martedì 25 settembre 2018

Illegittima Indifesa: società disorganica, paradiso dei delinquenti

di Roberto Pecchioli



Società despiritualizzata e disorganica: il paradiso dei delinquenti. In mezzo l’illegittima indifesa, ovvero l’inerme figura della persona per bene, vittima di imbrogli, prevaricazioni, furti, rapine, insicurezza diffusa


Sulla legittima difesa 

- Si è riaperto il dibattito sulla legittima difesa. Da un lato un progetto di legge leghista secondo cui la difesa è sempre legittima, dall’altra la reazione stizzita dell’ANM, Associazione Nazionale Magistrati, che ha espresso con la consueta veemenza irrituale la propria contrarietà alla nuova formulazione giuridica dell’antichissimo istituto della legittima difesa. Lasciamo da parte ogni polemica nei confronti del sindacato dei giudici, i cui interventi a gamba tesa in politica sono quotidiani e sembrano animati dal timore di perdere un pezzo di discrezionalità nel valutare gli episodi di reazione all’illegalità e alla violenza subita. Non assumiamo interamente il punto di vista di Salvini, poiché difendere se stessi, la propria famiglia, il proprio pane è senz’altro giusto e lecito, ma non deve significare legittimare ogni reazione. Per capirci, io ho il diritto di fermare con ogni mezzo, sino all’uccisione, chi sta minacciando la vita mia e dei miei cari, ma non posso sparare a qualsiasi ladruncolo o truffatore. Altra cosa è la triste alternativa tra un brutto processo e un bel funerale. La materia è estremamente complessa e merita una riflessione un po’ più ampia di un alterco sovreccitato, animato purtroppo da fatti drammatici, sentenze talora sconcertanti a favore dei delinquenti. I buonisti in servizio permanente effettivo evitino il solito comico argomento dell’Italia ridotta a Far West, giacché le armi, disgraziatamente, le possiedono e le usano bande di criminali di ogni risma, pericolosità e provenienza geografica, non gli uomini della strada. Dall’altro lato, il pericolo è quello di affidare ai singoli i compiti che spettano allo Stato, il grande assente. Henri de Montherlant scrisse che “moriamo di indulgenza”. Per questo si giustifica il gioco di parole del nostro titolo: esiste e diventa ogni giorno più grande l’illegittima indifesa. Indifesa è la maggioranza stragrande degli uomini e delle donne normali. Illegittimo, benché non illegale, è il comportamento delle istituzioni. Distorto se non invertito è il rapporto tra diritto, istituzioni, senso comune e violenza. Il principio irrinunciabile è quello di stare dalla parte delle vittime, non con la retorica ridondante di cui danno prova i rappresentanti del potere, ma nei fatti. Chi entra in casa mia, penetra nel mio ufficio o commercio deve avere chiari due concetti: sta rischiando concretamente una condanna penale che espierà per intero in un carcere; la comunità nella sua interezza è contro di lui. I fatti, una volta di più, narrano esattamente il contrario.

Le legge è un ordine 

Pagare il fio di comportamenti criminali è raro, le pene sono fin troppo pesanti nella lettera, ma miti nella sostanza, tra permessi, condoni, norme che riducono per i più svariati motivi la carcerazione e non di rado la evitano del tutto. Cesare Beccaria, l’illuminista milanese autore del citatissimo Dei delitti e delle pene, era tutt’altro che un buonista del XVIII secolo. Le sue parole sono pietre: “uno dei più gran freni dei delitti non è la crudeltà delle pene, ma l’infallibilità di esse. (…) La certezza di un castigo, benché moderato, farà sempre una maggiore impressione che non il timore di un altro più terribile, unito colla speranza dell’impunità”. Un’impunità determinata dal combinato disposto di un impianto legislativo che favorisce i colpevoli unito alla genetica indulgenza delle società individualiste e alla discrezionalità di una giurisdizione prigioniera delle gabbie ideologiche. Discrezionalità che, peraltro, non è responsabilità dei magistrati, ma di una legislazione sconcertante. E’ recentissima una sentenza, pronunciata applicando una norma emanata dal governo Renzi sui piccoli reati, che ha mandato assolta una badante colpevole del furto e rivendita di gioielli appartenenti ad una coppia di anziani del valore di 60mila euro. Non resta che dare ragione al cancelliere Bismarck, per il quale

“con cattive leggi e buoni funzionari si può sempre governare.

Ma con cattivi funzionari le buone leggi non servono a niente".

Le nostre leggi sono talmente numerose e contrastanti che il primo problema di chi le applica è districarsi tra di esse, con grande vantaggio di chi vuole sfuggire alle conseguenze dei suoi atti. Nella Politica, il sommo Aristotele aveva già sintetizzato il problema: “La legge è ordine; e una buona legge è un buon ordine”.

