mercoledì 26 settembre 2018

I 1000 burattinai che decidono le sorti del Mondo

1000-burattinai
Sarebbe un’élite molto ristretta, pari soltanto ad un migliaio di persone, quella che dirigerebbe nell’ombra le redini del governo mondiale e controllerebbe indirettamente ogni aspetto delle nostre esistenze. Ecco di chi si tratta.
Chi sono i veri padroni del mondo? Un ristretto numero di persone che non supererebbe i 1000 individui a detta di Fortune, rivista che ogni anno classifica le maggiori imprese statutarie statunitensi in base al loro fatturato. Mille persone di cui la maggior parte della popolazione mondiale nemmeno conosce il nome e non ha idea di che volto abbiano, eppure si tratta dei nuovi governatori del mondo odierno.

Da chi è composta l’élite che governa il mondo

I primi 500 sono principalmente degli amministratori delegati, inseriti nella lista di Fortune 500. Questi gruppi internazionali smuovono una rete di affari costituita da 7 milioni di persone. Controllano la produzione di armamenti, di energia, di cibo, di acqua ma anche l’informazione e la politica, divenuta ormai una fedele servetta dell’economia e dei suoi capricci.
1000-burattinai

La fame nel mondo e l’obesità: due facce della stessa medaglia

Le strategie predatorie ed egemoniche di questi individui stanno via via devastando il pianeta ed i suoi abitanti. Per fare un esempio concreto, la sola industria del trash food ha condotto i Paesi più agiati ad alimentarsi in maniera sempre meno sana, rendendo sovrappeso oltre 2 miliardi di persone (di cui mezzo miliardo obesi clinici). In questi Paesi, ogni anno, muoiono ben 3 milioni e 400 mila persone per patologie legate ad un’alimentazione errata ed eccessiva. Nel mentre, nel Sud del Mondo, quasi un miliardo di esseri umani vivono nella totale indigenza, soffrendo la malnutrizione36 milioni i morti ogni anno a causa della fame. E pensare che circa il 40% del cibo prodotto da tali industrie controllate dai 1000 viene buttato.
1000-burattinai
Sarebbero sufficienti circa 50 miliardi di dollari per evitare queste morti. Una cifra risibile se si considera che vengono spesi circa 500 miliardi soltanto per la pubblicità e ben 1800 per gli armamenti. Nei Paesi “poveri”, o meglio, impoveriti, sino a 40 anni fa, prima che le “super èlite” economiche vi allungassero le mani, non si soffriva di malnutrizione. La distruzione delle economie di sussistenza, l’imposizione di monocolture finalizzate alla produzione di mangime per animali da allevamento e l’abbattimento dei dazi doganali hanno rotto un equilibrio millenario.

5 banche padrone dell’economia virtuale

I restanti 500 “padroni del globo” a detta dell’Ufficio del Tesoro statunitense sarebbero personalità legate prettamente al mondo finanziario. Si tratta di cinque banche: Bnp-ParibasCredit SuisseUbsDeutsche Bank  e Citycorp-Merill Linch. A queste si aggiungono cinque divisioni bancarie e società di intermediazione mobiliare come Hsbc UsaCitybankGoldman SachsJ.P. Morgan e Bank of America. Queste figure gestiscono l’economia virtuale che ha superato di gran lunga quella reale. Un ingente flusso di capitale che circola attraverso i computer di banchieri e speculatori internazionali ai quali è stato permesso di monitorare persino l’emissione della moneta.
1000-burattinai
I capi di governo dei 35 Stati membri dell’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), fra cui anche l’Italia, sono dei “vassalli” di questi 1000 signori che tengono le redini del potere, e sono – in maniera conscia o meno – complici di una vera e propria “colonizzazione” delle coscienze. La maggior parte dei capi di governo oggi paiono infatti recitare un copione dove è già tutto scritto e deciso da tempo. Il primo esempio della storia fu Ronald Reagan nel 1980. Uscire dagli schemi predefiniti non è contemplato, pena la sostituzione dell’attore in questione.

Un potente e pericoloso governo ombra

Questi 1000 burattinai costituiscono una sorta di governo ombra a livello mondiale che si accaparra consenso tramite la grande macchina dei favori. Un esempio significativo è il Nobel per la pace dato all’ex presidente degli Usa Barack Obama. La maggior parte degli intellettuali come economisti, giornalisti, politici, docenti paiono essere caduti in questa rete. Il dissenso non è concesso, pena l’emarginazione o, peggio ancora, l’eliminazione fisica. Basti pensare a Saddam Hussein e Mu’ammar Gheddafi, oppure, pensando ad esempi di casa nostra, ad Aldo Moro e ad Enrico Mattei. Una politica oligarchica che sicuramente nulla ha di democratico: una prigione di vetro della quale non possiamo scorgere nemmeno le sbarre.
1000-burattinai

Mediterraneo discarica nucleare: le bombe inabissate dagli USA in Italia

bombe-chimiche-usa
Al largo delle coste italiane gli Stati Uniti hanno occultato interi arsenali di ordigni bellici vietati, incluse bombe chimiche, che stanno tuttora avvelenando il Mediterraneo. 
La Seconda guerra mondiale miete ancora delle vittime, a oltre settant’anni di distanza dalla sua conclusione. E lo fa in Italia, per la precisione nel mar Mediterraneo, al largo delle coste del Bel Paese, dove gli alleati anglo-americani hanno affondato in maniera deliberata interi arsenali di ordigni vietati, caricati con sostanze chimiche, destinati ad annientare Germania, Italia e Giappone. Bombe chimiche pronte all’uso ma illegali perché vietate dal Protocollo di Ginevra datato 17 giugno 1925.

