venerdì 28 settembre 2018

Secondo l’Istat una donna su tre è vittima di abusi

Il 25 di novembre, come ogni anno, si è celebrata la giornata che ricorda la violenza sulle donne e sono stati resi noti i dati riguardanti lo scorso anno, forniti dall’Istat. In questo rapporto sono forniti dati che sintetizzano la gravità del problema, anche se in alcuni casi emergono dei miglioramenti.
L’Istat registra che nel corso della loro vita, almeno una donna su tre subisce abusi, per un totale di circa 7 milioni di donne. Il dato che segnala il miglioramento, è quello degli ultimi 5 anni analizzati, durante i quali la percentuale delle donne che hanno subito violenze sessuali o fisiche è diminuita, passando dal 13,3% all’11,3%. Nello stesso periodo però, sono aumentate notevolmente, passando al 40,2% dal 26,3%, le violenze classificate “gravi”, che comportano ferite nella donna che le subisce.
Un altro dato sul quale riflettere è rappresentato dalla percentuale dei giovani che giustificano le violenze, che secondo un dossier presentato da We World Onlus, è del 25%. Sempre il 25 novembre, Action Aid ha denunciato come ci sia poca trasparenza per quanto riguarda l’uso dei fondi che il governo ha stanziato per la lotta alla violenza, nell’ambito della legge sul femminicidio.
I dati del dossier Istat parlano di 6 milioni e 788mila donne colpite da violenza fisica o sessuale durante l’arco della loro vita, con una percentuale che nelle donne di età compresa tra i 16 ed i 70 anni, raggiunge il 31,5%. La percentuale delle vittime di violenza fisica è al 20,2%, quella di violenza sessuale al 21%, e i casi più gravi di stupri o tentati stupri sono rispettivamente 652mila e 746mila.
Quando si parla di molestie, nella stragrande maggioranza dei casi, il 76,8%, i responsabili sono degli sconosciuti. Per quanto riguarda gli stupri, invece, il responsabile è nel 62,7% dei casi il partner attuale della donna oppure il precedente, con il quale è stata interrotta la relazione. Nel 10,6% dei casi la violenza sessuale sulle donne ha come protagoniste ragazze di età inferiore ai 16 anni. Cresce anche la percentuale dei bambini che hanno dovuto assistere a episodi di violenza in famiglia, nella maggior parte dei casi contro la propria mamma, che sale al 65,2% nello scorso anno, mentre nel 2006 era al 60,3%.
A fronte di questi dati c’è però da registrare una maggiore “consapevolezza” da parte delle donne. Ciò ha permesso un calo della percentuale di violenze negli ultimi 5 anni. Ora le donne riescono ad uscire con più facilità dalle “relazioni a rischio”, in molti casi anche con una denuncia alle autorità. I numeri in questo caso segnano un aumento dal 6,7% all’11,8%. Per quanto riguarda invece gli stupri e i tentativi di stupro, non ci sono variazioni tra il 2006 e il 2014, con la percentuale che è rimasta all’1,2%.
Incrociando questi dati con quelli contenuti nel rapporto “Rosa Shocking 2. Violenza e stereotipi di genere: generazioni a confronto e prevenzione”, che è stato presentato da We World Onlus, insieme a Ipsos Italia emerge un’affermazione abbastanza pericolosa. Il 32% dei maschi di età compresa tra 18 e 29 anni ritiene che gli episodi di violenza devono essere affrontati e risolti all’interno della mura di casa. Oltre a questo, il 25% degli intervistati ha definito come giustificazione delle violenze il troppo amore nei confronti della propria donna, oppure l’esasperazione alla quale i violenti arrivano per colpa di atteggiamenti delle donne.
ActionAid ha invece posto l’attenzione sull’utilizzo dei fondi stanziati contro la violenza sulle donne, sottolineando come ci sia in effetti poca trasparenza. Solo 6 milioni dei 16,4 stanziati, infatti, sono effettivamente arrivati alle “case rifugio”. Viene anche evidenziato come solo 10 regioni mettono a disposizione la lista delle strutture che hanno ricevuto i contributie solo cinque di queste hanno pubblicato online i dati relativi ad ogni singola struttura.

La condizione delle donne in Guinea: matrimoni forzati e violenza domestica

Costrette a sposarsi da adolescenti e spesso sottoposte a violenze e maltrattamenti dai loro stessi mariti: è questa la tragica condizione di molte donne in Guinea, schiave fra le mura domestiche e poco tutelate dalla legge.
La maggioranza delle donne in Guinea non è libera di scegliere il proprio consorte ma viene costretta a sposarsi ancora minorenne con un uomo molto più grande designato ed imposto dalla sua famiglia. Non è un caso se nel Paese l’85% delle violenze perpetrate a danno delle donne si svolgono fra le mura domestiche.