In mezzo l'illegittima indifesa 

Da almeno mezzo secolo qualsiasi accenno al concetto di ordine provoca fastidio, reazioni, opposizioni, dunque il problema, come dicevano gli intellettualini di qualche decennio fa, “è a monte”. A monte c’è un rapporto distorto con la violenza, l’ordine civile, il principio di responsabilità. Sullo sfondo, mostra la corda il monopolio dell’uso della forza attribuito al potere pubblico, dunque allo Stato. Indebolito dalla prevalenza dei potentati privati, screditato culturalmente dall’estensione illimitata dell’idea di libertà, reso impotente dalsoggettivismo dominante, lo Stato non riesce più a esercitare con il giusto equilibrio di forza, efficacia e proporzione il delicato monopolio che possiede. Per di più, varie correnti ideologiche ne contestano i fondamenti: da un lato, l’inimicizia per lo Stato del liberalismo egemone, libertario e liberista (anche se le élite che spesso e volentieri caratterizzano questi alterchi ideologici si ritrovano fianco a fianco a trafficaree combuttare in circoli élitari e logge massoniche: vere realtà informali di esercizio del potere dei tempi moderni – Ndr). Dall’altro, il pregiudizio della sinistra di ascendenza socialcomunista contro l’ordine “borghese”, definito reazionario, conservatore, patriarcale che induce a simpatizzare per chi infrange leggi proclamate ingiuste e classiste. La miscela dei due atteggiamenti è esplosiva: garantismo esasperato, attenuanti, esimenti per i reati dei “colletti bianchi” fanno il paio con la malcelata indulgenza verso rapinatori, ladri, immigrati, proclamate vittime del sistema. In mezzo, l’illegittima indifesa, ovvero l’inerme figura della persona per bene, vittima di imbrogli, prevaricazioni, furti, rapine, insicurezza diffusa. L’uomo (smarrito e despiritualizzato – Ndr) comune ha la certezza di essere l’agnello della fiaba di Fedro apostrofato dal lupo al ruscello. “Perché mi hai fatto diventare torbida l'acqua che sto bevendo? E l’agnello, tremando: come posso – dice – fare quello che lamenti, lupo? L’acqua scorre da te alle mie sorsate!" Sappiamo come finì, il lupo divorò l’agnello inerme. Quell’agnello si è stufato del ruolo di vittima e reclama il diritto di sparare al lupo prima di essere divorato.

Società disorganica: paradiso dei delinquenti 

Sono saltati due passaggi logici, capovolti a favore dei lupi. Manca la legalità, ovvero un impianto normativo concretamente dalla parte degli onesti e dei miti, ma fa cortocircuito la legittimità, ovvero la società, malata di soggettivismo (hegeliana, idealista, strumentalizzante e dis-organica – Ndr) e spezzata in mille segmenti non componibili a unità, non è più d’accordo su ciò che è bene e ciò che è male. Il risultato è che spadroneggiano i delinquenti, pesci nell’acqua di un sistema debole, contraddittorio e formalista. Se c’è un punto su cui concordiamo con il modo di pensare progressista è che la pericolosità sociale dei delinquenti in giacca e cravatta non è inferiore a quello dei mascalzoni armati. Ne sono prova il crollo del ponte Morandi non meno che le malversazioni finanziarie di tanti banchieri e la corruzione diffusa nell’economia, nella politica, nell’amministrazione. Ciò non significa che si debba invocare severità, Stato e giustizia a corrente alternata. La legittima difesa nei confronti dei soprusi del potere deve stare nelle leggi e nella volontà di applicarle senza sconti. La protezione dai criminali comuni passa da un ulteriore attitudine, quella di esercitare senza timori il monopolio della forza legittima. Poliziotti e carabinieri pistoleri non ci piacciono, ma i malviventi devono avvertire, oltre al peso reale della legge (pene effettive espiate in carcere, seguite, per chi è straniero, dall’espulsione) anche il rischio concreto dell’incolumità e della vita nella sfida alle forze dell’ordine. Le cose non vanno così e da questa disfunzione drammatica sorge la domanda di farsi giustizia da soli. Noi non crediamo affatto che commercianti, imprenditori aggrediti nel lavoro quotidiano, padri e madri di famiglia attaccati negli affetti e nel focolare, cittadini rapinati, donne assalite sessualmente abbiano il desiderio diffuso di uccidere. Se però la paura prevale, con buona pace dell’insopportabile disprezzo dell’allarme sociale delle finte anime candide, è insensato gridare al Far West prossimo venturo anziché fermare quello presente e reale alimentato da chi le armi se le procura senza fatica e le usa indifferente alla vita umana. Meglio sarebbe affrontare alla radice il problema della sicurezza piuttosto che negarlo, avviare interminabili dibattiti sociologici, sfoderare statistiche di parte o menare il torrone con disquisizioni giuridiche. Una popolazione sicura, ragionevolmente convinta di non correre pericoli, rassicurata dalla forza e dall’azione della legge, non chiede il porto d’armi, non invoca la legittima difesa né sollecita pene abnormi.

