
mieterà nella gioia.

Nell’andare, se ne va piangendo,
portando la semente da gettare,
ma nel tornare, viene con gioia,
portando i suoi covoni.


 SECONDA LETTURA 

Fil 3,8-14
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippési

Fratelli, ritengo che tutto sia una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore. Per lui ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero spazzatura, per guadagnare Cristo ed essere trovato in lui, avendo come mia giustizia non quella derivante dalla Legge, ma quella che viene dalla fede in Cristo, la giustizia che viene da Dio, basata sulla fede: perché io possa conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la comunione alle sue sofferenze, facendomi conforme alla sua morte, nella speranza di giungere alla risurrezione dai morti.
Non ho certo raggiunto la mèta, non sono arrivato alla perfezione; ma mi sforzo di correre per conquistarla, perché anch’io sono stato conquistato da Cristo Gesù. Fratelli, io non ritengo ancora di averla conquistata. So soltanto questo: dimenticando ciò che mi sta alle spalle e proteso verso ciò che mi sta di fronte, corro verso la mèta, al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù.


 VANGELO 

Gv 8,1-11
Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro.
Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo.
Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani.
Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più». 

PROPONIMENTO DEL GIORNO



Oggi svolgerò il mio lavoro, sia esso in ufficio, a scuola, in casa o in fabbrica, con serietà ed onestà e lo offrirò al Signore.

LITURGIA DEL GIORNO



LITURGIA DEL GIORNO
- Rito Romano -
  




 PRIMA LETTURA 

Ger 11,18-20
Dal libro del profeta Geremìa

Il Signore me lo ha manifestato e io l’ho saputo; mi ha fatto vedere i loro intrighi. E io, come un agnello mansueto che viene portato al macello, non sapevo che tramavano contro di me, e dicevano: «Abbattiamo l’albero nel suo pieno vigore, strappiamolo dalla terra dei viventi; nessuno ricordi più il suo nome».
Signore degli eserciti, giusto giudice,
che provi il cuore e la mente,
possa io vedere la tua vendetta su di loro,
poiché a te ho affidato la mia causa.


 SALMO 

Sal 7
Signore, mio Dio, in te ho trovato rifugio.

Signore, mio Dio, in te ho trovato rifugio:
salvami da chi mi perseguita e liberami,
perché non mi sbrani come un leone,
dilaniandomi senza che alcuno mi liberi.

Giudicami, Signore, secondo la mia giustizia,
secondo l’innocenza che è in me.
Cessi la cattiveria dei malvagi.
Rendi saldo il giusto,
tu che scruti mente e cuore, o Dio giusto.

Il mio scudo è in Dio:
egli salva i retti di cuore.
Dio è giudice giusto,
Dio si sdegna ogni giorno.


 VANGELO 

Gv 7,40-53
Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, all’udire le parole di Gesù, alcuni fra la gente dicevano: «Costui è davvero il profeta!». Altri dicevano: «Costui è il Cristo!». Altri invece dicevano: «Il Cristo viene forse dalla Galilea? Non dice la Scrittura: “Dalla stirpe di Davide e da Betlemme, il villaggio di Davide, verrà il Cristo”?». E tra la gente nacque un dissenso riguardo a lui.
Alcuni di loro volevano arrestarlo, ma nessuno mise le mani su di lui. Le guardie tornarono quindi dai capi dei sacerdoti e dai farisei e questi dissero loro: «Perché non lo avete condotto qui?». Risposero le guardie: «Mai un uomo ha parlato così!». Ma i farisei replicarono loro: «Vi siete lasciati ingannare anche voi? Ha forse creduto in lui qualcuno dei capi o dei farisei? Ma questa gente, che non conosce la Legge, è maledetta!».
Allora Nicodèmo, che era andato precedentemente da Gesù, ed era uno di loro, disse: «La nostra Legge giudica forse un uomo prima di averlo ascoltato e di sapere ciò che fa?». Gli risposero: «Sei forse anche tu della Galilea? Studia, e vedrai che dalla Galilea non sorge profeta!». E ciascuno tornò a casa sua.

venerdì 5 aprile 2019

Libia, ecco qual è il vero obiettivo di Haftar

libica haftar

Dopo i proclami bellicosi, da cui arriva l’annuncio ufficiale dell’avvio delle operazioni militari per la presa di Tripoli, Haftar lancia anche dichiarazioni più distensive e lo fa affidando il suo pensiero al portavoce Ahmed Al Mismari. Quest’ultimo a Bengasi nel pomeriggio di questo giovedì indice un’attesa conferenza stampa, seguita ovviamente da molti giornalisti locali. Ed è in questa sede, per l’appunto, che emerge il “tratto politico” dell’operazione messa in piede dal generale per la presa della capitale. 

“La conferenza nazionale si farà e noi la sosterremo” 

Il primo pensiero quando ben si comprende, durante le fasi di maggior tensione di questo giovedì, che tra Haftar e le forze fedeli al governo di Tripoli si rischia lo scontro frontale, inevitabilmente va alla conferenza nazionale di Ghadames. Programmata per metà aprile, mentre sul web si diffondono immagini di avanzate dell’esercito di Haftar e di milizie misuratine che convergono su Tripoli, dalla Libia circolano voci su un possibile rinvio dell’appuntamento voluto dall’Onu. La conferenza di Ghadames infatti, è la prima tappa del percorso ideato a novembre dalle Nazioni Unite e dall’alto rappresentante Ghassan Salamé per giungere alla pacificazione del paese africano. Ma con uno scontro militare sempre più evidente a dieci giorni dall’apertura dei lavori, è difficile immaginare in che modo essa possa raggiungere i suoi obiettivi. 