Schiave fra le mura domestiche

Il 67% dei casi riguarda aggressioni in cui gli aguzzini sono i mariti, mentre nel restante 33% si tratta di altri componenti del nucleo familiare. In base ai dati forniti dallo studio “Un ritratto di violenza contro le donne in Guinea- Bissau”, il 41% delle donne intervistate ha dichiarato di non aver scelto liberamente il proprio coniuge.
la-condizione-delle-donne-in-guinea

I diritti (calpestati) delle donne

Nel 2014 in Guinea Bissau è stata promulgata la legge “sulla criminalizzazione di tutti gli atti di violenza praticati nell’ambito delle relazioni domestiche e familiari” ma a tutt’oggi non esistono casi giudicati, nonostante i dati parlino chiaro circa la condizione delle donne fra le mura domestiche. Fra il 2006 e il 2010 le autorità di sicurezza e giudiziarie hanno registrato ben 23.193 casi di violenza domestica ma la maggioranza delle vittime, il 71%, non ha mai sporto denuncia. Ogni anno in tutto il Paese vengono denunciati in media solo 5 casi di violenza domestica.
la-condizione-delle-donne-in-guinea
I motivi che spingono una donna a non denunciare è anzitutto la non conoscenza della legge che le tutela e dei diritti legali delle donne, ma anche la mancanza di competenza da parte delle strutture statali e della polizia e l’incapacità dello Stato stesso e delle organizzazioni tradizionali di creare una rete di protezione a favore delle vittime.

I matrimoni forzati e le spose bambine

I matrimoni forzati sono una pratica consolidata in Guinea-Bissau e non esiste una normativa chiara in merito, pertanto molte ragazzine già dall’età di 14 anni vengono costrette a sposarsi e ad essere precocemente madri. Come spiega la coordinatrice del progetto “Mani Tese” Paola Toncich, “Il matrimonio forzato non solo influenza i principi di libertà ed autodeterminazione di una donna, ma mette anche a rischio la sua integrità morale e fisica. La situazione è ancora più grave se associata al matrimonio in tenera età, con conseguenze negative come abusi sessuali, gravidanza precoce, abbandono scolastico e mortalità materna”.
donna-picchiata

“Libere dalla violenza”, un progetto in aiuto delle donne della Guinea

In occasione della giornata internazionale della donna ha preso il via il progetto “Libere dalla violenza” finanziato dall’Unione Europea, al fine di sostenere ed accompagnare le donne vittime di maltrattamenti e violenze. L’impossibilità di accedere al sistema giudiziario formale per le donne della Guinea è uno dei grandi scogli da superare per assicurare alle vittime un’adeguata protezione giudiziaria e delle forze di polizia, oltre a garantire i servizi sociali di emergenza in modo da facilitare il recupero e il reinserimento sociale di quelle donne vittime di violenza, incluse le ragazzine che fuggono da un matrimonio forzato.
Nel Paese verranno creati tre centri regionali per il servizio di attenzione alla vittima e una casa rifugio che servirà a garantire assistenza psicologica, sociale, educativa e legale a queste donne”, ha spiegato Paola Toncich. Oltre a questi spazi, ne verranno adibiti altri più informali formati da gruppi di famiglie che in maniera indipendente e autonoma accoglieranno le donne. Il progetto è in collaborazione con un partenariato internazionale.

Torture, abusi e molestie: ex colf indiane descrivono gli orrori sul lavoro in Arabia Saudita

La coraggiosa testimonianza di due donne tenute in schiavitù dai propri datori di lavoro arabi.
Due donne indiane che lavoravano come domestiche in Arabia Saudita hanno deciso di testimoniare la loro terribile esperienza per rompere il silenzio sulle condizioni lavorative disumane alle quali centinaia di donne migranti vengono sottoposte ogni anno. Le due infatti venivano tenute in stato di schiavitù dai propri datori di lavoro e sono state oggetto di torture ed abusi sessuali.

La coraggiosa testimonianza di Noorjahan

“I proprietari della casa in cui lavoravo mi hanno trattato davvero male: erano soliti picchiarmi ogni giorno, molestarmi e torturarmi” ha dichiarato la trentottenne Noorjahan Akbar Husen durante un’intervista rilasciata a Rt News. Lei e suo marito erano stati truffati da un agente di Mumbai, che aveva promesso loro un lavoro sicuro a Riyadh, ma poi, una volta arrivati in Arabia Saudita erano stati separati e la donna è stata condotta in un’altra città, a Dammam, dove è cominciato l’incubo. Veniva costretta persino a prostituirsi nella casa in cui veniva tenuta in prigionia. La sua lotta per ottenere la libertà è durata diversi anni.
molestie-in-arabia-saudita
“Quando ho informato l’ambasciata indiana mi è stato detto di continuare a lavorare, e che se mi fossi lamentata delle mie condizioni il proprietario avrebbe potuto avanzare una falsa denuncia nei miei confronti, facendo arrestare sia me che mio marito. Chiedevo loro aiuto tutti i giorni, ha raccontato Noorjahan, che ora vive nuovamente a Ahmedabad, in India.

Un incubo senza fine

Il datore di lavoro, grazie alle sue numerose conoscenze all’ambasciata indiana, le aveva impedito in ogni modo di lasciare il Paese. “Mio marito ha chiesto aiuto in molte occasioni al ministro degli Esteri indiano Sushma Swaraj ma lui non è mai intervenuto” ha spiegato la donna, aggiungendo che l’unico modo per riuscire ad ottenere aiuto è stato quello di corrompere i funzionari dell’ambasciata. “Alla fine mi dissero che potevano aiutarmi, ma per la cifra di 250 mila rupie [circa 3.700 dollari]. Ho chiesto un prestito per avere quella somma. Mio marito sta ancora lavorando in Arabia Saudita per poter rimborsare quel denaro ai creditori”.