Forza e violenza 

Milioni di illegittimi indifesi sperimentano ogni giorno sulla carne di avere torto a prescindere.

Fisco, usura legalizzata, burocrazia, giustizia, malavita, diritti sociali:

la presunzione di colpevolezza è caricata alle persone comuni

da un potere insolente, arrogante, spesso corrotto.

Nulla di strano se qualcuno ritenga primario difendere in armi se stesso e la “roba” di verghiana memoria. Aleggia un errore di fondo della mentalità occidentale moderna, non distinguere tra forza e violenza. La forza è una virtù, comunitaria e personale, che viene trasferita allo Stato a fini di difesa e giustizia. La violenza è la sua degenerazione. Insorgere anche fisicamente, reagire a partire da se stessi è un diritto naturale che nessun potere o concezione irenistica del diritto può sottrarre all’essere umano. La normalità quotidiana è diventata una perniciosa indifferenza che confonde, opacizza i confini, logora i principi a tutto vantaggio del malaffare e della malvivenza. Ci si attarda a stabilire se sia peggiore la delinquenza in guanti bianchi (idea della sinistra) o quella armata della strada (idea della destra), con il risultato di offrire spazio all’una e all’altra, le opposte facce di una stessa realtà.

Il quadro giuridico è preoccupante,

i processi diventano sempre più un gioco agonale di esperti a pagamento

dal quale è espunta la giustizia e assente il senso comune.

Affiora il pensiero di un artista divorato dall’angoscia, Cesare Pavese, allorché, nel Mestiere di Vivere, prendeva atto che “non ci si libera di una cosa evitandola, ma attraversandola”. Non affrontiamo la violenza diffusa di mille bande proterve, sprecando energie in dibattiti, diatribe, difendendo ciascuno un punto di vista ideologico che perde di vista l’essenziale. Ossia il diritto di ciascuno a una vita normale, violata da rapine, furti, aggressioni, ricatti, estorsioni, libero spaccio di sostanze che danno morte, tanto quanto dal clima di corruzione diffusa, privilegio di casta, imposizioni oligarchiche. In più, si esige a fronte corrugata il rispetto di un presunto spirito del tempo nelle leggi. Avverso alla legalità quanto alla legittimità, esso è bollato dal Beccaria con parole taglienti: “non v’è cosa più pericolosa di quell’assioma comune che bisogna consultare lo spirito della legge. Questo è un argine rotto al torrente delle opinioni", specie in un’epoca individualista, relativista e nemica della decisione, cui si preferisce sempre la discussione sterile e interminabile.

Legittima difesa e codardia illegittima 

Legittima difesa è cosa assai distinta dal ricorso ai giustizieri armati, i Ringo e i Sartana dei film western-spaghetti. E’ il riconoscimento di un fatto naturale, un dato permanente della personalità umana che volentieri lasceremmo ai casi estremi, poiché una convivenza ordinata si realizza nella comunità e nelle norme che la sorreggono, non certo nell’iniziativa individuale o peggio nella sociopatia diffusa. Serve una legittima difesa collettiva contro ogni malaffare e prevaricazione. Soprattutto, si deve sconfiggere l’equazione figlia della viltà secondo cui forza è uguale a violenza. Lo Stato deve poter esercitare una santa, legittima violenza contro i crimini con il peso della legge, fatta di norme semplici e pene non esemplari ma certe, e, ove necessario, con l’uso senza complessi delle armi, oggi monopolio dei mascalzoni. Ci piace citare alcuni venerati maestri dei sedicenti non violenti, Karl Marx e il pomposo signore della gauche caviar parigina, Jean Paul Sartre, l’autore de L’essere e il nulla. Il pensatore tedesco riconobbe, dinanzi alle elucubrazioni intellettuali, che “l’arma della critica non può, in verità, sostituire la critica delle armi; la potenza materiale deve essere abbattuta da potenza materiale.“ Per il philosophe de La nausea, addirittura, “solo con la violenza si diventa uomini.“ Una sciocchezza cui è facile opporre una riflessione positiva di un cattivo maestro, Jean Jacques Rousseau.“ La forza è un potere fisico; la pistola del brigante è anch’essa un potere fisico “. A cui abbiamo il diritto dovere di contrapporci senza timidezza. La civiltà italiana seppe esprimere splendidamente già nel XIII secolo il senso della comunità e del vivere civile nell’ affresco senese di Ambrogio Lorenzetti Il buono e il cattivo governo e gli effetti sulla città. In una parte del grande dipinto, un’opera d’arte intrisa di filosofia e scienza politica, nell’aria vola la personificazione della Sicurezza, che reca un delinquente impiccato, simbolo di giustizia implacabile e regge un cartiglio su cui si legge: “Senza paura ogn’uom cammini / e lavorando semini ciascuno”. L'ideale di una comunità forte e giusta è simboleggiato dal contrasto tra la carnale sensualità della Sicurezza e la dura allusione alla pena di morte. Lo Stato protegge gli onesti e punisce chi non segue la legge. Nell’Allegoria del cattivo governo, la città è ingombra di macerie, sul punto di crollare, i cittadini distruggono anziché costruire, la legge imprigiona gli innocenti, languono le attività economiche. Tutto è rovina, le campagne sono in fiamme e un esercito nemico marcia sotto le mura. In cielo aleggia sinistro il Timore. Dobbiamo scegliere: sicurezza o timore, vita o rovina, legittima difesa o il suo contrario, l’abbandono al destino. Per prendere posizione, bisogna decidere, assumere responsabilità, agire, rischiare. Seguire il Bene o il Male, l’Amico o il Nemico. Che disgrazia per il debosciato collettivo, il moderno “Narcisetto Adoncino d'amor. Non più avrai questi bei pennacchini, quel cappello leggero e galante, quella chioma, quell'aria brillante, quel vermiglio donnesco color.” Con la musica mozartiana delle Nozze di Figaro, i versi di Lorenzo Daponte paiono scritti per l’incipriato, indifeso damerino del secolo corrente, tutto chiacchiere, tolleranza e codardia.