Discariche chimiche nel Mare Nostrum

Quasi tre quarti di secolo dopo, quegli ordigni a base di sostanze chimiche – fra cui fosforofosgenearsenico e iprite – si trovano ancora nel mar Mediterraneo e lo stanno lentamente, ma inesorabilmente, avvelenando. Queste discariche chimiche, inoltre, vennero realizzate all’insaputa delle autorità italiane, nascondendo gli arsenali in fretta e furia al termine della guerra. Lo scopo probabilmente era evitare che venisse alla luce il fatto che si trattasse di ordigni vietati non impiegabili nel corso del conflitto.
I documenti che riguardano l’operazione di occultamento delle bombe sono ancora parzialmente top secret. Tuttavia, diverse ricognizioni effettuate sui fondali dei nostri mari hanno permesso di individuare con una certa precisione le aree in cui sono collocati tali ordigni. In alcuni casi, sono stati anche trovati i relitti di diverse bombe chimiche. Secondo uno studio diffuso dall’Ispra nel 2006, i veleni tossici presenti all’interno degli ordigni sono già penetrati nella catena biologica e giunti fino a noi.
bombe-chimiche-usa

Le conseguenze degli ordigni chimici sull’ambiente e l’uomo

Chi ne ha fatto le spese? In primo luogo i pescatori: anche in questo caso si è cercato di occultare i documenti per evitare che divenissero di pubblico dominio. Le cartelle cliniche dei pescatori colpiti da particolari malattienon sono accessibili poiché secretate secondo quanto disposto da Winston Churchill. L’allora premier della Gran Bretagna poteva imporre tali decisioni in quanto al tempo i porti italiani erano sotto il controllo deimilitari d’Oltremanica. Gli ordigni chimici inabissati nei mari italiani verso la fine della Seconda guerra mondiale sono stati oltre 200 mila.

Dove si trovano gli ordigni chimici inabissati?

Le bombe proibite finora localizzate si trovano nei fondali bassi, al largo di Molfetta e del Gargano, altre poco distanti dall’isola di Ischia e nel mare di Sardegna. La scelta di inabissare alcuni di questi ordigni nel mareAdriatico può essere definita doppiamente criminale dato che si tratta di un bacino chiuso le cui acque superficiali impiegano per il ricambio oltre un centinaio di anni.
bombe-chimiche-usa

Nessuna scusante

Le circostanze eccezionali della Seconda guerra mondiale non possono essere ritenute un’attenuante poiché gli Stati Uniti sembrano considerare i nostri mari una discarica in cui eliminare armi illegali. Ciò che è avvenuto nel 1945 si è poi ripetuto durante il conflitto nella ex Jugoslavia. In tale frangente ad essere gettati nell’Adriatico furono gli ordigni a base di uranio impoverito che, a distanza di vent’anni, si trovano ancora lì, a dispetto delle promesse di bonifica fatte sia dai governi italiani che dalla Nato. Gli unici che, invece, avrebbero dovuto occuparsi di bonificare i mari che hanno avvelenato, ovvero gli Stati Uniti, se ne sono lavati le mani, lasciando nelle nostre acque le loro bombe fuorilegge.

INQUINAMENTO: IN ITALIA AUMENTANO I TUMORI INFANTILI

Molfetta (24 settembre 2018) - foto MP


 di Gianni Lannes

Va tutto bene? Il cancro industriale è una cancrena istituzionale: quello bellico (ignorato) è anche peggio. Un esempio? Taranto dove i cinquestelle avevano promesso la chiusura della micidiale acciaieria in campagna elettorale solo per raccattare voti. Nel belpaese aumentano le malattie oncologiche nelle zone più inquinate con tanto di autorizzazione dello Stato italiano e delle regioni, mentre sale l’incidenza tra i più giovani. Altro che morbillo e vaccini obbligatori. A proposito: l'aerosolchemioterapia bellica della NATO che perdura in Italia dal 2002, influisce ad ammorbare l'aria?





 Molfetta (24 settembre 2018) - foto MP



La comunità scientifica è al corrente da tempo: l’inquinamento di acqua, terra e aria ha ricadute pesanti sul benessere e rappresenta un fattore di rischio acclarato per lo sviluppo di malattie a carico dell’apparato respiratorio e cardiovascolare e, per l’appunto, di malattie oncologiche. Se ne è discusso il 19 settembre scorso alla Camera dei Deputati in occasione del convegno “Emergenza cancro – fattori ambientali modificabili e stili di vita non corretti”, organizzato dalla Società Italiana di Medicina Ambientale (Sima) in collaborazione con Confassociazioni Ambiente.