Un fenomeno molto diffuso ma di cui non si parla

Noorjahan ha raccontato di aver visto circa 200 ragazze nella sua stessa condizione a Dammam. Donne che, come lei, avevano deciso di emigrare in Arabia Saudita con la speranza di poter guadagnare bene ma che poi si sono ritrovate in condizioni di schiavitù e sottoposte ad ogni tipo di vessazione da parte del datore di lavoro. L’umiliazione era parte del lavoro: venivamo trattate come animali. Se anche osavamo accennare una protesta venivamo picchiate e trascinate per i capelli”.
molestie-in-arabia-saudita

Il racconto di Fatima

Un’altra donna, Anjum Fatima, anche lei truffata da dei presunti agenti di lavoro, ha raccontato che le persone che l’avevano assunta come domestica la costringevano a lavorare anche dopo essersi ammalata. “Mi picchiavano molto. Ho sofferto di terribili mal di stomaco e non mi hanno mai dato medicine per curarmi. Per sei mesi ho lavorato sino alle 2 del mattino, anche quando stavo male, e durante la notte mi torturavano. Se non erano soddisfatti del mio lavoro, mi lanciavano acqua bollente sul viso” ha raccontato Fatima.
La sua storia è molto simile a quella di Noorjahan: anche lei migrata in Arabia Saudita insieme al marito per cercare fortuna. Le era stato promesso un lavoro come cuoca a Medina, invece il suo datore di lavoro l’aveva condotta in una zona rurale della provincia Al-Qassim, offrendole una paga che era meno della metà della somma pattuita inizialmente, soldi che in realtà non ha mai ricevuto. Per poter tornare a casa lei ed il marito si sono rivolti alla polizia locale, che però si è sempre rifiutata di intervenire. Fatima ha deciso infine di inviare la sua storia al Times of India, uno dei più importanti quotidiani indiani. Quando la notizia si è diffusa, il datore di lavoro ha smesso di torturarla e alla fine le ha permesso di rimpatriare.

L’appello delle due donne affinché si sappia ciò che accade in Arabia Saudita

Noorjahan e Fatima hanno voluto testimoniare la loro traumatica esperienza per salvare altre donne dagli orrori che sono state costrette a sopportare e hanno lanciato un appello per dissuadere le persone dall’emigrare in Arabia Saudita in cerca di lavoro. “Vorrei dire a tutti coloro che vogliono trasferirsi in Arabia per lavorare e che sognano di diventare ricchi che è tutto falsoè una grande menzogna. Le persone che finiscono là vengono torturate, vessate e sfruttate sessualmente. Personalmente ho speso più soldi di quelli guadagnati in Arabia Saudita per tornare al mio Paese. Le altre donne dovrebbe evitare di andarci e non ripetere il mio stesso errore. Ho toccato con mano quanto possa essere orribile la vita in Arabia Saudita”, ha detto Fatima.

Le violazioni dei diritti umani in Arabia: leggi mai applicate

Nel 2013, l’Arabia Saudita ha approvato una legge sugli abusi domestici, la prima nella storia del Paese. Essa afferma che tutte le forme di abuso fisico e sessuale in ambiente domestico e sul posto di lavoro sono punibili con fino adun anno di prigione e una multa. A detta dei funzionari si tratterebbe solo della prima di una serie di misure per far diventare l’Arabia Saudita un Paese islamico tollerante. Nonostante ciò, l’Arabia fa ancora notizia per le ripetute violazioni dei diritti umani.
Secondo un recente rapporto di Amnesty International donne e bambine continuano a subire discriminazioni e non sono adeguatamente protette contro gli abusi sessuali. Sono ancora considerate legalmente subordinate ed inferiori rispetto agli uomini. L’organizzazione internazionale Human Rights Watchha attaccato più volte il Paese per la critica situazione sui diritti umani. Gran parte dei 9 milioni di lavoratori immigrati in Arabia Saudita, che costituiscono la metà della forza lavoro del Paese, subiscono ogni giorno abusi, percosse, stupri e sfruttamento in condizioni di semi schiavitù.

Violenza sugli uomini da parte delle donne: non parliamo solo di femminicidio!

Non solo femminicidio: la violenza di genere è anche quella delle donne sugli uomini, molto più subdola e psicologica. La violenza di genere porta a pensare al femminicidio, ma si tratta di violenza contro un genere, sia esso quello femminile che quello maschile. Senza nulla togliere alla violenza contro le donne che è un reato ignobile che merita le punizioni sancite dalla legge (e a volte anche più pesanti) non bisogna dimenticare che esiste anche il reato della violenza delle donne contro gli uomini. Certo non si tratta di una violenza fisica, non si tratta di una violenza che fa male nel comune senso del termine, ma che è più subdola e altrettanto lesiva. Sono donna e so quanto una donna può essere cattiva, calcolatrice e subdola quando lo vuole e il maschicidio, anche se nessuno ne parla, provoca circa 200 suicidi l’anno.