Roberto Pecchioli (Copyright © 2018 Qui Europa)

partecipa al dibattito: infounicz.europa@gmail.com 

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The Ocean Cleanup - il grande progetto di pulizia dell'oceano















La sua destinazione e' il Great Pacific Garbage Patch nell'oceano pacifico ed il suo ruolo e' di raccolgiere quanta piu' immondizia possibile nel corso di un anno.

Quello che appare un lungo serpentone e' stato progettato da un gruppo di ingegneri sotto il nome di The Ocean Cleanup in Olanda. Il suo scopo e' di catturare monnezza e ripulire il mare.

Come funziona questo Ocean Cleanup? La prima fase della progettazione la vedeva ancorata al fondo dell'oceano, a mandare giu' monnezza in verticale; nella versione finale sara' un oggetto galleggiante per concentrare oggetti in mare. E' un tubo di 3 metri di diametro, lungo circa 600 metri. Poggera' sulla superficie marina a mo' di U e si spostera' lentamente, catturando quanta piu' plastica possibile al suo interno. Ogni sei settimane arrivera' una nave a raccogliere tutta la monnezza nel centro e a portarla via. Se tutto va bene portera' via fino ad un massimo di 70,000 chilogrammi di oggetti nel primo anno. 

Altri sessanta serpentoni potrebbero essere inviati successivamente, se i risultati dal primo saranno soddisfacenti, e con l'obiettivo di arrivare a 15 milioni di tonnellate di monnezza raccolta in totale, fino a ridurre la monnezza del Great Pacific Garbage Patch del 50% in cinque anni. 

Ocean Cleanup ha luci, un sistema di anti-collisione, telecamere, sensori e satelliti che controlleranno gli spostamenti e che fara' si che non ci siano scontri con le navi.

Funzionera'?

E' questo il grande dilemma, perche' se non dovesse funzionare, se magari una tempesta se la porta via, o se dovesse perdere il suo carico, le cose potrebbero diventare peggiori, con altra monnezza nel mare e con scoraggiamento di tutti quelli che sono stati al lavoro per realizzarla. 

L'idea di questo tubo acchiappa-monnezza e' venuta a Boyan Slat, un ventiquattrenne olandese che ha racimolato 30 milioni di dollari in cinque anni per costruirla. Dice che l'idea gli venne durante un viaggio in Grecia da ragazzino quando vide l'enorme quantitativo di plastica in mare.  Era uno studente di ingegneria aerospaziale. Lascio' gli studi presso la Delft University of Technology e fondo' la non-profit Ocean Cleanup, di cui e' ora CEO e che ha adesso 65 impiegati.

Boyan Slat ha ricevuto ogni sorta di onorificenza, dal re di Norvegia, alle Nazioni Unite. Forbes Magazine l'ha coronato come un innovativo imprenditore.

La comunita' di scienziati pero' ha mostrato scetticismo, perche' dicono non ha bene considerato i rischi che potrebbe portare alla vita marina. Per esempio, Miriam Goldstein, direttore delle politiche per l'oceano, presso il Center for American Progress, dice che avendo studiato il progetto, il tubo di Boyan Slat potrebbe attirare molti pesci oltre alla monnezza e causarne il disturbo. 