 Molfetta (24 settembre 2018) - foto MP
  
I dati ufficiali parlano chiaro, basta compulsarli fino in fondo: già nel 2016 il ministero della Salute aveva diffuso una mappa delle aree più contaminate d’Italia, associata al rischio di sviluppare malattie oncologiche: dai dati emergeva un incremento che arrivava fino al 90% in soli 10 anni, in particolare per tumore alla mammella, alla tiroide e mesotelioma, notoriamente legati all’esposizione a diossina, amianto, petrolio, policlorobifenili e mercurio. Ma c’è dell’altro: gli effetti dell’inquinamento colpiscono soprattutto i più piccoli. Uno studio condotto nel 2017 dall’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro, attestano ancora gli scienziati al convegno capitolino, ha evidenziato una maggiore incidenza di tumori nei bambini tra 0 e 14 anni e negli adolescenti tra 15 e 19 anni nell’area europea che comprende Italia, Cipro, Malta, Croazia, Spagna e Portogallo. la tendenza è confermata dall’ultimo rapporto Sentieri (Studio Epidemiologico Nazionale dei Territori e degli Insediamenti Esposti a Rischio da Inquinamento) dell’Istituto Superiore di Sanità, che rileva un’“emergenza cancro” tra i più giovani, con un aumento medio del 9% dei tumori maligni infantili (soprattutto linfomi non-Hodgkin, sarcomi e leucemie) in 28 dei 45 siti italiani maggiormente inquinati.

 Molfetta (24 settembre 2018) - foto MP

I tumori infantili non sono così rari come si vuol far credere alla popolazione: “Generalmente si pensa al cancro come a una malattia della terza età e si sostiene che il trend continuo di incremento di tumori nel corso del XX secolo in tutti i Paesi industrializzati possa essere spiegato mediante la teoria dell’accumulo progressivo di lesioni genetiche stocastiche e il miglioramento continuo delle nostre capacità diagnostiche”, ha dichiarato Ernesto Burgio, membro dell’European Cancer and Environment Research Institute (Eceri) di Bruxelles. “In genere si afferma che i tumori infantili sono una patologia rara. È opportuno però ricordare come, in termini assoluti, uno su 5-600 nuovi nati si ammalerà di cancro prima del compimento del quindicesimo anno d’età; come, nonostante i significativi miglioramenti prognostici degli ultimi decenni, il cancro rappresenti la prima causa di morte per malattia nei bambini che hanno superato l’anno d’età; come anche in questa fascia d’età, a partire dagli anni 1980-90, si sia assistito a un aumento significativo della patologia tumorale”.In ogni caso, l'avvelenamento dell'aria è uno dei fattori inquinanti più pericolosi e più taciuti.


riferimenti:


Yemen, Spagna blocca armi ai sauditi. E l’Italia?

Yemen – Il recente massacro di bambini yemeniti condotto dalla coalizione a guida saudita ha spinto il ministero della Difesa spagnolo a cancellare un accordo da 9,2 milioni di euro per vendere bombe di precisione Saudis 400 al regime saudita.
spagnaIl ministero della Difesa spagnolo ha annunciato lunedì scorso che restituirà i 9,2 milioni di euro già pagati dall‘Arabia Saudita per acquistare 400 bombe di precisione di fabbricazione spagnola, per timore che potrebbero essere utilizzate per colpire persone innocenti nello Yemen, secondo quanto riferito da El Mundo. L’accordo sulle armi era stato negoziato e messo a punto dagli ex ministri della Difesa Pedro Morenés Eulate e Maria Dolores de Cospedal.
Tuttavia, il recente attacco terroristico contro un autobus che trasportava studenti yemeniti, che ha causato l’uccisione di 51 persone, tra cui 40 bambini, ha spinto il ministro incombente Margarita Robles a rivedere tutti gli accordi sulle armi con il regno arabo. La recente decisione di congelare il contratto di vendita di bombe sarebbe la prima fase del processo di revisione.
Amnesty International afferma che la Spagna è il quarto Paese nella lista dei principali esportatori di armi al regime di Riyadh. In uno dei contratti più recenti, il costruttore navale spagnolo di proprietà statale Navantia ha firmato un contratto da 1,8 miliardi di euro per vendere cinque piccole navi da guerra all’Arabia Saudita. L’accordo è stato firmato ad aprile dal principe ereditario saudita e dal ministro della Difesa Mohammed bin Salman dopo l’incontro con il suo omologo spagnolo Cospedal a Madrid.
La decisione del ministero della Difesa spagnolo di fermare l’accordo sulle armi che aveva siglato in precedenza con Riyad ha aperto la porta alla possibilità che la Spagna si possa unire a Paesi come Svezia, Canada, Finlandia, Norvegia, Belgio o Germania, che hanno già sospeso le esportazioni di armi al Coalizione guidata dai sauditi.
Tra il 2015 e il 2017, la Spagna ha esportato 1,2 miliardi di euro di equipaggiamento militare per la coalizione saudita, secondo un rapporto pubblicato a marzo da Amnesty International. Il Parlamento europeo ha esortato i suoi Stati membri a interrompere queste vendite in numerose occasioni, ammettendo che l’alleanza militare guidata dall’Arabia Saudita viola il Diritto internazionale umanitario utilizzando queste armi per attaccare la popolazione civile e bombardare ospedali, mercati e scuole.
L’aggressione militare contro lo Yemen ha finora ucciso oltre 15mila yemeniti e messo milioni sull’orlo della carestia. Ha anche provocato una devastante epidemia di colera. Paesi europei come la Francia e la Gran Bretagna hanno fornito miliardi di armi alle forze armate saudite nonostante gli appelli internazionali per fermare i loro accordi sulle armi.