L’uomo è la parte forte e aggressiva? Non sempre

Legati agli stereotipi che l’uomo è la parte forte della coppia, che è la parte aggressiva, che è più forte fisicamente e che un uomo che subisce una violenza è un debole  molto spesso gli uomini che subiscono ingiustizie e violenza preferiscono tacere piuttosto che parlarne e soffrono in silenzio.
Sono 5mila gli uomini che ogni anno subiscono violenza silenziosamente dalle donne: false accuse di stalking (non che poi non ce ne siano a migliaia di vere!), false accuse di violenza sessuale, pressione esercitata dalle madri sui figli per allontanarli dal padre, richiesta di mantenimento come arma di vendetta in caso di separazione e divorzio, lancio di oggetti come reazioni a liti, morsi, pugni, graffi. Le violenze, quindi, sono sia fisiche che psicologiche e l’uomo, molto spesso, non risponde perché reagire con uno schiaffo a quello della donna sarebbe sproporzionato.
Ogni anno, in Italia, ci sono 200 padri si suicidano perché le ex mogli gli impediscono di vedere i figli, donne che usano i bambini quali strumento di vendetta, che denigrano la figura paterna non pensando minimamente che non fanno del male solo all’ex marito ma anche alla prole che, per vergogna, arriva a negare di avere un padre subendo, quindi, dei gravi squilibri psicologici. Si tratta di quella che in Italia è stata chiamata alienazione parentale e che molti giudici stanno cercando di contrastare escludendo le mamme dall’affidamento dei figli(solo nei casi più gravi però). L’Europa, però, ha più volte bacchettato l’Italia per non garantire al padre il diritto di visita ai figli minori ma in Italia mancano proprio le leggi a tutela del diritto di visita.

Violenza di genere: femminicidio e maschicidio

Quale donna non abborro soltanto il femminicidio ma la violenza in genere, su ogni persona, maschio o femmina che sia: chi è vittima di violenza è indifeso e vittima, chi pratica la violenza è il carnefice.
Quindi quando sento parlare di violenza da parte delle donne sugli uomini non me la sento di dire che è un sorte di legge del contrappasso per pareggiare i conti per le migliaia di vittime di femminicidio: non sono stati quegli uomini lì a commettere violenza sulle donne. Ogni violenza è a sè e ogni carnefice va punito ma il punto fondamentale è che le donne, essendo più subdole la loro violenza la fanno non lasciando tracce visibili, non la praticano lasciando lividi ma ferite interiori molto più difficili da rimarginare proprio perché nessuno le vede e nessuno le conosce.

Le Start up nella Blockchain Finance a livello internazionale



di Filippo Renga, Laura Grassi e Giacomo Vella

Osservatorio Digital Finance, School of Management del Politecnico di Milano
L’Osservatorio Digital Finance della School of Management del Politecnico di Milano si è recentemente occupato, nell’ambito di un importante progetto sul tema Blockchain, dell’analisi delle startup attive in ambito finance, identificandone 63 finanziate per più di 1 milione di dollari a livello internazionale.
A differenza dei primi anni, in cui la gran parte delle startup e dei finanziamenti si è concentrata negli Stati Uniti (36 startup finanziate per 781 milioni di dollari), recentemente sono nate diverse realtà anche nel resto del mondo, in paesi quali Gran Bretagna e Irlanda (4 startup finanziate per 145 milioni di dollari), Giappone(3 startup finanziate per 39 milioni di dollari) e Canada (2 startup finanziate per 87 milioni di dollari) o nuove realtà come Singapore (3 startup finanziate per 28 milioni di dollari) e Israele (2 startup finanziate per 21 milioni di dollari), con un livello complessivo di finanziamenti delle prime dieci startup pari a oltre 800 milioni di dollari.
Inoltre, dallo studio sono emerse 3 principali tipologie di servizi offerti dalle startup, evidenziando l’eterogeneità delle soluzioni adottate per sfruttare le caratteristiche della Blockchain. Alcune startup sviluppano soluzioni verticali (16% del campione), ossia creano una Blockchain ad hoc per uno specifico utilizzo (ad es. Ripple) o una Blockchain multipurpose adattabile a vari utilizzi a seconda delle esigenze (ad es. Chain). Altre stanno sviluppando soluzioni e offrendo servizi grazie all’interazione con una Blockchain già esistente (79% del campione), sfruttando ad esempio le caratteristiche di Bitcoin, di Ripple o di Ethereum. Infine, ci sono startup che hanno sviluppato soluzioni accessorie (5% del campione), che non comportano quindi un’aggiunta di informazioni sulla Blockchain di riferimento: è questo il caso di Elliptic che permette di identificare attività illecite sulla Blockchain del Bitcoin.
Abbiamo accennato in questo primo articolo a due dei numerosi messaggi emersi che verranno discussi e approfonditi in pubblicazioni dedicate e in occasione del Tavolo di Lavoro in partenza.



Le caratteristiche delle tipologie di servizi offerti dalle startup


Segnaliamo la lettura del servizio dedicato alla presentazione dei dati dell’Osservatorio Digital Finance sul mondo banking pubblicato da Pagamenti Digitali
Segnaliamo anche la lettura dell’articolo di Pagamenti Digitali
Fonte:

Blockchain, tutto quello che c’è da sapere e che non osi chiedere

Secondo Alex Tapscott, co-autore del bestseller “The blockchain revolution” la blockchain ha il potenziale per rivoluzionare tutta la finanza globale, la pubblica amministrazione, la sanità, l’istruzione.
E’ un argomento molto ricorrente oggi nei media che trattano di tecnologia e innovazione, tuttavia essendo un tema complesso e tecnico, per la maggior parte dei non addetti ai lavori la comprensione di questa nuova tecnologia è piuttosto approssimativa.
Vogliamo quindi consigliare la lettura di un articolo molto completo realizzato sull’argomento dalla testata Blockchain4Innovation (Gruppo Digital360, come Startupbusiness), un articolo che parte dalla definizione di blockchain per andare al suo funzionamento, ai diversi campi di applicazione, alle diversificazioni tecnologiche. Abbiamo estratto una sintesi per dare risposta alle domande più comuni.