Sopratutto, dicono, il progetto ignora il reparto prevenzione, cioe' che non si tratta di "pulire" quanto di "non sporcare".  Alla fine, quello che entra in questi bacini di monnezza negli oceani non e' altro che il 3% della plastica che finisce nel mare ogni anno, secondo Eben Schwartz della California Coastal Commission. 


Ma e' lo stesso Boyat Slat che dice che siamo tutti d'accordo che il primo passo sia prevenire che la plastica finisca in mare. Aggiunge pure che e' certo che ci sono vari approcci al problema e che qualcuno deve pure pulire la monnezza gia' messa li nell'oceano, che c'e' dal 1960 in alcuni casi.
E cosi, si va avanti.

Il progetto Ocean Cleanup ha lavorato per un anno in Alameda, nella California del Nord ed e' stata lanciato il giorno 8 Settembre. Il tubo arrivera' nell'isolotto della monnezza del Pacifico verso la meta' di Ottobre, e alla fine della sua missione sara' piena di microplastica, spezzettata dai raggi del sole, dalle onde. Oltre alla plastica, ci sono qui circa 79,000 tonnellate di reti dei pescatori abbandonate che si spera almeno, verranno catturate.


La plastica sara' poi riportata in California, e poi in Europa per analisi e per capire se e come modificarne il design. 

Ci saranno sicuramente degli imprevisti, non e' ben chiaro quale saranno le dimensioni della plastica piu' piccola che potra' essere catturata, e non si sa quanto resistente Ocean Cleanup sara' in termini di ondate e tempeste, erosione dal sale, corrosione. 

Staremo a vedere.

Da come la vedo io, anche solo che ci stiamo pensando a fare qualcosa per eliminare la monnezza dall'oceano, e' gia' un grande grande grande passo in avanti.

Al progetto di Boyan Slat, e al pianeta tutto, tanti auguri. 


Fonte:

I fluidi di perforazione radioattivi arrivano nei fiumi e nelle cozze della Pennsylvania






Recent disposal of treated conventionaloil and gas 
wastewater is the source  of high radium in stream 
sediments at centralized waste treatment facility disposal sites 

E cioe' anche i rifiuti petroliferi "tradizionali" 
non collegati al fracking portano ad elevati tassi di radio, 
materiale radioattivo, nelle acque a valle dei depuratori.
Volume 52, pages 955-962 (2018)

Eccoci qui.


Tutto questo viene confermato da due studi eseguiti presso la Nicholas School of the Environment, della Duke University in North Carolina e presso il Dipartimento di Ingegneria Civile ed Ambientale della Pennsylvania State University. 

Facciamo un passo indietro.

A partire dal 2008 le petrol-ditte che trivellano nel Marcellus Shale hanno riversato materiale tossico nel fiume Allegheny in Pennsylvania.

La pratica e' durata per tre anni, fino al 2011. In quei tre anni di tempo piu' di 2.9 miliardi di litri di monezza liquida da fracking e' finita negli impianti di smaltimento prima, e poi nei fiumi della zona.
A quel tempo quasi tutti i depuratori della zona non erano preparati a trattare sostanze mai prima disciolte nell'acqua e quindi, essenzialmente, stronzio, radio ed altro materiale "non tradizionale" non sono mai veramente depurati perche' non c'era attrezzatura e conoscenza sufficente.

Per la maggior parte dunque radio e stronzio sono finiti in acqua tal quali al momento dell'arrivo in depuratore.

Nel 2011 hanno capito che qualcosa non andava, specie dopo un monumentale studio fatto dal New York Times in cui si mostrava che metalli pesanti e materiale radioattivo finivano nelle acque fluviali, senza essere stati trattati.

La pratica venne fermata nel 2011 ma solo per sostanze di scarto che provenivano dal fracking.

Tutte le altre attivita' trivellanti "convenzionali" (i.e. come quelle che si fanno e si vogliono fare in Italia!) shanno continuato a mandare i loro rifiuti in questi stessi impianti.

Sono quindi dieci anni di monnezza convenzionale "depurata" che arriva nel fiume Allegheny. 

Oggi si scopre che i residui delle sostanze da fracking sono arrivati nelle acque dolci a valle del fiume, bioaccumulando nei gusci delle cozze, e che in generale con o senza fracking l'acqua a valle dei depuratori contiene piu' radio, radioattivo, rispetto che l'acqua a monte. 

Il primo degli studi su citati ha riveltato l'elevata presenza di radio nei sedimenti a valle degli impianti di depurazione.

Nello studio sono stati raccolti sedimenti da tre impianti di depurazione che hanno ricevuto monnezza convenzionale fra il 2014 e il 2017;  sono stati analizzati vari isotopi di radio: 228Ra e 226Ra, e i loro rispettivi prodotti di decadimento, 228Th and 210Pb.