In Yemen continuano a cadere bombe made in Italy

La Rmw è un’azienda tedesca con sede a Ghedi, in provincia di Brescia e con la fabbrica in Sardegna, più precisamente nella provincia di Carbonia-Iglesias, una delle provincie più povere d’Italia. Secondo il report pubblicato dall’Osservatorio permanente sulle armi leggere e le politiche di sicurezza e difesa (Opal), nel settembre 2016 sono state ritrovate in Yemen più di cinque bombe inerti sganciate dall’aviazione dell’Arabia Saudita e riportanti la sigla “Commercial and Government Entity (Cage) code A4447”, sigla che le ricollega inevitabilmente all’azienda Rmw Italia.
Nonostante i vari richiami dell’Onu, nonostante la legge n°185 del 1990 che vieta allo Stato Italiano di vendere armamenti a “Paesi in stato di conflitto armato”, l’Italia continua a sovvenzionare la Rmw. Nel 2016 le licenze di esportazione rilasciate dal ministro degli Esteri italiano alla Rmw ammontavano a 489,5 milioni di euro.
di Giovanni Sorbello

LA PIANTA CONTRO IL CANCRO CHE TUTTI DOVREMMO TENERE IN CASA: uno studio italiano conferma le sue grandi proprietà anti tumorali

Aloe vs cancro: l’estratto è una potenziale arma contro il tumore al cervello, studio italiano
L’aloe ha proprietà anti tumorali in caso di glioblastoma multiforma, una grave forma di cancro al cervello. La scoperta arriva dai ricercatori italiani dell’IRCCS di Pozzilli che hanno analizzato gli effetti dell’estratto di aloe, aloe-emodina, sia in vivo, sia in vitro, ottenendo risultati decisamente positivi che però hanno bisogno di ulteriori studi.
Un estratto dell’aloe potrebbe diventare un ottimo alleato nella guerra contro il cancro al cervello, il glioblastoma multiforme: un recente studio italiano ha dimostrato infatti che è in grado di inibire la crescita tumorale. Lo studio del Laboratorio di Neuropatologia Molecolare dell’Unità di Neuropatologia dell’I.R.C.C.S. Neuromed di Pozzilli è stato pubblicato sulla rivista Environmental Toxicology con la firma della dottoressa Antonella Arcella che ci spiega i dettagli dell’esperimento.
Aloe nemica del cancro. La dottoressa Arcella ci spiega che la sperimentazione si è concentrata su un estratto della pianta di aloa, l’aloe-emodina, visto che studi passati avevano suggerito le sue proprietà antineoplastiche, che però non erano state testate su cellule di glioblastoma. Per saperne di più, gli scienziati italiani hanno effettuato alcuni test sia in vitro, sia in vivo e, in entrambi i casi, hanno potuto osservare che l’aloe-emodina è in effetti in grado di causare una inibizione della crescita tumorale nelle cellule coltivate in laboratorio, così come nei modelli animali in cui la sostanza è riuscita a limintare lo sviluppo della malattia.
Cos’è il glioblastoma multiforme. Il glioblastoma multiforme è considerato il più grave e comune tumore al cervello degli adulti ed ha un trattamento che di solito è chirurgico, al quale si associano chemio e radioterapia. Le cellule di questo cancro però sono molto invasive, riescono a reagire e adattarsi, incrementando il rischio di recidiva che spesso ha una prognosi molto negativa.
Non possiamo ancora cantare vittoria. I ricercatori, per quanto entusiasti dei risultati ottenuti, fanno sapere però che saranno necessari ulteriori studi per capire se questa sostanza possa esseere effettivamente utilizzata come coadiuvante alle terapie attualmente impiegate. “Ci sarà naturalmente bisogno di approfondire l’azione della molecola – spiega la ricercatrice – e di valutare l’effetto dell’aloe-emodina associato al temodal (attuale farmaco per la terapia del tumore cerebrale) e analizzare gli eventuali effetti tossici su cellule normali, prima di poter pensare a un uso clinico. La prospettiva che ci si apre è molto interessante: l’aloe emodina potrebbe diventare un’arma in più contro il glioblastoma”.
Fonte:

‘SALVINI AIUTA I TRAFFICANTI DI CLANDESTINI’ ECCO A VOI L’ULTIMA FOLLIA TARGATA ONU: COSA SI INVENTANO PUR DI CONTRASTARE CHI COMBATTE L’INVASIONE

IL DELIRIO DELL'ONU...