Introduzione

Per alcuni la Blockchain è la nuova generazione di Internet, o meglio ancora è la Nuova Internet. Per maggior precisione si ritiene che possa rappresentare una sorta di Internet delle Transazioni e per coloro che guardano oltre al concetto di transazione può rappresentare la Internet del Valore. Per altri è la rappresentazione digitale di quattro concetti molto chiari e forti: decentralizzazione, trasparenza, sicurezza e immutabilità.Per altri ancora, come accennato, è la chiara declinazione in digitale di un nuovo concetto di Trust. E per queste ragioni alcuni ritengono che la Blockchain possa assumere anche un valore quasi “politico“, ovvero come piattaforma che consente lo sviluppo e la concretizzazione di una nuova forma di democrazia, realmente decentralizzata e realmente in grado di garantire a tutti la possibilità di verificare, di “controllare”, di disporre di una totale trasparenza, di dare vita ad archivi immutabili e condivisi e dunque per questo inalterabiliimmodificabili e dunque immuni da corruzione.
Per un certo periodo la Blockchain è stata confusa, o meglio identificata con la Bitcoin, ovvero con una declinazione della Blockchain e in particolare a quella che sta alla base della digital currency o criptomoneta bitcoin. Forse per quest’ultima ragione la Blockchain appare spesso associata a un concetto di monetica, di digital currency e di payment. In realtà, come vedremo, la Blockchain può essere utilizzata anche come piattaforma di payment o come strumento per creare delle digital currency a partire dall’esempio appunto più conosciuto rappresentato dal bitcoin, ma non è necessariamente limitata a questo campo di applicazione.

Definizione – Che diavolo vuol dire catena dei blocchi?

La blockchain è un protocollo di comunicazione, che identifica una tecnologia basata sulla logica del database distribuito (un database in cui i  dati non sono memorizzati su un solo computer ma su più macchine collegate tra loro, chiamate nodi).
Si tratta di una base di dati fatta di blocchi che memorizzano blocchi di transazioni valide correlate da un marcatore temporale (timestamp). Ogni blocco include l’hash (una funzione algoritmica informatica non invertibile che mappa una stringa di lunghezza arbitraria in una stringa di lunghezza predefinita) del blocco precedente, collegando i blocchi insieme. I blocchi collegati formano una catena, con ogni blocco addizionale che rinforza quelli precedenti.
La Blockchain è anche un registro pubblico e condiviso costituito da una serie di client. La Blockchain è organizzata per aggiornarsi automaticamente su ciascuno dei client che partecipano al network. Ogni operazione effettuata deve essere confermata automaticamente da tutti i singoli nodi attraverso software di crittografia, che verificano un pacchetto di dati definiti a chiave privata o seme, che viene utilizzato per firmare le transazioni. Garantendo l’identità digitale di chi le ha autorizzate.

Chi ha inventato la blockchain?

La blockchain pare essere stata ideata da Satoshi Nakamoto (pseudonimo dell’inventore della blockchain e del suo codice sorgente), e resa famosa dal suo protocollo più conosciuto, la moneta virtuale Bitcoin.
Satoshi Nakamoto rivela il proprio progetto e la propria visione nell’ottobre del 2008 con la pubblicazione di un white paper che parla e descrive la possibilità di sviluppare una digital currency indipendente da ogni ente o istituzione centrale nella forma di bitcoin. Il tutto con un percorso di sviluppo del codice che Nakamoto ha iniziato nel 2007.
Il white paper denominato Bitcoin: A Peer-to-Peer Electronic Cash System incontra subito un grande interesse, in particolare perché apre una prospettiva per gli scambi monetari e finanziari in forma decentralizzata. Al white paper segue nel gennaio 2009 il lancio del primo software bitcoin con la inaugurazione della digital currency nella forma della prima unità di bitcoin cryptocurrency in versione 0.1 sulla piattaforma di sviluppo Sourceforge
Con quel primo importante white paper Nakamoto punta l’attenzione sul core design del modello Blockchain che appare in grado o nella condizione di supportare un ampio numero di tipologie di transazioni. Il white paper è stato poi accompagnato dal rilascio di un website denominato bitcoin.org (qui la versione italiana Bitcoin.org/it ): e promuove un modello di sviluppo basato sulla collaborazione con altri sviluppatori.

Ma perché la Blockchain è così speciale?