Ra sta per radio, Th per thorio e Pb per piombo. Il numeretto e' il numero di neutroni e protoni presenti nel nucleo. 


Questi decadimenti accadono con l'emissione di particelle alpha (il nucleo di un atomo di elio), 
particelle beta (elettroni o positroni) o di neutrini (una particella subatomica senza carica). A volte questi decadimenti da un elemento all'altro, se non monitorati, possono causare danni e mutazioni al DNA e l'insorgere di tumori. 

L'unita' di misura della radioattivita' e' il Becquerel dal nome di Henri Becquerel che assieme ai coniugi Curie scopri' la radioattivita' nel 1903. Un Becquerel significa che c'e' decadimento di un nucleo per secondo. Spesso si usa anche per Becquerel per chilogrammo che indica quanti nuclei per secondo decadono da un chilo di materiale. Piu' grande e' il numero di Becquerel (Bq) o di Becquerel per chilogrammo (Bq/kg)  maggiore e' dunque l'attivita' di radioattivita'.

I ricercatori hanno confermato elevata attivita' di radio a valle degli impianti, rispetto all'attivita' a monte.  Anzi: nel caso degli impianti di depurazione della Pennsylvania si passa da un massimo di 80 Bq/kg a monte fino a...  25,000 Bq/kg a valle degli impianti!

Un aumento di un fattore 300.
Per monnezza "convenzionale". 

La presenza di 228Th (prodotto di decadimento) e' molto bassa rispetto al 228Ra (prodotto di origine), questo significa che non c'e' stato tempo per il decadimento di essere completato. A sua volta questo significa che il materiale di origine, 228Ra, e' di origine recente.

E siccome *solo* materiale di scarto da materiale convenzionale, non da fracking e' stato accettato in depuratore in questi anni, i risultati sono la prova che la radioattivita' arriva da fluidi di perforazione per trivelle convenzionali. 

Questo deve farci riflettere anche in Italia.
Dove finisce la monnezza delle trivelle lucane?
Qualcuno ha mai analizzato la radioattivita' conseguente a monte e a valle dei depuratori?

Anche il secondo studio e' stato pubblicato in Environmental Science and Technologye mostra che ci sono elevate concentrazioni di stronzio nelle cozze a Warren, Pennsylvania. Siamo a 140 miglia a sud da un sito di smaltimento di acque di scarto da fracking questo in uso fino al 2011. 

L' isotopo osservato di stronzio non e' radioattivo, ma causa problemi alle ossa, specie nei bambini.
Puo' anche causare tumore ai polmoni. Non e' ben chiaro quale sia l'impatto di questo inquinamento ai gusci delle cozze a lungo termine ma il fatto che sia entrato nell'ecosistema in cosi pochi anni e' significativo.

Cioe' in pochi anni la monnezza ha trovato modo di entrare nella catena alimentare, bioaccumulando.

La domanda e': dove altro ancora?

E fra altri dieci anni? 

Le cozze sono importanti, perche' restando fisse nell'ambiente sono un ottimo indicatore della qualita' dell'acqua in cui vivono, specie i loro gusci.

Lo studio e' molto chiaro: i dati mostrano l'aumento sproporzionato delle concentrazioni di stronzio nelle cozze in corrispondenza dell'inizio delle attivita' di fracking nel Marcellus Shale e dei riversamenti nell'Allegheny River.  L'inizio di queste attivita' e' stato dieci anni fa e proprio dieci anni fa il picco di stronzio.

Anche questo studio e' stato comparativo, cioe'  oltre alle cozze prese a Warren, hanno anche analizzato le cozze a monte dell'impianto di smaltimento dei fluidi e in altri due fiumi della Pennsylvania, il Juniata il Delaware, dove l'industria petrolifera non opera e non scarica.
Come detto, i dati parlano chiaro, i picchi si sono visti solo nelle cozze di Warren.

E come poteva essere altrimenti? 

Anche qui pero' la cosa interessante e' che dopo il 2011 le cose non sono poi cosi cambiate, nel senso che i tassi di stronzio nei gusci delle cozze e' solo leggermente diminuito nel corso degli anno.

L'idea e' che non solo le cozze hanno bioaccumulato, ma anche i sedimenti dove le cozze vivono, cosicche anche se non riversiamo piu' stronzio o altro materiale, i sedimenti li conservano a lungo e le cozza continuano a nutrirsene.

Non e' la prima volta che il depuratore di Warren viene indicato come ammazzatore di cozze. Gia' nel 2015 venne notato che i tassi di sopravvivenza per le cozze nel raggio di 500 metri da tale sito variavano fra il 20 e il 50% nel corso di un anno nel 2012; mentre per cozze che stavano a due chilometri il tasso di sopravvivenza era fra l'80 ed il 100%.