‘SALVINI AIUTA I TRAFFICANTI DI CLANDESTINI’ ECCO A VOI L’ULTIMA FOLLIA TARGATA ONU: COSA SI INVENTANO PUR DI CONTRASTARE CHI COMBATTE L’INVASIONE

Dopo gli ispettori in Italia, un nuovo delirio dell’Onu. Già, perché nel corso Consiglio di Ginevra, la 73esima assmblea generale delle Nazioni Unite, a stupire è il segretario generale, Antonio Guterres. Nel corso del suo intervento d’apertura, ha puntato il dito contro quello che ha bollato come “l’assedio del populismo ai principi democratici”, i quali “si stanno erodendo“. E ancora: “L’impunità è in aumento, con leader e Stati che oltrepassano i limiti in Patria e in campo internazionale”.

Dunque, eccoci al delirio. Sulla scia di quanto affermato da Michelle Bachelet, quella che vuole gli ispettori in Italia per intendersi, Guterres ha affermato: “Chi considera i vicini un pericolo può rappresentare una minaccia anche quando questa non c’è. Chi chiude i confini per controllare l’immigrazione, finisce per alimentare il lavoro dei trafficanti. Dobbiamo andare avanti sulla base dei fatti, non delle paure”. Insomma, il teorema è il seguente: chiudere i porti aiuterebbe gli scafisti e i trafficanti di uomini. E ogni riferimento a Matteo Salvini e all’Italia, per quanto non li abbia citati, non è assolutamente casuale.

Yemen: rischio colera per oltre 5 milioni di bambini

Save the Children e Oxfam lanciano nuovamente l’allarme: la devastante guerra civile in Yemen sta causando centinaia di migliaia di morti, ma in seguito all’attacco al porto di Hodeidah – canale di accesso fondamentale per gli aiuti umanitari – la situazione è ulteriormente peggiorata, e oltre 5 milioni di bambini rischiano ora di morire per la carestia e le epidemie in agguato.
Yemen“Le vedevo le ossa, e non potevo fare niente per lei. Non avevo soldi per il trasporto: ho dovuto farmi prestare dei soldi per portare mia figlia in ospedale, è lontanissimo dal nostro villaggio. Non abbiamo cibo: la mattina un po’ di pane col tè, e a pranzo patate e pomodori. Di solito, io non mangio: cerco di tenere tutto per i miei bambini”. È la drammatica testimonianza di una madre yemenita vittima della dilagante carestia in un Paese sempre più devastato dalla guerra: dopo una decina di anni di lotte e instabilità politica, a partire dal 19 marzo 2015 il conflitto è esploso in tutta la sua violenza, con la brutale aggressione militare da parte della cosiddetta coalizione guidata dall’Arabia Saudita, provocando morte, carestia e distruzione in tutto lo Stato, soprattutto tra i civili.