Ecco le caratteristiche che rendono così importante questa tecnologia:
  • Affidabilità: la blockchain è affidabile. Non essendo governata dal centro, ma dando a tutti i partecipanti diretti una parte di controllo dell’intera catena, la blockchain diventa un sistema meno centralizzato, meno governabile, ed allo stesso tempo molto più sicuro e affidabile, ad esempio da attacchi di malintenzionati. Se infatti soltanto uno dei nodi della catena subisce un attacco e si danneggia, tutti gli altri nodi del database distribuito continueranno comunque ad essere attivi ed operativi, saldando la catena e non perdendo in questo modo informazioni importanti.
  • Trasparenza: le transazioni effettuate attraverso la blockchain sono visibili a tutti i partecipanti, garantendo così trasparenza nelle operazioni.
  • Convenienza: effettuare transazioni attraverso la blockchain è conveniente per tutti i partecipanti, in quanto vengono meno interlocutori di terze parti, necessari in tutte le transazioni convenzionali che avvengono tra due o più parti (ovvero le banche ed altri enti simili).
  • Solidità: le informazioni già inserite nella blockchain non possono essere modificate in alcun modo. In questo modo le informazioni contenute nella blockchain sono tutte più solide ed attendibili, proprio per il fatto che non si possono alterare e quindi restano così come sono state inserite la prima volta.
  • Irrevocabilità: con la blockchain è possibile effettuare transazioni irrevocabili, e allo stesso tempo più facilmente tracciabili. In questo modo si garantisce che le transazioni siano definitive,  senza alcuna possibilità di essere modificate o annullate.
  • Digitalità: con la blockchain tutto diventa virtuale. Grazie alla digitalizzazione, gli ambiti applicativi di questa nuova tecnologia diventano tantissimi

Chi sono i miner?

Perché un nuovo blocco di transazioni sia aggiunto alla Blockchain è necessario appunto che sia controllato, validato e crittografato. Solo con questo passaggio può poi diventare attivo ed essere aggiunto alla Blockchain. Per effettuare questo passaggio è necessario che ogni volta che viene composto un blocco venga risolto un complesso problema matematico che richiede un cospicuo impegno anche in termini di potenza e di capacità elaborativa. Questa operazione viene definita come “mining” ed è svolta dai “miners“.
Il lavoro dei “miners” è assolutamente fondamentale nell’economia della gestione delle Blockchain. Chiunque può diventare un “miner” e può competere per essere il primo a risolvere il complesso problema matematico legato alla creazione di ogni nuovo blocco di transazioni in modo valido e crittografato che possa essere aggiunto alla Blockchain.
Trattandosi di un impegno importante, come detto con importante dispendio di energie, è un impegno che necessita di essere remunerato e incentivato. Nelle Blockchian “private” o Permissioned questo ruolo è svolto, in funzione della goveranance, dall’autorità che attiva la Blockchain stessa.
Nelle Blockchain pubbliche o Permissionless questo ruolo può essere svolto da qualsiasi partecipante alla Blockchain e il miners viene incentivato con delle forme di remunerazione che dipendono dal tipo di regole o governance definite da ciascuna Blockchain.
Nella maggior parte dei casi il primo miner che crea un blocco valido e lo aggiunge alla catena viene ricompensato con la somma delle commissioni per le sue transazioni. Le commissioni fanno riferimento a valori unitari per ogni singola transazione, ma i blocchi vengono aggiunti regolarmente e possono contenere migliaia di transazioni dunque il valore del miner può essere anche molto significativo. I miner possono inoltre ricevere nuove valute create e messe in circolazione come meccanismo di inflazione, come ad esempio nel caso della Blockchain Bitcoin.

Ma chi è che la usa davvero?

Una lista dei settori economici e industriali in cui la blockchain sta già dispiegando i suoi effetti:
1) Blockchain in finanza e banche
2) Blockchain nelle Assicurazioni
3) Blockchain nei Pagamenti digitali
4) Blockchain nell’Agrifood
5) Blockchain nell’Industry 4.0
6) Blockchain nell’IoT
7) Blockchain nella Sanità
8) Blockchain nella Pubblica amministrazione
9) Blockchain nel Retail

Blockchain è uguale a Bitcoin?

L’associazione con il concetto di Bitcoin può ancora generare qualche equivoco tra i non addetti ai lavori, ma la blockchain – la tecnologia sottostante ai meccanismi che regolano le transazioni in criptovalute (di cui la più nota è appunto il Bitcoin) – sembra destinata ad avere tutt’altro ruolo nelle prossime fasi di sviluppo della finanza mondiale. E non solo.
In particolare il Bitcoin intesa come digital currency utilizza la tecnologia peer-to-peer e attiva transazioni che non necessitano di autorità o istituzioni centrali. L’emissione del Bitcoin è effettuato dalla Rete e la stessa gestione delle transazioni è governata dalla Rete. Si tratta di una operazione “collettiva” cui tutti coloro che lo desiderano possono partecipare aderendo al progetto. La tecnologia Bitcoin è basata su software open source e lo sviluppo è pubblico e condiviso. In altre parole e nel rispetto della visione indicata da Satoshi Nakamoto nel suo White Paper ila Rete Bitcoin non è posseduta o controllata da nessuno, ovvero è posseduta e controllata da tutti coloro che intendono aderire al progetto.

Ethereum, è una specie di bitcoin?

Ethereum è una piattaforma di tipo computazionale che viene “remunerata” attraverso scambi basati su una cryptocurrecny calcolata in Ether. E’ una piattaforma che può essere adottata da tutti coloro che desiderano entrare a far parte della Rete e che in questo modo avranno a disposizione una soluzione che consente a tutti i partecipanti di disporre di un archivio immutabile e condiviso di tutte le operazioni attuate nel corso del tempo e che nello stesso tempo è concepita per non poter essere fermata, bloccata o censurata.
Ethereum potrebbe essere presentato come il più grande computer condiviso che è in grado di erogare una enorme potenza disponibile ovunque e per sempre. Dunque con Ethereum si passa dal concetto di Distributed Database a Distributed Computing.