Cioe' le cozze piu' vicine all'impianto di Warren morivano prima.

Uno dei ricercatori coinvolti, Nathaniel Warner dice che in generale per le cozze si apre un periodo di estinzione di massa, e questo a causa di tutti i cambiamenti alla qualita' dell'acqua. 

Negli USA circa 35 delle 297 specie di cozze note sono andate estinte dal 1900 ad oggi. Il fiume Allegheny contiene 49 di quelle rimaste e molte sono in via di estinzione.

E dice che non e' che perche' abbiamo fermato la depurazione di monnezza da fracking che le cose migliorereanno.

Che sia monnezza da fracking o da fluidi tradizionali, le cozze non lo sanno.
Loro sanno solo che l'acqua non e' pulita e non e' sana.
Fonte:

Australia: la meta' delle tartarughe morte premature ha la pancia piena di plastica













Il contenuto di plastica dallo stomaco di *una* delle tartarughe morte.



Queste storie non smettono mai di spezzarmi il cuore in mille pezzi, perche' da un lato sono creature che non hanno fatto niente di male, se non seguire i ritmi millenari della natura, e dall'altro ci siamo noi, che pensiamo di essere creature intelligenti, superiori e che invece distruggiamo tutto.

Ecco qui il risultato di cotanza intelligenza. Invece di rendere il mondo migliore lo stiamo distruggendo, e il fatto che accada a nostra insaputa non cambia niente.


La meta'! 

E come potrebbe essere altrimenti, visto che dieci milioni di tonnellate di plastica finiscono in mare ogni anno.  Ce n'e' per tutti, dal plankton alle balene, con tutto quello che passa in mezzo, tartarughe comprese. 

Gia' negli anni '80 si era notata la presenza di plastica negli stomaci delle tartarughe, principalmente buste di plastica.

Ma poco fu fatto, e poco si sta facendo adesso. Trenta anni almeno di animali di ogni genere che mangiano plastica - a volte il sistema della digestione e' capace di espellere questi corpi estranei, ma spesso, e le abbiamo viste tutti le foto, ci sono casi di animali deformi, di plastica che si accumula nello stomaco, di lacerazioni ai tessuti degli animali.

In alcuni casi arriva anche la morte per fame, perche' gli animali credono di essere sazi, con la pancia piena di plastica, ma in realta' di nutritivo non c'e' niente. Infine occorre notare che le tartarughe per come sono fatte, non possono vomitare niente. O la plastica passa attraverso il sistema digestivo oppure resta in corpo per sempre.

Ed ecco dunque il recente studio pubblicato sulla rivista Scientific Reports che ha cercato di quantificare gli effetti della plastica sulle tartarughe marine d'Australia. Il lavoro e' stato eseguito da Britta Denise Hardesty del Commonwealth Scientific and Industrial Research Organisation (CSIRO) in Tasmania che ha esaminato i corpi di 1000 tartarughe morte e trovate in riva al mare per capire il ruolo della plastica nelle loro vite e nelle loro morti.

Il risultato e' che le tartarughe morte giovani, erano quelle con piu' plastica nei loro corpi.  La meta' di queste tartarughe morte giovani aveva ingerito quantita' elevate di plastica, mentre lo stesso si poteva dire per il 25% delle tartarughe di eta' media. Infine, le tartarughe morte in eta' piu' avanzata avevano plastica in corpo per il 15% del totale. La vita media di una tartaruga sana e' di 80 anni; il tempo della riproduzione inizia fra i 20 e i 30 anni. 

In alcuni casi le tartarughe avevano 300 pezzetti di plastica.

La probabilita' di morire, in media, e' del 50% dopo avere ingerito 14 pezzetti di plastica. A volte pero' ne basta uno solo, per esempio un solo pezzo di plastica e' sufficente a soffocare una tartaruga o a perforarne gli intestini, se il pezzo giusto arriva nel posto giusto.


In media un pezzo di plastica in corpo aumenta la mortalita' del 20%.


A livello mondiale si calcola che il 52% delle tartarughe ha ingerito un qualche pezzo di plastica.

Le tartarughe giovani sono le piu' vulnerabili perche' spinte dalla corrente, assieme ai rifiuti, e perche' mangiano con meno discernimento degli adulti.

Quali sono le conseguenze di tutto cio'?

Beh, ovviamente ci sono tante concause, e possibilita' ma alla fine, il 60 percento delle specie di tartarughe note e' in via di estinzione. Un altro dato: duecento anni fa le tartarughe del mare nei Caraibi erano stimate essere decine di milioni. Oggi sono solo decine di migliaia.