Ed invece Al Mismari riporta le intenzioni propositive di Haftar: “Noi crediamo in questa conferenza – afferma il portavoce del generale nella conferenza stampa, così come riporta l’AdnKronos – Lavoreremo perchè si riveli un successo importante”. Del resto, secondo Al Mismari, quella in corso a Tripoli altro non è che un’operazione anti terrorismo: “Vogliamo ripulire anche l’ovest della Libia da miliziani ed estremisti”, prosegue infatti il portavoce dell’uomo forte della Cirenaica. Quasi a sottolineare come, in realtà, da parte di Haftar c’è solo la voglia di giungere nella capitale non per controllarla ma per attuare l’ultimo piano della sua azione anti terrorismo. 

Tra forza militare e velleità politiche

Ecco quindi l’emergere del “doppio lavoro” di queste frenetiche ore da parte di Haftar. Da un lato si erge a comandante in capo di una delle battaglie che potrebbe risultare tra le più decisive per le sorti della Libia, dall’altro invece appare come un uomo politico pronto a trovare soluzioni diplomatiche alla crisi. Una strategia dal doppio binario dunque, che sottintende quelli che potrebbero essere i veri obiettivi del generale alla base della sua avanzata verso Tripoli. In particolare, pur rompendo gli equilibri instauratisi all’indomani del vertice di Palermo, Haftar non vuole interrompere del tutto il percorso avviato con l’Onu e certificato anche dal recente vertice avuto con Al Sarraj ad Abu Dhabi

Più semplicemente, ad Haftar basta arrivare alla periferia di Tripoli per poter rivendicare ancora più forza proprio a Ghadames e passare all’incasso prettamente politico in sede di conferenza nazionale. Niente deposizione di Al Sarraj, niente stravolgimento dell’attuale quadro istituzionale e niente stop al piano delle Nazioni Unite: non c’è da aspettarsi nessuna di queste ipotesi. Il generale vuole solo dimostrare la sua capacità nel prendersi il paese anche sparando pochi colpi. L’eventuale avanzata definitiva su Tripoli prima dell’appuntamento di Ghadames, altro non è che l’ultimo tassello prima di presentarsi al cospetto degli altri attori libici come unico soggetto realmente indispensabile per il futuro della Libia. E, in fondo, a lui preme quasi esclusivamente questo.

PROPONIMENTO DEL GIORNO


Reciterò trentatrè Gloria Patri in onore dei trentatrè anni vissuti da Gesù con Maria sua madre.


LITURGIA DI OGGI



LITURGIA DEL GIORNO
- Rito Romano -
   



 PRIMA LETTURA 

Sap 2,1.12-22
Dal libro della Sapienza

Dicono [gli empi] fra loro sragionando:
«Tendiamo insidie al giusto, che per noi è d’incomodo
e si oppone alle nostre azioni;
ci rimprovera le colpe contro la legge
e ci rinfaccia le trasgressioni contro l’educazione ricevuta.
Proclama di possedere la conoscenza di Dio
e chiama se stesso figlio del Signore.
È diventato per noi una condanna dei nostri pensieri;
ci è insopportabile solo al vederlo,
perché la sua vita non è come quella degli altri,
e del tutto diverse sono le sue strade.
Siamo stati considerati da lui moneta falsa,
e si tiene lontano dalle nostre vie come da cose impure.
Proclama beata la sorte finale dei giusti
e si vanta di avere Dio per padre.
Vediamo se le sue parole sono vere,
consideriamo ciò che gli accadrà alla fine.
Se infatti il giusto è figlio di Dio, egli verrà in suo aiuto
e lo libererà dalle mani dei suoi avversari.
Mettiamolo alla prova con violenze e tormenti,
per conoscere la sua mitezza
e saggiare il suo spirito di sopportazione.
Condanniamolo a una morte infamante,
perché, secondo le sue parole, il soccorso gli verrà».
Hanno pensato così, ma si sono sbagliati;
la loro malizia li ha accecati.
Non conoscono i misteriosi segreti di Dio,
non sperano ricompensa per la rettitudine
né credono a un premio per una vita irreprensibile.


 SALMO 

Sal 33
Il Signore è vicino a chi ha il cuore spezzato.

Il volto del Signore contro i malfattori,
per eliminarne dalla terra il ricordo.
Gridano i giusti e il Signore li ascolta,
li libera da tutte le loro angosce.

Il Signore è vicino a chi ha il cuore spezzato,
egli salva gli spiriti affranti.
Molti sono i mali del giusto,
ma da tutti lo libera il Signore.

Custodisce tutte le sue ossa:
neppure uno sarà spezzato.
Il Signore riscatta la vita dei suoi servi;
non sarà condannato chi in lui si rifugia.


 VANGELO 

Gv 7,1-2.10.25-30
Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù se ne andava per la Galilea; infatti non voleva più percorrere la Giudea, perché i Giudei cercavano di ucciderlo.
Si avvicinava intanto la festa dei Giudei, quella delle Capanne. Quando i suoi fratelli salirono per la festa, vi salì anche lui: non apertamente, ma quasi di nascosto.
Alcuni abitanti di Gerusalemme dicevano: «Non è costui quello che cercano di uccidere? Ecco, egli parla liberamente, eppure non gli dicono nulla. I capi hanno forse riconosciuto davvero che egli è il Cristo? Ma costui sappiamo di dov’è; il Cristo invece, quando verrà, nessuno saprà di dove sia».
Gesù allora, mentre insegnava nel tempio, esclamò: «Certo, voi mi conoscete e sapete di dove sono. Eppure non sono venuto da me stesso, ma chi mi ha mandato è veritiero, e voi non lo conoscete. Io lo conosco, perché vengo da lui ed egli mi ha mandato».
Cercavano allora di arrestarlo, ma nessuno riuscì a mettere le mani su di lui, perché non era ancora giunta la sua ora.