Ethereum è progettata per essere adattabile e flessibile e per creare facilmente nuove applicazioni. Ethereum è cioè una Programmable Blockchain che non si limita a mettere a disposizione “operations” predefinite e standardizzate, ma permette agli utenti di creare le proprie “operations“. Di fatto è una Blockchain platform che permette di dare vita a diverse tipologie di applicazioni Blockchain decentralizzate non necessariamente limitate alle sole cryptocurrencies.

Una rivoluzione a cavallo di banche e startup, così cresce la Blockchain

Sicurezza, trasparenza, decentralizzazione, efficienza nelle transazioni, ma anche facilità di accesso al credito. Sono questi i bisogni principali a cui risponde la tecnologia Blockchain, non solo quando applicata al mondo della finanza. E sono le ragioni per cui le banche guardano con un misto di curiosità e diffidenza a una serie di soluzioni che, sviluppate da terze parti e nuovi competitor, potrebbero mettere a rischio buona parte delle revenue degli istituti tradizionali. Dunque, le banche studiano, cercando di tenere il passo di un manipolo di startup che stanno fungendo da apripista in quello che potrebbe essere il settore più dinamico dei processi autorizzativi nei prossimi anni. Secondo i dati dell’Osservatorio Digital Finance del Politecnico di Milano, sono 63 in 17 Paesi diversi le imprese Fintech attive quest’ambito che hanno raccolto, nel complesso, oltre un miliardo di dollari di finanziamenti (780 milioni solo negli Stati Uniti), declinando i propri sforzi su tre tipi di proposizioni: piattaforme verticali che offrono come servizio la Blockchain (dieci start up secondo il censimento dell’Osservatorio), funzionalità ad hoc costruite su registri esistenti (50 aziende) e infine API e applicazioni accessorie per l’accesso a queste funzionalità (tre aziende).

Dalle banche all’Internet of Things

«Si stanno creando mondi attorno ai quali crescono costellazioni di opportunità per l’offerta di nuovi servizi e use case», conferma Valeria Portale, direttore dell’Osservatorio Mobile Payment & Commerce, commentando la ricerca. «La Blockchain diventerà essenziale all’interno di sistemi ad alta numerosità di soggetti in cui non esiste conoscenza – e quindi fiducia – tra gli attori. Oltre al Finance, saranno coinvolti settori come il Government e quello delle Assicurazionisenza contare l’impatto che avrà sull’Internet of Things. Qual è l’interpretazione che le banche stanno dando al fenomeno? Esistono gruppi che possono essere definiti scettici, poi ci sono gli esploratori, e infine gli sperimentatori, che hanno addirittura creato team dedicati allo studio della tecnologia. Secondo Coindesk, 14 dei 30 primi istituti a livello internazionale hanno attivato iniziative che fungano come proof of concept legati al lancio di servizi basati sulla Blockchain. Qualunque siano gli sviluppi del settore, una cosa è certa», conclude Portale, «su queste tematiche bisogna lavorare con un approccio cross-industry». E naturalmente sotto l’egida del regolatore.

La Blockchain vista dalla Banca d’Italia

Ma in che modo, attualmente, la Banca d’Italia vede la Blockchain? «Perché un sistema di pagamento possa ricevere il semaforo verde deve garantire efficienza, affidabilità e sicurezza, oltre che scalabilità. In questo senso, secondo le nostre valutazioni la Blockchain non si dimostra sempre all’altezza», spiega Domenico Gammaldi, Direttore Superiore del servizio Supervisione sui Mercati e sul Sistema dei Pagamenti della Banca Italia, il quale tiene a precisare che il regolatore non si limita a bloccare le nuove iniziative, ma anzi funge anzi da facilitatore rispetto a strumenti la cui introduzione è estremamente complessa. «Qualcuno confonde il tempo necessario a ponderare per inattività. Abbiamo cominciato a seguire il fenomeno Bitcoin già dal 2009, studiandolo secondo le finalità che ci ha assegnato la Comunità europea. Si tratta di una vera rivoluzione, perché si passa da un modello piramidale a uno di tipo galattico, o a ragnatela, ed è per questo che occorrono cautela e ulteriori approfondimenti. Il prossimo novembre, per esempio, si terrà a Roma il primo convegno che la Banca d’Italia dedica alla crittografia».

Tra Big Data e IoT

Non è un mistero che anche gli istituti, e persino quelli che si possono definire esploratori, ci stiano andando coi piedi di piombo. «Ci siamo allineati al contesto internazionale che guarda alla Blockchain dal 2014, convinti che il suo valore non risieda solo nel concetto di criptocurrency, ma anche nei principi fondanti della tecnologia», spiega Laura Li Puma, che in Intesa Sanpaolo è numero della divisione ‎Big Data e Internet of Things. «In Italia dunque siamo stati tra i precursori, e nel 2015 abbiamo istituito un team di lavoro permanente guidato dal nostro Innovation center. Nel 2016 sono state completate le prime sperimentazioni, ora la sfida di Intesa è passare dalle applicazioni testate in ambienti sandbox a prodotti scalabili che possano avere ritorni a livello di mercato. Del resto, secondo Matteo Assinnata, Innovator di CheBanca!gli istituti bancari si stanno avvicinando alla Blockchain perché vogliono aumentare i profitti e ridurre i costi dei processi del settlement.