Yemen, Resistenza contro Oppressione

Le due maggiori formazioni politiche in campo – ognuna delle quali dichiara di costituire il governo legittimo del paese – sono la coalizione a guida saudita (comprendente Emirati Arabi, Bahrain, Egitto, Marocco, Giordania, Sudan e Kuwait) che sostiene il governo di Abd Rabbuh Mansur Hadi con sede ad Aden, e quella delle forze Houthi Ansarullah che controlla la capitale Sana’a ed ha cacciato l’ex presidente Hadi, fantoccio del regime saudita. Attualmente il Paese si trova quindi spaccato in due, mentre i militari di entrambe le parti tentano di assumere il controllo dei punti nevralgici per assicurarsi la supremazia su tutto il paese. A questo si aggiungono le rivendicazioni di diversi gruppi terroristici, quali Aqap (al-Qāʿida nella Penisola Arabica) e Isis.
Tale è lo scenario politico in cui migliaia di civili vengono ogni giorno impietosamente uccisi, e tra questi si contano centinaia e centinaia di bambini. Basti ricordare il raid saudita dell’agosto scorso contro uno scuolabus, in cui hanno trovato la morte 43 piccole vittime innocenti: secondo il Direttore Generale dell’Unicef Henrietta Fore, in tre anni sono stati feriti o uccisi 6.500 bambini.
Ma oltre alle vittime dirette, il conflitto sta provocando una emergenza umanitaria senza pari: aeroporti distrutti, collegamenti stradali spezzati, ponti bombardati rendono le comunicazioni estremamente difficoltose, e la distribuzione degli aiuti umanitari quasi impossibile. Con il conseguente dilagare di carestia ed epidemie.
La fornitura di acqua potabile è interrotta in diverse parti del Paese, i generi alimentari scarseggiano e sono saliti a prezzi esorbitanti: il grano è aumentato del 50%, l’olio del 40%, il riso del 350%. A questo si aggiunga che moltissime famiglie si trovano ora senza alcun reddito a causa della chiusura o distruzione della maggior parte delle fabbriche e aziende del paese. Un bambino su quattro è colpito da malnutrizione.
Ma secondo le maggiori organizzazioni umanitarie, i recentissimi attacchi sauditi al porto di Hodeidah possono rendere questa situazione ancora più disperata: l’80% degli abitanti del Paese dipende per gli approvvigionamenti da questo porto. L’offensiva a Hodeidah è iniziata a giugno, come azione per bloccare i rifornimenti alla Resistenza yemenita, ma grazie a negoziati guidati dalle Nazioni Unite si era finora mantenuto una sorta di stallo per evitare catastrofiche ripercussioni sulla popolazione. Martedì scorso però la coalizione di Hadi ha dato il via al proseguimento alle operazioni militari.
Hodeidah è il principale porto dello Yemen, e vi transita oltre il 70% degli aiuti umanitari per la popolazione. L’attacco a questa infrastruttura fondamentale, quindi, oltre a causare migliaia di morti nell’immediato – le Nazioni Unite stimano che l’assalto possa causare fino a 250mila vittime – provoca conseguenze inimmaginabili a tutto il paese, con impatto diretto su centinaia di migliaia di famiglie, e di bambini.
Secondo la denuncia di Save the Children, sono oltre 5 milioni i bambini a rischio carestia: perché con la chiusura di questo porto sul Mar Rosso verrebbero bloccati sia l’accesso di cibo, che l’accesso di medicinali, che l’accesso di carburante.
Per la popolazione già provata dalla fame e dal conflitto, la fame è solo uno degli aspetti della tragedia umanitaria in corso: la maggior parte degli yemeniti vive in ambito rurale, in villaggi lontani decine e decine di chilometri dalle strutture sanitarie, e il trasporto in ospedale dei bambini affetti da malnutrizione o feriti è pressoché impossibile. Mancano i mezzi e il carburante, e con il blocco di Hodeidah sarà ancora più difficile procurarseli, così come rifornire di farmaci le strutture mediche: moltissimi bambini muoiono anche per questioni logistiche.
E infine, come denuncia l’Oms (Organizzazione Mondiale della Sanità), la carestia e la mancanza di acqua potabile stanno causando una nuova epidemia di colera: dopo le due ondate degli anni recenti, se ne sta verificando una terza di proporzioni gigantesche, con oltre 1 milione di casi registrati, che hanno causato finora oltre 2.500 morti. Il portavoce dell’Onu ha dichiarato che “si rischia la catastrofe umanitaria”.

Yemen, lo strazio delle madri

Le madri guardano i propri figli malnutriti, esausti, scheletrici, troppo deboli persino per piangere. Non hanno di che nutrirli, non sanno come reperire le medicine per curarli, non hanno i mezzi per trasportarli in ospedale per salvare le loro fragili vite.
Milioni di bambini non sanno quando e se potranno fare il prossimo pasto; vengono colpiti indiscriminatamente in questa guerra senza senso che non sa più dove sia l’umanità; si ammalano con una facilità estrema per il fisico ormai debilitato e la poca acqua putrida che hanno a disposizione, e per l’epidemia di colera che avanza inesorabile. Le madri guardano i propri figli morire, e non possono fare niente per salvarli, mentre il mondo resta colpevolmente a guardare.
di Silvia Privitera

Partono dalla Sardegna le bombe saudite che devastano lo Yemen

Dal marzo 2015 a oggi sono oltre 15mila i civili che hanno perso la vita nella guerra in Yemen, comprese donne e bambini. Continui raid che mietono vittime, senza troppa distinzione tra militari e civili. Bombe intelligenti che stanno devastando lo Yemen: ordigni da 870 chili di peso, di cui 250 di esplosivo. Ebbene queste armi letali, sono made in Sardinia, Domusnovas, per la precisione, dove dal 2010 ha sede lo stabilimento della Rwm Italia munitions Srl, costola della Rheinmetall Defence, colosso tedesco degli armamenti, che continua le spedizioni.
YemenSecondo un’inchiesta del sito Reported.ly (tradotta in italiano da il Post.it) le bombe usate dagli Emirati Arabi per radere al suolo Sana’a, capitale dello Yemen, sono arrivate via Genova in Arabia Saudita proprio dalla fabbrica sarda. Diversi testimoni oculari e media locali dell’isola sarda hanno fotografato decine di bombe sulla pista dell’aeroporto di Cagliari. Sotto la stretta sorveglianza della polizia italiana, le bombe sono state caricate a bordo di un aereo cargo Boeing 747, fermo a poca distanza dall’area partenze dello scalo cagliaritano.
Le bombe sul piazzale dell’aeroporto di Elmas hanno suscitato le reazioni dei politici isolani. “Chiedo a tutte le forze politiche di attivarsi per fare chiarezza e per capire cosa sta succedendo e se dobbiamo continuare a vivere in un territorio militarizzato”, attacca il senatore del Movimento 5 Stelle Roberto Cotti della componente Commissione Difesa, che su twitter mostra le foto del “carico di morte”. La foto del carico permette di identificare le bombe Mk80, serie prodotte ed esportate dalla Rwm Italia nei contratti del valore di centinaia di milioni di dollari dal 2011.
Un “normale volo commerciale”? Sembrerebbe di sì, stando alla dichiarazione rilasciata dall’Enac e pubblicata dall’Ansa, secondo cui l’aereo era “regolarmente autorizzato” come “un volo commerciale regolare”. Senza pudore la risposta dell’Enac al politico sardo Mauro Pili, indignato per la spedizione da un aeroporto civile, che aveva chiesto se l’aereo cargo fosse stato autorizzato a portare armi.
Di fronte alle migliaia di morti civili, ai milioni di sfollati, alla scarsità di cibo per la maggioranza della popolazione, alle eclatanti violazioni dei diritti umani, al silenzio assordante delle società occidentali sul massacro del popolo yemenita, il nostro pensiero va a questi “normali voli commerciali” che rendono denaro sporco, di cui beneficiano molti fondi pensione europei ed americani, compresi i fondi statali, e alle responsabilità che ha l’Italia nel commettere o facilitare serie violazioni dei diritti umani internazionali nell’esportazione di armi, che spesso collima con il traffico d’armi.
di Cristina Amoroso