E' documentato che 700 specie animali sono messe in pericolo dalla nostra monnezza. Sicuramente il numero vero e' maggiore, e man mano che continueranno gli studi ci si rendera' conto che la plastica non risparmia nessuno: la fauna marina, uccelli, pesci, tartarughe, coralli.

Cosa fare, specie considerato che il Mediterraneo e' fra i piu' inquinati del mondo?

Tutto parte da ciascuno noi.

Raccogliamola quella monnezza al mare, non gettiamo rifiuti a casaccio, riusiamo, ricicliamo, compriamo vestiti fatti di materiale non sintetico -- cotone, lana, seta.

Le tartarughe non hanno fatto niente di male per meritarsi il mare plastificato.
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Borneo: a causa della deforestazione in sedici anni andati persi 100,000 orangotanghi










L'isola di Borneo se la dividono fra Indonesia, Malesia e Brunei, e fino a quaranta anni fa per tre quarti era coperta da foreste con tutta la magnifica biodiversita' di flora e fauna che portano con loro.

E poi arriva l'uomo, con deforestazione, piantagioni monocultura, industria del legno. Muore la foresta, muore la vita.

E cosi, dal 1999 al 2015 sono andati persi 100,000 orangotanghi che non sono sopravvissuti alla deforestazione, alla perdita di habitat, alla caccia selvaggia. E se tutto continua come finora, entro il 2050 saranno persi altri 45,000 esemplari. 

internazionali guidati da Maria Voigt del Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology, in Germania.
Gli studiosi hanno esplorato le foreste del Borneo e seguito il fato di quasi 37,000 nidi di orangotanghi nel periodo che va dal 1999 al 2015. Nel 1999 il numero di nidi erano di 22.5 per chilometro percorso,  nel 2015 si era arrivati a10.1 nidi per chilometro. 
Calcolando la natalita' tipica da ciascun nido e il numero totale, hanno poi stimato le perdite di orangotanghi sulla cifra di 148,500 individui. 
In piu' i dati sono stati studiati diverse popolazioni di orangotanghi presenti su Borneo, ed emerge che dei 64 gruppi presenti solo 38 hanno una popolazione adeguata a garantire la sopravvivenza sul lungo termine: cento individui.

Maria Voigt dice che nessuno si aspettava questo tipo di declino, e che le cause sono nel degrado dell'habitat di questi animali, con l'avanzare del disboscamento, dell'agricoltura intensiva e anche dell'uccisione diretta.

Nel 1973 si calcolava che vivessero in Borneo 288,500 esemplari di orangotanghi. A quel tempo, i tre quarti dell'isola erano ancora foresta.

Nel 2012 il censimento parla di 104,700 individui.

Gli orangotanghi hanno bisogno di foreste per vivere e mal si adattano fuori. 

Le perdite sono state maggiori in Kalimantan, la parte Indonesiana dell'isola e negli stati di Sabah e di Sarawak che appartengono alla Malesia invece.

La cosa pero' preoccupante e' che mentre Kalimantan e Sabah sono state antropizzate, Sarawak ha conservato le sue foreste. E perche' allora anche qui c'e' stata mortalita'?

Non si sono registrate qui ne epidemie o altre cause di morie di massa. La spiegazione: uccisioni dirette.  Gli orangotanghi vengono uccisi per la carne,  e per il commercio illegale di animali. Le mamme vengono uccise e i loro piccoli venduti sul mercato nero.  A volte gli orangotanghi vengono uccisi perche' si allontanano dalle foreste ed entrano nei giardini o nei campi delle persone in cerca di cibo.  A volte si spacciano le uccisioni di orangotanghi come "controllo delle pesti".

L'uomo si appropria dell'habitat degli animali, nascono i conflitti e l'animale ha sempre la peggio, visto che non hanno pistole con se. 

E se i tassi di deforestazione restano cosi come sono, circa 215,000 chilometri quadrati in piu' di foresta andanno persi dal 2007 al 2020.

Il tasso di foresta dell'isola passera' dal 75% del 1973 al 24%.

Cosa fare? Secondo Maria Voigt occorre introdurre piu' misure per proteggere foreste e orangotanghi, 
con sensibilizzazione ambientale e coinvolgimento delle comunita' locali.

Qualche passo e' stato fatto: il governo indonesiamo nel 2016 ha dichiarato una moratoria contro l'apertura di nuove piantagioni di palma in tutto l'arcipelago nazionale, e anzi i permessi dati nel 2015-2016 sono stati cancellati.

Come sempre, non solo solo gli orangotanghi nella lontana Indonesia, e' tutto il nostro pianeta che e' a rischio e occorre che tutti facciamo la nostra parte.  Un consumo responsabile ed etico, rompere le scatole a chi di dovere, cercare di riparare quello che e' andato perso, dalla pulizia delle nostre spiagge all'uso di fibre non sintetiche.
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