Gli Smart Contract nelle banche e nelle assicurazioni

Demetrio Migliorati conferma che Banca Mediolanum, di cui è Innovation Manager, guarda con attenzione al fenomeno, studiandolo da circa un anno. «Stiamo mettendo al centro delle ricerche le possibili applicazioni che possono generare un ritorno per le nostre attività, sul piano del contenimento costi, dell’interoperabilità delle sinergia all’interno del gruppo, con focus sui temi della moneta di scopo degli Smart contract e delle Speed transaction. I nodi e le implicazioni culturali della questione vengono invece affrontati attraverso workshop erogati a tutti i livelli, coinvolgendo anche il top management. Infine», conclude Migliorati, «c’è il tema legale. Quanto realizzeremo può poi essere sostenuto sul piano delle normative? Per comprendere anche questi aspetti abbiamo avviato un tavolo di lavoro ad hoc con uno dei nostri partner». Una strategia adottata anche in Generali, dove – spiega ‎Ivano Bosisio, Head of Operational Excellence and Head of Procurement – da un anno si tengono convegni per identificare e comprendere use case legati all’utilizzo del protocollo nel settore assicurativo. «Siamo convinti, comunque, che il potenziale insito nell’adozione della Blockchain scaturirà solo facendo rete con altre imprese».

Il ruolo del P2P di Poste e le prospettive di Enel

Non a caso, persino Poste Italiane – che come ricorda Walter Pinci, Responsabile Sistemi di Incasso e Pagamento di Bancoposta, è l’incumbent italiano per quanto riguarda i pagamenti – sta osservando il fenomeno. «In primo luogo perché ci aiuta a comprendere in che direzione stanno andando le tecnologie specialmente negli ambiti delle rimesse e delle transazioni P2P cross-boarder, in seconda istanza perché ci orienta anche rispetto agli investimenti effettuati da Poste sulle start up», precisa Pinci.
Il sostegno alle nuove imprese è un tema centrale pure per Enel, che dispone di un business incubator che risponde direttamente all’amministratore delegato del Gruppo. «Le start up hanno un filo diretto con i livelli apicali dell’azienda, a cui risponderanno anche gli innovation hub di Tel Aviv (appena inaugurato, ndr), Singapore e Silicon Valley», conferma Diego Dal Canto, ‎Innovation Project Manager di Enel. «E il team che si occupa di Blockchain, attivo ormai da un anno, è composto da 15 persone esperte non solo di ICT, ma anche di business. La Blockchain, per noi, non è solo un nuovo protocollo, ma un modo nuovo di vedere le cose».

Blockchain e start up: il fulcro di nuovi modelli di business

Una visione, quella di Dal Canto, confermata dalle nuove imprese che, soprattutto all’estero e in particolare in UK, stanno fiorendo attorno al concetto di consenso distribuito. Christian Miccoli, co-founder di Conio insieme a Vincenzo Di Nicola(già fondatore di GoPago, ceduta ad Amazon) spiega che introdurre le crittovalute e quindi la Blockchain nel mercato significa prima tutto fornire applicazioni semplici che offrano sicurezza (anche sul piano del rispetto delle normative) e semplicità agli utenti finali. Conio va in questa direzione. «Risolve molti problemi di fondo, a partire da quelli di immagine, in quanto è un wallet che permette di acquistare, gestire e spendere Bitcoin in tutta tranquillità, in ottemperanza alle leggi e senza il rischio di finire ingiustamente sotto la lente di ingrandimento di banche e autorità. Le persone non cercano complicazioni, e vogliono essere certe che – anche nel momento in cui lo smartphone viene smarrito o cambia la normativa o, nella peggiore delle ipotesi, Conio chiude – il loro wallet sia comunque disponibile».
Euklid è un’altra start up fintech inglese, ma unica nel suo genere perché unisce alla tecnologia Blockchain l’Intelligenza artificiale. «Abbiamo sviluppato una piattaforma analitica proprietaria che ci permette di prevedere gli andamenti azionari in borsa. La precisione degli insight è talmente elevata che il nostro modello di business si fonda su un meccanismo di remunerazione legato alle performance ottenute dai clienti», dice Giovanni Contini, cofondatore di Euklid, dove la Blockchain funge da cartina di tornasole per i risultati ottenuti dall’azienda. «Il protocollo è garanzia di trasparenza ed etica in una proposizione che è per definizione customer-centric».
Anche Tallysticks punta a innescare una grande rivoluzione: «Le PMI generano il 60% del PIL globale ma ricevono solo il 30% dei finanziamenti complessivi», racconta Nitesh Srivastava, Operations Manager della start up. «Grazie alla Blockchain possiamo reimmaginare il modo in cui vengono gestiti e analizzati i dati finanziari e i processi di finanziamento, collegando le organizzazioni di piccole dimensioni con la grande impresa e gli istituti finanziari per un accesso al credito più semplice».
Ma Blockchain non è solo sinonimo di transazioni: Everledger per esempio sfrutta il protocollo per garantire l’origine e la storia dei beni di lusso, a partire dai diamanti per arrivare ai vini pregiati passando per le opere d’arte. «Everledger è un registro globale fondato sulla Blockchain, la cui immutabilità è alla base dell’identificazione univoca degli oggetti, di cui è possibile conoscere in ogni momento origine, posizione, proprietà attraverso dati incorruttibili», dice Calogero Scibetta, Operations and Business Development Manager della società. «Pur non essendo un’applicazione di natura finanziaria, i nostri clienti sono prevalentemente banche e assicurazioni, per le quali le frodi generano ogni anno perdite per 50 miliardi di euro».