GENOVA, BELPIETRO SMASCHERA I BENETTON! VI DIMOSTRO CHE SONO DEI VERI E PROPRI RAPINATORI, ALTRO CHE IMPRENDITORI MODELLO


NON TUTTO E’ BENE CIO’ CHE FINISCE BENETTON – “AUTOSTRADE” HA TAGLIATO DEL 98% GLI INVESTIMENTI SUL PONTE: CON LO STATO SI SPENDEVANO IN MANUTENZIONE 1,3 MILIONI L’ANNO, CON I BENETTON APPENA 23.000 EURO – BELPIETRO: “IL CROLLO DEL PONTE MORANDI NON È STATO UNA TRAGICA FATALITÀ. IL PERICOLO ERA RISAPUTO DA SEMPRE, MA PER MOLTI LUNGHI ANNI SI È PREFERITO INCASSARE PIÙ CHE RISANARE. UN CASO PERFETTO DI CAPITALISMO DA RAPINA”

Maurizio Belpietro per “la Verità”

Che il ponte Morandi fosse a rischio di caduta lo sapevano da anni e nonostante lo sapessero le spese di manutenzione diminuirono verticalmente, passando dagli 1,3 milioni l’ anno spesi dallo Stato ai 23.000 euro l’ anno spesi dalla nuova gestione formato Benetton. L’ atto d’ accusa, quasi una sentenza, è scritto nero su bianco nella relazione della commissione d’ inchiesta voluta dal ministero.

C’ è scritto che dal 1982 a oggi, per la conservazione del viadotto di Genova, sono stati spesi oltre 24 milioni, ma dalla privatizzazione al momento del disastro la cifra investita è stata di soli 470.000 euro. Il confronto è da paura. Soprattutto se si tiene conto dell’invecchiamento dell’ opera e dei rischi manifesti di un collasso. Il pericolo era noto almeno dal 2017, cioè quando fu messo a punto dalla società concessionaria un progetto di ammodernamento del viadotto.

Tuttavia, nonostante ci fosse un’ evidente minaccia di crollo, Autostrade sottovalutò «l’inequivocabile segnale d’ allarme», «minimizzando o celando» la gravità della situazione al ministero delle Infrastrutture, senza «adottare alcuna misura precauzionale a tutela dell’utenza». A scrivere è ancora una volta la commissione d’ inchiesta.

Nel documento, reso pubblico ieri sul sito del ministero guidato da Danilo Toninelli, i tecnici a cui è stata affidata la prima perizia dopo il disastro di Genova puntano il dito contro Autostrade per l’Italia, mettendo in luce una serie di gravi carenze della società.

Tanto per cominciare «non esisteva, non essendo mai stata eseguita, la valutazione di sicurezza del cavalcavia sul fiume Polcevera».

Già, perché al contrario di quanto il 23 giugno del 2017 aveva comunicato l’ azienda, la commissione ha scoperto che nessuno si era mai preso la briga di eseguire con una perizia tecnica la valutazione di sicurezza. Altro che costante monitoraggio, come sui giornali sensibili alla pubblicità multicolore della famiglia di Ponzano Veneto si è detto e scritto. Sul ponte, che da anni era giudicato «ammalorato» a causa della salsedine e delle sollecitazioni di un traffico più che quadruplicato, nessuna misura per garantire la sicurezza dei viaggiatori è stata messa in atto.

I tecnici della commissione, a questo proposito, non dimostrano di avere dubbi, al punto da sostenere che le funzioni di controllo affidate al Comitato tecnico del provveditorato, ossia le verifiche sulla stabilità del manufatto, non sono state eseguite in quanto Autostrade non ha mai segnalato alcuna criticità. Dicono i commissari: «Emerge, nel caso concreto, che esse non si sono potute espletare in modo compiuto a causa della omissione della segnalazione delle criticità non riportate con la dovuta evidenza negli elaborati progettuali presentati da Aspi».

Tradotto, significa che la commissione accusa Autostrade per l’Italia di aver taciuto, evitando di avvisare il ministero, forse per timore di controlli o forse proprio perché neppure l’ azienda posseduta dai Benetton ha mai effettuato verifiche. Di più: secondo i tecnici nominati per conoscere le cause del crollo del 14 agosto e le eventuali omissioni della società, «la procedura di controllo della sicurezza strutturale delle opere documentata da Aspi, basata su ispezioni, è stata in passato ed è tuttora inadatta a prevenire crolli e del tutto insufficiente per la stima della sicurezza nei confronti del collasso».

Ma il peggio è costituito dal passaggio in cui i commissari spiegano che fino al 1994, cioè fino a quando la società era nelle mani dello Stato, sono stati eseguiti lavori strutturali, dunque di mantenimento in sicurezza del ponte. Poi, dal 2005 a oggi, la spesa per interventi sulle strutture è scesa a 440.000, cioè poco più di 30.000 l’ anno. «Nonostante la vetustà dell’ opera e l’ accertato stato di degrado», scrivono i tecnici, «i costi degli interventi strutturali fatti negli ultimi 12 anni sono trascurabili».

Insomma, il ponte invecchiava e rischiava di essere minato nella sua stabilità, ma l’ azienda dei Benetton fece investimenti risibili. E dire che nel 2017, nella relazione della stessa Autostrade, «emergevano elementi che avrebbero dovuto spingere la società a prendere un provvedimento di messa in sicurezza improcrastinabile». E invece non fu fatto niente. Anzi, qualcosa fu fatto: si continuò a incassare il pedaggio sul transito di milioni di veicoli invece di bloccare il traffico.

L’analisi dei commissari non lascia spazio a incertezze. Il crollo del ponte Morandi non è stato una tragica fatalità, un evento improvviso e non annunciato. Il pericolo era risaputo da sempre, ma per molti lunghi anni si è preferito incassare più che risanare.

Un caso perfetto di capitalismo da rapina. Ma anche un caso in cui lo Stato, cioè colui che doveva controllare, ha dimostrato tutta la propria inefficienza.

E a proposito di mano pubblica e di dinamismo, quando si svolsero i funerali delle 43 vittime della strage il governo in coro giurò che avrebbe fatto in fretta a ricostruire il ponte per consentire a Genova di non essere spezzata in due. È passato oltre un mese da quella promessa, ma a oggi non solo non è stato posto neppure un mattone, ma non è stata nominata la struttura che dovrà occuparsene.

A quanto si apprende, il decreto dovrebbe essere stato trasmesso al Quirinale, dopo gli ultimi litigi, solo nella notte. Il commissario forse si saprà oggi, i tempi non sono definiti, il progetto vedremo. Sono passati troppi giorni. Proprio come nella peggiore Italia, quella che ha consentito, nell’indifferenza generale, che il ponte crollasse e seppellisse la vita di 43 persone.

Fonte:


Saud e Israele simbolo del crimine in Medio Oriente

Il portavoce del ministero degli Esteri iraniano, Bahram Qassemi, ha fatto queste osservazioni in risposta ai recenti commenti anti-Iran del ministro degli Esteri saudita, Adel al-Jubeir. Riferendosi all’Arabia Saudita come “coloro che hanno messo il loro Paese nella lista dei trasgressori e criminali regionali come Saddam”, Qassemi ha sottolineato il fatto che “tutti coloro che seguono gli sviluppi regionali sono ben consapevoli” del loro ruolo nella produzione e distribuzione di armi e del sostegno incondizionato ai gruppi terroristici.
Il funzionario iraniano ha avvertito che se i politici sauditi sperano di superare i loro fallimenti rinnovando l’alleanza con Israele e acquistando nuove armi per destabilizzare il Medio Oriente, dovrebbero ripercorrere il destino del loro ex alleato Saddam Hussein.

Medio Oriente e genocidio yemenita

Criticando i leader sauditi e israeliani per aver causato insicurezza e instabilità nella regione, Qassemi ha elencato una serie di politiche distruttive del passato saudita, incluso il supporto per la formazione di al-Qaeda e Daesh e l’aggresione militare contro lo Yemen.
Da marzo 2015, lo Yemen è vittima di una vile aggressione militare da parte della coalizione guidata dai sauditi. Oltre 15mila yemeniti, per lo più civili, tra cui donne e bambini, sono rimasti uccisi sotto i bombardamenti sauditi. La coalizione guidata dal regime saudita, appoggiata dagli Stati Uniti, ha anche imposto un blocco ai porti e agli aeroporti del Paese come parte della sua aggressione volta a spodestare il popolare movimento di Resistenza Ansarullah e a ripristinare l’ex presidente, fantoccio di Riyadh, Abdurabbuh Mansour Hadi.
La guerra condotta dall’Arabia Saudita ha anche scatenato una devastante epidemia di colera nello Yemen. Secondo l’ultimo conteggio dell’Organizzazione mondiale della sanità, l’epidemia di colera ha ucciso 2.167 persone dalla fine di aprile e si sospetta che abbia infettato più di un milione di persone.
di Giovanni Sorbello